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Autore: AnnabelleTheGhost    23/10/2014    0 recensioni
Shawn è un ragazzo diciottenne impulsivo e violento.
Quando la sua fidanzata viene brutalmente assassinata, la sua vita viene sconvolta e decide di fare giustizia da solo.
Ma lei non sarà l'unica a morire.
Il killer colpirà di nuovo...
Genere: Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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NOTA: PUBBLICO QUESTO CAPITOLO A DISTANZA DI BEN DUE ANNI DALL’ULTIMO! MOLTE COSE SONO SUCCESSE E MI RICORDO BEN POCO DEI MIEI PIANI INIZIALI MA MI IMPEGNO A TERMINARE QUESTA STORIA E NON LASCIARLA PIU’ IN SOSPESO.
SE SIETE DEI NUOVI LETTORI, BENVENUTI, INIZIATE A LEGGERE DAL PRIMO CAPITOLO E BUONA LETTURA!
SE SIETE VECCHI CONOSCENTI CHE SI SONO RITROVATI COME APPENA AGGIORNATA QUESTA STORIA CHE GIACEVA TRA LE SEGUITE ORMAI DA SECOLI SI’ RAGAZZI HO DECISO DI CONTINUARE. SPERO CHE AVRETE LA PAZIENZA DI RILEGGERE GLI ALTRI CAPITOLI E DI TORNARE A CONDIVIDERE CON ME QUESTO MONDO PARTORITO DALLA MIA TESTA.
UN SALUTO A TUTTI E SPERO CHE IL CAPITOLO SIA DI VOSTRO GRADIMENTO
 


