Fanfic su artisti musicali > Arctic Monkeys
Ricorda la storia  |      
Autore: HeySoul    31/10/2014    0 recensioni
Un Alex Turner dodicenne alle prese con i suoi tre amici e una piccola vendetta da attuare.
Quale giorno migliore per uno scherzo se non quello della festa di Halloween?
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alex Turner, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ciao a tutti e buon Halloween! Non so da dove sia nata l’idea per questa one shot ma il risultato non mi dispiace per nulla e in più posso ammettere di essermi divertita a scriverla. Questo perché il personaggio di Alex da piccino è adorabile.
Specifico che non sono una patita delle storie dell’orrore e che mi spavento per la mia stessa ombra, quindi la storia non ha lo scopo di fare paura ma anzi, mi scuso per i dettagli sicuramente poco credibili che in realtà volevano essere horror. Volevo avvisare che io non scrivo praticamente mai al presente ma spero che non ci sia nulla di sbagliato. E quindi nulla, spero possa intrattenervi.


Parole: 4500+
Titolo: ScaryMary
Avvertimenti: I personaggi di Alex Turner e degli altri membri degli Arctic Monkeys non mi appartengono. Ogni riferimento a fatti esistenti è casuale e ogni informazione su di loro nella storia è di mia fantasia. Il personaggio di Mary è frutto della mia immaginazione.


Oggi è il giorno della mia vendetta. Dovete sapere che non sono una persona permalosa, né tantomeno cattiva. Nessuno si azzarderebbe mai ad apostrofarmi in quel modo, sono educato e gentile, e ho dei grandi occhi scuri che mi rendono quasi una caricatura. Ma a me piacciono. E me ne starei buono come sempre se non fosse per quello che è successo qualche settimana fa. Era una mattinata come le altre a scuola, niente di particolarmente emozionante, se non che a quel punto aveva appena fatto il suo ingresso in classe la professoressa Richardson. Era nuova ed era molto giovane, con un bel sorriso e lunghissimi capelli scuri. Le sue lezioni erano sempre interessanti e poi era gentile con tutti. Mi ricordo bene quando, la prima volta che si era presentata, aveva chiesto a me e ai miei compagni come preferivamo essere chiamati. Io le avevo risposto che sarebbe stato perfetto se avesse incominciato a chiamarmi solo Alex e non Alexander, che era il modo con cui mi chiamavano mio padre e un gruppo di zie da parte materna, con la loro voce stridula e il conseguente gesto di pizzicarmi le guance. Odiavo quando lo facevano e non solo perché faceva un male incredibile (non erano per niente delicate!) ma anche perché era davvero umiliante. Ho compiuto dodici anni qualche mese fa, non sono un marmocchio! In ogni caso la professoressa aveva accettato di buon grado di chiamarmi solo Alex, anche se si era dilungata a spiegare il perché quel nome per intero fosse bellissimo per via della figura di Alexander the Great che avremmo studiato proprio quell’anno scolastico in storia. Fatto sta che la sua gentilezza la distingueva dalle altre professoresse che avevano un età media di quarantacinque anni e sembravano costantemente arrabbiate con il mondo, così presi ad essere felice ogni volta che era tempo della sua lezione. Probabilmente sorridevo troppo o la mia pelle chiara mi tradiva con il rossore che era inevitabilmente legato alla mia timidezza ma dopo qualche giorno Matt e Jamie e Nick presero a cantilenare una canzoncina demente, di quelle di cui si cambiano solo i nomi nella filastrocca perché non si ha abbastanza inventiva per crearne una da sé. In ogni caso era orribile e, siccome non sapevano il nome di battesimo della professoressa, la chiamavano tutto per intero: Signorina Richardson. Era troppo lungo e suonava malissimo. Non ho aspettato troppo a dire loro quanto fossero infantili, visto che quel tipo di sciocchezze non le facevo nemmeno all’asilo, ma loro hanno continuato mettendomi di malumore e trasformando in tortura le lezioni di storia. E poi non era affatto vero che avevo una cotta per lei. Era molto attraente e giovane, questo sì, ma la mia era solo un’attrazione mentale. La Signorina Richardson era sempre stata gentile e si capiva che era molto intelligente, forse aveva anche studiato tanto. Mi piaceva come persona ma quei tre stupidi continuavano a ripetermi che ero cotto e bruciato, per settimane. Ma oggi, come ho già detto, è il giorno della mia vendetta perché, vedete, oggi è anche Halloween. E’ una delle mie festività preferite. Travestirsi da scheletri o fantasmi o morti viventi ed andare poi in giro per il quartiere a domandare “dolcetto o scherzetto?”