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Autore: Aine Walsh    31/10/2014    7 recensioni
Storia partecipante al contest organizzato dal gruppo "EFP - We're Nothing Without Music".
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“Ciao Nina, hai presente quella volta che abbiamo litigato? O meglio, quell'ultima volta che abbiamo litigato? Non ricordo più nemmeno perché siamo finiti ad urlarci contro e non mi interessa sapere chi aveva ragione e chi torto, voglio solo chiederti scusa e metterci una pietra sopra. Sì, magari domani discuteremo ancora e non ci parleremo per altri tre mesi, ma per ora voglio solo scusarmi. E invitarti a bere qualcosa. Ti piace ancora la birra, no?”
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A quanto pare, è più bravo a rimettere insieme i pezzi delle vite altrui che quelli della propria.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Sheeran, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao lettore!
Sono contenta di averti incuriosito al punto da averti spinto ad aprire la pagina, ma sappi che prima ho qualcosa da dirti :)
La prima è che questa shot partecipa al contest organizzato dal gruppo "EFP - We're Nothing Without Music" (l'ho già detto, ma è bene ripeterlo), e la seconda è che ho una paura matta perché è la prima volta che pubblico in questo fandom la canzone che ho scelto per scrivere la storia è "Nina". Ora, so che la canzone è stata scritta per Nina Nesbitt (e continuo a pensare che la Sheesbitt sia una coppia altamente shippabile), ma ascoltando le parole e leggendo il testo, beh, non posso farci niente, l'immagine che continuava a venirmi in mente non era esattamente quella della nostra cara cantante scozzese. E così ho tirato fuori un nuovo personaggio, sperando che la cosa non disturbi nessuno.
Penso che avrei potuto fare di meglio con questa fic, ma forse non fa tanto schifo come credo *inserire risata isterica qui*; in ogni caso, sono sempre disponibile per eventuali domande e chiarimenti :)
E poi niente, ho dimenticato cos'altro aggiungere (è una cosa che mi capita spesso).
Ti auguro una buona lettura e ti ringrazio per l'attenzione,


A.

 


«Okay, dammi mezz’ora al massimo e arrivo. Ci vediamo ai parcheggi.» Risponde Ed, annuendo ripetutamente.
Si richiude la porta del camerino alle spalle, vi si appoggia contro e tira un lungo sospiro, poi va a buttarsi sul divano e vi resta sdraiato per una manciata di minuti. Incrocia le braccia dietro la testa e fissa il soffitto biancastro con occhi assenti, pensando a tutto e a niente. È stanco, stremato e avvilito, sente le gambe molli e il ronzio alle orecchie non accenna proprio a diminuire, ma sorride a cuore aperto e una scintilla di gioia gli attraversa gli occhi chiari.
Quattro tappe all’O2 Arena, quattro tappe sold out all’O2 Arena. Non che il tutto esaurito faccia questa gran differenza; ciò che lo emoziona maggiormente è l’essere riuscito a suonare lì da solista. Quante volte aveva sognato scene simili a questa?  Scene in cui la folla lo acclama, lo applaude, canta quelle stesse parole che lui aveva da sempre scritto su fogli e foglietti trovati per caso, in preda all’ispirazione del momento. Alla fine l’occasione – la sua occasione – così attesa eppure così inaspettata, è arrivata, ed è successo tutto talmente in fretta che al solo pensarci Ed viene sopraffatto da un acuto senso di vertigine. Il mondo visto attraverso il finestrino di un aereo è diventato così frenetico, adrenalinico e convulso: le arene, i Festival, i jet-lag, MTV… Roba da non crederci.
In effetti sono parecchie le cose difficili a credersi che gli sono capitate. Fino a cinque o sei anni fa anche immaginare di poter arrivare dov’è arrivato adesso sarebbe stato un sogno troppo grande da ambire, figurarsi se avesse osato pensare che qualcuno potesse amare a tal punto le sue canzoni da sceglierle come colonna sonora della propria vita. Non l’avrebbe mai sperato neppure se glielo avessero promesso. Se poi gli avessero anche detto che, durante quest’ultimo concerto londinese, cinque ragazzi avrebbero colto la palla al balzo per chiedere in sposa le rispettive fidanzate, beh, Ed sarebbe scoppiato in una fragorosa risata divertita e avrebbe lasciato cadere l’argomento, scuotendo il capo e sussurrando un’allegra imprecazione.