6. Orgoglio

In presidenza Shawn ebbe un déjà vu: la scena era la stessa, ma l'unica differenza era che colui che gli faceva la predica non era un poliziotto bensì un uomo tarchiato con un buffo farfallino rosa a pois, la cui targhetta lo identificava come "preside".
Seduto su quella poltroncina imbottita Shawn pensava a tutto fuorché ai blateramenti dell'uomo che gli sedeva davanti. "Le ragazze sono fiori e non bisogna sfiorarle neanche con un dito" aveva iniziato con fare amichevole, ma se credeva che un tonto come lui potesse avere più impatto di una guardia carceraria si sbagliava di grosso...
Finito il soliloquio il preside lo lasciò andare e l'unica cosa di nuovo che adesso aveva Shawn era solo una gran noia.
Doveva tornare in classe ma, visto che non ne aveva alcuna voglia, optò per un giro decisamente più lungo del necessario.
Lungo il corridoio semideserto un ragazzo gli venne incontro. Shawn capì fin dal primo momento che si stava dirigendo verso di lui e che non era una caso che i due si trovassero nello stesso posto.
Non aveva idea di come accadde ma all’improvviso le persone in corridoio svanirono. Tutti quei ragazzi, che si dirigevano verso le macchinette, in bagno o magari erano solo appoggiati alla parete per riposarsi un po’ tra una lezione e l’altra, erano spariti. Come in una di quelle storie di fantasmi, le ombre tornano dai loro proprietari, lasciandoti da solo nel buio.
Il corridoio della scuola era ovviamente illuminato ma Shawn era pervaso da quella sensazione sgradevole.
Erano rimasti da soli lui e quel ragazzo, che poi tanto ragazzo non sembrava, visto che era il doppio di lui.
Shawn sollevò il capo. Non ebbe il tempo di memorizzare i tratti del volto della persona che si trovava davanti perché nel giro di mezzo secondo la sua visuale non comprendeva altri colori diversi dal nero.
La mano possente del ragazzo gli aveva afferrato la faccia e l’aveva fatta schiantare con estrema violenza contro il muro. Non soddisfatto, non mollò la presa e ripeté il gesto ancora. Ancora. Ancora.
Per quei trenta secondi di estrema sofferenza Shawn si ritrovò, per la prima volta in vita sua, impotente. Era la stessa impotenza che aveva provato alla morte di Katia. Non poteva fare nulla, a parte incassare il dolore e lasciare che gli penetrasse nel corpo.
In un angolo della sua visuale fece capolino una gradazione di cremisi che, pian piano, voleva imporre la sua presenza in un’area sempre più vasta.
Più rosso vedeva più la sua sofferenza aumentava. E non intendeva smettere.
Lentamente il dolore si trasformò in anestetico: perse la sensibilità della faccia ma questo gli consentì di riprendere parzialmente il contatto col mondo esterno. Contatto che aveva temporaneamente perso in quel mezzo minuto.
Udì inizialmente dei versi, che si mutarono in grida. Poi in parole confuse e indistinte. Quando le parole ebbero un senso sentì chiaramente: «ASSASSINO!»
In quella frazione di tempo il suo aggressore aveva urlato epiteti poco lusinghieri nei suoi confronti e adesso era giunto al culmine degli insulti, che uscì dalla sua bocca con furia animale e disgusto.
Shawn riuscì a riprendere i contatti con la realtà e agì immediatamente per bloccare la sua tortura. Sferrò un calcio ben piazzato nelle palle e riuscì a liberarsi dalla presa.
La mano del suo assalitore perse aderenza sulla pelle di Shawn e si spostò sui genitali del suo proprietario.
Shawn, con la faccia metà spappolata, guardò con aria di sfida l’avversario e lo fulminò con uno sguardo pieno di odio e rabbia. Mentre regolava il suo respiro affannato studiò l’altro.
Era alto sicuramente più di uno e novanta. Portava i capelli biondi a spazzola. Nella carne del viso trovavano spazio piccoli occhi castani infossati, separati da un naso innaturalmente obliquo, e una miriade di brufoli rossi su fronte e guance.
L’aggressore inveì contro numerose divinità mentre tratteneva il dolore. In circostanze normali Shawn non avrebbe saputo tenere a freno la sua aggressività e gli avrebbe rifilato un pugno, seguito da un altro colpo negli zebedei. Ma non era il caso. Riusciva stranamente a ragionare con lucidità e dopo aver quasi ucciso Sofia e colpito Evanthe sapeva che non doveva arrivare al terzo strike. Non era il caso di mandare la sua vita a puttane per questo sconosciuto.
Aveva aggredito le ragazze senza che queste gli avessero sfiorato un capello. Ma questa volta era più che legittimato a rispondere all’attacco. Era suo dovere contrattaccare in questo caso e proprio per questo fu ancora più difficile trattenere i pugni, che ormai erano serrati e fremevano dalla voglia di colpire qualcosa, di scaricare la tensione e l’energia che ormai si era accumulata tra le dita.
A Shawn rimaneva solo un’opzione che avrebbe garantito la sua incolumità: per la prima volta in vita sua avrebbe dovuto fuggire come un vigliacco.
Non appena voltò le spalle al nemico, questo gli gridò dietro: «Me l’aveva detto che non hai le palle! Che te la prendi con le ragazzine perché sei un cacasotto, e poi scappi. Coglione!»
Shawn si bloccò. La neo-diga della pazienza che arginava la sua ira venne distrutta dall’impeto e dalla violenza della furia che ormai aveva pervaso ogni cellula del suo corpo.
Sapeva già cosa avrebbe fatto: si sarebbe girato di centottanta gradi e, come un perfetto compasso, avrebbe disegnato un semicerchio con la sua gamba destra, per centrarlo in viso e fracassargli la mandibola.
Girò di scatto la testa ma non ebbe modo di seguire i suoi piani. Contrariamente alle sue previsioni l’altro non era accasciato a terra bensì in piedi e inaspettatamente troppo vicino a Shawn. Lo afferrò alle spalle. Con il suo enorme braccio destro l’aggressore cinse il collo di Shawn e lo intrappolò in una presa da cui era impossibile sfuggire. Con la mano sinistra scese sul cavallo dei suoi pantaloni.
«Dove hai le palle, eh? Le hai lasciate a casa da mammina?»
La stessa presa che aveva intrappolato il viso di John adesso gli teneva i testicoli e li stringeva come se dovesse spremere succo da un’arancia. E mentre li stritolava andava su e giù col braccio cantilenando: «Dove ce l’hai? Dove ce le hai? Io non sento niente!»
A causa della mancanza d’aria per Shawn era impossibile articolare delle parole, per cui non potè che replicare con un sommesso rantolo.
Il tipo rise sguaiatamente, per poi continuare: «Queste, dici? Queste gomme da masticare appiccicate al cazzo? E quelle me le chiami palle? Andiamo, il mio cane ce le ha più grandi»
Shawn non aveva modo di difendere il suo orgoglio da uomo appena ferito, aveva altro di più importante di cui preoccuparsi: doveva scegliere se morire per asfissia o per probabile dissanguamento dei genitali.
Iniziava a mancargli l’aria al cervello. Il cuore gli pompava a mille ma non sapeva a cosa dare la priorità prima di perdere i sensi. La mente ragionava frenetica, alla disperata ricerca di una soluzione, cercando tra archivi e archivi di dati. Finché Shawn non si ricordò di un film d’azione visto dieci anni prima. Ciononostante, probabilmente dovuto alla disperazione del momento, gli apparve più nitida che mai la scena più emozionante del film, quella in cui il protagonista si salvava per il rotto della cuffia.
Imitando le gesta di quell’attore, Shawn inclinò la testa all’indietro con tutta la forza che gli era rimasta. L’aggressore, troppo concentrato nel ferire l’orgoglio virile di Shawn, venne colto alla sprovvista.
La presa si fece meno stretta di prima, appena sufficiente per permettere a Shawn di fare un respiro profondo e piazzare il suo gomito destro nello sterno di colui che gli stava alle spalle.
Emise un sospiro di sollievo quando le mani dell’altro lasciarono completamente la presa sotto la cintura.
Prima di andarsene non dimenticò di lasciare il suo regalo d’addio al suo nuovo amico: un bel gancio destro in pieno viso e una ginocchiata nello stomaco.
Ma questo suo neoacquisito senso di potenza e sicurezza venne ridotto in frantumi non appena sollevò lo sguardo: davanti a lui c’era Evanthe con un telefonino davanti al viso.
«Di’ ciao al popolo del web, Shawn». La ragazza sventolò la mano libera a destra e a sinistra. «Di’ ciao».
Evanthe spostò il cellulare e, davanti allo sguardo attonito di Shawn, lasciò scoperto il volto e quel grande sorriso di compiacimento che vi era dipinto sopra.
 
 
 
  
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