. Amo le caramelle, soprattutto quando sono guadagnate in quel modo, e sono piuttosto abile ad intagliare le zucche (me lo ha insegnato mio nonno non tanti anni fa). Così viene da sé che la serata perfetta per realizzare un bello scherzo a quei tre è proprio quella di Halloween. E’ forse una fortuna che conosca Matt e Jamie fin da piccolo ma ho abbastanza informazioni anche su Nick per capire quali siano le loro peggiori paure. Niente di tanto impossibile o troppo articolato da realizzare. Quei tre si pavoneggiano tanto contro di me e la Signorina Richardson ma hanno terrore di cose tanto comuni da rendere questo lato di loro banale. Matthew non sopporta la vista del sangue. Lo so perché, quando eravamo bambini, giocavamo a calcio in fondo alla strada e finiva sempre che uno dei due si sbucciava un ginocchio o un gomito. Alla vista della ferita lui incominciava a strizzare gli occhi, dicendo che non poteva sopportarlo e che di certo mi sarei dovuto arrangiare da solo, se il taglio risultava il mio. Per un periodo aveva persino smesso di bere qualsiasi cosa di scuro e vagamente denso, tanto che se qualcuno teneva una bottiglietta di succo di mirtillo vicino a lui preferiva andare a girovagare da qualche altra parte. E se il fastidio di Matt sembra ridicolo o vagamente esagerato, allora mi piacerebbe vedere l’espressione di chi scopre la paura di Jamie, cioè i fantasmi. Non ho mai davvero capito la differenza fra fantasmi e gente morta, in generale presumo che non sopporti la possibilità che qualcuno possa restare o ritornare nel mondo del vivi anche se non lo è. Per questo diventa irrequieto nel periodo di Halloween, borbottando contro la programmazione sul suo canale preferito di film, visto che mandano in onda solo lungometraggi dove il protagonista è inseguito da una presenza dal dubbio spessore morale, che continua a tormentarlo per motivi non sempre tanto chiari. Mi chiedo se abbia paura che gli spiriti possano avere qualche ritorsione su di lui, di certo sarebbe esilarante vederlo alle prese con un Poltergeist. E poi c’è Nick. Al contrario di come si possa pensare dopo questo elenco dettagliato delle paure dei miei amici, non ho una mente disturbata, né tantomeno sono così macabro e poco leale da scrivermi tutti questi dettagli da qualche parte. Infatti dell’ultimo dei tre non so tanto. Non perché non lo conosca bene o mi stia meno simpatico, questo proprio no, ma le persone non vanno a raccontare i propri timori più profondi agli altri. Sospetto vagamente che non gradisca restare al buio, almeno non quando ti manca la possibilità di decidere se premere l’interruttore della luce e ripristinare i contorni del mondo che ti circonda. In fondo c’è qualcuno che amerebbe subire una prigionia simile? Comunque, una volta elencati questi tre fatti che li sfavoriscono nettamente, mi spettava solamente creare un qualcosa che li racchiudesse tutti. Ma io non ho mai guardato tanti film dell’orrore, per via del divieto di mia madre di prendere esempio da “quella robaccia finta”, e per questo mi mancavano le basi per programmare la mia vendetta. Ci ho pensato per qualche giorno nel tragitto fra la scuola e la mia casa e viceversa ma ogni volta l’inventiva mi abbandonava. A volte arrivavo alla conclusione di non poter davvero attuare una vendetta contro i miei amici ma loro sembravano implorarmi di farlo, alimentando la mia idea di portare avanti il progetto ogni volta che sentivo la canzoncina con il mio nome e quello della professoressa. Di certo sarebbe stato semplice ricordare loro il mio fastidio nei confronti delle loro prese in giro che ormai non facevano più ridere a nessuno. Forse è altrettanto facile pensare che io, stanco di ripetermi, non l’abbia fatto ma se qualcuno è arrivato a questa conclusione si sbaglia di grosso. Io l’ho fatto, un sacco di volte e nei modi più disparati, ma loro nulla, e ricominciavano.
