Con gli occhi di un bambino.
Flavia osservava il lento incedere delle onde verso
la riva, rapita dal melodioso suono che produceva l’acqua salmastra nel
trascinare con sé ciottoli di varie forme e dimensioni. Quell’atmosfera magica
riusciva a infonderle un senso di pace inimmaginabile, acuito dall’inebriante
odore di salsedine che pervadeva la spiaggia: quanto adorava il mare!
Per quanto splendidi potessero essere i paesaggi
montuosi, nulla era in grado di eguagliare le rigeneranti emozioni che le
scatenava quello scenario costiero. Aveva da sempre avuto un debole per
l’estate, stagione dai mille volti e dalle infinite libertà; ogni anno durante
quei tre mesi si sentiva leggera e piena di energie, era come se il suo spirito
si ricaricasse e il suo corpo diventasse impalpabile e allo stesso tempo
indistruttibile.
Passava ore e ore sotto il sole a lasciarsi
pervadere dal calore emesso da quei raggi luminosi, per poi correre a
perdifiato sulle pietre roventi e tuffarsi in quel liquido cristallino che
amava fin da bambina: non c’era piacere più grande di quello che provava
nell’immergere il suo corpo accaldato e nel farsi trasportare dalle correnti,
le donava una gioia quasi estatica.
Prima di tornare a casa sua si concedeva sempre
qualche minuto per ascoltare le naturali melodie che riecheggiavano nel
litorale, riempiendo i polmoni di aria pura e liberando la sua anima dalle
tensioni accumulate. Un delicato sbuffo di vento le scompigliò l’umida chioma
nera come il carbone, solleticando la pelle dorata e facendola rabbrividire; un
ultimo sguardo al maestoso disco rosso all’orizzonte le suggerì di prepararsi
per andar via, eppure qualcuno alle sue spalle sembrò non essere dello stesso
avviso.
«Mamma, guarda cos’abbiamo appena
trovato io e papà!» esclamò il piccolo Andrea tenendo il palmo della mano
destra aperto davanti a sé: sopra di esso vi era poggiato un minuto frammento
di vetro rosso levigato dal mare. Flavia, che si era voltata al richiamo di suo
figlio, osservò con attenzione il “rubino” ritrovato e si lasciò sfuggire un
risolino: l’espressione speranzosa e trionfante del bambino le aveva ricordato
le infinite ore che aveva passato in tenera età alla ricerca di quelle schegge,
convinta di aver recuperato chissà quali gemme rare.
Il piccolino castano s’imbronciò
di fronte a quella reazione, credendo che la madre lo stesse prendendo in giro
o che stesse svilendo la sua importante scoperta: non era facile trovare le
pietre rosse, non c’era niente da ridere, eh! Leggendo la delusione sul volto
del giovane cercatore di tesori, la donna cercò di rimediare, ma qualcuno
l’anticipò.
«Andrea, lascia stare tua mamma!
Lei una volta cercava le pietre preziose, ma ormai è troppo grande per riuscire
a vederle e ci invidia...» disse Claudio, accorso per dare manforte a suo
figlio e per punzecchiare la sua compagna: ogni scusa era buona per stuzzicarsi,
era una delle incrollabili fondamenta del loro rapporto.
«Come hai detto? Se non fosse ora
di andarcene, vi darei una bella lezione...» rispose lei, fingendosi piccata
nell’orgoglio; i maschi della famiglia si scambiarono uno sguardo dubbioso e il
più grande dei due prese la palla al balzo per un’altra provocazione.
«Certo, certo! Sono tutte scuse»
replicò derisorio l’uomo mentre ammiccava ad Andrea, il quale frattanto
assisteva divertito alla scena.
«Ma davvero? Allora vi sfido a
trovare la pietra più rara, lo zaffiro!» affermò Flavia con tono solenne, per
poi correre verso il bagnasciuga e cominciare la ricerca; gli altri due la
inseguirono agguerriti, determinati a scovare l’irreperibile scheggia blu prima
della donna di casa. Alla fine, dopo un estenuante quarto d’ora, furono
costretti a tornare a mani vuote, ma con la voglia di continuare la gara
l’indomani.