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Autore: Koori_chan    24/10/2014    0 recensioni
Quella sera non c’era la luna, e le stelle scalfivano appena la spessa coltre della notte.
I fanali della macchina, come i fasci di luce di due fari gemelli, illuminavano appena il sentiero sterrato di fronte a me, mentre attorno regnava la quiete; avevo la radio accesa, ma il volume era così basso che il cantare dei grilli copriva senza difficoltà il ciarlare dello speaker.
Poi, all’improvviso, accadde.
Qualcosa sbucò da un sentiero laterale e non riuscii a frenare in tempo. Inchiodai di colpo, mentre una sagoma scura si accasciava di fronte a me e, terrorizzata, tiravo il freno a mano.
[...]
Conoscevo quel viso, lo avrebbe riconosciuto praticamente chiunque.
- Oh, merda… - sussurrai.
Avevo appena investito Vincent Van Gogh.
Genere: Angst, Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo II~








Ricorderò sempre il rumore dei grilli.
Più delle luci, più dei respiri.
Quella notte, immersa nel nulla delle campagne di Arles, il frinire dei grilli mi sembrava il più frastornante dei suoni.
Fagocitava ogni cosa: il borbottio del motore, la luce sottile delle stelle, le spighe che trattenevano il respiro. Per un singolo quanto eterno momento mi parve di essere caduta in un sogno di quelli assurdi, di quelli che, al risveglio, si mutano in una sfuggevole sensazione, poco più che un leggero prurito in fondo alla coscienza.
Era troppo assurdo perché fosse vero, troppo.
Cercai di mantenere la calma e non saltare a conclusioni affrettate.
Dopotutto non era completamente impossibile che esistesse qualcuno di identico a Van Gogh. Certo, la faccenda diventava più improbabile quando tale individuo si ritrovava a vagabondare per i campi della Provenza proprio dove il grande artista era solito recarsi.
Trassi un profondo respiro, gli occhi sgranati dell’uomo ancora piantati nei miei.
- Si sente bene? – ripetei nuovamente, questa volta più lentamente.
Annuì piano, nello sguardo smarrito ancora lo stesso velo di panico della prima occhiata.
- Sì… credo di sì… - fu un sussurro, una frase balbettata a fior di labbra, eppure il mio cuore sussultò.
La sua voce era leggermente roca, eppure risultava delicata, un contrasto che per un istante mi fece mancare l’aria nei polmoni.
Sorrisi appena, tranquillizzata dall’idea di non aver ucciso nessuno, poi lo aiutai a mettersi seduto.
- Per fortuna… - sospirai.
- Sono davvero desolata, ero sovrappensiero e non l’ho vista sbucare e… - ma lo sconosciuto mi zittì poggiando delicatamente una mano sul mio avambraccio.
Nella luce accecante dei fanali puntati proprio contro di noi mi accorsi con una nota di panico misto a eccitazione che le sue dita erano sporche di quella che a un occhio distratto sarebbe parsa tempera gialla.
No, non poteva essere.
Dovevo cercare di restare lucida e evitare di fantasticare, dopotutto mi trovavo sempre in mezzo al nulla in compagnia di un perfetto sconosciuto, non era poi così saggio abbassare la guardia a quel modo.
E poi, insomma, cosa mai poteva farci un uomo normale in mezzo ai campi in piena notte?
Deglutii cercando di non pensare all’eventualità che si trattasse di un vagabondo o un ubriacone o entrambe le cose e rimasi a dir poco sbigottita dalla domanda che mi porse.
Mi si rivolse con gentilezza, quasi con timore, e per un momento rimasi senza parole.
- Chiedo scusa… Non vorrei sembrare indecoroso, ma… Dove ci troviamo? –
So di aver inarcato forse un po’ troppo le sopracciglia, perché il malcapitato parve pentito della sua domanda, ma prima che potesse anche solo formulare un altro pensiero di senso compiuto, mi affrettai a rispondere.
- Ad Arles. Nei campi appena fuori la città. Si è perso? – mi resi conto troppo tardi della stupidità della domanda, ma il mio interlocutore parve non farci caso.
Anziché notare la mia abissale mancanza di senso comune, infatti, rivolse la sua attenzione alla macchina e trattenne a stento un grido.
- Santo Cielo, che cosa…? – borbottò, sconvolto.
Evidentemente non aveva ancora metabolizzato di essere stato investito…
- Sì, io… Davvero, sono mortificata, capirò se vorrà sporgere denuncia… - ma con un brivido ghiacciato mi accorsi che non era stato l’urto inaspettato a sconvolgerlo, bensì la natura di ciò che lo aveva colpito di sorpresa.
Sospinta dal mio gene vagante della pazzia, abbandonai quel briciolo di buonsenso che mi era rimasto e azzardai la domanda che in realtà fremevo di porre fin da quado l’avevo guardato negli occhi per la prima volta.
