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Autore: Up_me_memories    04/11/2014    5 recensioni
Un sogni ingannevole induce Agamennone e credere che gli dei lo sostengano a preparare l'attacco decisivo contro Troia. Il capo della spedizione greca riferisce agli anziani il sogno, ed essi approvano la decisione di muoversi all'assalto. Prima però, il sovrano vuole sperimentare la fedeltà dell'esercito: finge perciò di rinunciare al lungo asseddio e invita tutti quanti a fare ritorno in patria. Gli uomini, provati da anni di guerra, corroni alle navi, ma Odisseo istruito dalla dea Atena, li trattiene e li rimprovera per la loro viltà. I guerrieri subito recuprano la propria compostezza e si mettono a sedere, in attesa di istruzioni. Qualcuno, tuttavia, continua a parlare, contestando l'autorità di Agamennone: è il soldato Tersite, il più "spregevole", fra tutti che viene messo a tacere da Odisseo con dure parole, tanto che i suoi compagni di lotta iniziano a deriderlo. Solo che non sa che Agamennone ha udito le sue parole, come reagirà il sovrano?
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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NOTE:
Ciao a tutti!
è la prima volta che scrivo in questo settore e questa flash-fiction è in realtà uno dei miei esercizi di epica, così mentre mi faccio i compiti riesco anche a dare sfogo alla mia passione per la scrittura, forse diventerà la mia parte preferita.
Allora prima di inziare la lettura, è meglio che sappiate che la prima parte è scritta è un piccolo riassunto di quello che fu davvero scritto da Omero (o chiunque abbia scritto l'Iliade, poiché non lo si sa con certezza) mentre la parte in grassetto ed oltre è del tutto inventata da me, come richiesto nel mio esercizio.


-Il peso delle parole


Un sogno ingannevole induce Agamennone e credere che gli dei lo sostengano a preparare l'attacco decisivo contro Troia. Il capo della spedizione greca riferisce agli anziani il sogno, ed essi approvano la decisione di muoversi all'assalto. Prima però, il sovrano vuole sperimentare la fedeltà dell'esercito: finge perciò di rinunciare al lungo assedio e invita tutti quanti a fare ritorno in patria. Gli uomini, provati da anni di guerra, corrono alle navi, ma Odisseo istruito dalla dea Atena, li trattiene e li rimprovera per la loro viltà. I guerrieri subito recuperano la propria compostezza e si mettono a sedere, in attesa di istruzioni. Qualcuno, tuttavia, continua a parlare, contestando l'autorità di Agamennone: è il soldato Tersite, il più "spregevole", fra tutti che viene messo a tacere da Odisseo con dure parole, tanto che i suoi compagni di lotta iniziano a deriderlo.


Soldati e re erano ignari, però, che il divino Agamennone aveva colto le inguiurie a suo carico, uscite dalla bocca di un semplice soldato.

Proprio in quel momento fece la sua comparsa il comandante dei greci, sovrano di Sparta, al posto del solito sguardo severo ed arcigno che gli deturpava il bel viso, aveva un ghigno di derisione: "Lascia, Odisseo, che sia io ad occuparmene. Se non erro le sue accuse erano indirizzate al mio nome e al mio titolo, quindi lascia che il vile soldato subisca le conseguenze della sua insolente ligua".
Con un unico cenno del capo indicò l'uscio del capannone che li ospitava. Tersite, con le gambe che tremavano dalla paura tanto che sembravano ancora più storte, seguì il comandante.
Odisseo era indeciso se seguire i due, oppure ignorare il fatto di averli mai visti insieme e lasciare che il crudele destino del soldato si compisse; ma il buon cuore e l'onore del re di Itaca ebbero la meglio. Così, sconsolato, prese l'uscita e si preparò ai minuti decisivi che incombevano. Prima calmò l'esercito, che voleva assistere impaziente al combattimento, ma con alcune minacce gli fece tranquilizzare e drizzare ai loro posti.
"Tersite, sfrontato, prendi la tua spada e preparati all'ultimo duello della tua futile vita!"
Queste furono le parole di Agamennone prima di prendere la sua spada scintillante e scagliarsi sul malcapitato. Odisseo osservava la scena del povero, piccolo, tozzo uomo contro l'addestrato e fiero  guerriero. Erano come il leone e la gazzella, erano pochi gli attimi in cui il feroce leone avrebbe messo la parola fine alla vita dell'indifesa bestiola.  Seppur impietosito, l'acheo non avrebbe potuto far nulla contro l'ira del nobile re, avrebbe solo ottenuto più furia: il ruolo che ricopriva non era abbastanza alto per mettere in discussione le azioni del comandante; c'era solo un'altra persona in grado di farlo e non era lui.
Intanto lo scontro era ormai agli sgoccioli, Tersite con le vesti strappate e macchiate di sangue, era riverso per terra mentre aspettava l'ultimo colpo mortale, che mai arrivò.
Mentre il semplice soldato aspettava l'affondo con gli occhi serrati, l'asta di una spada bronzea fermò quella di Agamennone.
La spada apparteneva ad Achille dagli occhi cupi coperti dai biondi riccioli.
"Agamennone placa la tua ira, dobbiamo ricordare chi è il nostro nemico, perché uccidere un nostro soldato e togliere un componente all'esercito greco? No, dobbiamo essere pronti alla battaglia e questo soldato, seppur vile, ci servirà. Girati a sinistra, lì ci sono i Troiani, dietro quelle mura ed è verso l'oro che dovresti mostrarti così spietato. Forte abbastanza da sconfiggere l'intero esercito di Priamo e lo stesso Ettore."
Agamennone, ancora infuriato per non aver compiuto la sua vendetta e senza parole per controbattere con il pelide Achille, principe di Ftia, se ne andò lasciando i tre uomini avvolti nel silenzio.
  
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