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Autore: mizuriko    24/10/2014    5 recensioni
A volte non serve per forza sapere con certezza chi sia il nostro interlocutore per innamorarsi perdutamente. A volte basta il suono della sua voce o anche il suono di uno strumento... questa è la storia di un amore che danza sulle note di un pianoforte. Spero vi piaccia ...
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Raphael Hamato/ Raffaello, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il corpo esile giaceva a terra, apparentemente privo di vita, rivoli di sangue scendevano lentamente dal collo , scivolavano sulle spalle per cadere poi con un suono raccapricciante nel viscoso lago porpora. Il respiro era irregolare e si muoveva con inquietanti crisi epilettiche, i nervi erano tesi e le lacrime scivolavano con disperazione giù da quegli occhi neri come il carbone. I capelli biondi come l’oro si erano macchiati di quel liquido così impuro, avevano preso una sfumatura così innaturale. Raph guardava immobile quel corpo magro che si spegneva a pochi passi da lui, fece cadere i Sai a terra e un passo alla volta la raggiunse. Le ginocchia tremavano e con un tonfo sordo gli si inginocchiò accanto.
-No … -
Le prese la testa fra le mani e si dondolò quasi preso da una strana danza, il cuore gli martellava il petto e non poteva fare a meno di stringere quel corpo fragile tra le braccia.
-No!-
Il suo urlo squarciò il silenzio della stanza. I fratelli lo guardavano pietrificati, nessuno abbandonava la sua postazione, nessuno fece  un passo avanti. Nessuno poteva immaginare quello che sarebbe accaduto.
-Non puoi lasciarmi! Respira … ti prego … - disse flebilmente.
Il suo corpo era di un caldo febbrile e le sue braccia stringevano sempre più forte su cadavere. Tutta la sua vita, la sua felicità, gli passò davanti lasciando dietro di sé soltanto una grossa voragine, una landa desolata e devastata …
 
*Flashback*
I piedi di Savannah toccavano a malapena l’acqua, era veramente veloce, dopotutto chi non lo è quando è in ritardo? New York è una giungla, una giungla che diventa sempre più affollata durante i giorni di pioggia.
Le gocce scendevano copiose in una pioggia fitta che sembrava non avere fine.
-Toglietevi di mezzo!- urlò la giovane ragazza prima di travolgere due ignari passanti.
Le porte dell’Università erano ancora aperte, per fortuna. Salì la grande scalinata e entrò nell’aula a mezza luna, il professore di psicologia non era ancora entrato, aveva il tempo di prendere fiato. Si sedette accanto ad una giovane ragazza dai capelli neri, pelle chiara e occhi costantemente truccati di nero.
-Buongiorno, anche oggi in ritardo?- disse la bruna.
-Non ne voglio parlare … -
-Sav, è la terza volta in una settimana-
-Karai … non sei mia madre!-
-Va bene, va bene, come siamo suscettibili-
In quello stesso istante entrò in classe il professore, un uomo sulla cinquantina, capelli brizzolati, molto attraente per la sua età. Portava sempre con sé una ventiquattro ore marrone bruciato che posò sulla cattedra. Con gli occhi azzurri scrutò attentamente la classe.
-Buongiorno a tutti- disse.
-Buongiorno Mr. Gold- risposero in coro.
-Bene, vi vedo molto svegli questa mattina, prendete la teoria dei sogni di Freud, pagina 567-
 
***
Savannah uscì dall’ascensore del suo condominio, appartamento due del settimo piano di un delizioso edificio poco lontano da Central Park. Entrò in casa, sbatté la pesante porta d’entrata e lanciò la borsa sul bancone della cucina. L’appartamento era un po’ troppo grande per una persona sola, una cucina e un salotto open space, un bagno, una sala hobby e una camera da letto molto spaziosa, senza dimenticare l’enorme balcone fuori la vetrata del salotto. Savannah si guardò attentamente allo specchio, cercava di sistemare i lunghi capelli biondo cenere, completamente fradici.
-Che mostro … - disse legando la chioma in una coda alta.
