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Autore: Allison Argent    07/11/2014    0 recensioni
«La prima volta è notte e quasi tutti stanno dormendo. È il giorno dopo essersi sentita dire che le avrebbe soltanto detto la verità e quelle parole rimbombano nella sua testa insieme a mille altri pensieri che la tengono sveglia ogni sera.»
{Skye/Ward; revisitazione della 2x06}
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Grant Ward, Skye
Note: Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Titolo: five times skye didn't sleep
Rating: giallo 
Warnings: cenni su autolesionismo; contiene spoiler sulla puntata 2x06 "A Fractured House".

Pairing: Skye/Ward
Word count: 3k+
Disclaimer: i personaggi non mi appartengno, se mi appartenessero non farei soffrire tutti così tanto. O forse sì. 
Nota dell'Autore: ho scritto questa fanfiction originariamente in inglese (originale qui), perciò questa è solo la traduzione. A mio parere funziona meglio in lingua, però ho cercato di fare del mio meglio perché rendesse al meglio. È possibile che alcuni passaggi siano confusi, mi scuso in anticipo per questo. In ogni caso, spero piaccia :) 
PS: "SO" per supervising officer è rimasto SO perchè non avendo mai visto un episodio in italiano non avevo la minima idea di come tradurlo, sorry!





 
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La prima volta è notte e quasi tutti stanno dormendo. È il giorno dopo essersi sentita dire che le avrebbe soltanto detto la verità e quelle parole rimbombano nella sua testa insieme a mille altri pensieri che la tengono sveglia ogni sera.
 
Ha iniziato ad allenarsi al massimo facendo meno pause possibili in modo tale da arrivare alla sera esausta, con nessuna forza ancora in corpo per pensare a cose che ancora non si sa spiegare. E May approva questo cambiamento, quindi.
 
Il problema è, però, che la strategia non sembrava funzionare dopo incontri ravvicinati con lui. Perché è già passato un giorno e ancora non riesce a scacciare via il suono della sua voce dalla testa. Non lo vuole, la distrae e le fa male. La fa sentire come se ogni sforzo compiuto negli ultimi sei mesi per toglierselo dalla testa, per incanalare la rabbia in modo tale da risultare più efficiente nelle loro missioni, fossero inesistenti.
 
La Skye di un anno prima avrebbe alzato il volume della musica così alto che avrebbe coperto ogni pensiero sgradito, e avrebbe anche iniziato a ballare, e realizzare che quella ragazza era così lontana ormai non fa niente se non farla arrabbiare ancora più di quanto già non sia.
 
Però sta ferma, i suoi occhi aperti che fissano il soffitto di quella che ora è la sua camera, così grigia e piatta e vuota perché è esattamente così che si sente, è così che si è sentita dal momento in cui è successo tutto quel casino.
 
E vorrebbe essere stata così fredda e immobile quando era davanti a lui prima, ma ancora di più non vorrebbe neanche pensare che il fatto che le stesse davvero dicendo la verità fosse una possibile opzione, perché le aveva mentito, aveva mentito a tutti, ed è un assassino e guarda cosa ha fatto a Fitz.
 
Quindi deve combattere l’istinto di alzarsi e precipitarsi nella sua volta ed è così difficile perché tutto ciò che vuole fare è urlare e prendere a calci tutto ciò che trova davanti a sé e dirgli che non è giusto, non è giusto che l’abbia trattata così, non è giusto che abbia ancora il potere di farla sentire così fragile e insicura.
 
Però non lo fa. Controlla la propria frequenza cardiaca (non rimuove mai il monitor dal polso) e impreca perché è troppo alta e di nuovo, non è giusto che lui abbia tutta questo controllo su di lei.
 
Ovviamente, quella sera non dorme.
 
 
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La seconda volta è un istante e si trova di fronte a lui, a dividerli solo la barriera invisibile, e c’è uno sguardo e si sente persa e gli sta quasi per dire che cosa è stata costretta a fare quel pomeriggio, perché per un momento in qualche modo le è sembrato di aver visto il suo SO dietro la barba e le cicatrici e non il traditore che ha deciso a sangue freddo di uccidere innocenti.
 