Eppure è accaduto davvero e, mentre lui se ne sta in balia delle sue riflessioni su questo divano mezzo scassato, cinque coppie stanno lasciando l’arena immerse in progetti grandi e piccoli: dalla data delle nozze al colore dell’abito di lei, dal numero degli invitati alla location, dall’appartamento in cui daranno inizio alla loro nuova famiglia ai fiori che orneranno la navata della chiesa.     
Ed si crogiola in questi pensieri con uno stupido sorriso che gli attraversa il volto da un capo all’altro: si chiede se anche lui sarà capace un giorno di dichiararsi davanti a diciottomila estranei e prova ad immaginare come si svolgeranno le nozze di questi dieci sconosciuti; chissà, potrebbe veramente finire con l’imbucarsi e prendere parte ai festeggiamenti, gli sposi gradirebbero la sua presenza.
 Ma tutt’a un tratto una minuscola e più insidiosa considerazione prende a farsi strada nella sua testa, scavalcando a poco a poco quel groviglio confuso di pensieri fino ad assumere la visibilità di una grande insegna al neon in una stradina buia. Gli angoli della bocca si storcono in una smorfia amareggiata, Ed si tira a sedere e si passa una mano tra i capelli scompigliati mentre con l’altra afferra il cellulare lasciato sul tavolino accanto.
A quanto pare, è più bravo a rimettere insieme i pezzi delle vite altrui che quelli della propria.
Il nuovo mondo in cui vive non gli permette di fermarsi un attimo per riprendere fiato, non sembra esserci molto spazio per le relazioni stabili. Del resto, come potrebbe esserci quando non sia ha nemmeno la possibilità di dormire due notti di seguito in uno stesso hotel? Ed scrolla le spalle, sorprendendosi a rimuginare sul fatto che ogni tanto non gli dispiacerebbe scendere da quella montagna russa per riappropriarsi – anche solo per un giorno, anche solo per qualche fugace ora – della sua vita. Giusto per riepilogare, per mettere in ordine e per essere sicuro di non aver tralasciato niente e nessuno. Vero è che i divertimenti non sono esclusi da questo microcosmo dorato che gli ruota intorno – anzi, ne sono quasi parte integrante – ma in fin dei conti Ed ha sempre saputo e sa di non essere un tipo troppo dedito a party esclusivi e feste scintillanti: una pizza e un dvd – e perché no, anche una bottiglia di gin – andrebbero altrettanto bene per trascorrere una bella serata.
Il ragazzo si ritrova ad ascoltare il tututu all’altro capo del telefono prima che possa rendersene conto. E prima che possa riattaccare, una voce risponde.
«Pronto?»
Ed sa a chi appartiene quell’inconfondibile accento gallese – rimasto pressoché identico nonostante i tanti anni vissuti in Inghilterra – ma non sa il perché e il come di questa telefonata, dopo tutto il tempo passato ad ignorarsi e tenersi il broncio a vicenda.
«Ti sento respirare, non mi freghi. Sei anche un pizzico inquietante.»
«Pensavo stessi dormendo.» Risponde scioccamente Ed, sentendo la sua voce lontana come un’eco.
«Mezzanotte è ancora troppo presto per andare a letto, non ti pare?»
«Probabilmente è così, già.»
Silenzio da entrambi i lati, nessuno dei due dialoganti sa se sia il caso di iniziare una qualunque forma di conversazione o di cosa poter parlare.
