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Autore: Dreamhunter    15/10/2008    0 recensioni
Un au giallo rosa, con i personaggi tutti in versione umana (ma il più possibile in character). Sexy, divertente, avventuroso (almeno spero).
Genere: Romantico, Commedia, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Angel, Winifred Burkle
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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*CAPITOLO DIECI*

Scese dall'auto con un unico, pressante desiderio che gli sorgeva dalle viscere. Ammazzarla.
Ammazzare quella strega.
In maniera possibilmente lenta e dolorosa.
Sbattè lo sportello con furore e l'intera struttura della De Soto vibrò, mentre dal cofano si levavano volute di fumo poco rassicuranti.
Con una gamba bloccata sotto la moto rovesciata, lei si tolse il casco, liberando una folta chioma ribelle di capelli scuri. Gli occhi invece erano neri come carboni roventi, la bocca rossa e arrabbiata.
Spike si ritrovò a trattenere il respiro suo malgrado.
Accidenti. Non si era aspettato che Trashy Slayer fosse così... Cioè... Ehi, cavolo...
“Non avvicinarti, cazzone”.
Ok. Ora poteva comprendere perché la chiamassero Trashy.
Dunque bisognava che le insegnasse perché lo chiamavano Spike.
Le torreggiò sopra, coprendola con la propria ombra, provocatorio. “Perché altrimenti cosa mi fai, uhm? Lo sai con chi stai parlando?”.
“Certo che lo so”, ribatté lei, tutt'altro che impressionata. “Sei il runner up. Quello sul secondo gradino del podio”. Sorrise, sprezzante. “Non serve che tu porti i rialzi in quegli anfibi fuori moda: resterai sempre e comunque più in basso”.
Ah... la piccola pantera bruna era feroce.
E attaccava con crudeltà.
“Non mi piace che mi si definisca runner up”, ringhiò lui, la mascella serrata. “Attenta a te”.
“Altrimenti cosa mi fai?”, lo scimmiottò Faith. “Mi pianti un chiodo in fronte?”.
Allora sapeva già perché lo chiamavano Spike...
“Già, potrei... E' il mio marchio di fabbrica. La cosa non ti spaventa?”.
La ragazza rise. “A vederti di persona non mi sembra che tu abbia un martello abbastanza potente...”.
I muscoli facciali di Spike si contrassero. Che razza di vipera ...
Bloccata nella polvere, eppure velenosa...
Oh, ma le avrebbe dimostrato chi...
Non riuscì ad elaborare il pensiero. Due berline scure li stavano raggiungendo a velocità sostenuta. Si fermarono a poca distanza e ne scesero quattro tizi vestiti di nero e armati come barracuda.
“Dannato inferno... Ti pareva...”, brontolò Spike tra i denti.


Lorne li attendeva sulla scalinata di Chateau Caritas.
Con in mano una videocamera ed una macchina fotografica digitale.
“Ero indeciso sul modo con cui immortalare il vostro arrivo...”.
Sorrise e, tenendo puntata la videocamera, prese contemporaneamente la mira con l'apparecchio fotografico. Nel display inquadrò Spike, le braccia conserte sulla giacca di pelle, le sopracciglia unite in un'unica linea di cupo livore. Dietro il Sanguinario, uno dei bodyguard teneva sulle spalle Faith con i polsi e le caviglie legati e la bocca imbavagliata.
Spike sollevò il dito medio nel momento dello scatto.
“Meraviglioso. Farò fare un ingrandimento per il mio salotto privato”, proclamò Lorne con una strizzatina d'occhio. “Qualche problema con la signora, Luc?”, chiese poi all'uomo che reggeva Faith.
“Era un po' restia a collaborare, signore”.
“Capisco... Questi giovani, sempre restii...”.
“Io non sono restio, se ti può consolare”, intervenne Spike. “Anzi sono assolutamente ben disposto ad ammazzare qualcuno. Chiunque”, precisò con un ghigno.
“Ne sono certo, ma conosci le regole, William. A Chateau Caritas le armi sono bandite”.
“I tuoi uomini sono armati”.
“Sono il padrone qui, tartufino”, ammiccò Lorne “Mi riservo dei privilegi... Ora entriamo, da bravi. La colazione è in tavola”.
“Questo diversivo non funzionerà”, replicò Spike, mentre l'altro filmava gli uomini in nero che trasportavano Faith nella villa. “Troverò Angelus. A qualunque costo”.
La sua passione non scalfì l'imperturbabilità di Lorne, che, conclusa la ripresa, infilò confidenzialmente un braccio sotto il suo. “Sono ancora a stomaco vuoto, bon bon... Rimandiamo la psicoterapia a più tardi, vuoi?”.


