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Parole al
vento
Ogni
scrittore può essere un poeta e
ogni poeta può essere scrittore.
Si gioca con le parole e con i significati, si usa una penna e si
descrivono piccoli
pezzi di tempo, piccoli pezzi di emozione che rispecchiano
l’anima. Lasciano
senza fiato, ti riempiono.
I poeti e gli scrittori prendono parola e la passano e senza rendersi
conto
sono messaggeri. Come piccioni che volano e portano verità a
destinatari
indefiniti.
Quando scrivo, immagino sempre che quel foglio andrà a un
destinatario, non
importa quale, basta che ce ne sia uno, non importa se a questo mondo
ci sono
solo io, ce ne sarà qualcuno su un altro pianeta, perfino in
un altro universo,
ma c’è sempre. E se proprio non riesci a
immaginartene uno, il destinatario
dovrà essere te stesso. Le parole non vanno al vento, visto
che è dal vento che
arrivano, quindi devono essere trasmesse.
Io ho tanta immaginazione e ho sempre saputo scrivere,
perché ho avuto un
grande insegnante, che é mio fratello. Tuttavia non riesco a
capire se sono una
brava scrittrice o meno. Mi aiuto paragonando i miei scritti con i
libri che
compongono la mia casa, ma non mi basta, ho bisogno di altri occhi.
Penso che un giorno insegnerò a leggere al mio Darling
– così ho chiamato il
cucciolo di Stupak – almeno mi farà da critico.
Tengo presente, però, che non ho una dote naturale. La mia
immaginazione é
fervida perché é stata nutrita.
Io la vedo come un bambino: nasce, si nutre e cresce. Poi arrivano le
regole
grammaticali che incupiscono e lo fanno diventare adulto, ma se le
saprà
domare, acquisirà armonia e diventerà
l’uomo perfetto.
Stamattina mi sono svegliata presto e ho fatto i miei soliti esercizi
mnemonici
e come al solito mi sono dovuta aggrappare a un tavolo per non cadere
per
terra, talmente lo shock del flashback. Li odio.
Ho dato da mangiare a Darling, fortunatamente non si è fatta
vedere durante la
mia amnesia, altrimenti avrei urlato come una pazza e probabilmente
sarei
svenuta.
Poi sono salita su in soffitta a rispolverare le mie vecchie storie,
per vedere
se c’era qualcosa che potevo cambiare. Visto che devono
essere viste da altri
occhi per essere criticate a pieno, io aspetto che la mia anima cambi e
i miei
occhi con essa, così ogni volta che le leggo dopo tanto
tempo, so sempre cosa è
giusto e cosa è sbagliato e mentre lo faccio ascolto il
consiglio del vento.
Mentre sposto una pila di fogli, cade a terra della carta
appallottolata. La
guardo accigliata per qualche secondo, ha qualcosa di familiare, poi la
prendo
e la faccio ruotare nelle mani.
“Non può essere…”
Un gran sorriso si apre sul mio volto quando aprendo la carta, mi
accorgo che
sono le mie prime parole.
E’ incredibile come siano potute durare per tutto questo
tempo.
E’ un fogliettino abbastanza piccolo, ma su di esso ci sono
delle lettere
grandi e scomposte, colorate di blu.
C’é scritto Armando, mio fratello.
Il blu é il mio colore, ma non è il mio colore
preferito.
La frase stona ma il concetto è quello:
c’è differenza tra le due cose. Un
colore può essere il tuo, quando rispecchia il tuo
carattere, ma puoi anche non
sapere quale sia. Io so che è il mio perché
è il simbolo della calma, della
tranquillità e dell’equilibrio. Coloro che
prediligono il colore blu sono
persone caratterizzate da sentimenti profondi e intensi e fanno dei
propri
ideali la loro arma vincente.
Decido di salire sulla cima per fare una passeggiata.
La mia testa fa capolino dalla botola. Non piove e non
c’è nessuno Stupak,
quindi esco allo scoperto e mi metto a sedere sul bordo con le gambe
che
penzolano nel vuoto.
Ammiro il tramonto con gli occhi socchiusi, le nuvole sono rade e
lontane,
tutte ammassate all’orizzonte. Il colore giallo assieme
all’arancione arrivano
fin sopra la mia testa, mentre se mi giro posso scorgere un
po’ di blu scuro
all’orizzonte opposto.
Il giallo e l’arancione sono i miei colori preferiti.
Indicano vitalità,
felicità e calore. Incarnano tutto quello a cui aspiro, ma
che non posso
ottenere. E mi piace così tanto il tramonto
perché si mischiano col blu.
Sto cantando una canzoncina quando all’improvviso il vento mi
butta in faccia
un foglio.