Ed immagina che Nina sia seduta per terra a gambe incrociate sull’unico balconcino di cui quel bilocale in affitto è dotato, seminascosta sotto una enorme coperta patchwork, con le mani chiazzate di colore, i capelli raccolti in uno chignon disordinato e un blocco da disegno stretto all’altezza del cuore. È così che l’ha vista l’ultima volta, così che ha deciso di ricordarla in questi mesi. Vorrebbe dirle tante di quelle cose e vorrebbe stare a chiacchierare con lei per ore e ore, ma la sua testa si è trasformata in un gigantesco buco nero che risucchia dentro tutte le frasi che potrebbe dire e fatica persino a pensare due parole in fila.
“Ciao Nina, hai presente quella volta che abbiamo litigato? O meglio, quell’ultima volta che abbiamo litigato? Non ricordo più nemmeno perché siamo finiti ad urlarci contro e non mi interessa sapere chi aveva ragione e chi torto, voglio solo chiederti scusa e metterci una pietra sopra. Sì, magari domani discuteremo ancora e non ci parleremo per altri tre mesi, ma per ora voglio solo scusarmi. E invitarti a bere qualcosa. Ti piace ancora la birra, no?”
La voce della ragazza esplode nuovamente nell’orecchio di Ed, chiara ma con una sfumatura di incertezza, facendolo tornare subito con la mente al qui e adesso. «Hai telefonato per dirmi qualcosa in particolare, o…?»
«No. No, niente di specifico. Volevo solo parlare un po’.»
Nina esita per qualche secondo di troppo – si starà sicuramente mordendo il labbro inferiore come fa ogni volta che è indecisa – ma alla fine acconsente.
«Okay.» Replica spiazzato Ed. Adesso servirà davvero trovare qualcosa di cui poter chiacchierare senza riaprire vecchie ferite non ancora del tutto rimarginatesi. «Quindi, come stai?» Domanda, dandosi immediatamente dell’idiota. Suona molto una domanda informale, il come stai, quasi sia rivolta ad un conoscente qualunque piuttosto che ad una persona amica. Ed è in grado di interpretare gli stati d’animo di Nina dal colore più o meno grigiastro dei suoi occhi quando la vede, e dal tono più o meno scontroso di voce quando la sente; non ha bisogno di perdersi nel rituale del come stai, lui.
«Un po’ infreddolita, ma bene. E tu?»
«Non mi lamento.»
Nina ridacchia, Ed deduce che tutto sommato se la stia cavando. «Hai smesso di giocare a fare il Cupido, per stasera?» S’informa lei, con quella sua solita risata allegra e coinvolgente.
Il ragazzo sgrana gli occhi in un’espressione di sorpresa. «Eri al concerto?» Domanda stupito.
«Può darsi.»
«Perché non me lo hai detto? Avrei potuto—
«Perché se te lo avessi detto ti saresti emozionato così tanto che non saresti nemmeno riuscito a cantare un banale “Tanti auguri”.»
Probabilmente è vero. Ed scuote il capo rassegnato, malgrado il sorriso sbilenco che gli spunta all’angolo della bocca. «C’erano diciottomila persone dentro l’arena, chi ti assicura che avrei dato peso a te?» Scherza.
«Per favore, – ribatte Nina con l’aria di chi la sa lunga – sappiamo benissimo che saresti stato colto da una di quelle tue crisi esistenziali nel bel mezzo del palco.»
«Crisi esistenziali, addirittura.»
«I sensi di colpa ti rodono il fegato, non credere che non lo sappia.»
Ecco, adesso la conversazione si sta decisamente e prepotentemente addentrando in una zona ad alto rischio di pericolo.
Ed non può fare a meno di alzarsi in piedi e prendere a camminare avanti e indietro, in uno stupido quanto inutile tentativo di allentare quest’improvvisa tensione. Sa che prima o poi dovrebbero affrontare l’argomento e ha intuito che questa telefonata potrebbe risolvere – o complicare ulteriormente – molte cose, ma non ha affatto pensato di poter arrivare al nocciolo della questione talmente in fretta. Lui preferirebbe dilungarsi per qualche altro minuto, chiederle se sta dipingendo qualcosa di nuovo e se ha venduto qualcuno dei suoi vecchi lavori, sì, insomma, cose del genere.