- Mi scusi, potrei sapere con chi sto parlando? – domandai, priva di qualsivoglia educazione.
Dopotutto ero io quella che l’aveva investito, avrei anche potuto sforzarmi di essere un po’ più gentile.
Ma ancora una volta lo sconosciuto non sembrò badare alle mie scarse abilità di socializzazione e rispose senza indugio.
- Mi chiamo Vincent Van Gogh, sono un pittore. – si presentò con il più caldo dei sorrisi.
Sarei disposta a dare tutti i miei averi pur di poter vedere l’espressione che attraversò il mio volto a quelle parole.
Forse sorrisi, forse spalancai la mascella, forse addirittura emisi qualche verso strozzato.
Non ricordo, e di sicuro non vi badai quando fu il momento.
So che mi portai le mani al volto, a coprire naso e bocca, per chiudere gli occhi in cerca di un barlume di senso in tutto quello.
Come era possibile? Avevo forse viaggiato nel tempo? O era stato lui a ritrovarsi magicamente nel ventunesimo secolo?
Deglutii e cercai di sembrare convincente, mentre già nella mia testa si accalcavano sgomitando le trame per almeno dieci romanzi diversi.
- Io sono Caterina Montaperti… - avrei voluto aggiungere “scrittrice” alla mia presentazione, ma mettere i miei miseri e scontati lavoretti sullo stesso piano dell’arte di uno dei più grandi pittori che la Storia abbia mai visto mi faceva sentire stupida e insignificante.
- Io… Io credo che entrambi ci siamo cacciati in un bel pasticcio, Signor Van Gogh… - balbettai, mentre le stelle si muovevano pigramente nella pece della volta celeste e noi ce ne stavamo seduti in mezzo alla polvere dello sterrato come due bambini nel cortile della scuola.
L’artista inarcò un sopracciglio per incentivarmi a proseguire, e non attesi un momento di più.
- So che le sembrerà assurdo, ma è la verità. Ecco, vede… Io sono nata nel millenovecentottantotto. –
Di nuovo i grilli invasero la nostra coscienza in un grido ossessivo, sinistro e disturbante.
Van Gogh –perché diamine, quello era proprio Van Gogh!- decise finalmente di alzarsi in piedi e, con aria smarrita, si diede qualche pacca sui pantaloni per togliere la polvere.
- Nel millenovecentottantotto? Fra… fra cent’anni? – balbettò, sconvolto.
- Così sembrerebbe… - ribattei facendo spallucce, di nuovo in piedi pure io.
Trassi un profondo sospiro e mi passai nuovamente la mano sul volto; tutto quello non aveva senso.
Come potevo aver appena investitio Vincent Van Gogh?!
- Coraggio, ci sarà sicuramente una spiegazione razionale a tutto ciò. Deve esserci una spiegazione razionale. – esalai,  alla disperata ricerca di una risposta che potesse giungere come la manna dal cielo dai meandri più reconditi della mia mente.
Niente, tutto quello a cui riuscivo a pensare erano gli occhi dell’uomo in piedi di fronte a me.
Tornando a rivolgere la mia attenzione a quelle iridi chiare, mi accorsi che continuavano a lanciare occhiate diffidenti alla mia automobile.
Dopo qualche momento si azzardò a riprendere la parola, questa volta la voce un po’ più ferma di prima.
- Devo aver di nuovo bevuto troppo. – sentenziò come se fosse la cosa più normale del mondo.
Annuii appena e incrociai le braccia al petto.
- Sì, è esattamente quello che stavo pensando di me stessa. – replicai.
- Ma evidentemente l’alcool non c’entra niente. – aggiunsi.
L’uomo si irrigidì e alzò appena la voce.
- Non vorrete dire che ho… viaggiato nel tempo o simili sciocchezze?! – sbraitò, già sulla difensiva.
- Lei vede altre spiegazioni? – sbottai io, nonostante fossi scettica quanto lui.
- Sono finito in un racconto di Maupassant… - borbottò, passandosi una mano fra i corti capelli rossicci.
Quella considerazione afflitta mi fece sorridere.
- D’accordo. Riflettiamo. Lei ne viene dal milleottocentottantotto. Io da un secolo avanti. Io so di essere reale, lei sa di essere reale. Quindi bisogna arrendersi all’evidenza che è effettivamente successo qualcosa che non sarebbe dovuto succedere. – organizzai mentalmente quanto scoperto fino a quel momento.
- E come facciamo a sapere cosa è successo, di preciso? – chiese, come se io avessi potuto saperne di più.
Scossi la testa e strinsi le labbra.
- Onestamente non ne ho idea. Dovremo indagare. – conclusi rassegnata.
Van Gogh non parve della stessa idea.
- Indagare? Signorina, io devo tornare a casa! Io…! –
- Lo so, lo so! – lo interruppi stizzita.