E forse lui coglie la sua fragilità perché il suo sopracciglio tremola leggermente e dopodiché tutto ciò che sa è che il suo battito cardiaco sta salendo ancora una volta e suo padre è vivo e sta scappando dalla volta.
 
Di nuovo lo sente dirle che le avrebbe detto soltanto la verità e come può non credergli ora? Come può quando per tutta la sua vita ha provato a trovare i suoi genitori e ora è così vicina alla verità? Ma cosa si può fare quando questa verità proviene dalla persona che ha il potere di distruggerti con un solo sguardo?
 
È notte ed è seduta sul pavimento in un corridoio vuoto del seminterrato, la schiena appoggiata alla superficie fredda del muro e Koenig è il primo a trovarla. Il suo viso la aiuta a ricordare che cosa prova veramente, e come ogni altra volta che lo vede, non può evitare di intravedere il fantasma di un colore pallido e bluastro e cicatrici rosse che erano impresse sul corpo del suo gemello ucciso e trovato da lei nascosto nello sgabuzzino quelli che sembrano anni prima.
 
È abbastanza per stabilizzare il suo battito.
 
 
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La terza volta non sta dormendo e decide che non serve a niente stare seduta a letto a far finta che stia provando perché chiaramente non è quello che sta facendo, è solo arrabbiata e sta tremando e la verità è che ha paura di chiudere gli occhi perché se non è Donnie è Koenig e davvero è soltanto un ciclo che non sembra avere una fine.
 
Quindi agisce di impulso, perché è quello che fa di notte quando nessuno la può osservare (sa che possono – lo fanno), parte di se stessa torna ad essere quella ragazza e ora sta avvolgendo le mani in due fasce bianche e tirando pugni al sacco da boxe, cosciente del fatto che è attenta a tenere le mani su, come qualcuno che ormai non esisteva più le aveva insegnato una volta.
 
Non scende spesso a fare boxe. A dire la verità, non lo fa quasi più, principalmente perché non è lo stile di May ma in fondo la verità ha a che fare con i ricordi che le fa riaffiorare. Anche se però non lo ammette nemmeno a se stessa, specialmente perché una volta ha trovato Coulson a guardarla e non ha nessuna intenzione di essere di nuovo la causa di quello sguardo duro e pungente, dato che si ricordava bene quanto sporca l’aveva fatta sentire.
 
Forse la parte peggiore è che è notte e non ha una missione che la tiene occupata su argomenti diversi da perdita, tradimenti e colpe, o forse è perché prova in tutti i modi a tenere quei pensieri lontani dalla sua mente durante il giorno che poi tornano indietro con una forza incredibile quando è tutta sola e non è abbastanza forte da scacciarli, non quando è sudata e sta tremando e ad ogni pugno è un passo più vicina a sentirsi finalmente intontita.
 
In quei momenti spera davvero che lui fosse li a tenere il sacco dall’altra parte.
 
 
΅΅΅
 
 
La quarta volta è in lacrime perché non ha più forze in corpo per combattere. È come se avesse tenuto tutto dentro per troppo tempo perché ora sta crollando tutto su di lei nel momento in cui entra nella sua camera, la testa tra le mani e le ginocchia a terra.
 
Non si possono aspettare che stia bene, non quando ha ucciso un ragazzo senza pensarci due volte, non dopo aver scoperto che suo padre è un mostro. Ha ucciso delle persone, proprio come lui. Era vero, quindi? Era vero che era lei a portare la morte ovunque andasse?
 
Si dondola avanti e indietro seguendo il suono dei suoi singhiozzi e non le interessa neanche se gli altri la possono sentire, non entreranno in camera lo stesso. Si sente sporca mentre si sfrega le mani nude, il cardiofrequenzimetro dimenticato in un angolo del suo letto. Si morde il labbro più violentemente che può in modo da non urlare perché ecco, quella potrebbe essere la scusa di cui Coulson ha bisogno per andare ad aiutarla, e in un baleno capisce che cosa lui ha provato quando l’hanno chiuso dietro la barriera.
 
