“Non è facile essere
sempre ubriachi,
lo sarebbero tutti
se fosse facile...”
UNTIL IT
KILLS
I – ETHAN CROOK
Tutto
uno schifo.
Era
tutto uno schifo. Ve lo dico io. Uno schifo totale.
Bennie stava seduto su
un cassonetto della spazzatura, dondolando le sneakers
un tempo bianche a ritmo della musica che usciva dal pub. I capelli biondo
sporco gli ricadevano davanti alla faccia abbassata a fissare la macchia di
piscio di cane sull’asfalto. Ne annusava la puzza come se fosse il più pregiato
profumo, Chanel n.5 per stronzi. Aveva quel sorriso di chi non capisce più un
cazzo, forse per colpa di quella pinta in più dentro al Lighthouse
pub. O forse perché aveva guardato un po’ troppo quella fighetta rossa di Dodie Grant, là dentro. Quella non era certo una per gente
come Bennie. Dico, quelle come lei non ti filano di
striscio nemmeno se ti pianti davanti a loro con un biglietto con scritto
“cagami”. Avevo l’impressione che lui avesse il cervello altrove, forse a spararsi
un porno mentale in cui lui era il protagonista ultra-dotato e lei la porcona a
gambe larghe sulla lavatrice. In una situazione reale, Bennie
sarebbe stato il povero straccio intento a girare nel cesto insieme agli altri
panni sporchi. Benedict-Lo Straccio-Murray,
l’avrebbero chiamato.
A
me di Dodie Grant non me ne fregava una sega, zero
assoluto proprio. Ci rinunci direttamente, quando vedi che se la tengono
stretta stretta come se fosse l’unica in città.
Bisogna essere un minimo realisti nella vita, questo dovrebbe impararlo anche
Murray. Glielo diciamo da anni, ormai, che non c’è storia con quella. Però lui
è uno che non ascolta i consigli degli altri, ‘ste cose non gli entrano proprio
nella zucca. Ha un blocco di marmo al posto del cervello, quello. Morirà
vecchio, solo e sbronzo nella sua camera in casa dei suoi, in mezzo a un
immondezzaio di kleenex usati.
Anche
Les pensava a qualche pollastrella, ci scommetto. Ma
lui non era come Bennie, lui no. Lui non aveva
bisogno di nessun cartello per cercare l’attenzione di una ragazza, l’otteneva
senza sforzi.
In
quel momento era appoggiato al muro in mattoncini rossi, intento a spegnere e
riaccendere la fiamma dell’accendino. Il suo muso ben rasato e dai lineamenti
perfetti veniva illuminato a scatti, apparendo nel buio del vicolo senza
lampioni. Lo vedevi che aveva quegli occhi di chi sa che a fine serata avrà
svuotato le palle. Non so… è qualcosa come un luccichio che ti sale su
dall’inguine fino alle pupille. Brillano come un fottuto swarovski.
Comunque so che a quel tempo se la faceva con Ros Bryce, la sorella di quello schizzato di Victor. Se questo
fosse uscito dalla gattabuia per un qualche sconto della pena, scommetto che
gli avrebbe fatto il culo, a Les. Quella sera, però, Ros io non l’avevo vista e Les
aveva girato attorno a Sherri “Ciliegina” Lloyd,
quella che si è trasferita un paio di mesi fa dal Galles. Lei se n’è accorta,
infatti gli ha lanciato di quei sorrisoni da
pubblicità, sprizzando gioia da tutti i pori della sua pelle chiara. Potevi sentire
l’odore della sua felicità anche a due metri di distanza. Les,
come un cane da tartufo, doveva averlo fiutato e non vedeva l’ora di portarsela
fuori da quella topaia e scoparsela. Un altro nome sulla lista dei buchi di
Lester Shands.
A
interrompere quella gara di sguardi persi nel vicolo, fu la porta sul retro del
pub che si aprì, sbattendo contro un bidone di latta. Il coperchio cadde
sull’asfalto e rotolò fino a me, che me ne stavo seduto su un sudicio cuscino
di divano che qualcuno aveva gettato anni e anni prima. Da che mi ricordi
quello è sempre stato fuori dal Lighthouse.
