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Autore: Sselene    31/10/2014    3 recensioni
Partecipante al contest Legendary Tales di Yuko Majo | Dopo quasi sedici anni di lutto, la città Erdner torna a brillare: la Principessa Lisabelle, rapita da un'Arpia quand'era solo un'infante, è stata finalmente ritrovata e riportata a casa. Ma dopo quasi sedici anni passati lontano dagli umani in compagnia di una belva, c'è tanto che deve di nuovo imparare, a partire dal'alfabeto. E per lei, mezza umana e mezza belva, non c'è insegnante migliore di Ryan, che ha sulle spalle sia l'addestramento da guardia reale che l'insegnamento da pedagogo.
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il 14 settembre 1603, dopo sedici anni continui di lutto e tristezza, la città di Erdner tornava a mostrare i suoi colori e il suo entusiasmo, esplodendo in una festa che sarebbe poi durata per giorni.
L’intera popolazione cittadina si era rovesciata nelle strade indossando i vestiti più vivaci che si riuscissero a trovare: le ragazze ballavano per strada a piedi scalzi, facendo roteare attorno a loro le lunghe gonne variopinte e facendo tintinnare i mille braccialetti che decoravano le loro braccia; i ragazzi, invece, in camicie schizzate di colori, soffiavano polveri muticolori sulla folla e battevano le mani per tenere il ritmo della danza. Persino dall’Isola Reale, in perenne movimento al di sopra della città, si sentivano musiche e cori di gioia.
Io e i miei genitori eravamo rimasti un po’ in disparte dal nucleo principale della festa, limitandoci ad osservare le danze dal ponte appena fuori la nostra casa insieme ai nostri vicini. Viste dall’alto, le strade riempite di gente sembravano ancora più colorate e movimentate, sparivano dietro le alte mura delle case e degli uffici per ricomparire appena più in là, in uno scorcio tra due guglie.
“Dovresti essere liggiù con gli altri,” mi disse Donna Ruth, battendomi affettuosamente una mano sul braccio. “Sei giovane, dovresti divertirti, stare con persone della tua età, trovarti una bella ragazza…”
Mi guardò e io le sorrisi, lasciando che continuasse col suo discorso – erano più o meno dieci anni che continuava ad insistere sulla necessità che io mettessi su famiglia e mi ero ormai abituato a lasciarmi scivolare addosso le sue parole.
“Sei un bel ragazzo, non avresti alcuna difficoltà a trovare una brava ragazza con cui sistemarti… hai questo bel colorito esotico…” Proseguì Donna Ruth. “Certo dovresti tagliarti i capelli.”
Fu istintivo portarmi le mani ai capelli, come sempre quando venivano nominati. I miei dreadlocks facevano ancora storcere il naso a più di una persona, pur dopo tutti quegli anni e nonostante il fatto che non fossi l’unico a portarli. L’abbinamento di quella capigliatura barbara con il colore scuro della mia pelle metteva a disagio una parte dei cittadini di Erdner che era piccola, ma comunque presente.
A volte sembrava quasi le persone fossero ferme al 1200.
“Mi piace tenere i capelli così, lo sai,” ribattei, come sempre. “Anche mamma li teneva così, da giovane.”
“E poi si è resa conto dei suoi errori e se li è tagliati,” mi fece notare Donna Ruth. “Non è forse vero Donna Malia?”
Voltandomi, vidi mia madre avvicinarsi a noi con mio padre al seguito. Erano una strana coppia, visivamente, lui con la pelle troppo chiara persino in quella città e lei, invece, scura come gli Spiriti di cui parlavano i libri di fiabe.
“Temo di non sapere di cosa state parlando, Donna Ruth,” mormorò lei con un sorriso, fermandosi tra di noi, mentre mio padre si appoggiava alla balaustra accanto a me.
“Parlavamo dei miei capelli,” spiegai io. “Donna Ruth crede dovrei tagliarli.”