Lo prendo, irritata, ma poi mi accorgo che è una cosa
straordinaria. Un foglio
che non viene dalla biblioteca!
E’ scritto da entrambi i lati con una penna blu.
“Chiunque
sia la persona o la cosa che sta leggendo queste righe,
ti prego, vienimi a prendere. Sono sola, non ricordo chi sono e dove
sono. C’è
un albero grandissimo e da lontano vedo delle case deserte,
c’é anche una
montagna molto grande con la cima sempre innevata e credo che a
metà ci sia una
specie di castello. Non so neanche in che tempo mi trovo e non so
neanche
quanto tempo passerà prima che tu legga. Forse sono morta,
forse no. Ti prego,
cercami. Ho fame. Ho fame di amore. E quando arrivi, portami un libro!
Mi
chiamo L...”
Non
faccio in tempo a
leggere il nome che il vento me lo porta via dalle dita e resto
lì a guardarlo
con la bocca semichiusa e con le mani ancora nella stessa posizione.
Poi mi
rimetto a posto e non posso fare a meno di sorridere pensando al fatto
che il
vento, ancora una volta, mi ha affidato delle parole.
Una strana sensazione mi attanaglia i polmoni e sono costretta a fare
respiri
corti. Non so da dove provenga, non ho mai provato niente del genere.
Un
sorriso vuole spuntare dalle mie labbra, ma lo reprimo: devo rimanere
concentrata. Sto fremendo, stranamente ho voglia di cantare a
squarciagola oppure
ballare. Da quanto tempo non lo faccio? Il mio corpo reagisce in modo
talmente
diverso da quello che vuole la mia mente e questo mi confonde.
Oh, al diavolo. C’é un’altra persona su
questo pianeta! Sono stanca di cercare
di ripararmi, di sentirmi al sicuro, ora voglio sentire un
po’ di brio, di
eccitazione, voglio rischiare. E’ fantastica questa
sensazione ed é fantastico
il fatto che da qui posso vedere la montagna con il picco innevato e a
metà c’é
un castello, proprio come l’ha descritto la persona che mi ha
chiesto aiuto.
Posso farcela, posso trovarla!
Mi precipito a cercare il borsone, quello che porto con me quando
faccio
esplorazione, ma questa volta ho intenzione di stare fuori
più a lungo di una
semplice giornata. Devo rimboccarmi le maniche e scegliere i libri che
forse
gli piacciono di più, quelli che una persona sola e persa
può amare. Devo
preparare anche i vestiti, la tenuta da caccia, la balestra e tanti
legnetti di
scorta da usare come frecce. Non devo dimenticarmi assolutamente la
carne che
ho lasciato appesa nell’atrio. Improvvisamente avverto un
languorino e stacco
un pezzo di carne affumicato e lo sgranocchio mentre sistemo nella
borsa le ultime
bottiglie d’acqua. Ora mi manca solo di salutare Darling.
Mi avvicino a lei con cautela, ho paura che se la prenda, anche se non
capisce
tanto bene il linguaggio umano. Lei, invece, si avvicina velocemente e
mi fa le
feste. Mi piange il cuore, cacchio.
“Senti, Darling… ci conosciamo da molto poco,
addirittura da ore. Mi sono
divertita e ti voglio un mondo di bene, ma ora devo andare
via.”
Darling si arrampica sulla mia schiena, poi salta sbattendo le ali.
Quando cade
a terra facendo una capriola, diventa triste e fa un verso che non gli
avevo
mai sentito fare. Mi accorgo che ha voglia di volare.
Buffo. Stiamo comunicando la stessa cosa, vogliamo entrambe andare via.
La
prendo in braccio e le do una mano a prendere il volo. Prima la lancio
da una
sedia, poi da uno scaffale alto, poi dalle scale. Dopo un bel
po’ di tentativi
riesce a fare il giro dell’intero padiglione.
“Si, vai così, brava! Ora sei pronta.”
La prendo e la porto sul tetto e mentre sto sul cornicione, mi accorgo
che la
tristezza é scomparsa. Ormai é cresciuta
abbastanza da volare via e prendersi
la sua vita da uccello assetato di sangue, ma per me sarà
sempre la mia
Darling. E chissà se ci rivedremo e se quando
succederà, mi riconoscerà oppure
mi sbranerà senza pietà. Ma non posso stare
dietro ai pensieri di un rapace,
così dopo averle dato un lungo bacio sul becco, la lascio
andare. Sta volando
via verso la foresta dagli alberi bruciati, dove di solito gli Stupak
non
vanno, perché non c’é niente da
mangiare, così lo prendo come un segno. Darling
ha capito chi sto cercando e sa dove devo cercare.
Prendo il borsone e una volta uscita dalla biblioteca, corro verso gli
alberi.