Fu proprio in una mattina in cui la speranza mi scivolava addosso come acqua che Mary Russell riprese a salutarmi. Avevo sempre sospettato, fin dal primo giorno nella classe media, che avesse una cotta per me. Ma aveva un modo strano di palesarlo e rimanevo sempre confuso se mi ci soffermavo troppo a pensarci. Se a qualsiasi persona venisse chiesto di descrivere Mary incomincerebbe di certo con l’aggettivo “strana”, probabilmente perfino sua madre lo farebbe. Mary ha i capelli di un biondo osceno, tanto chiaro da farli sembrare bianchi come una vecchia, e sono così lunghi che ad ogni movimento del capo le ondeggiano da tutte la parti. In più ha degli occhi del colore del fondo delle bottiglie verdi di Coca-Cola che non producono più. E ha la pelle chiarissima e si veste sempre di nero. Ma non è tutto qui, perché non si giudica una persona dall’aspetto. Lei se ne va sempre in giro con in mano Frankenstein, il libro scritto Mary Shelley, dicendo che racconta qualcosa di straordinario e che si sente un po’ legata all’autrice e non solo per i nomi identici. Ho sempre sospettato che non fosse del tutto vero e che, in realtà, non avesse mai letto Frankenstein ma solo guardato il film. In ogni caso era riuscita a guadagnarsi in fretta il soprannome ScaryMary e nessuno le parlava mai. Nonostante questo non era mai triste ma sorrideva spesso, soprattutto a me, così mi ritrovavo costretto a scambiarci qualche parola, perché un po’ mi faceva pena. In realtà non era così male, era un po’ strana, questo sì, ma simpatica. Forse sarebbe stato piacevole se avesse avuto un colore delle iridi più caldo e non così crudo, scintillante come il vetro al sole. Puntava i suoi grandi occhioni nei miei e mi faceva venire i brividi, anche se si mostrava sempre gentile. Però, quando quegli idioti dei miei amici hanno incominciato ad urlare in giro il fatto che fossi innamorato della Signorina Richardson, lei ha smesso di esserlo. Non mi salutava più, tentava di non rivolgermi la parola e a malapena mi guardava e, se lo faceva, allora risultava o schifata o triste. Questo è andato avanti per diverse settimane ma evidentemente il mio sbraitare contro Matt all’ora precedente di quella lezione, rovesciando la frittata e insinuando che forse lui era cotto della professoressa, l’aveva messa di buon umore. Fui sollevato dal vedere che qualcuno mi credeva perché incominciavo quasi a pensare che fossi io quello pazzo, che perdeva di vista i propri sentimenti. Iniziavo persino a pormi domande idiote del tipo: “Avrò qualche possibilità con lei?” oppure “Quali sono le sue passioni?”; quando mi sono risposto da solo ad una di quelle questioni ho capito che tutta quella faccenda doveva arrivare al termine. Solo quando Mary Russell riprese a rivolgermi il suo saluto nella mia testa si accese la lampadina del lampo di genio. Lei poteva essermi certamente d’aiuto e probabilmente mi avrebbe potuto offrire i migliori consigli orripilanti, ma in senso buono. Così, esattamente tre giorni prima della festa di Halloween, mi sono avvicinato a lei prima dell’inizio delle lezioni.