“Proprio come avete fatto voi, Donna Malia,” precisò la nostra vicina.
“Oh, l’ho fatto per pura comodità,” rispose mia madre, ridendo, passandosi una mano sui capelli quasi del tutto rasati. “Con il tempo che mi occupano gli studenti, non avevo gran voglia di pensare ai miei capelli, che fossero dreadlocks o semplici ricci.”
“Beh, anche questo giovanotto avrà presto tanti studenti di cui occuparsi,” disse Donna Ruth.
Le sorrisi per cortesia, ma quello fu il preciso momento in cui smisi di ascoltarla. Era da anni che avevo ufficializzato la mia professione da Pedagogo, per lo shock di tutti i miei concittadini che erano convinti avrei abbandonato quella folle idea per mettermi a fare la Guardia come mio padre, ma ancora nessuno aveva richiesto i miei servizi.
Non era esattamente una sorpresa, ma era comunque deludente.
“Sicuramente,” disse con trasporto mia madre.
Fortunatamente fui salvato dalla necessità di commentare a mia volta su quella possibilità di lavoro dal suono vittorioso del corno dell’Esercito del Re. Donna Ruth e mia madre si dimenticarono immediatamente della discussione, affrettandosi dall’altro lato del ponte per provare a vedere l’ingresso trionfale dell’esercito nelle mura cittadine. Da dove ci trovavamo noi era impossibile vedere veramente l’ingresso, oscurato da troppe guglie e troppe murature, ma questo non impedì a tutti noi di affollarci sul parapetto del ponte.
Grida di giubilo anticiparono l’arrivo dei soldati, l’entusiasmo vibrava nella folla tanto che potemmo vedere il momento in cui l’esercito entrò nella nostra visuale prima che ancora che accadesse ancora, attraverso il movimento più entusiasta della gente. All’arrivo dei primi cavalieri, anche il ponte su cui ci trovavamo esplose in acclamazioni entusiaste e in un applauso scrosciante.
“La Principessa!” Gridò Marilù, infilandosi tra me e mio padre e alzandosi sulle punte per guardare oltre il bordo del parapetto. “Dov’è la Principessa?”
“Ancora non si vede,” le rispose mio padre e si chinò su di lui per prenderla in braccio. “Probabilmente è al centro del corteo.”
“Dovrebbe essere davanti a tutti a salutare,” commentò Donna Ruth, scotendo il capo.
“È sicuramente stanca, mi sorprenderebbe se avesse la forza di salutare,” feci notare io.
“Dovrebbe comunque, è la Principessa,” ribatté piccata Donna Ruth. “Ai miei tempi…”
“La Principessa!” Gridò Marilù, indicando nella folla, l’altra mano stretta alla spalla di mio padre. “Eccola, eccola, è la Principessa!”
Al centro del corte, proprio come aveva detto mio padre, era comparsa una carrozza dalla linea molto sobria, dalla cui finestra sporgeva una mano che salutava con gesti delicati.
“Sta salutando, proprio come dicevate voi, Donna Ruth,” commentò mia madre con tono cortese.
“Avrebbe dovuto affacciarsi,” ribatté l’altra, ma poi acconsentì con un cenno del capo. “Ma dev’essere tanto stanca e sicuramente non in condizioni adeguate a farsi vedere dal popolo.”
“Povera bambina, dev’essere tutto così shockante, per lei,” mormorò mia madre tra sé e sé, lo sguardo fisso sulla carrozza che passava.
“Sedici anni,” disse semplicemente mio padre.
E mentre il corteo passava, la folla danzava e Marilù gridava entusiasta, io so che i pensieri miei e dei miei genitori erano fissi su quella ragazzina che era stata strappata alla famiglia quand’era ancora in fasce per tornarci sedici anni dopo. Sapevamo già che la Principessa sarebbe entrata nella nostra vita, ma sbagliavamo sul come.
   
 
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