- Ma non possiamo fare niente finchè non ci capiamo qualcosa! Senta, so che è assurdo, ma credo sia il caso che venga con me. E’ notte fonda e non penso che abbia con sé degli Euro o una carta di credito per pagarsi una stanza in Hotel, ragion per cui questa notte potrà dormire da me. Domani, quando saremo riposati, decideremo il da farsi! – ordinai, volitiva.
Quando la mia voce si fu dissolta nel buio della notte rimasi sorpresa di me stessa.
Mai, in tutta la mia vita, avevo preso decisioni a quela velocità.
Sono sempre stata una ragazza abbastanza timida e insicura, e l’autorità non ha mai fatto per me. Quando da piccoli si giocava tutti insieme nel cortile della scuola ero sempre ben felice di non essere il capo e non dover prendere decisioni. Espormi mi ha sempre fatto una gran paura.
Eppure, quell’assurda notte di fine Agosto, non avevo avuto nessun timore nel drizzare la schiena e fare la mia scelta.
Il pittore abbassò lo sguardo sulla targa della macchina, senza tuttavia sembrare veramente interessato. Aveva un nonsoché di triste nell’espressione, quasi si fosse sentito di troppo.
- Non voglio essere un peso, signorina. Non voglio recarvi disturbo… -
Senza aprire bocca mi avvicinai lentamente a lui e gli posi delicatamente una mano sulla spalla, sospingendolo piano verso la portiera e facendolo sedere in macchina.
- Non si preoccupi, le macchine sono veicoli comuni nel ventunesimo secolo! Allacci la cintura, mi raccomando! –
Presi posto dal lato del conducente e chiusi la portiera con un colpo secco, facendolo sobbalzare, poi partii in retromarcia fino ad una piazzola dove riuscii a fare manovra per tornare verso la città.
Le spighe frusciavano quiete attorno a noi e pian pianino anche il vocìo dei grilli scemava, mentre le prime luci della città scivolavano ai fianchi della macchina.
Van Gogh se ne stava rigido e terrorizzato seduto al mio fianco e ogni tanto si lasciava sfuggire qualche esclamazione di fronte ai semafori o ai cartelloni pubblicitari.
Chissà come doveva sembrargli cambiata Arles…
Mi chiedevo a cosa stesse pensando, se avesse paura, se fosse emozionato. Dopotutto ritrovarsi catapultati in un secolo futuro doveva fare una discreta impressione…
Poi, però, un’altra cosapevolezza fece capolino nel mio cuore, assieme a un pizzico di paura.
Tutti, anche i bambini, sapevano che Vincent Van Gogh non era mai stato un individuo dalla psiche stabile.
Gli erano state diagnosticate migliaia di malattie mentali diverse, dal bipolarsimo all’epilessia, e in ogni caso l’idea di ospitare in casa una persona simile non era fra le più tranquillizzanti.
E se lo stress del presunto viaggio nel tempo avesse dovuto farlo impazzire? E se avesse cercato di farmi del male?
Cercai di non pensarci. Dopotutto era evidente che non si trattava di un uomo malvagio, i suoi occhi erano puri e buoni come quelli di un bambino.
Quando arrivammo in vista di casa, rallentai fino a fermare la macchina. Il parcheggio che avevo occupato quel pomeriggio era ancora vuoto, e mi sistemai nuovamente lì.
Raccolsi la mia borsa gigantesca dal sedile posteriore e aiutai il mio passeggero a liberarsi dalla cintura di sicurezza per poi accompagnarlo fino al portone.
Raspai nelle tasche alla ricerca delle chiavi di casa, mentre il pittore mi guardava pieno di curiosità.
- Ci sarà un po’ di disordine… Beh, veramente un po’ tanto disordine. E che vivendo sola, sa… - feci, alla ricerca di una scusa per il macello che regnava sovrano nel piccolo appartamento.
- Non preoccupatevi, non può essere peggio della mia stanza… - sorrise gentile.
Non riuscii a impedirmi di curvare le labbra verso l’alto, salendo le scale a passo sostenuto.
Vincent Van Gogh, il pittore più grande di tutti i tempi, stava chiacchierando con me del più e del meno.
Era incredibile.
Aprii la porta e lo precedetti all’interno del monolocale, abbandonando la borsa su una sedia e dirigendomi ad aprire la finestra.
- E’ molto piccolo, lo so, ma gli affitti ad Arles costano una fucilata, mi sono dovuta accontentare… - spiegai, sperando che non notasse l’eccitazione acquattata nella mia voce.
Solo a quel punto mi voltai per vedere cosa ne pensasse e mi accorsi della catastrofe che stava piombando su di noi.
Sopra alla televisione, sulla parete di fronte alla porta d’ingresso, se ne stava una stampa di “Mare a Saintes-Maries-de-la-Mer”, in basso a sinistra, in un rosso guizzante, la firma dell’autore.
Quello, sbigottito, si voltò verso di me in cerca di spiegazioni.
Cate, pensai, questo è davvero un gran casino.




