Il lieve gemito di Liam rieccheggiò tra le pareti del fienile abbandonato in cui si erano rifugiati, amplificandosi.
Fred sobbalzò. “Sei sicuro che non ti possa aiutare?”.
“Sicurissimo, grazie...”, rispose lui, la voce spezzata.
Da una certa distanza, nascosta nella penombra, lei allungò il collo per sbirciarlo. Aveva tolto giacca e camicia e si stava medicando la ferita ad un fianco. Niente di preoccupante, le aveva detto, era solo di striscio, un graffio.
Già... Un graffio che però gli aveva inzuppato la camicia di sangue...
“Hai trovato il flacone?”, domandò Liam. “La cassetta si è aperta nella fuga... Sarà rotolato fuori...”.
“Lo sto cercando...”, temporeggiò Fred, distogliendo lo sguardo dalla schiena di lui, illuminata da una lama di luce che penetrava dal tetto semisfondato del fienile. Sulla scapola destra si delineava un tatuaggio. Un qualche animale mitologico, con una A tra le zampe... “Continua a sembrarmi incredibile che tu abbia una cassetta per il pronto soccorso nel portabagagli...”.
“Un killer professionista deve essere pronto a qualsiasi eventualità. Non sempre si può andare all'ospedale. Anzi, quasi mai..”.
“Sai anche ricamare a punto croce, per caso?”.
“No, ma potrei imparare...”.
“Ti assicuro che è qualcosa che vorrei davvero vedere...”.
La mano di lei si chiuse sul flacone perduto, finito in un angolo del portabagagli. Ma i suoi occhi furono catturati dalla borsa del computer, caduta di lato: nella tasca esterna c'era il suo vecchio pc portatile...
Quando era riuscito a sottrarglielo Liam?
Fino alla sera prima era stato tra le sue cose, nella sua stanza...
Importava, comunque?
Non contava il come. Contava il significato.
Liam aveva i dati sul farmaco. Lei non gli serviva.
Eppure l'aveva protetta. Come promesso. Con il suo corpo.
Le aveva fatto da scudo.
L'eco di una conferma le si allargò nel cuore.
Si diresse verso di lui a piccoli passi. “Eccolo”, mormorò porgendogli il flacone. Liam non la guardò, impegnato ad applicarsi un cerotto quadrato sulla ferita. Sul suo petto nudo spiccava la catenina con il ciondolo a forma di proiettile.
Lo rimirò oscillare lucente tra i suoi pettorali e nella luce incerta scorse numerose piccole cicatrici. Chissà quante altre volte, dunque, lui si era curato in quella maniera spartana...
Da solo.
In silenzio Liam prese il flacone, pieno di pillole bianche. “Sono antibiotici”, le disse. “Per prevenire un'eventuale infezione”. Ne mandò giù uno. “Provocano sonnolenza, per cui è meglio che mi stenda per un paio d'ore. Appena l'effetto sarà passato, ci rimetteremo in marcia”.
“Potrei guidare io...”, propose Fred.
“Non siamo in pericolo, al momento...”. Lui si alzò e tornò al SUV, parcheggiato nel punto più buio del fienile. Aprì la valigia. “Spike e Faith non saranno un problema per qualche giorno”. Scelse una maglia scura a maniche lunghe e la infilò piano, con un sospiro.
“Li conosci?”.
“Faith e Spike? Sì, li conosco”.
“E sono bravi?”.
“Peggio. Sono delle teste calde. Raramente si danno pena di pensare. E chi non pensa è una mina vagante”.
Fred arrossì. “Come me, che ti ho rincorso senza riflettere?”.
“Non mi riferivo a te”. Liam inclinò il sedile del passeggero e vi si sedette. “Però...”. Si girò a fissarla. “Hai rischiato davvero grosso, Fred. In questa situazione non puoi permetterti di agire d'impulso. Spero che tu ora te ne sia resa veramente conto”.
“E io spero che tu abbia capito che ti seguirò dovunque”, ribadì lei, seria.
“Perché?”, ribatté lui. Aveva appoggiato il capo al poggiatesta. Il suo sguardo era morbido, vellutato. “Perché ti fidi di me?”.
“Non dovrei? Sei stato tu a dirmi che dovevo...”.
“Sì, sì...”. Liam sbatté le palpebre. “Ma ho l'impressione che per te sia troppo facile...”.
Appariva stanco. Non a causa della ferita o dell'antibiotico.
Piuttosto pareva stanco in generale. Esausto come chi è vuoto di desideri e speranze. Fred si rattristò. Lei aveva sperimentato spesso la solitudine, ma... quel tipo di stanchezza di vivere?
No, quella mai...
Chi doveva essere davvero salvato, fra loro due?
“Hai fame?”, gli chiese d'un tratto.
Lo stupì, ridestandone l'attenzione. “Cosa?”.
“Io sì, io ho fame. E credo che anche a te farebbe bene mangiare. Ho notato un campo di fragole qui vicino... Ti piacciono le fragole?”.
Gli strappò un vago sorriso. “Sì, mi piacciono”.
Ok. Bisognava lavorare su quel sorriso.
Renderlo luminoso.
“Tu sei un killer di lusso, giusto? Tipo le prostitute d'alto bordo...”.
Tattica vincente. Non soltanto il sorriso di Liam s'illuminò ma si trasformò in risata divertita. “All'incirca...”.
“Perciò scommetto che lei hai mangiate con lo champagne...”.
“Alcune volte, sì...”.
“Ed erano buone?”.
Lui si strinse nelle spalle. “Non male, ma le preferisco semplicemente con lo zucchero”.
Anche Fred rise. “Oh, pure io le adoro con lo zucchero!!... “.
“Che non abbiamo...”, le ricordò Liam. Dolcemente.
Come se quella conversazione lo intenerisse.
Un dialogo sulle fragole... Inusuale per un killer, vero?
“Non abbiamo lo zucchero, ma abbiamo il sole”, gli fece notare Fred. “Al sapore di sole sono fantastiche”.
“Condite dal sole non le ho mai mangiate...”, bisbigliò Liam.
Fidati di me, allora”, mormorò lei. Con gli occhi scuri di lui addosso.
Era stata capace di spiegarsi... ?
Deglutì. Sorrise. “Riposa... Vado a raccogliere la nostra colazione”.
E gli voltò le spalle, scappando dal fienile.
Nel sole. Tra le fragole.


Grazie come sempre a chi legge e a chi commenta! :D


  
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