A
far quel bordello, comunque, era stato Lockie Cochrane. Tutto esaltato, come se avesse un razzo su per il
culo. Gli occhi azzurri gli si sparavano fuori dalle orbite, quasi potevi
vederli cadere e rimbalzare dentro la pisciata di cane.
«Ho trovato l’E!» Ci ha
detto, con un tono di voce da far schizzare per aria tutto il vicinato. «Ce
l’ha Baccus!»
«Baccus, sì!!» Alle sue
spalle spuntò Trix, stretta in quel vestito nero
senza spalline. «Ci sta aspettando al cesso. Che gli diciamo, ce la prendiamo l’E?»
Les le lanciò un’occhiata, alzando il sopracciglio destro. S’infilò
l’accendino in tasca e tirò fuori il portafoglio. Si avvicinò a quei due,
sbattendo un centone in faccia a Lockie, che lo prese
fra i denti emettendo un ruggito eccitato, come fosse un animale domestico con
in bocca un pollo di gomma. Scomparve di nuovo dentro al Lighthouse,
facendosi spazio fra la folla, lasciando Trix con noi
tre. Lei si chiuse la porta alle spalle e arrivò in mezzo al vicolo, abbassando
poi lo sguardo sui sacchi della spazzatura, aperti dallo stesso cagnaccio che
aveva riempito d’urina il cassonetto. I suoi stivaletti col tacco scavalcarono
la buccia di banana, i barattoli di yogurt ammuffiti e gli spaghetti al ragù
sparsi sul cemento, attenti a non sporcarsi. Me la ritrovai davanti che le
potevo vedere le mutandine azzurre, con disegnate delle stelline nere.
«Ohi Eeth, c’hai da
fumare?» Mi fece, sbattendo le palpebre truccate di verde scuro. «Poi te ne
offro una io, quando riprendo la borsetta.»
«Non dovresti fumare alla tua età…»
Scherzai io, tirando fuori il pacchetto e
porgendoglielo. Lei sorrise e alzò le spalle, prendendone una e accendendosela.
Buttò fuori il fumo e poi lo guardò salire verso il cielo nuvoloso. Se la
guardavi bene, evitando di fissarle le mutande, potevi accorgerti che aveva
quattordici anni. Aveva ancora i lineamenti di una bambina, col nasino all’insù
e le labbra a cuore. Però aveva tutto quel trucco che la invecchiava di quattro
o cinque anni, così gliene davi diciotto e pensavi che fosse maggiorenne. Ci
erano cascati in tanti, ma noi la conoscevamo fin da quando eravamo bambini e
quindi non poteva ingannarci. Trix -Patricia
Madelaine Moody all’anagrafe- era la sorella di Pace Moody, un nostro compagno di classe alle elementari.
L’abbiamo conosciuta che lei aveva ancora tre anni e mangiava il fango dentro a
pentole rosa di plastica. Certo, per lei sarebbe stato meglio cambiare alla
svelta compagnia e frequentare posti migliori come aveva fatto suo fratello.
Però non c’era verso di levarsela dalle palle, un po’ perchè
non avevamo il coraggio di dirle di sparire per paura di perderla e un po’
perché non c’era molto altro da fare da quelle parti e i locali da bazzicare
non erano molti. In più aveva una cotta per quel pezzo di merda di Shands. Anche se lei gli sbavava dietro, comunque, Les aveva smesso di giocare ad acchiapparella con lei
almeno da sei anni e avrebbe dovuto farsene una ragione. Se continuava a
seguirlo a quel modo, lui l’avrebbe ferita e non mi sarebbe piaciuto affatto
vederla piangere seduta sul mio letto, a chiedermi consigli.
Io non so che fare quando una ragazza piange
davanti a me… Se è per colpa di un mio amico, poi, è ancora peggio. Che cazzo
le posso dire io, che non sono molto diverso da quel branco di bastardi? Quando
mi scambiano per un bravo ragazzo, non ci azzeccano affatto. Solo perché non
sbavo quando le vedo e non ronzo attorno ai loro slip come una zanzara vicino a
una lampada, ciò non vuol dire che io non sia come Les
o Bennie. Forse sono anche peggio, visto che tengo il
mio vero-io nascosto dietro a un’espressione da fesso.
