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Autore: yellowcrocs    04/11/2014    1 recensioni
Nina che sorrideva amara sulla scrivania, abbassando la testa, scordava Lloyd ancora una volta.
Genere: Angst, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Sheeran, Nina Nesbitt, Nina Nesbitt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A chi bacia e non torna.

Dall’altra parte del vetro.


A Ed sarebbe piaciuto molto riuscire a convincersi che con Nina non ci fosse stata una rottura decisiva, ma che tutto quello che era e che continuava a succedere fosse il frutto di un logoramento lento e silenzioso, dovuto a scheletri troppo grossi per entrare in un solo armadio, e al quale lui stesso aveva dato fine –perché sembrava quasi giusto, al tempo- con una semplice porta chiusa e una promessa su un post-it attaccato al frigo vuoto, scritta apposta per essere infranta. Ma la realtà era molto più dura e sfacciata di quello che Ed aveva potuto solo lontanamente immaginare e, se durante il giorno poteva riuscire a concentrarsi su qualcosa –qualsiasi cosa- che non fosse l’immagine di Nina furente, ferita e delusa, con la notte non aveva scampo, e lo sorprendeva e rapiva e picchiava; rendeva più acuti e forti i suoni di quegli scheletri che graffiavano le ante dell’armadio della vecchia casa dove un tempo abitava. Erano notti inquiete, agitate, dove alzarsi dal letto era impossibile quanto addormentarsi, notti passate in un costante dormiveglia, e appena le palpebre imploravano il riposo, poteva vedere, poteva vederla, e semplicemente osservarla.
La sua Nina che come un essere pericoloso –oppure uno estremamente delicato? O solitario? Oppure isolato?- se ne stava chiusa nella sua coppa di vetro, rimanendo un’immagine. Niente tatto, niente prove della sua effettiva esistenza a pochi metri da lui. L’unica cosa reale era che, come poggiava la mano sul vetro freddo e liscio, si risvegliava con le guance umide e il cuscino bagnato. Se avesse guardato bene, avrebbe visto che Nina era uscita dall’armadio, sedendosi sulla sua scrivania a scordagli con aria divertita la chitarra per l’ennesima volta, ma Ed imprecava sottovoce, rigirandosi nel letto, sperando di riuscire ad avere per un’unica, dannatissima volta, un sonno tranquillo. Capitava che la sentisse ancora accanto a lui, in qualche frammentario momento delle sue veloci giornate, e quasi avrebbe potuto disegnarne perfettamente i lineamenti del viso, la posizione delle mani, le rughette d’espressione sulla fronte e le fossette sulle guance, mentre iniziava a cantare le sue canzoni in macchina o immaginandosela nel ricordo di quei pochi giorni in cui decidevano di abbandonare la città e lasciarsi alle spalle nuvole di smog e rumori assordanti. Quando tornava a casa spesso lanciava il giacchetto dove abitualmente, a casa di Nina, c’era un divano, e quindi brontolando(si) a bassa voce, doveva raccoglierlo e buttarlo da qualche altra parte, respingendo a fondo l’immagine di Nina che, dietro di lui, rideva, ricordandogli quanto idiota riuscisse ad essere. Ma non era solo questione di abitudine, perché col tempo quei tè troppo dolci e quei caffè troppo amari avrebbero ricominciato a non piacergli, come le puntate di Scrubs in replica per l’ennesima volta all’una di notte e il fatto di poterla stringere forte, così tanto che intrecciare le gambe alle sue sarebbe stato uno dei suoi tanti piccoli desideri che da sempre vengono rimpiccioliti, schiacciati dai problemi del mondo reale. Bensì, un misto tra rimorso, rabbia e delusione nei suoi stessi confronti era quello che spesso mandava giù nello stomaco insieme all’ennesimo alcolico di pessima qualità.
