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Autore: Floralia    28/10/2014    3 recensioni
Grace cammina da sola tra i boschi e le strade del Colorado. In una mano ha una pistola scarica, nell'altra un pennarello indelebile.
Genere: Avventura, Drammatico, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
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La Mercedes rossa sfrecciava sull’autostrada bagnata a gran velocità, facendo lo slalom tra le carcasse di automobili abbandonate lungo il tragitto.
Il guidatore era impegnato in una furiosa discussione con una donna che gli sedeva accanto.
Una ragazzina di circa quindici anni piangeva forte appallottolata sul sedile posteriore, stretta tra le braccia di un ragazzo più grande.
Il ragazzo urlava ai due impegnati nella lite di smetterla, ma non era ascoltato. Portava una pistola agganciata ai jeans.
Grace sedeva il più in disparte possibile accanto ai due ragazzi, le dita affondate nelle ginocchia, la cintura di sicurezza che la tratteneva a ogni scossone.
Nella campagna adiacente talvolta si poteva scorgere un gruppo di persone impegnate in una strana passeggiata claudicante, talvolta corpi senza vita abbandonati agli elementi naturali.
La gramigna e i papaveri ondeggiavano al passaggio dell’auto, un pettirosso spiccava il volo da un ramo d’abete.
Il sole era basso quasi al limitare delle montagne lontane all’orizzonte.
L’auto intraprese una strada nella campagna e giunse al limitare di una graziosa cittadina di nome Greeley.
La via era vasta e con una buona visuale. Ai due lati erano situati negozi e fast food.
Il silenzio greve era rotto solo dal rombo del motore della Mercedes e dalle urla furiose che l’auto si portava dietro.
Parcheggiarono nei pressi di un grande Walmart.
L’uomo alla guida scese dall’auto, fece il giro e trascinò la donna con cui stava discutendo fuori dall’auto, tenendola per i capelli. Iniziò a picchiarla, mentre lei si difendeva urlando, graffiando, scalciando. Il ragazzo scese dal sedile posteriore e intervenne nella rissa.
Grace si precipitò fuori dalla Mercedes non appena riuscì a liberarsi dalla cintura. Non si fermò nemmeno ad osservare la scena, ma urlò i ringraziamenti per averle dato un passaggio e sfrecciò verso l’ingresso del supermercato. Superò con agilità e silenziosamente un gruppo di ambulanti intenti a divorare un gatto e respirò l’odore di decomposizione che emanavano quei corpi non-morti. Percorse l’intero cortile nascondendosi dietro bidoni, strisciando contro le auto per non farsi vedere dai numerosi corpi che si aggiravano vacui e inquieti e così raggiunse la porta principale.
Fu a quel punto che udì uno sparo.
Si voltò per un secondo, in tempo per vedere che gli ambulanti avevano cambiato obiettivo, attirati dal forte rumore.
Sfruttò la situazione a suo vantaggio.
Estrasse dalla tasca la lista che aveva compilato dietro un volantino.
Raggiunse il secondo piano, distrasse gli eventuali ambulanti lanciando qualsiasi cosa le capitasse a tiro nella direzione opposta alla sua meta, per ingannarli.
L’edificio era buio e l’aria impregnata di polvere. In ogni corsia che percorreva Grace poteva udire i bassi grugniti dei non- morti alla ricerca di cibo.
Regnava il disordine: era evidente che molti altri prima di lei avevano tentato di fare scorta di cibo e rifornimenti. Giacevano sul pavimento scaffali ribaltati, riviste sparpagliate e una quasi uniforme patina vischiosa di frutta marcia, sangue e brandelli di carne.
Grace si avvolse la sciarpa che portava al collo attorno al naso e alla bocca per sfuggire al fetore ma dovette lo stesso resistere a violenti attacchi di vomito.
Riluttante, immerse le mani nella poltiglia e se la cosparse sui vestiti. In tal modo gli ambulanti non avrebbero potuto sentire il suo odore umano e attaccarla.
Si inoltrò tra le corsie, tendendo l’orecchio per evitare zone troppo affollate. I grugniti e i suoni strascicati dei non-morti la accompagnarono lungo tutto il percorso.