Espressione con cui stavo fissando Trix, effettivamente. Guardavo i capelli neri arruffati che
le ricadevano sul petto, a nascondere il seno poco pronunciato, fasciato dal
vestito. Niente da dire, era una gran passera, la piccola Trix.
Tutto il contrario di suo fratello e di sua sorella maggiore, quella che avremo
visto sì e no tre volte in vita nostra. Se ne sta sempre a casa e penso che non
abbia mai visto un cazzo in vita sua. L’opposto di Trix,
sì.
«Poi dove si va, ragazzi?» Se ne saltò fuori lei,
all’improvviso. «Qui non c’è un cazzo! Cioè… C’è Fisher con la sua gente, ma non
è che abbia molta voglia di averci a che fare. Stanno sempre a far casino,
quelli.»
«Dove vorresti andare tu?»
Chiedendolo Les tornò a
incollarsi al muro, per poi cacciarsi le mani in tasca in quella sua posizione
figa da far arrapare tutte le ragazze in zona. O almeno, lui pensava che
facesse quest’effetto. Trix s’illuminò subito,
dimenticandosi di me e avvicinandosi a lui, tutta su di giri come se già fosse
fatta di ecstasy fino al midollo. L’orlo del vestito si era alzato fino a
scoprirle le chiappe rotonde, mostrando quel che mi mancava di sapere sulle sue
cazzo di mutandine colorate. Anche Bennie ci fece
caso e si lasciò sfuggire una risatina da sbronzo che riecheggiò nel vicolo,
prima che tornasse a perdersi nei suoi pensieri. Era ubriaco marcio di già,
quel coglione… Ed erano solo le nove e mezza.
«Allo Spider’s!»
La voce di lei era insopportabile quasi quanto il
suo atteggiamento. La vedevi che sculettava come una cagna che vuole un
biscotto dal padrone, sbattendo la coda in modo convulso. Les
però se ne sbatteva le palle di tutto quel leccaggio
di culo e si limitava a guardarla con i suoi occhi spenti. Probabilmente quello
di Trix era l’unico buco in cui non avrebbe mai
ficcato l’uccello, ma lei non lo sospettava.
Fortuna volle che Lockie
tornò indietro con delle pillole dai colori vivaci e ce le porse, con un
sorriso sornione a deturpargli il volto emaciato. La pollastrella si dimenticò
del cazzo di Shands e si gettò a braccia aperte verso
il povero Lock, lasciandogli una strisciata di rossetto sulla guancia, manco
fosse un fottuto indiano d’America. Scelse quella di colore rosa, facendo
sapere a tutti che sopra c’era scritto “kiss”, come
se a qualcuno gliene fregasse qualcosa. Sulla mia, che era azzurra, c’era un
insulso punto di domanda, se proprio è così interessante. Prima di allora avevo
sempre ingoiato senza soffermarmi tanto sui particolari. Alla fine l’unica
cosa di cui te ne sbatte di una pasticca di ecstasy è calartela.
Così alla fine ognuno prese la sua e se la buttò
giù con un goccio di vodka offerta da Murray. Les si
asciugò le labbra con la manica del giubbotto in pelle e poi alzò le braccia in
alto, con le mani strette a pugno. Il solito coglionazzo
scassaminchia…
«Tutti in Watkin
Street!!» Urlò, seguito da un applauso di Cochrane.
«L’Eclipse ci aspetta!!»
«Cazzo c’è all’Eclipse
stasera?»
Gli domandai, alzandomi dal cuscino e
stiracchiandomi. Una chiappa mi faceva un male del cazzo, perforata da una
molla che aveva bucato la spugna ormai marcita. Mi aveva pure stracciato la
tasca dei jeans, la troia.
«Ci va Sherri…» Ci fece
sapere, con grande disappunto di Trix. «Che serata è
se non riempio la ciliegina di panna?»
«Fai schifo, Les!»
La voce irritata di Trix
strappò un risolino generale e questo la offese, tanto che minacciò di non venire
con noi e restarsene lì al Lighthouse a stracciarsi
le ovaie con la compagnia di Fisher. Come dire che l’avrebbe fatto davvero. Non
è gente con cui averci a che fare, quella. Basta una parola sbagliata, o anche
un solo sguardo, che ti ritrovi con una lama al collo. Portarsi appresso
coltelli è da fottuti rottinculo. Questo lei lo sapeva e non aveva la minima
intenzione di abbandonarci, infatti ce la ritrovammo alle calcagna anche quando
arrivammo all’Eclipse, dall’altra parte del canale.
