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Autore: MAMMAESME    27/10/2014    4 recensioni
Elena e il suo dolore.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come un temporale estivo.

 

La sveglia suonò, come ogni mattina da quando avevo deciso di ritornare a vivere il presente.

Stefan mi aveva detto di ricrearmi una normalità: funziona per qualche anno, dice lui.

Forse.

Comunque …

Avevo deciso di non lasciarmi morire.

Quindi …

Non potevo far altro che tentare di andare avanti.

Alaric mi aveva mostrato il mio diario: avevo amato Damon.

Non lo ricordavo, non volevo ricordare: quelle parole, le mie, trasudavano dolore.

E sapevo bene che quel dolore mi avrebbe schiacciata.

Potevo frequentare il college: ecco quello che avrei fatto per i prossimi due o tre anni.

Un passo alla volta, un giorno alla volta … per l’eternità.

Mi ero vestita distrattamente.

Ricominciare non era stato così facile come pensavo.

Credevo che senza quel dolore avrei potuto ricostruirmi, ritrovare una nuova me stessa, autonoma, indipendente.

Ma tutto quella che ero riuscita a mettere insieme era una nuova quotidianità.

Ogni volta che tentavo un approccio, un cambiamento, qualcosa mi frenava ed io mi mettevo sulla difensiva.

Tutti i miei amici avevano cercato un modo per esorcizzare le perdite subite dalle innumerevoli battaglie del passato, ognuno aveva messo cerotti e bende sulle ferite del cuore.

 Io l’avevo semplicemente anestetizzato, e ancora non si decideva a risvegliarsi.

Uscii.

Misi gli auricolari e lasciai che la musica uscisse random dal mio Iphon.

Alle dieci avevo lezione con Alaric, alle undici microbiologia, a mezzogiorno mi sarei vista con una nuova compagna di corso per poi andare con lei in ospedale.

Un giorno alla volta, un’ora alla volta.

Camminavo distratta per la strada, assorta in pensieri che non erano niente, semplicemente seguendo la direzione dei miei passi.

Sono momenti, quelli, in cui la quotidianità ti assorbe in una routine sempre uguale, in cui non c’è nulla di razionale, ma solo l’abitudine di mettere un piede davanti all’altro e proseguire su tragitti già tracciati, come solchi nelle nostre vite.

Sembra, in momenti così, che la nostra parte razionale si assopisca e le reazioni agli stimoli vengano da un istinto primordiale, come reazioni condizionate, qualcosa che passa prima dal corpo che dalla mente.

La musica suonava nelle mie orecchie e nemmeno la stavo ad ascoltare: era semplicemente l’ennesima barriera tra me e la gente che mi passava accanto.

Guardavo a un metro avanti ai miei piedi il susseguirsi sempre uguale delle mattonelle del marciapiede, senza vederle, senza notare  ciò che mi circondava, diritta per la mia strada verso il Whitmore, verso una quotidianità ricostruita sul nulla, in attesa che il nulla diventasse qualcosa e quel qualcosa trasformasse la mia vita.

Lasciai che il ritmo della musica dettasse il cadenzare dei miei passi. Il cervello si prese una pausa.

Mi lasciai esistere.

Camminavo in questa specie di oblio.

Camminavo senza nemmeno sapere se in cielo brillava il sole o se le nuvole rendevano l’aria grigia.

Camminavo … e con la coda dell’occhio mi sembrò di vedere un’ombra, un giubbotto di pelle, una massa scomposta di capelli neri.

Ed ecco la reazione incondizionata, la memoria che arriva un attimo troppo tardi.

Mi sembrava lui, sembrava proprio Damon!

Istintivamente alzai la mano per chiamarlo, sollevai le labbra in un sorriso, accelerai il passo per raggiungerlo.

Tutto durò la frazione di un secondo, il tempo per ricomporre i pezzi del conscio e ricordarmi che non poteva essere lui, non più … mai più.

Questi sono quei momenti in cui il dolore ti colpisce più duramente, dritto nello stomaco, perché non hai difese, non hai il tempo di indurire gli addominali per incassare il colpo.

Mi piegai in due e la sofferenza mi si rovesciò addosso come un temporale estivo, colmo di grandine. Non avevo alcun ombrello, alcun riparo al dolore del ghiaccio sulla mia pelle.

La mia mente aveva dimenticato, ma il mio inconscio non aspettava altro che una lieve falla nelle mie barriere per colpire: uno schiaffo improvviso, un colpo di pistola alle spalle.

Un solo istante di abbandono e il dolore si riversò sulla mia anima indifesa, crudelmente.

Alzai gli occhi al cielo: c’era il sole, ma i miei occhi vedevano solo pioggia, scrosciante e gelata.

Potevo aver cancellato il come o il perché, ma nessuna compulsione poteva cancellare le sensazioni: queste risorgevano dalle proprie ceneri per aggredire e sbranare.

Non avevo ricordato.

Avevo rivissuto ogni sfumatura, ogni grado di quel terremoto emotivo che mi aveva devastata.

Avevo ricostruito su delle macerie ancora fumanti, su un terreno pericolante.

E il primo acquazzone estivo aveva distrutto tutto.

Perché si può dimenticare il dolore, ma il dolore non si dimentica di te.

Mai.

Nda: So che siete in tante a seguirmi, e vi ringrazio dal profondo del cuore.

Mi piacerebbe che mi lasciaste un segno del vostro passaggio, giusto per conoscervi meglio o per salutare chi già conosco.

Anche le critiche sono ben accette.

Un abbraccio.

Mammaesme.

 

  
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