Fu difficile individuare tutto ciò che le serviva, ma riuscì a raggruppare oggetti e cibo a sufficienza. Quando sentì gli spari provenire dal piano inferiore, prese la più vicina uscita di emergenza e si dileguò a piedi.
Quando si sentì abbastanza sicura per fermarsi, era ormai giunta in piena campagna, l’autostrada a qualche centinaio di metri.
Il tramonto stava lasciando il posto alla notte e Grace, sfiorata dalla brezza, avvertì sulla pelle i primi brividi.
Si creò una tana raggruppando cumuli di erba secca e fieno e vi si rifugiò.
Pensò che con l’inverno avrebbe dovuto trovare una soluzione differente.
Quando si fu guardata intorno abbastanza a lungo ed ebbe appurato che non c’erano pericoli, aprì lo zaino nero e controllò ciò che aveva saccheggiato dal buio Walmart.
Compreso lo zaino, era riuscita a recuperare un martello di medie dimensioni, un paio di torce a batteria e una a manovella, due cacciavite, un coltello da cucina ancora racchiuso nella plastica dell’involucro, una borraccia e una bottiglia di coca cola, due spazzolini, un dentifricio, una confezione di shampoo, quattro accendini e dello spago.
Inoltre in un borsone rosso –che si affrettò a ricoprire di terra per mimetizzarlo- aveva inserito lattine di zuppa e cibo prese a caso da uno scaffale.
L’ultimo oggetto era un romanzo di Stephen King, spesso ma leggero.
Grace era consapevole che il peso della merce che portava con sé era eccessivo, ma preferì non liberarsi di nulla perché tutto le poteva tornare utile.
Non aveva potuto prendere né vestiti, né medicinali né un sacco a pelo, e si dispiacque di ciò perché erano i primi tre elementi della sua lista.
Scoprì però che aveva raccolto inavvertitamente anche un pennarello indelebile nero.
Se lo passò tra le dita, incuriosita. Lo provò sul palmo della mano: funzionava.
Cenò ingollando una porzione di zuppa di pollo Campbell’s direttamente dalla lattina e quando ebbe finito si lavò i denti a secco con spazzolino e dentifricio. Assaporò il gusto di menta e pulizia che non sentiva da tempo.
Alzò il viso verso il cielo scuro e poté intravedere alcune stelle attraverso le coltri di nubi.
I capelli castani le danzavano intorno al viso, solleticandole il naso.
Pensò al suo viaggio che da un mese a quella parte l’aveva condotta a nord, oltre Denver, molto lontano da dove era nata e vissuta.
Pensò alla confusione, alle morti, alla paura.
Pensò alla falsa promessa di salvezza e a come aveva dovuto badare a se stessa per tutto quel tempo.
L’ultimo pensiero andò ai suoi genitori, che vivi o morti erano e sarebbero stati sempre vicini a lei Si voltò di scatto, convinta di aver udito un rumore. Le ci vollero dieci minuti per tranquillizzarsi, eppure aveva ancora il cuore in gola.
Come tutte le notti, come tutti i giorni, viveva nella paura.
Faticò ad addormentarsi, e si svegliava spesso al minimo rumore. Dopo poco tempo recuperò il pennarello indelebile e disegnò sul proprio avambraccio tre figure stilizzate e sorridenti: mamma, papà e Brandon.
Se li strinse al cuore e chiuse gli occhi.
Il giorno seguente l’alba portò col vento un persistente odore di putrefazione.
Grace si svegliò di scatto, ansimando per la paura.
Raccolse le due borse senza nemmeno pensare e cominciò a correre verso l’autostrada, sbandando per la vista annebbiata e il corpo intorpidito.
Le sneakers consunte affondavano a ogni passo nella terra umida e solo quando colpirono l’asfalto la ragazza poté accelerare il passo.
La strada era intasata di auto abbandonate. Da alcune provenivano i lamenti di non-morti bloccati all’interno delle vetture.
Grace non pensò nemmeno un attimo a rifugiarvisi. Il movimento era la chiave.