Un tempo quello era un grosso magazzino dove ci
tenevano il pesce da portare al mercato, me l’ha detto mio padre, che andava a
comprarci il merluzzo insieme al suo vecchio. Effettivamente la puzza di pesce
riuscivi ancora a sniffarla, mixata a quella del tubo di scappamento dei camion
che sfrecciavano sull’autostrada lì di fronte. A quell’ora non c’era molto
traffico, ma di giorno quel tratto di strada era intasato come non mai. Camion,
auto, camper…. Dannazione, non c’era un attimo di pace. Fortuna che in questa
città del cazzo non c’è una spiaggia, altrimenti i turisti la sfanculerebbero. Chi diavolo vuole andare in vacanza vicino
a un’autostrada di merda?
Tornando all’Eclipse, ce
ne stavamo in fila nel parcheggio, dietro a questa folla di tiratardi pronti a
entrarci. Dai volantini che ci aveva consegnato un coglione al cancello,
avevamo appreso che si esibiva uno stupido dj con i capelli in stile afro con
una svastica tatuata in fronte, il che ci aveva fatto riflettere sul numero di
stronzi che popolavano il mondo. Nel bel mezzo del parcheggio, non lontano da
noi, c’era una tipa con queste calze a rete blu elettrico che strillava al
telefono, incazzata a morte con chi stava dall’altra parte. La sentivamo anche
noi, con quel suo schifosissimo slang da fighetta che stentavamo a capire. Solo
Trix sembrava comprendere quel linguaggio
primordiale, infatti tendeva l’orecchio per origliare e poi se la ridacchiava.
«Eccheccazzo…. Perchè c’è tutta ‘sta gente?» Les
si lamentò, come al solito, alzandosi sulla punta dei piedi per capire quanta
fila ci fosse. «Tra poco ci sale l’E e noi non siamo
ancora dentro.»
«Dev’essere un dj famoso, ‘sto stronzo.» Commentò Bennie, sogghignando sbronzo e indicando il volantino.
«Guarda qui. Viene dritto da Berlino.»
«Fanculo pure lui, non me ne frega nulla da dove
viene! Io voglio entrare…»
Quando Shands inizia a
fare i capricci non c’è verso di fermarlo. Zero. Puoi insistere quanto vuoi nel cercare di
calmarlo, ma non ti dà retta. S’impunta finché non ottiene quello che vuole. E
Lester Shands sa sempre ottenere ciò che vuole.
Si scostò dalla fila, salendo sulla sbarra di una
transenna, così che la sua scodella bionda spuntasse fra la folla. Sembrava
Leonardo DiCaprio in Titanic, quando urla “sono il re
del mondo”. Queste ciocche che penzolavano davanti al volto da testa di cazzo
di Les, mosse dalla brezza marina. Tutti lo
guardarono, prendendolo per un deficiente, mentre alzava le mani verso il cielo
e ci urlava contro frasi a caso sull’ingiustizia di dover rimaner lì fuori al
freddo. Ridevamo come matti, Trix compresa. L’E
iniziava a fare effetto…
«Scendi da lì, Shands.»
Gli dissi poi io, tirandogli l’orlo del giubbotto. «Il buttafuori poi ti
massacra.»
«Il vecchio Fred mi vuole bene!»
Trascinò anche me sulla transenna e poi agitò le
braccia per salutare Fred, quell’armadio a due ante del colore dell’ebano che
se ne stava davanti alla porta, a smistare la folla. Questo alzò gli occhi
verso di noi, giusto per un istante, prima di tornare a decidere chi far
entrare e chi no. Da lì potevo vedere tutte le testoline che riempivano il
parcheggio: cappellini da baseball, parrucche colorate, capelli tinti,
cappucci, creste, capocce da skin-head e spuntoni.
C’era un milk-shake di gente da tutta la cittadina, di ogni rango e da ogni
quartiere, religione, squadra, scuola, genere musicale e quel cazzo che hai
voglia. Era un pienone da urlo. Solo per questo dj afro-nazi che noi manco
sapevamo chi fosse.