«Sensi… Sensi di colpa?» Fa eco in un tono più rigido di quanto voglia in realtà. Nina risponde di sì, e lui la vede quasi annuire risoluta, coi ciuffi ribelli che le ondeggiano davanti al viso e sugli zigomi spruzzati di lentiggini.
«Possiamo evitare di parlarne, Ed, possiamo far finta che non sia successo nulla e andare avanti con le nostre vite, ma…»
«Ma?» La sprona lui in un moto d’ansia.
La ragazza risponde dopo qualche secondo di troppo. «Ci sono cose, ci sono verità, che a me non potrai mai nascondere.» Mormora.
Un pugno allo stomaco o al viso lo sconvolgerebbe e sconquasserebbe meno. Ed rimane così, impalato e immobile e col fiato trattenuto intanto che la sua mente comincia a proporgli in rapida sequenza scene di vita che ha condiviso con Nina: la prima volta che l’ha vista e quella in cui le ha parlato, le mattinate in cui marinavamo la scuola per girovagare senza una meta con le mani in tasca, i pomeriggi passati ad ascoltare Stevie Wonder distesi sul letto, quella bizzarra serata in cui avevano deciso di fumare un po’ d’erba ed erano poi andati ad aspettare l’alba al parco... Allora andava tutto così dannatamente bene. Litigavano, certo, ma erano stati in grado di trovare un loro centro e ogni cosa filava liscia. Dov’è andato a finire quest’equilibrio, ora?
Un colpo secco alla porta e la faccia di Harold fa capolino. «Andiamo?» Domanda osservando l’amico con un sopracciglio sollevato.
Ed gli rivolge un’occhiata di sbieco e fa un cenno con la mano. «Vi raggiungo dopo.» Risponde, sentendo pochi istanti dopo il cigolio della porta che viene richiusa.
«Impegni da superstar?»
«Più o meno.»
Nina respira profondamente, le spalle che si alzano e si abbassano con lentezza sotto la coperta. «Sono cambiate tante cose, eh, Ted?»
«Dipende; cosa pensi sia cambiato?»
“È cambiata la città, Nina. Sono cambiato io e sei cambiata anche tu. O forse siamo solamente cresciuti e magari avremmo stravolto tutto anche se non avessimo lasciato Framlingham.”
«Il tuo colore di capelli, ad esempio. – afferma la ragazza – Adesso è arancione fluo, prima era un semplice arancione carota e basta.»
Ed scoppia a ridere e si batte una mano in fronte, sorpreso ma sollevato da questa risposta. «È di questo che ti preoccupi?» Chiede, controllandosi a malapena.
«Beh, sì. Sono sicura che stai usando qualche shampoo colorante o roba simile, non provare a mentirmi.» Nina parla con una tale convinzione e serietà da far apparire del tutto fuori luogo il divertimento del ragazzo.
«Non potrebbe essere che magari ricordi male tu?»
«No. Te l’ho detto: ci sono verità che a me non potrai mai nascondere. E poi sono un’artista, non sbaglio mai coi colori. – ribatte prontamente lei – I colori sono l’unica cosa con cui non vado mai errando.» Aggiunge sovrappensiero.
Ed è un po’ confuso, non capisce se sotto la facciata apparentemente innocua del discorso che stanno potando avanti vi sia un problema di fondo più grande – che in effetti c’è – o se forse è lui ad interpretare male. A volte è questo il problema con Nina: non è mai facile distinguere dove stia cercando di andare a parare mentre chiacchiera amabilmente. In passato Ed era solito definirla astuta e persuasiva e lei, per tutta risposta, non ci pensava un secondo di più a rifilargli una gomitata in qualsiasi parte del corpo le capitasse sotto tiro.
«A cosa ti riferivi prima?» Si lascia sfuggire il cantante. Pensare ad alta voce gli capita più spesso di quanto si renda conto.
«Prima? Prima quando?» Fa Nina disorientata.
Ed è totalmente nel pallone, ma non può tornare indietro. Un minuscolo pensiero gli suggerisce di porre fine a questa strana situazione una volta per tutte. In realtà è da qualche settimana che rimugina su un modo efficace per chiedere scusa, anche se ora si ritrova nella scomoda situazione di dover improvvisare tutto quanto.
