The
Ice Man.
Capitolo
1. Con il freddo nel cuore
Dicono
che le persone
orgogliose non esprimano mai realmente i loro sentimenti. Che non
sentano le
emozioni. Che vivano in maniera totalmente programmata. Che non abbiano
pentimenti. Né ripensamenti.
Dicono
che le persone
con un grande dolore si comportino in questo modo. Per riuscire ad
avere un po’
di pace nella loro vita. Per cercare di non arrendersi ad essa.
Io
non credo accada in
questa maniera. Ogni vita è diversa da un’altra.
Dal
canto mio, posso
dire con consapevolezza che la mia esistenza è circondata da
freddezza e
indifferenza. Non a
causa di stupide
convenzioni sociali o psicologiche.
Io
sono davvero fatto
così.
A
dir la verità, sono
nato e cresciuto in questo modo. Non è stata una mia scelta.
O almeno voglio
credere che sia così. Non mi sono mai sentito amato da
nessuno. I miei genitori
non so nemmeno che faccia abbiano avuto. All’epoca della mia
infanzia, mi
dissero che erano morti.
“La
tua famiglia siamo noi!”
La
suora
dell’orfanotrofio dove sono cresciuto me lo ripeteva sempre.
Lei credo mi
volesse bene. Forse, era l’unica a provare un sentimento per
me. Eppure, non
l’ho mai considerata una persona importante. Anzi la
disprezzavo al pari dei
miei genitori.
Con
gli altri ospiti
della struttura le cose non erano migliori. Non c’era un
bambino con cui
volessi giocare o piangere nei momenti di tristezza. Non mi
interessavano,
loro.
In
realtà, non mi
interessava nessuno. L’unica cosa a cui pensavo era
sopravvivere. Sopravvivere ad
una vita che non mi aveva mai regalato l’allegria tipica di
un bambino. Era qualcosa
che non conoscevo, la felicità.
Vidi
solo un barlume di
speranza non appena fui adottato.
“Da
oggi ti chiamerai Chiba. Mamoru Chiba.”,
mi disse quell’uomo
che sarebbe diventato subito dopo mio padre. Era una persona distinta,
fredda
un tantino. Il perché lo capii dopo. A causa della sua
professione, doveva
essere molto razionale. Era un medico d’altronde.
Sua
moglie, ossia la
mia nuova madre, era tutt’altro che razionale. Era un tantino
troppo
irrazionale. O meglio, molto frizzante.
“Che
bel bambino è mio figlio! Ti farò diventare un
figo da grande!”
Mi
prendeva,
abbracciava e baciava ripetutamente. Tutta questa
affettuosità era esagerata
per i miei gusti.
Anche
mio padre
sembrava disgustato da una moglie così. Lei davvero non
sapeva cosa fosse la
vergogna.
Avevo
solo 9 anni
quando misi piede nella nuova casa. Quella abitazione, così
lussuosa, sarebbe
diventata la mia casa.
Di
questo ero loro
grato. Non avevo mai visto così tanta magnificenza. Ero
abituato sin dalla
nascita all’ambiente povero di un orfanotrofio. Ora avrei
dormito finalmente in
un vero letto.
In
quei momenti, pensai
davvero che il tempo mi avrebbe permesso di trovare un po’ di
amore.
Non
fu così. Questi genitori,
che mi stavano accudendo e crescendo, io non li amavo. Li ringraziavo
per
avermi salvato, ma non provavo quell’affetto tipico di un
figlio.
Non
riuscivo proprio a
staccarmi dal mio essere indifferente.
“E’
glaciale.”
Glaciale.
Questa parola
la sentivo pronunciare ogni volta che qualcuno incrociava i suoi occhi
con i
miei.
I
miei parenti ogni
volta che venivano a trovarmi, i miei compagni di classe e i miei
professori a
scuola.. le ragazze che rifiutavo.
“Non
mi interessi”,
rispondevo seccamente ad ogni dichiarazione.
Non mi stupii di essere denominato “The
Ice
man”.
Anzi,
mi faceva quasi
piacere che nessuno osava avvicinarsi a me, ma si limitasse ad
insultarmi con
le parole.
Solo
uno stupido ragazzino,
quel Motoki, mi stava appiccicato. Dice che gli ricordavo il suo
defunto
fratello.
Mi
dava davvero
fastidio, ma non potevo farci nulla. Ignorare era la mia filosofia. Lo
era
stata e lo era diventata lentamente. Lo è tuttora. Da sempre.
Sono
un uomo freddo. Glaciale.
Razionale. Vado dritto al punto. Orgoglioso. Senza mezze misure. Senza
amore. Non
provo tenerezza quando vedo un bambino sorridere. Non provo cordoglio
quando
muore una persona. Niente mi fa paura. Non ho mai versato una lacrima.
Sarà
per questo che
sono diventato un dottore.
“The
Ice doctor”.
Anche in ospedale mi chiamarono così.
Non
che mi importasse. Non
avevo bisogno mica delle lodi dei colleghi o del personale sanitario.
Nientemeno
quelle dei pazienti.
In
generale, non mi
servono le persone. Sono un tipo solitario, io.
Molti
dicono che con il
mio comportamento voglio coprire il dolore che provo nei confronti
della vita.
Non credo sia così.
Io
sono davvero fatto
così.
Nessuno
potrà cambiare
il mio modo di essere. Nessuno davvero.