Lo capisce ed è disgustata perché ora si ricorda di quanto simili loro due siano, quanto ancora lei dipenda da lui anche se se n’è andato, anche se non lo conosce. È disgustata e ferita perché non riesce ad odiarlo completamente e ciecamente, neanche nel momento in cui le dice che non gli hanno mai fatto il lavaggio del cervello, quando ha il coraggio di dirle in faccia che è stata una sua decisione quella di lasciar morire Fitz e Simmons nel fondo dell’oceano.
 
Tutto ciò che sente è una sensazione di bruciore allo stomaco, come se qualcosa la stesse mangiando viva dall’interno e l’unica cosa che può fare è aggrapparsi a se stessa, affondando le unghie nella pelle delle braccia e in qualche modo si sente meglio ma non meglio abbastanza.
 
Forse dovrebbe correre più forte anche lei.
 
È così stanca quando si arrende, ora completamente sdraiata sul pavimento, e il suo viso è l’ultima cosa che vede prima di addormentarsi.
 
 
΅΅΅
 
 
Lui la guarda come se fosse il sole ed è quello che rende tutto impossibile da sopportare, perché in fondo lei sa che quello è lo stesso esatto modo in cui si sente ogni volta che scende a parlargli. Come se potesse finalmente respirare dopo essere stata sott’acqua per ore e ore.
 
Però lo maschera, usa le parole come coltelli che lo tagliano e lui è lì che riceve tutto senza lottare perché è quello che si merita. La sua gabbia toracica intrappola un mostro che la testa non riconosce, quel mostro sta urlando, sta provando ad arrivare a lui per digli di reagire, di provare a scappare perché non può – lei non può – vederlo diventare impassibile. Lui non è così.
 
(Non sai chi lui sia.)
 
La quinta volta quel mostro vince e lascia che la porti in posti in cui non avrebbe dovuto vagare, proprio come Coulson l’aveva avvisata di non farsi distrarre e di rimanere concentrata sulla missione il giorno stesso.
 
Forse è ancora la stessa ragazza che era una volta; si dice che sta soltanto infrangendo le regole per dispetto a Coulson che l’aveva interrotta mentre parlava con lui quella mattina, è quella la ragione per la quale ora si sta facendo raccontare su suo padre e di come ha perso la testa quando gli agenti Hydra avevano provato a prenderla.
 
“Tutto ciò che ha fatto, Skye, l’ha fatto perché ti amava.”
 
Lei distoglie lo sguardo dagli occhi di lui perché non riesce a reggere di guardarlo quando glielo dice.
 
“E non posso fargliene una colpa.”
 
Sente qualcosa rompersi dentro di lei insieme al bisogno di trattenere le lacrime, e quando torna a guardarlo negli occhi è di nuovo lì, quello sguardo di ammirazione e resa completa che lui veste ogni volta che lei è vicina, e poi si sta di nuovo prendendo gioco di lui, estraendo ogni singolo dettaglio di cui lui è a conoscenza perché è questo che lei fa, lo ferisce intenzionalmente per avere ciò che vuole.
 
Però è quello il punto, lei non sa quello che vuole davvero. Non vuole sapere se sua madre è morta, non vuole lasciare andare l’idea che se suo padre è ancora vivo allora magari anche sua madre lo è, e allora ecco che finalmente si lascia andare, permettendo ad alcune piccole timide lacrime di bagnarle gli occhi. E lui sta fermo, lei lo vede nei suoi occhi che la sta implorando di non piangere, ma non prova neanche a dirle una sola parola perché il rischio che prenda e lasci la stanza era troppo alto e averla in quel modo è meglio che non averla affatto.
 
Una volta che il mostro prende il sopravvento non c’è nulla che possa fare, le prende la testa con una forza disumana e non può più tornare indietro. Lei ascolta le sue parole come un eco distante, concentrandosi sulle mani ferme di lui. Le sue invece stanno tremando quando lo dice, quando lui dice “insieme”, ed è abbastanza per spezzarla completamente.
 