«Prima, – risponde cauto – quando parlavi di sensi di colpa e verità. Perché, ehm, io volevo… Voglio…» Vuole dire, parlare e chiedere, ma non ci sono più parole e finisce per zittirsi di colpo.
“Cosa c’è che non va più in noi? Quand’è che abbiamo smesso di funzionare? Ricordi, quando ci siamo conosciuti nascondevo ancora i giocattoli rotti sotto al mio letto: com’è che siamo diventati simili a loro?”
«Ed?» Lo chiama timidamente la ragazza.
«Nina?»
Nina preme il palmo libero della mano sugli occhi chiusi, inspira ed espira. «Tu lo sai, sono due le cose che più odio al mondo: la prima è non finire una tela, la seconda è chiedere scusa.»
Chiuso nel suo camerino, il ragazzo annuisce pur sapendo che lei non può vederlo. «Sì che lo so» Risponde. L’ha imparato bene nel corso del tempo, Nina è troppo orgogliosa per scusarsi.
«In questo momento tu sei la mia tela non finita, Sheeran.» Ammette crudamente la voce all’altro capo del telefono. Ed avverte una forte stretta al cuore, ma non ha il tempo di replicare. «Ti risulta che io sappia ammettere quando sbaglio?»
«Sì, direi di sì.»
Segue qualche attimo di imbarazzato silenzio in cui possono entrambi sentire i loro cuori martellare pazzamente nel petto.
«Ed.» Lo chiama ancora.
«Nina.» Ripete lui.
«Mi dispiace di averti dato dell’egoista, l’ultima volta che ci siamo visti.»
«L’hai fatto?»
«Non fingere di averlo dimenticato, mi fai solo stare peggio.»
Nina sbuffa esasperata, Ed si pente di ricordare davvero poco di questo fattaccio. «Avevo giusto un bicchierino di vodka in più in corpo, quella sera, a quanto pare ho rimosso qualche dettaglio.» Le comunica, scrollando le spalle come se volesse evidenziare il fatto che dopotutto non importa molto che lei l’abbia definito egoista – e chissà cos’altro. Poi ripensa che Nina non può vederlo e ricomincia a darsi dello stupido. «Perché ero, o sono ancora, egoista?» Domanda incuriosito.
«I soliti motivi che già conosci.»
Li conosce eccome, questi motivi, gli sono stati rinfacciati in più di un’occasione nei vari scatti di rabbia. Però non è il caso di rigirare il coltello nella piaga. «C’è qualcosa che posso fare per farmi perdonare?»
Nina apre la bocca e la richiude, la riapre e non riesce a dire niente. In un primo momento lo stupore ha la meglio, poi sputa quasi tutto d’un fiato: «Io sono quella in torto e tu vuoi rimediare? Cosa vai dicendo? Tu sei la persona più altruista che conosca, ed io sono… Beh, io sono…»
Il cantante sorride a labbra chiuse. «La più confusa?»
«Altamente probabile, già.»
«Pensi che avremmo litigato lo stesso anche se non avessi letteralmente sfondato le classifiche di diversi paesi in tutto il mondo?»
«Ne sono convinta oltre ogni misura.»
Ed torna a sedersi, incrocia le gambe sotto di sé e socchiude gli occhi. «Amo il mio lavoro.» Afferma.
«Lo so, e sono molto contenta per te.» Ammette Nina con sincerità, sospirando impercettibilmente.
«Non lo cambierei per niente al mondo, sono felice di stare dove sto e a volte mi sembra di non poter davvero desiderare di meglio.» Ed riprende a parlare piano e con calma, anche se mosso da una certa urgenza mista ad una strana adrenalina simile a quella che prova ogni volta nel dietro le quinte, prima di salire su un palco. Sta per mandare al diavolo tutto quello che ha sempre saputo e che ha cercato di preservare a tutti i costi nel corso degli anni, ma è consapevole di non starlo facendo per assecondare un capriccio. Nina non è un capriccio: Nina è altro, un altro con la A maiuscola, e finalmente Ed ha il coraggio di ammetterlo almeno a sé stesso.