Si avvicinò a grandi passi al pianoforte a coda che si trovava proprio di fronte alla vetrata, ne accarezzò la forma e fece scorrere le dita sopra i tasti, si sedette e cominciò a suonare la scala musicale.
-Do , re , mi , fa … - canticchiava a bassa voce.
Si accomodò e iniziò a suonare “L’orologio degli dei” di Giovanni Allevi. L’aveva sentita una sola volta e se ne era innamorata. Le sue dita scivolavano lente e esperte, ora sui tasti bianchi, ora su quelli neri.  La melodia riempiva tutta la stanza, una cosa che aveva notato era che le finestre della vetrata erano sempre aperte, non sapeva bene perché lo faceva, sentiva di dover condividere con qualcuno quel momento. A volte le sembrava di essere osservata, era diventata talmente paranoica che una volta aveva giurato di aver visto qualcuno sul suo balcone … naturalmente aveva dato la colpa alla stanchezza procuratale dagli studi.
Ma sul tetto accanto, qualcuno c’era.  Non era proprio umano, si nascondeva nella notte. La pelle era verde e gli occhi erano coperti da una bandana rossa. Ogni volta che litigava con i suoi fratelli si ritrovava a correre sopra i tetti, senza una meta, eppure … un giorno la meta l’aveva trovata eccome. Aveva sentito questa splendida musica provenire da uno di quei palazzi e si era avvicinato per vedere chi fosse ed era rimasto fulminato. Un’esile ragazza dalla pelle candida e i capelli biondi accarezzava con estrema dolcezza quei tasti. Da allora, tutte le sere, si sedeva sul tetto del palazzo di fronte e la ascoltava per ore. Una volta era addirittura salito sulla balconata.
“Voglio solo vederla più da vicino …” aveva pensato. Solamente che la ragazza si era accorta della sua presenza e subito smise di suonare.
-C’è qualcuno?- disse spaventata.
Si maledisse, aveva bloccato quell’inno alla vita. Sì, perché la musica di quella giovane ragazza le ricordava quanto amasse la sua famiglia e quanto amasse vivere.
E ora si ritrovava nuovamente seduto ad ascoltarla, senza annoiarsi, semplicemente sognando a ritmo di musica. “L’orologio degli dei” … amava quella melodia, lo faceva pian piano salire in paradiso. Voleva avvicinarsi a quell’umana, voleva rompere gli schemi … forse gli piaceva quella composizione perché gli ricordava la sua situazione, lui era un peccatore e lei era una dea. Un peccatore non può raggiungere una dea, sarebbe accusato di tracotanza e sarebbe punito per la sua passione carnale nei confronti di una creatura così fuori dalla sua portata.
Savannah smise di suonare e lui si destò dai suoi pensieri, la vide avvicinarsi alla finestra.
“Chissà perché la lascia sempre aperta …” pensò il rosso. La bionda stava osservando nella sua direzione ma non poteva vederlo, era nascosto troppo bene. Lui poteva vedere lei, ma lei non poteva vedere lui. La vide appoggiare qualcosa sul pavimento del terrazzo per poi rientrare, chiudere la finestra e coprire il tutto con le tende. Quando fu sicuro che fosse andata a dormire, con un paio di salti arrivò sulla terrazza. A terra c’era un bigliettino con una penna. Il mutante lo prese e lo aprì.
“Ciao, io sono Savannah, qual è il tuo nome?”
Il suo cuore perse un battito, come aveva fatto a scoprirlo? Era riuscita a  vederlo? Impossibile! Allora perché quel biglietto?
Cosa doveva fare? Sapeva benissimo che non era normale che un essere come lui parlasse con una normale umana, anzi no … con una dea.
Prese la penna e cominciò a scrivere.
“Come hai fatto a capire che ti osservavo?”
Posò la penna a terra e fece passare il bigliettino sotto la finestra. Si maledì per quello che aveva appena fatto, stava mettendo a repentaglio l’identità della sua famiglia.
-Sono uno stupido incosciente!- disse spalmandosi la mano sulla faccia.
Fece per andarsene quando vide sbucare un nuovo bigliettino da sotto la finestra.