«Guarda là, Eeth.» Mi
fece poi il mio compagno, indicando con il dito una passera dai capelli corti
sparati verso l’alto. «Quella me la sono fatta l’altra sera. È quella Jane di
cui ti parlavo, quella che se ne va in giro con Lally
Britton, la cugina di Josh.»
Les è peggio di una comare di paese, quando ci si mette sa dirti tutte le
parentele di una persona e le compagnie che frequenta. Tiene un qualche albero
genealogico tutto suo, nascosto nell’armadio, ci scommetto. Comunque questa
Jane era davvero un gran bel pezzo, soprattutto se vogliamo parlare del suo
davanzale. Da là potevamo vedere la scollatura e il merletto del reggiseno
verde che indossava.
«Una gran porca, Jane.» Continuò lui, ripetendomi
il racconto fatto qualche sera prima. «Le piace farlo in luoghi pubblici, ma a
me non vanno ‘ste cose. Io non lo faccio sui divanetti al Lighthouse.
Le ho detto “se vuoi nei bagni ci sto” e così me la sono chiavata lì. Che poi
c’era una puzza di merda che non ti dico.»
«Dev’essere stata una gran bella serata.»
Jane ci vide e alzò il dito medio, poi continuò a
parlare con la sua socia. Era chiaro che di Les non
gliene fregava nulla, così come a lui non importava niente di lei. Alla fine
lui stava con Ros, quindi il resto erano solo scopate
occasionali.
Comunque tornammo a terra quando la fila si mosse e
nel giro di un quarto d’ora ci ritrovammo nel locale, con la musica già sparata
a palla dagli amplificatori. Sentivo lo stomaco pulsare forte quanto il mio
cuore, che era pompato dall’E che ormai aveva fatto
effetto. Sorridevo a tutti quelli che mi passavano accanto, mentre seguivo gli
altri verso un punto imprecisato della pista. Il pezzo che stava suonando era
qualcosa di preistorico, roba che veniva dritta dagli anni 80, quando il mio
vecchio bazzicava le discoteche. Mi ha raccontato che ai tempi se la spassava
agitando i riccioloni a ritmo di Wild Boys dei Duran Duran,
giù a una discoteca di Cleethorpse che ora è usata
come centro sociale. Io di musica anni Ottanta non me ne intendo. A dir la
verità non capisco proprio niente e ascolto quel che capita, quando capita. Non
ballo neanche perché non ho senso del ritmo e sembro un pezzo di legno gettato
in un fiume… Cazzo, non ne ho mica nessuna colpa.
Anche in quel momento, sotto l’effetto della
pasticca, non mi stavo lasciando andare alla musica, come stavano facendo Lockie, Trix e Bennie. Li vedevi che oscillavano, i ragazzi come due robot
e lei come un’anguilla, tutta fluida. Si strascicava contro Les,
che era immobile e aveva questo sguardo perso fra la folla a cercare Sherri “Ciliegina”. Quando la beccò, poi, spinse via la
povera Trix e lo perdemmo di vista. Niente più
notizie di Les fino alla mattina dopo.
La piccola Trix,
strafatta, si avvicinò a un tizio con una cresta blu e si allontanò con lui,
che subito approfittò di quel culetto sodo che spuntava da sotto il vestitino.
Io Bennie e Lockie restammo
lì, a sentire i pezzi del dj afro-nazi che alimentavano l’euforia da ecstasy
dei presenti. Se vogliamo essere
sinceri, faceva anche schifo, ma la mia opinione non interessa a nessuno.
L’unica cosa decente che la sua musica riuscì a
fare, fu mandarmi accanto questa passera ubriaca, che mi appoggiò le braccia
alle spalle, ballandomi addosso. Si strusciava tutta e io avevo l’uccello in
tiro, ma preso dall’E ero solo in vena d’amore. Così
le dicevo che era bella, che avrei voluto passare la mia vita con lei. E lei
rideva. Non so nemmeno chi fosse, a dirla tutta. Me la sono limonata un po’, lì
in mezzo alla pista, poi, d’un tratto l’ho mollata e me ne sono andato. È per
questo che sono ancora vergine, cazzo. Non capisco nulla. Alla fine, a quanto
pare, lei ha deciso di usare Lockie come palo e
strusciarsi contro di lui. Lui, poi, se l’è portata fuori e ha infornato la
pagnotta.