Lei da la colpa al suo sorriso danneggiato, all’ombra di un livido all’angolo della sua fronte, alla barba che ora copre la pelle che un milione di anni prima lei aveva accarezzato e baciato, quando era un brav’uomo. Dà la colpa ai suoi occhi scuri e rotondi, sono quegli occhi che le fanno credere a qualunque cosa lui dica, fin dall’inizio.
 
Occhi che la stanno osservando quando le sue dita sfiorano lo schermo del tablet con un tocco insicuro.
La barriera non c’è più non appena lui dice “te lo prometto”.
 
Nessuno di loro si muove, lui è probabilmente troppo scioccato da quello che lei ha appena fatto – gli stava lanciando coltelli fino a un momento prima, come è possibile – e lei è troppo scossa dalla propria decisione che è impossibile spostarsi avanti, anche adesso che niente li divide.
 
Quando alza lo sguardo e incontra i suoi occhi trova di nuovo la stessa speranza di un momento prima che la infrange in un milione di pezzi perché ora non riesce a smettere di sentire sussurri intorno a sé che le ricordano che non durerà.
 
“Skye?”
 
È soltanto un respiro flebile, i suoi occhi penetranti la scrutano come se cercasse di leggerla. Lei è ghiacciata. Non sa che cosa deve fare al momento, quindi fa quello che le sembra più naturale.
 
Va da lui.
 
Due passi insicuri vero di lui e si ferma proprio davanti alla sua figura, sentendo ora il calore che emana e ogni suo respiro. Le sue sopracciglia sono leggermente inarcate e le labbra aperte in quello che sembra il fantasma di un sorriso. Però rimane fermo.
 
“Ti trasferiscono, Ward.”
 
La sua espressione si spezza ed è come se lei potesse sentire il suono di un milione di bicchieri rompersi, acqua gelata bagnarli entrambi. Gli ha dovuto dire la verità, è il minimo che gli deve – una parte di lei le ricorda che non è vero, non gli deve proprio niente, neanche una singola sillaba dopo ciò che ha fatto, ma l’altra parte si frantuma sotto il suo sguardo. E lui continua a non fare niente.
 
“Tuo fratello ti vuole sotto la sua custodia.”
 
Per un secondo può giurare di aver visto un minuscolo accenno di paura colorare le sue iridi scure ma, proprio come è venuto, subito dopo se ne va. Lui usa ancora quel tono morbido e delicato per parlarle, rimanendo fermo al suo posto e non spostandosi di un solo centimetro verso di lei, probabilmente ancora spaventato dalla possibilità che potesse andarsene. E lo sente che c’è qualcosa che non va, lo fa ogni volta, lui sa sempre quando lei non sta bene.
 
“Perché me lo stai dicendo, Skye?”
 
Non avrebbe dovuto dirgli niente, però certo, non avrebbe neanche dovuto essere giù nella sua volta con le telecamere spente quando Coulson non era lì in ogni caso. C’è un brivido nella realizzazione che le vecchie abitudini sono dure a morire, e una scintilla le illumina gli occhi mentre gli spiega il piano, un piano che può migliorare se solo facesse qualcosa.
 
Lei ha paura che non correrà per la sua vita per qualche stupida promessa che pensa averle fatto e vuole urlargli soltanto di andarsene quando arriverà il momento perché non può odiarlo se continua a comportarsi così. Però lui non fa niente, rimane fermo a guardarla, tanto vicino che le fa ricordare vividamente che cosa è successo l’ultima volta che erano così vicini e lei non vuole davvero proseguire per quella strada.
 
Era sicuro lì nel loro seminterrato, non potevano fargli del male. Però ora, ora non lo sapeva. Quando Coulson le aveva detto che lo avrebbero dato a suo fratello si era sentita terrorizzata, il suo mostro voleva dissuadere il direttore, ma tutto il resto dentro di lei era rimasto fermo, riflettendo le azioni dell’uomo che si trovava davanti a lei in quel momento, perché la maggior parte di lei sapeva che quello che stava facendo era sbagliato.
 