Aveva già vissuto quella situazione: l’odore, lo sgomento, la fuga, i nascondigli. Non poteva più sbagliare.
Voltò freneticamente il capo alla ricerca della fonte del fetore. Nulla.
Continuò dando le spalle alla città.
Quando non ebbe più fiato, rallentò e proseguì camminando.
Udì un rombo alle sue spalle, progressivamente più intenso.
Trovò rifugio fulminea infilandosi sotto un camioncino bianco.
La Mercedes rossa le sfrecciò accanto qualche secondo dopo.
Attese ancora contando i secondi nella mente, poi sgusciò fuori e riprese a correre.
Fu troppo tardi quando si accorse del leggero tremolio dell’asfalto e del brusio indistinto che poteva udire a fatica nell’intervallo tra i propri respiri affannati.
Si bloccò, inorridita,
Una massa compatta, lugubre, grigia e putrida era a poche centinaia di metri in fronte a lei, e ci stava correndo contro.
Troppo tardi per cambiare direzione. Troppo tardi per nascondersi.
Scavalcò il guardrail e si mise a correre verso l’aperta campagna, ma presa dal panico tornò sui suoi passi. La piatta vastità non offriva rifugio.
Girò in tondo, aprì portiere e le richiuse. Uscì di nuovo verso la campagna e di nuovo tornò sull’autostrada. Quando ormai non riusciva più a respirare e le lacrime le rigavano il viso, individuò un camion abbastanza alto, vi spinse contro un’auto e salì sopra il cassone del grande mezzo.
Vi si gettò sopra, sdraiata, tremante. Si appiattì contro la superficie fredda e smise di respirare. Non si mosse, non fiatò.
Il sudore le colava dalla fronte.
Sotto di lei, l’orda di cadaveri stava attraversando il groviglio di mezzi abbandonati. La puzza era insopportabile. Gemevano e rantolavano. Grattavano i finestrini delle auto con le unghie, strascicavano i piedi sull’asfalto. Si urtavano tra di loro, urtavano il metallo.
Alcuni si fermarono sotto il camion e tentarono di arrampicarsi goffamente.
Dalle loro gole fuoriuscivano stridori disumani.
Grace si sentì ondeggiare. Le parve che sempre più di quelle creature si ammassassero attorno al suo rifugio.
Cercando di muoversi il meno possibile estrasse una lattina dalla borsa.
Zuppa di ostriche Campbell’s.
Si alzò a sedere e lanciò la lattina poco distante, che si fracassò contro il finestrino di una Ford, poi tornò ad appiattirsi e a fingersi morta.
Sembrò funzionare: gli ambulanti erano attratti dal rumore.
Il tempo si dilatò.
Grace rimaneva aggrappata con le unghie sopra il camion e i non-morti le sfilavano sotto.
Ogni centimetro del suo corpo bruciava e doleva, esposto al sole che ormai era alto nel cielo e contratto dalla paura.
Strinse i denti fino a che non le fecero male.
Il tempo non passava.
I lamenti, i suoni orridi si ripetevano.
Il fetore ristagnava.
Ad un certo punto, forse anni dopo, non sentì più nulla.
Attese ancora e ancora.
Quando si decise a sbirciare oltre il bordo, ormai il sole aveva cominciato la discesa nel cielo.
L’orda aveva spostato l’auto che la ragazza aveva usato come scala per salire sul camion.
Scese dalla parte anteriore, e atterrò rovinosamente al suolo.
Non controllava più bene la mobilità del suo corpo.
Gemette e cadde sdraiata sulla schiena.
Ansimò e ringraziò in un sussurro di essere ancora viva.
Decise di rimettersi subito in marcia.
Sulla fiancata del camion erano impressi i graffi e il sudiciume che avevano lasciato gli ambulanti. Grace li osservò.
Estrasse il pennarello nero e scrisse sulla superficie bianca: “Salite qui per rifugio di emergenza.”
Si sentì meglio.
Contemplò per qualche momento la scritta, poi aggiunse sotto: “Che Dio vi aiuti” e riprese la marcia.
  
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