Si schiarisce la gola e ricomincia. «Ma questo non mi impedisce di avere delle priorità. – dichiara – La mia famiglia è una priorità. Tu sei una priorità. E quando durante il concerto quei ragazzi si sono dichiarati alle loro fidanzate, io pensavo a te. A te, Nina. A noi. E al viaggio alle Tenerife che abbiamo sempre detto di voler fare; a quanto pare ora sono abbastanza ricco da potermi permettere un bel soggiorno in un hotel di lusso, con tanto di—
«Posso interromperti solo per un attimo?»
Ed si blocca, non aggiunge altro. In questo preciso istante non ha idea di come immaginare Nina, quella nota neutrale nella sua voce gli impedisce di decifrarne i pensieri e lo stato d’animo, ma non ciò non lo scoraggia – non ancora.
«Sto cercando di fare una dichiarazione improvvisata ma con un briciolo di senso logico, è proprio necessario interrompermi?» Prova ad essere divertente, nonostante il cuore gli sia salito in gola.
«Ritengo di non poterne fare a meno, scusa.»
«Okay. Avanti, dimmi.»
Il tempo sembra dilatarsi fino a che un nuovo suono non irrompe dall’apparecchio. La ragazza parla lentamente, dà l’impressione che si stia liberando di un grosso peso. «Ho bisogno di te. Forse un po’ mi costa ammetterlo, ma ho bisogno di te esattamente come ho bisogno delle mie tempere e dei miei acquerelli.»
Ed ha guardato più commedie romantiche di quanto voglia effettivamente confessare e sa che questo sarebbe il momento adatto per tirare fuori una di quelle famose frasi ad effetto da quel vastissimo repertorio tutto zucchero e miele; potrebbe sussurrare un “Anch’io ho bisogno di averti nella mia vita” o un “Diventerei matto a saperti di qualcun altro”, ma sa anche che sarebbe solo uno spreco di tempo e di voce.
Tutto quello che dice, tutto quello che è in grado di articolare sta in poche semplicissime parole.
«Ti amo.»
E adesso tocca a lei muovere la pedina, è il suo turno. Ma Nina tace e respira piano, quasi senza far rumore, facendo entrare Ed nel panico. Passa un secondo, ne passano due, tre, sei, e il ragazzo sente di aver compiuto una mossa sbagliata e quasi fuori luogo, ha l’impressione di essersi tuffato dritto verso uno strapiombo e per poco non si convince di aver fatto un passo falso.
“E invece no,” si dice “il passo falso sarebbe continuare a far finta di nulla.”
Chiude gli occhi per non veder arrivare la fine del burrone. «Ho detto qualcosa che non va?» Domanda infine.
La voce di Nina sembra migliaia di chilometri distante quando riapre bocca per rispondere. «Sono qui fuori, ai giardini. Non volevo tornare a casa dopo il concerto e non sapevo se telefonarti o meno, perciò mi sono tenuta nei paraggi. Puoi raggiungermi?»
«Arrivo subito.» Ed apre la porta ed è già in corridoio.
Qualcuno prova a fermarlo, qualcun altro tenta di capire dov’è che stia correndo così di fretta, ma lui continua ad andare avanti senza distrarsi. Spinge la maniglia della porta antincendio – la prima via d'uscita che riesce a trovare in questo labirinto – e si catapulta fuori, in direzione del piccolo parco sul retro dell’Arena.
La luna in alto splende perfettamente bianca, tonda e irraggiungibile ed è una magnifica nottata, limpida e non eccessivamente fredda. Le luci della città si riflettono tremule sul Tamigi e Nina sta lì, di spalle, una sagoma appena illuminata tra il nero del cielo e quello del fiume. Ed si ferma ad osservarla per un minuto, sorridendo: niente coperta patchwork o mani sporche di colore, i capelli scuri le ricadono fino a metà schiena e lui non può vederla in viso, ma è già bellissima così. È sempre stata bella, anche senza trucco.