«Ciao Alex, come stai oggi?» Parlava in modo lento e strascicato, con la più totale calma del mondo. In realtà quella caratteristica si sposava perfettamente con il tono di voce da ragazzina e non risultava fastidioso. Aveva quell’aria spaesata ma gentile che si portava dietro costantemente e si informava sempre con interesse delle condizioni delle persone che le rivolgevano la parola.
«Sto bene, grazie. Mary, posso chiederti una cosa?»
«Se mi devi domandare delle condizioni di Poseidone allora sappi che sta meglio. E’ molto vecchio.» Mi riferì, annuendo con severità. Questo era il tipo di frasi che la rendevano strana agli occhi dei più. Anche io, in quel momento, rimasi un attimo interdetto. Spalancai i miei occhi scuri con perplessità ma, prima di ritrovarmi costretto a chiedere spiegazioni, mi ricordai della lezione di italiano dell’anno precedente. Mary aveva preso una A scritta in rosso e in un carattere grande nel tema di Inglese, così le era stato chiesto dalla professoressa di leggerlo davanti alla classe. Il suo scritto parlava del suo cane, Poseidone, e ancora mi chiedo se la maestra le abbia assegnato quel voto per pietà perché la traccia da seguire era “Parla dello sport che pratichi e di come questo sia importante per la salute.” O qualcosa del genere. In ogni caso non volevo offenderla e, per fortuna, mi ero ricordato di quell’occasione.
«Oh, certo, è un gran bel cagnolone! Ma io mi chiedevo se potessi aiutarmi con una faccenda horror.» A quel punto vidi i suoi occhi inquietanti farsi attentissimi su di me e, con un sorriso, estrasse dalla borsa il suo libro di Frankenstein.
«A me l’horror piace tanto.» Incominciavo a pensare che forse il suo aiuto non era poi così essenziale ma mi consolai dicendomi che forse ci voleva solo un po’ di pazienza con lei, tutto qua.
«Ovviamente. Quindi, mi puoi aiutare?»
La vidi annuire con convinzione e sperai che fosse abbastanza concentrata per tirare fuori qualche idea interessante per la mia vendetta. Le spiegai che avevo bisogno di programmare uno scherzo, uno scherzo spaventoso, specificai, e lei disse che ne aveva già uno in mente.
«Per chi è lo scherzo?» Mi meravigliai del fatto che non avesse tirato in ballo sua sorella o nuovamente Poseidone, chiedendomi preoccupata se fosse diretto a loro. Fui sollevato dal sentirla più concentrata e, siccome mi fidavo di lei, non ero restio a raccontarglielo.
«Per Matt, Jamie e Nick. Hai presente la loro canzone sulla Signorina Richardson? Ecco, volevo fargliela pagare.» Le spiegai in tranquillità, anche se dopo saggiai nella mia testa quelle stesse parole e mi sembrai un tantino vendicativo e malvagio. Mi persi la sua reazione, mentre mi immaginavo imperatore del male, non notando come si era appena irrigidita per poi sorridere nervosa.
«Va bene. Dobbiamo spaventarli?»
«Tanto.» Dichiarai con un sorriso che non mi si addiceva affatto.

Questo era stato il primo incontro, a cui ne seguirono altri. La sua idea non era grandiosa ma efficace, di quella semplicità su cui si fa affidamento. Era fattibile e non costosa. Avevo l’impressione che sarebbe stato un successo, già pregustavo il momento in cui quei tre avrebbero finalmente capito di dare un taglio alle loro continue prese in giro. Non avrei più dovuto aspettare tanto, solo qualche ora. Il cielo a Sheffield scuriva presto, complici le nuvole che quella mattina avevano ricoperto il sole per tutto il tempo.
Adesso sto camminando verso casa, rientrando da scuola. Come sempre Matt è al mio fianco, visto che abitiamo nello stesso quartiere. Lui ha un auricolare in un orecchio, mentre l’altro si muove sul collo quando compie un gesto brusco. Il fatto che stia tenendo il ritmo con lievi oscillazioni del capo è segno che la traccia sia dei Beatles. In questo periodo ascolta solo quello e a me non dispiace, perché almeno non è robaccia commerciale. Probabilmente io sto sorridendo per l’impazienza di incominciare ad attuare il piano insieme a Mary perché sul viso del mio amico si dipinge un ghigno che, non lo nascondo, non mi piace affatto.