 
Note

Io lo sapevo che questa storia non dovevo nemmeno incominciarla!
Comunque salve a tutti e benvenuti al secondo capitolo, dove in realtà non succede niente di particolare se non che la nostra protagonista ha raccattato nei campi un pittore famoso morto cent'anni prima. xD
La prossima volta che mi viene in mente di scrivere qualcosa su Van Gogh picchiatemi.
Santo cielo, giuro che non ho mai faticato tanto per mettere insieme un paio di battute di circostanza senza temere di andare OOC... T.T
In ogni caso il nostro caro Vincent è rimasto un pochino sconvolto, mentre il lato scettico e quello fantasioso di Cate fanno a pugni in cerca di spiegazioni. E adesso? Come farà la ragazza a spiegargli che è diventato uno dei più grandi pittori di tutti i tempi? E poi, sarà saggio dirgli proprio tutto?

Ps: una piccola precisazione linguistica di scarsa se non nulla importanza.
In teoria i dialoghi fra Vincent e Caterina avvengono tutti in Francese. In questa lingua, per esprimere rispetto, o semplicemente fra sconosciuti, si usa la seconda persona plurale, ossia il "vous", a differenza del "lei" Italiano, quindi non dovrebbe vedersi la differenza fra il registro che usa Caterina e quello di Van Gogh. Ho voluto però mantenere questa leggera diversità in Italiano per rimarcare la provenienza dei personaggi da due secoli diversi. V.V

Un grazie di cuore a chi ha recensito e messo la storia fra le seguite/preferite!!! <3
A presto! -spero xD-

Kisses,
Koori-chan
  
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