Io e Bennie, dopo qualche
ora, finimmo per ritrovarci nel parcheggio, seduti vicino a dei cassonetti, con
in mano una bottiglia di birra ciascuno. I suoi occhi fissavano i fari
sull’autostrada, come se fossero un qualche film di Coppola da cui non puoi
staccare lo sguardo.
«….è come in quel film, quello dove Robert Downey
Jr. alla fine muore.» Esclamò lui, probabilmente parlando da solo. «Io sono
Robert Downey Jr e Les è quell’altro stronzo che gli
fotte la ragazza.»
«Non andava esattamente così…» Gli ricordai,
sapendo benissimo di cosa parlasse. «Era Robert Downey Jr che si faceva la ragazza
dell’altro. Anche se poi, alla fine, Robert Downey Jr muore e lei torna con
l’altro. E non era questa la parte importante del film, poi… Robert Downey Jr
si prostituiva per pagare un debito di droga. Questo era importante.»
Bennie fece spallucce, come se non gliene sbattesse un cazzo. Beh, se voleva
reinventarsi le trame dei film, buon per lui. Io me lo ricordo benissimo,
com’era l’andazzo. Ho letto pure il libro, una volta. E, comunque, se vogliamo
essere pignoli Murray non aveva nulla di uguale a Robert Downey Jr, nemmeno nel
pisciare.
«…è che quelli come me e Robert Downey Jr le
ragazze non li guardano.»
«Bella stronzata… Forse vale per te. Lui sì, che lo
guardano.»
«Siamo qui, di nicchia, e nessuna se ne accorge.»
Io sbuffai, prendendomi un sorso di Beck’s e
lasciando perdere. Non c’era un cazzo da fare, gli era presa male e non mi
avrebbe ascoltato. Inoltre non me ne fregava nulla di Bennie
e della sua vana esistenza di merda. Uno con quella faccia non poteva essere
circondato da flotte di ragazze pronte ad aprire le gambe al suo schiocco di
dita. Non era nemmeno colpa sua se oltre a essere brutto era pure un idiota
senza un minimo di fascino. Guarda Lockie…. Lui con
la sua faccia da trip perenne, piena di brufoli come una pizza, aveva questo
sex appeal che gli permetteva di scopare quando gli andava.
«La vita dovrebbe essere più come Iron Man. Lì sì che Robert Downey Jr tromba.»
«Comprati un’armatura, magari funziona veramente.»
«Forse…»
Fu l’ultima cosa che gli sentii dire, prima di
alzarmi ed andarmene. Da lì a casa mia, in Westmarsh,
erano venti minuti a piedi, se tagliavo per il parco e scavalcavo la
recinzione. Tuttavia erano solo le due e mezza e la notte era ancora lunga,
così la presi comoda e feci tutt’altra strada, giusto per passeggiare un po’
per la cittadina. Alla fine arrivai davanti alla mia porta per le quattro e
tre quarti, mentre nella palazzina di fronte potevo vedere la luce della camera
di Les accesa. Lui era seduto al davanzale a fumare e
alzò la mano per salutarmi, così gli sorrisi e me ne andai a dormire. Se mi
fossi fermato, lui sarebbe sceso in strada e avrebbe cominciato a farmi il
riassunto della nottata e non avevo alcuna voglia di ascoltarlo. L’avrei fatto
al mattino, giusto qualche ora dopo. Tre ore dopo, effettivamente. Alle sette e
mezza avrei dovuto alzarmi e l’avrei trovato fuori casa ad aspettarmi con lo
zaino in spalla…
Uno schifo. Uno schifo davvero.
Ciao
a tutti!
Ecco
una storia che avevo pubblicato sul mio altro profilo, ma ho deciso di spostare
qui!
Finora
non parla esattamente di qualcosa, ma poi dovrebbe
esserci una trama.
Sulla
mia pagina facebook (https://www.facebook.com/pages/Michelle-Morrison/390257021129034
)però potete trovare delle foto dei personaggi che ho modificato semplicemente
prendendole da internet! Presto spero di fare dei disegni ;)
Grazie
di esservi soffermati!
Ogni
commento (o critica) è sempre il benvenuto!
M.M.