«Stai pensando a lei?» Mi chiede infatti, poco dopo. Non si toglie l’auricolare e questo mi fa capire che in fondo non gli importa tanto della risposta. Lui ascolta la musica sempre ad un volume assordante, tanto che posso sentire la melodia anche da questa distanza. Sua madre non lo lascia mai in pace e gli continua a ripetere che diventerà sordo, se continua a sfondarsi i timpani in quel modo. E’ infatti parecchio improbabile che riesca a sentire perfettamente quello che gli sto dicendo, fra il volume alto e la distrazione della canzone stessa.
«Matt, ancora con questa storia? Adesso non posso più sorridere?» Ma il mio tono è molto meno determinato rispetto alle volte precedenti perché la mia pazienza per sostenere i miei ideali è ormai terminata. E poi la vendetta è così vicina e così ben progettata che sarebbe un peccato non sfruttarla, cambiandola perché ormai loro hanno smesso di darmi noia.
La mia prima impressione di rivela giusta e Matthew sembra non aver percepito il messaggio. Tant’è che mi da una gomitata scherzosa e aggiunge, tutto ghignante:
«Lo sapevo!» A quel punto mi dissocio, rimanendo in religioso silenzio fino a quando lo saluto per entrare dentro casa, mentre lui prosegue il suo percorso. I preparativi per l’incontro di stasera non sono tanti da parte mia, quanto più per Mary che verrà un’ora prima rispetto agli altri tre e la cui presenza dovrà stare nascosta fino al momento opportuno. In ogni caso saluto mia madre con una fretta che lei sa essere causata dalla festicciola che terrò stasera a casa, anche se non è al corrente del resto del piano. Corro in camera e mi metto a ricercare la torcia che avevo usato l’hanno scorso per un campeggio. Una volta trovata infilo un paio di pile che so essere quasi terminate. Questa è la parte che richiede più fortuna perché, se le pile si riveleranno troppo cariche, la luce non avrà quel bagliore malato che desideravo per rendere il tutto ancora più tetro. Faccio un paio di prove, spendendo il resto del tempo per indossare la maglia da scheletro (Lo sfondo è nero e le ossa della cassa toracica di un bianco che, al buio, diventa fosforescente) e per sistemare il salone. I miei escono di casa mantenendo la loro promessa di lasciarmi spazio libero per i miei amici, proprio qualche minuto prima che Mary suoni il campanello. Ha un sorriso radioso ed è insolito per lei, che tuttalpiù rimane con un’espressione timida. E’ così riservata!
«Ho portato tutto! Alex, ci divertiremo!» Mi dice con un entusiasmo che non sono sicuro le si addica ma non mi va di smorzarlo così le sorrido e annuisco con vigore, invitandola poi ad entrare. Infatti è importante dedicarsi subito ai ritocchi per lo scherzo, in modo che sia tutto perfetto per quando arriveranno i tre. Mi prendo solo un istante per sbirciare fuori dalla finestra. Il quartiere è pieno di bambini dai dieci anni in giù vestiti in maschera e che stringono fra le mani una zucca di plastica al cui interno ci sono sicuramente già parecchie caramelle. E il cielo è già scuro, anche se è solo l’ora del tramonto. E’ la cosa che odio di più del cielo nuvoloso. Non si vede il tramonto, nemmeno i suoi colori tipici.