Spesso Ed aveva avuto dei momenti così bui che aveva addirittura digitato il suo numero sullo schermo, per poi cancellarlo e buttare il telefono dall’altra parte della stanza, gridando contro chi sa quale divinità, perché aveva davvero sbagliato tutto, perché Nina era l’unica che era stata capace di proteggerlo da tutti quei dannatissimi scheletri che era convinto lo seguissero e attaccassero ovunque, e perché lei era stata l’unica a capire che Ed stesso, anziché essere un ragazzo col cuore rotto e freddo da molto tempo, era più un quattordicenne alle prese con la prima cotta. Ma era sicuro, anzi, certo, che niente ormai potesse fare per risistemare le cose, anche quando capiva che sì, la amava ancora come aveva sempre fatto e no, senza Nina non c’era la vera vita. Ma le giornate passavano veloci, e le notti lo catturavano ancora. Ed non era mai stato quel tipo di persona che tende a dare importanza ai propri sogni –o almeno a quelli che ricorda- , ma da quando Nina aveva iniziato a stare in una coppa di vetro rovesciata ogni notte, un po’ di domande aveva iniziato a farsele. Non ce la faceva proprio a parlarne con qualcuno –nemmeno quella carogna di Jake aveva saputo nulla- e di fatti sentiva dentro sé il bisogno di risolvere la faccenda da solo.
Se fosse stato un film, probabilmente sarebbe stato accusato di plagio ad Inception –e ogni tanto rideva ricordandosi quanto a Nina non piacesse- per quel fatto dei sogni dentro i sogni e così via. Si ritrovava sempre in quel grande spazio di un bianco a dir poco accecante, e più procedeva più trovava queste grandi campane di vetro più o meno piccole, ognuna contenente qualche momento del tempo trascorso insieme. Gli risultava strano e piuttosto sgradevole, starsene lì con le mani e il naso incollato al vetro senza poter far altro che guardare, senza permettersi d’interferire. Erano racchiusi un’infinità di momenti in quello spazio non ben definito, e l’unica cosa che riusciva a sentire oltre il senso di colpa era un’agonia incessante, che partiva dalla parte più profonda di sé e finiva col rimbalzare da tempia a tempia senza accennare a smettere. Credeva di aver perso completamente il senno, e vedendo l’ennesima Nina distruggere cose, piangere nel letto o semplicemente dormire su un divano disfatto, non riusciva a non iniziare ad urlare, prendendo a calci tutti quei vetri che mai accennavano a graffiarsi o muoversi. Di tentativi ne aveva provati tanti, c’erano volte in cui solo si limitava a continuare a bussare –ed era convinto che la Nina là dentro potesse lievemente sentirlo- ed altre in cui iniziava ad urlare. Una volta sola riuscì a rompere una di queste campane –la più piccola, su misura per una Nina rannicchiata su se stessa, con la faccia immersa nelle ginocchia- e non ebbe il tempo di vederla trasformarsi in polvere, che si svegliò urlando. La fronte sudata, il fiatone, il pensiero di un dolore ad un piede che non era –in realtà- mai esistito. Nina che sorrideva amara sulla scrivania, abbassando la testa, scordava Lloyd ancora una volta.
Che fosse senso di colpa o il sentire la sua mancanza, poco importava quando la parte vuota accanto a lui, nel letto, si faceva più fredda dei vicoli umidi di Londra. Ed aveva creduto di essere riuscito ad uscirne, quando altre ragazze erano entrate a far parte della sua vita. Ma niente funzionava, niente era adatto né rispettava il suo animo confuso. Aveva fottuto il suo amore, ed ora ragazze bionde senza volto fottevano il suo. Ma alla fine non bisogna impegnarsi troppo per capire che Ed ha continuato a buttare il telefono contro il muro anziché chiamare Nina e parlarle, che dorme male anche accanto alla sua nuova ragazza –che ama, sia chiaro: ama i suoi capelli scuri, il sorriso semplice e gli occhi marroni, inconscio che così era la piccola Nina quando l’ha vista la prima volta- ed anche Nina, da qualche altra parte del mondo, si rinchiude in un bozzolo di pensieri tristi e coperte quando pensa troppo ad Ed.
Non so dirvi se c’è una morale in questa relazione fatta di sogni e felpe scordate nell’appartamento sbagliato, come non so dirvi se, alla fine, sia Ed che Nina ricordino con un lieve sorriso il tempo passato insieme. Sicuramente entrambi sono cresciuti, sono cambiati, sorridono di nascosto leggendo i tweets l’uno dell’altra e si pensano a vicenda quando in tv parte l’ennesima replica di Scrubs. Ma questa è la storia distorta di Ed Sheeran e Nina Nesbitt, e di tutto quello che il silenzio porta con sé.
  
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