Si avvicina e l’affianca, cerca le parole adatte e Nina lo interrompe ancora prima che lui possa iniziare. Parla a bassa voce, tiene il capo chinato e gli occhi fissi sulle punte degli scarponcini non restituiscono al ragazzo lo stesso sguardo di cui lui la sta facendo oggetto.
«Va bene, sì – dice, come continuando un precedente discorso – più o meno avevo capito che da qualche tempo stavamo in uno strano limbo, una specie di vuoto intergalattico tra l’Amicizia e l’Amore, ma… Sei sicuro, Edward? Non dubito che le tue intenzioni siano buone, però voglio capire se—
Ed ride sommessamente, incrocia le braccia al petto e sospira guardando il cielo. «Quand’è che imparerai a stare zitta?» Chiede divertito.
Gli occhi grigi di Nina s’infiammano scoccandogli un’occhiata furente, i bei lineamenti del viso si contraggono in una smorfia intanto che assume l’atteggiamento più sbigottito di cui sia capace. «Cosa?!» Esclama con una vocetta acuta.
Tutto all’improvviso Ed è consapevole di aver buttato via troppo tempo, e non può ripetere ancora lo stesso errore. Perché non ha senso continuare a sbattere contro lo stesso punto come fanno le mosche  quando picchiano sui vetri delle finestre, prima o poi è necessario reagire ed osservare la nuova piega presa dagli avvenimenti. E lui stasera, adesso, ne è più convinto che mai: è sicuro di quello che prova ed è stufo marcio di rinnegare – perché farlo ancora, poi?
Gli occorre una risposta e, qualunque sia, ha deciso di ottenerla in quest’istante.
«Tu mi ami?» Spara a bruciapelo.
Le labbra di Nina si dischiudono e gli occhi sgranati rivelano una grande sorpresa, ma riesce a mantenere un tono neutrale mentre si esprime. «Ed, per favore, io non—
«Nina, – ripete il cantante, avvicinandosi di quel tanto che basta per fondere i loro due respiri in uno solo – tu mi ami?»
Nell’ultimo anno Ed era andato avanti col ripetere che la distanza è relativa al tempo che serve per prendere un aereo, che lui sarebbe stato sempre disponibile e presente per lei e che avrebbero ancora potuto guardare Blue Planet esattamente come facevano quando erano poco più che ragazzi, e Nina era finita col crederci davvero. Era finita col sentire sempre un pizzico in più di tristezza e nostalgia ogni volta che Ed andava via dopo essersi fermato per qualche giorno, era finita col renderlo l’oggetto privilegiato dei suoi sogni, dei suoi disegni e dei suoi quadri, era finita con l’accorgersi di amarlo in maniera sempre crescente nonostante i chilometri e gli impegni che li separavano.
Per questo, e per altri mille motivi che le ronzano in testa facendo un gran rumore, rispondere non le viene poi tanto difficile.
«Questa che sto per dirti è sicuramente una deformazione professionale, – esordisce – ma ho sempre avuto l’abitudine di attribuire un colore ad ogni persona che incontro. Il tuo colore è il rosso, ma non per via dei tuoi capelli che continuano ad essere in qualche modo arancioni. Perciò sì, brutta carota che non sei altro, ti amo. Ti amo anche se pensi che qualcuno possa mettere il nome di Edwina alla propria figlia solo perché lo hai chiesto tu, e ti amo perché—
Nina mal sopporta di essere interrotta, ma Ed ha ascoltato abbastanza per potersi permettere il lusso di fermarla nel bel mezzo della frase. D’altronde, ha la vaga sensazione che quello che sta per fare non le dispiacerà minimamente.
Così allunga una mano e le sfiora con delicatezza la guancia, mentre lei ammutolisce imbarazzata.
Potranno ancora essere due giocattoli rotti o due tele non finite, potranno essere una qualsiasi delle tante cose che non vanno a questo mondo, ma potranno esserlo insieme.
E la bacia sotto la luce di migliaia di stelle.
  
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