«Alex? Pensi che possa andare bene?» Mi chiede Mary, destandomi finalmente dai miei pensieri. Quando poso lo sguardo su di lei noto la vestaglietta leggera, quasi trasparente, che la ricopre fino alle caviglie. E’ candida come la sua pelle, tanto che quel dettaglio da solo la rende più inquietante del solito. Mi chiedo se l’avesse tenuta per tutto il tempo sotto il cappotto e se i genitori, accompagnandola fin qua, non se ne siano mai accorti. In ogni caso mi affretto a risponderle:
«Perfetta! Ma ora vediamo di imbrattarla un po’.» E così dicendo vado ad individuare il sacchetto che si era portata appresso. Non mi risulta difficile prendere il flacone di sangue finto che eravamo andati ad acquistare insieme al negozio di scherzi qualche giorno prima ed immergerci una mano, porgendolo anche a lei per invitarla a fare lo stesso. In men che non si dica otteniamo un risultato sanguinoso e, sommato all’aspetto naturalmente tetro di Mary, a dir poco inquietante.
«Se non avessi organizzato tutto insieme a te mi faresti paura.» Le dico sinceramente, perché ho la pelle d’oca sulla braccia e dei brividi continuano a scorrermi lungo la schiena. E lei, come se le avessi detto che il suo aspetto ricordava quello di Grace Kelly, mi regala in risposta un sorriso che mostra la sua dentatura perfetta.
Ultimiamo appena gli ultimi ritocchi che sentiamo il campanello risuonare in tutta la casa. Indico a Mary il posto in cui avrebbe atteso fino al momento più opportuno per la sua apparizione, per poi andare a dedicarmi agli ospiti. Quando apro la porta i tre entrano uno dietro l’altro. Se all’inizio sembrano allegri e a dir poco strafottenti, allora è ovvio che più si fanno spazio nella sala più diventano insicuri.
«Cosa hai fatto a questo posto, Al?» Mi chiede infatti Jamie, avanzando con cautela. Il salone è avvolto dal buio e non si potrebbe avanzare, ci si perderebbe proprio, se non fosse per le candele sistemate a formare un percorso. Loro lo seguono incerti, dando il tempo ai loro occhi di abituarsi all’oscurità.
«Mi avete detto che dolcetto o scherzetto non faceva per noi, allora ho pensato di dare a questo posto un aspetto adatto ad Halloween.» Questo particolare faceva parte della mia tanto attesa vendetta. Non ero stato d’accordo sull’abolizione della tradizione dolcetto o scherzetto. Abbiamo dodici anni e non più otto, va bene, ma quelle caramelle sono pur sempre gratis e buonissime! E siccome non avevo avuto voce in capitolo, tanto le mie proteste si erano rivelate inutili, allora loro si tengono l’aria assolutamente spettrale che avevo organizzato insieme a Mary.
«Tua madre ti metterà in punizione per settimane quando scoprirà che hai usato tutte le sue candele profumate.» Fa Matt, annusando l’aria e assumendo una faccia schifata subito dopo.
«Penso che questo sia incenso, amico.» Gli risponde Nick, prima che io potessi avere il tempo di aggiungere qualcosa. In effetti quello che profuma la stanza in quel modo è davvero incenso e forse in quello ho esagerato. Ora il tutto assume l’aspetto di una tenda di una chiromante, di quelle che si vedono nei film con la sfera di cristallo e degli enormi orecchini circolari che pendono dai lobi.
«Non lamentatevi, devo raccontarvi una cosa.» Non voglio che si abituino al luogo tetro, altrimenti il piano non sarebbe andato come previsto. Getto un’occhiata alla porta aperta che dà sulla sala da pranzo. Proprio dietro lo stipite si nasconde Mary. Spero con tutto il mio cuore che sia attenta alla situazione, in modo da cogliere l’attimo quando sarà necessario. Sicuro che non mi abbiano notato, mi accomodo intorno ad un cerchio di candele elettriche. Quei tre sono così maldestri che saprebbero incendiarmi la casa e vorrei evitare che succeda. Sono un tipo previdente io. Lo spazio è coperto da cuscini e si sta davvero comodi ma loro sono ancora incerti e agiscono come se la loro seduta fosse fatta di chiodi. Appoggiano prima le mani e poi si siedono, cambiando posizione almeno due volte prima di decidersi a stare fermi.