Ma non durerà, sente ancora una volta, ed è l’ultima goccia. Fa un l’ultimo passo e gli va addosso, le mani che afferrano la maglia scura e rovinata di lui, non guardandolo mai negli occhi perché se lo fa allora realizzerà che non dovrebbe essere così vicina a lui, che non aiuta né lei né lui né nessun altro comportandosi così. C’è una ragione se l’hanno tutti tenuta lontana da lui ad ogni costo, se l’hanno lasciata scendere solo per recuperare informazioni.
Poi finalmente parla.
 
“Non so quando Coulson tornerà.”
 
Si aggrappa disperatamente alla sua maglia, sentendo la rabbia mischiata alla paura crescere in lei ogni secondo che passa.
 
“Per favore, Ward.”
 
È un sussurro, ma lui è vicino e la sente. È la prima volta che si mostra così vulnerabile e non lo sorprende il fatto che stia tenendo la sua maglia così stretta.
 
È lì che si muove.
 
Il suo tocco è così leggero che lei si chiede se ha davvero sfiorato la sua pelle. Le afferra i polsi, racchiudendoli nelle sue mani, liberandosi dalla presa di lei e abbassando le sue braccia vicino ai fianchi. Gli occhi di lei seguono i movimenti, osservandolo mentre rilascia la sua presa e con una mano prende la sua più piccola, intrecciando le loro dita e stringendo.
 
Fragilmente, lei stringe a sua volta, i proprio occhi ancora fissati sulle loro dita legate. L’altra mano di lui ora sta salendo inesorabilmente, in alto fino a che lei non la può più vedere, ma ora la sente sotto il mento che le dice gentilmente di alzare lo sguardo. Lei ancora non riesce a muoversi e lui non la costringe, ma lascia il mento per accarezzarle la pelle della guancia.
 
Lei chiude gli occhi e lascia che la sua testa si appoggi alla mano e poi al petto di lui.
 
Non è molto. Non è giusto. Eppure non riesce a trovare la forza di lasciarlo andare e scappare dalla volta, di tornare nella propria camera e fare cose se non fosse mai stata lì giù. Questa volta dà la colpa al modo in cui la sua mano grande si chiude sulla propria più piccola, alla vicinanza, al modo in cui la fa sentire a casa, anche se solo per qualche istante. Dà la colpa al fatto che per un momento le fa dimenticare tutto ciò che è successo nell’ultimo anno.
 
Quando alza lo sguardo, lo trova con gli occhi già fissati su di lei, prendendo il più che poteva in quegli ultimi momenti. Entrambi sanno che non hanno molto tempo a disposizione.
 
“Possiamo trovare tuo padre, Skye. Insieme, tu ed io.”
 
Lui ci prova, ma sa già che è troppo. Lei scuote la testa e basta.
 
“Non possono saperlo. Scappa e basta, Ward, inventati uno dei tuoi piani.”
 
È stanca ora, quindi non prova neanche a scappare dallo sguardo penetrante di lui. Anzi, si inclina su di esso, appoggiando la testa ancora una volta sul suo petto, ascoltando il suono del suo battito costante. Non prova neanche a controllare la sua frequenza, sapendo già che il numero illuminato sarebbe stato molto più alto che 61.
 
Lui le avvolge un braccio intorno alle spalle, tenendola stretta a lui per un altro momento, chiudendo gli occhi e affondando la bocca nei suoi capelli, lasciando un bacio silenzioso in cima al suo capo.
 
“Te lo prometto.”
 
Non è giusto, non è abbastanza, ma solo allora il mostro dentro di lei si calma.
 
 
΅΅΅
 
 
(Lo sente dire a Coulson la mattina seguente che manterrà la promessa. Lei è nasosta dietro a dei camion perché, secondo il direttore, non dovrebbe essere lì. Ma il fatto è che le vecchie abitudini sono dure a morire.)
 
 
   
 
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