“Lei è qui dietro!” pensò.
Prese il biglietto in mano e si sedette a terra.
“Non lo sapevo, me lo hai confermato adesso … posso sapere il tuo nome?”
Ora aveva la conferma di essere stato un vero idiota ma non riusciva proprio a fermarsi. Prese la penna e scrisse.
Raphael …”  
Lo lanciò nuovamente sotto la finestra e pregò con tutto se stesso di essere in grado di fermarsi, per evitare ulteriori errori. Ecco di nuovo un biglietto.
“Posso vederti?”
Proprio quello che temeva.
“No … ti prego”
La risposta arrivò subito.
“Perché?”
“Perché non sono come te … sono diverso”
Ogni minuto passato ad aspettare la sua risposta era un’agonia, temeva che prima o poi avrebbe spostato la tenda e lo avrebbe scoperto.
“Allora avvicinati alla finestra, almeno potremo parlare … stanno finendo i fogli di carta XD”
Seppur esitante si avvicinò al vetro freddo e parlò.
-Eccomi-
Alle orecchie di Savannah quella era la voce più bella che avesse mai sentito, melodica, calda e sicura.
-Ciao, Raph –
Voce dolce e forte allo stesso tempo. Perfetta.
-Che si dice?-
-Che ho terminato la carta-
Lo sentì ridere, era strano parlare con qualcuno che non si poteva vedere.
-Da quanto tempo mi osservi?-
-Da quando hai iniziato a suonare con le finestre aperte …-
La sentì sussultare, sapeva che non era normale, non tutti si mettevano a spiare una persona dal palazzo accanto, tutte le sere.
-Ti piace la mia musica?- domandò lei, spiazzandolo.
-Assolutamente … -
Forse aveva messo un po’ troppa enfasi nell’ultima frase.
-Qual è la tua preferita?-
-L’orologio degli dei … -
-Sai come si chiama?-
-Guarda che non sono uno sprovveduto, anche io conosco la musica classica-
Fece il finto offeso, c’era una nota di tristezza in quello che stava succedendo. Lui sapeva benissimo come era fatta lei ma lei non sapeva assolutamente come fosse fatto lui.
La sentì alzarsi e subito scattò in piedi, pronto a fuggire.
-Aspetta qui, se ti piace Giovanni Allevi questa la adorerai-
Sentì i suoi passi farsi sempre più leggeri, poi una melodia cominciò a farsi strada nelle sue orecchie, non era lei a suonare, era sicuramente un qualche cd.
I passi di lei tornarono e la sentì sedersi accanto alla finestra.
-Si chiama “Come sei veramente”, buffo no?-
-Ah sì?- rispose lui.
-Questa melodia mi aiuta ad immaginarti, ogni nota è una piccola caratteristica, un piccolo modo di essere che girovaga nella stanza e pian piano da vita alla tua immagine-
Raph sospirò. Nemmeno cento di quelle note avrebbero potuto formare la sua figura, non avrebbe mai potuto immaginare che dietro quella finestra non vi era un essere umano ma un mutante. Avrebbe urlato, lo avrebbe insultato e poi sarebbe fuggita, lasciando il suo cuore a vagare senza una dimora, perché la musica di Savannah era la sua casa …
La melodia terminò e il silenzio regnava sovrano.
-Ora devo proprio andare, mi stanno aspettando- disse lui a malincuore.
-Chi ti aspetta?-
-Non posso dirtelo-
-Va bene … a domani allora-
Raph guardò il palazzo dove fino a pochi minuti prima era seduto.
-Sì, a domani-
Così dicendo si tuffò giù dal tetto, sprofondando nella notte che avvolgeva New York. Ormai ne era sicuro, lo avrebbero di sicuro accusato ti tracotanza …
 
 
*angolo autrice*
Salve signore e signori!
Sono tornata con una storia tutta nuova, per la cronaca Savannah ha più o meno 19 o 20 anni. Non riuscirò ad aggiornare tutti i giorni perché la scuola mi uccide :/
Spero che vi piaccia! Accetto critiche e consigli!!!
Baci, Mizu <3   
  
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