«Alex, non avrai esagerato un po’ troppo?» Jamie sa essere così noioso quando ci si mette. Non mi piace il fatto che Nick sia il più tranquillo dei tre, secondo le mie previsioni doveva essere il più immerso nel proprio disagio e invece eccolo lì a masticare i marshmallow in tutta tranquillità.
«No. Perché? Avete paura?» Li provoco perché fa parte della mia rivincita. E’ così esilarante vederli palesare una maschera da duri quando in realtà è chiaro come il sole che non siano affatto a loro agio.
«Proprio no!»
«Non dire sciocchezze, Alex! Sei tu quello innamorato mica noi!» Matthew è incorreggibile, anche in una situazione così estranea dalle solite nomina la mia falsa cotta per la professoressa! Se per un momento avessi pensato di annullare il piano soprannominato ScaryMary, come il soprannome della mia nuova amica, con questa aggiunta fuori luogo se la sono guadagnata appieno.
«Ah, sembrava.» Mi limito a dire loro, visibilmente seccato. Anche se sto attuando la mia vendetta, il suo persistere nell’errore mi irrita più di quanto avrei mai voluto ammettere. Nick continua a masticare e si guarda intorno, in tutta tranquillità. Spero con tutto me stesso che non noti la presenza di Mary nella casa.
«Piuttosto, cosa dovevi raccontarci?» Mi fa quest’ultimo, puntando lo sguardo su di me. Per un attimo temo di essermi scordato il racconto che avevamo progettato io e la ragazzina. I discorsi non sono il mio forte e la tensione, in questo caso l’ansia da prestazione, rischia di deviare il percorso precedentemente concordato. Devo fare la mia parte, ed eseguirla al meglio.
Mi metto comodo sul mio cuscino, guardando Nick con un sorriso sul volto.
«Certo. Allora…» Non faccio in tempo ad articolare la prima frase che Jamie è di nuovo alle prese con il suo riscoperto modo di fare assillante.
«Dammene un po’! Non puoi tenerli tutti per te!» Si lancia – letteralmente – su Nicholas, strappandogli di mano il pacco di marshmallow. E così da inizio ad una vera e propria zuffa. Parecchie candele vengono rovesciate (Menomale che sono previdente e non hanno una vera fiamma!) e i cilindretti zuccherosi vengono sparsi ovunque, visto che la busta, tirata da una parte e dall’altra, si rompe. Devo aver messo su un’espressione davvero seccata, accompagnato dal mio non fiatare, perché Matt cerca di ripristinare l’ordine.
«Non fate le ragazzine. Tieni, mangia questi.» E gli scaglia contro un pacchetto di popcorn. Tutti e tre capiscono la situazione e la mia urgenza di iniziare a raccontare, perché se ne stanno buoni e zitti e fermi. Per fortuna Jamie non apre la busta di cibo spazzatura, altrimenti avrebbe smorzato l’atmosfera che volevo si creasse, riempiendo l’ambiente di rumori da zoo.
«Dicevo: l’altro giorno stavo cercando in soffitta uno scatolone per mia madre e ho trovato questa.» Tolgo fuori dalla tasca della giacca una foto quadrata. In realtà l’avevo fatta stampare il giorno precedente, raccomandando di ottenere un’aria di usura e di tempo passato. Il risultato è evidentemente ottimo, la carta è spessa, frastagliata e ingiallita. L’immagine in sé non è un mio artificio, l’avevo semplicemente trovata in un vecchio libro alla biblioteca e l’avevo fatta fotocopiare. Ritrae una famiglia degli anni ’50 parecchio inquietante. Nessuno sorride nella foto, né i tre bambini, né la madre che li abbraccia con fare statico e distaccato. Ma la parte più curiosa e assolutamente da brividi è una persona nella parte più al lato della foto, probabilmente una bambina per via della statura ridotta, che ha il viso coperto da un telo scuro. Non è una maschera e sembra proprio che quel telo avesse una certa importanza. Quella foto fa venire i brividi anche a me ma sono piacevolmente sorpreso di vedere trasalire Jamie.
«Proprio una madre affettuosa, no?» Fa Matt con evidente sarcasmo e un sorriso divertito sul volto.
«Come premio per la foto gli regalerà coniglietti sgozzati.» Gli risponde Nick, prima di riempirsi la bocca di cibo. E’ ovvio che la paura di Jamie per i fantasmi è stata risvegliata ma cerca di ridere come può, tradendo più disagio di quanto avrebbe voluto.
«E cosa ci faceva questa foto nella tua soffitta?» Mi chiede quest’ultimo per non rimanere in silenzio.
«Mia madre non lo sapeva, allora ho chiesto ai miei nonni e loro mi hanno raccontato una storia strana.» Si fanno tutti e tre più attenti. Prendo la torcia, la accendo ottenendo quel bagliore fioco che desideravo, e la punto sul mio viso da sotto il mento.
«Quando erano piccoli nel loro stesso quartiere abitava questa famiglia. Dicevano che la madre non usciva mai di casa e che i bambini avevano sempre un’aria triste. Non erano come gli altri, non giocavano, né ridevano mai. Si diceva che avessero una sorellina ma nessuno l’aveva mai vista. Una sera mia nonna giurò di aver sentito delle urla dalla casa. Disse che alcune volte la madre o le donne delle pulizie urlassero ma quella volta sembrava il grido di una bambina.» Prendo un lungo respiro per cercare di trattenere le risate e rimanere concentrato. La faccia di Jamie è esilarante, davvero. Avrei voluto avere una macchina fotografica per immortalarlo. Persino Nick ha smesso di mangiare e rimane attento alla storia, guardandomi senza sembrare né ironico né scettico.
«Tutti i figli erano maschi e questo era la conferma che ce ne fosse anche una femmina nella casa. La mattina dopo i poliziotti entrarono nella casa e ne uscirono con una barella su cui un telo copriva un corpicino certamente non di un adulto. Il prete, dietro di loro, continuava a farsi il segno della croce. Per i giorni seguenti tutti i bambini del quartiere non vollero lasciare le loro case, dicendo che nel parco che si estendeva al fianco della casa di quella famiglia, si sentiva una voce che gridava. Sapete cosa diceva? “Aiutatemi, loro non sono chi vogliono far credere.”»
Appena smetto di parlare sento i passi di Mary che fanno scricchiolare il parquet. E’ alle mie spalle e non posso girarmi per vederla ma la sento chiaramente ripetere la frase appena pronunciata da me con la voce più inquietante e lamentosa che avessi mai sentito in vita mia. E’ brava a recitare, probabilmente meglio di come avessi fatto io.
I tre ci mettono qualche frazione di secondo a notarla ma le loro facce sono impagabili. Il primo ad alzarsi e ad iniziare ad urlare è Jamie, come era comprensibile dalle sue reazioni precedenti. Cerca la porta ma non ha il coraggio di voltare le spalle al presunto fantasma della bambina. Matthew invece ha gli occhi sbarrati e rimane impalato al suo posto, come se qualcuno lo avesse pietrificato in quella posizione. Apre la bocca ma non ne esce alcun suono, continua a fissare il sangue (finto) sul volto di Mary. La reazione di Nick è simile alla sua, tranne che cerca di indicare la presenza per avvisare me. Io scoppio a ridere senza potermi più trattenere. Rido come se non l’avessi mai fatto in vita mia, tenendo una mano sulla pancia e con le lacrime agli occhi. I tre si riprendono e chiedono scioccati, in coro:
«Mary?!»
A quel punto io e la mia nuova amica smettiamo di ridere – anche lei aveva preso a ridacchiare compiaciuta – per urlare insieme a squarciagola.
«Felice Halloween!»  La mia vendetta è stata attuata e, vi dirò, dopo di quella non hanno più tirato in ballo la mia cotta per la professoressa Richardson.
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Arctic Monkeys / Vai alla pagina dell'autore: HeySoul