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Autore: ReaderNotViewer    24/10/2008    6 recensioni
Scritta per la prima sfida dell’Anonima Autori, dedicata alle “donne di carattere”, utilizzando come claim “essere una mosca bianca” questa storia si è classificata seconda. Mi ero sempre chiesta cosa avrebbe fatto la Pinguina dopo che i Blues Brothers erano finiti in galera: questo è il risultato.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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GIORNO DI VISITA




Il giorno di visita davanti al cancello della prigione si riunisce una piccola folla composta per lo più di donne, madri invecchiate nell'attesa di un rilascio o compagne rassegnate alla solitudine. C'è anche qualche uomo: se non si tratta di parenti, allora sono amici con la faccia da galera, giunti fin lì per ricambiare analoghi favori fatti in passato o per prenotarli per il futuro. Gli unici a non avere un'aria sconfitta sono i pochi bambini, che saltellano sul marciapiede avanti e indietro, indifferenti allo squallore del luogo. Tutti i convenuti hanno con sé pesanti borse, dove hanno stipato canottiere e mutande nuove, stecche di sigarette, biscotti fatti in casa, tavolette di cioccolata e le altre innumerevoli mercanzie che possono far comodo a un detenuto e che, prima di essere consegnate al destinatario, saranno minuziosamente passate in rassegna dal personale della prigione. Anche alle guardie, chiuse lì dentro insieme ai loro uomini, le madri e le mogli portano torte fatte in casa e biscotti; s'informano sui reumatismi e sulle famiglie, che col passare dei mesi e degli anni hanno imparato a conoscere; un po' lo fanno per accaparrarsi la loro benevolenza, un po' perché sanno che sono tutti poveri disgraziati, quelli dietro e anche quelli davanti alle inferriate delle celle.
Quando scende maestosamente, insieme a un altro gruppetto di visitatori, alla fermata dell'autobus proprio di fronte all'entrata, tutte le teste si voltano a guardarla. Innanzitutto, nonostante sia estate, la nuova venuta è avvolta in metri e metri di tessuto bianco e nero. In secondo luogo, l'espressione che aleggia sulla sua faccia brutta e asimmetrica si potrebbe definire in molti modi, ma certamente non sconfitta. Ultimo, ma non per questo trascurabile, motivo di stupore, si tratta di una suora.
Già al momento di scendere dall'autobus, gli altri passeggeri le cedono istintivamente il passo. Lei accenna a un ringraziamento chinando il doppio mento, salta giù dalla vettura con insospettabile agilità e attraversa imperiosamente la strada, mentre il velo nero le si gonfia attorno. Alcuni dei presenti, fermi a osservare lo spettacolo a bocca aperta, hanno perfino l'impressione che il vento si sia alzato apposta per conferire grandezza alla sua entrata in scena.
Come suor Mary Stigmata appoggia sul marciapiede la punta squadrata della sua austera scarpa di pelle nera, subito si sente rumore di ferraglia e si apre il portone d'ingresso. Nel fare cenno a tutti d'entrare, la guardia fissa direttamente la religiosa, che abbassa nuovamente il capo in un cenno solenne, quasi che l'orario di visita non potesse cominciare senza di lei. Non è così: molto semplicemente, invece, l'orario in cui viene aperto il portone segue di un minuto esatto quello in cui ferma l'autobus. Si narra, tuttavia, che quando suor Mary non veniva ancora in visita, così come anche adesso nei giorni in cui non si presenta, l'autobus non rispettasse mai la sua tabella di marcia.
In mezzo alle altre donne in possesso del diritto di visita, la suora spicca come una mosca bianca dentro uno sciame di mosche nere. Sebbene visitare i carcerati sia una delle opere di misericordia prescritte, le religiose non compaiono tra gli habitué di questa prigione all'estrema periferia di Chicago. Gli ospiti del carcere possono chiedere di incontrare un ministro del loro culto, se lo desiderano, mentre la domenica padre O'Brien, della vicina Chiesa di Santa Tecla, celebra la messa nei locali della mensa, subito prima dell'ora di cena. L'assistenza spirituale ai detenuti non va oltre. Suor Mary, in ogni caso, non è lì per assolvere a un obbligo derivante dalla sua condizione.
Alcuni degli altri visitatori le indirizzano un cenno di saluto, che lei ricambia gravemente, senza sorridere, mentre cominciano a entrare, uno dopo l'altro, attraverso il portone aperto solo a metà. La suora varca la soglia tra gli ultimi, strusciando l'ingombrante veste contro il metallo verniciato di verde scuro. Non ha fretta, perché già sa che l'attesa sarà lunga, mentre di ogni visitatore sarà accertato il diritto di trovarsi lì. Poi tutti loro saranno collocati nel parlatorio prima che i detenuti vengano fatti entrare e il colloquio possa finalmente iniziare. Tra venire da Chicago e tornare indietro e tutte queste formalità, si finisce con lo stare in giro quasi tutto il giorno, in cambio del dubbio privilegio di scambiare mezz'ora d'imbarazzate chiacchiere con qualche disgraziato in uniforme cilestrina.
Buona parte dell'attesa si svolge in uno stanzone disadorno, arredato con un bel po' di sedie scompagnate e con un paio di attaccapanni sbilenchi. In fondo c'è un banco, simile a quello di un qualsiasi ufficio pubblico, dietro al quale siedono due guardie in là con gli anni, che controllano uno per volta i permessi, fanno firmare l'apposito registro e ricevono i pacchi destinati ai detenuti, che saranno consegnati solo più tardi, direttamente nelle celle. Questo locale è l'unico, tra quelli in cui i visitatori saranno fatti passare, a non avere le sbarre alle finestre, che si affacciano invece su un piccolo giardino interno, dove api, vespe e calabroni ronzano intorno ad alcuni cespugli di rose in fiore. Di fronte si vedono, attraverso i vetri chiusi, le finestre dell'ufficio del direttore, che hanno le tende sempre tirate, non solo per non permettere a sguardi indiscreti di violare la burocratica severità dell'istituzione carceraria ma anche e soprattutto, a quanto dicono i pettegolezzi, per non lasciar trapelare i dettagli del non troppo segreto love affair del principale con la piacente, sebbene matura, segretaria.
È opinione generale che anche suor Mary Stigmata sia al corrente di questa relazione immorale e scandalosa, sebbene nessuno si sia mai sognato di parlargliene. Dopo aver espletato le formalità burocratiche, la religiosa siede eretta su una delle scomode sedie riservate ai visitatori, fissando il muro scrostato di fronte con espressione imperturbabile come se avesse l'eternità davanti a sé. Alcuni dei presenti chiacchierano tra di loro a voce bassa, nel tono di circostanza tipico delle anticamere degli ospedali e dei tribunali. Ci si raccontano le ultime novità: la speranza di un rilascio ormai imminente o di una revisione del processo oppure, al contrario, la tegola di una nuova imputazione cascata tra capo e collo; oppure si raccomanda un avvocato come altrove si consiglierebbe un dentista o un idraulico.
Suor Mary lascia cadere qualche parola, offrendo la sua illuminata opinione con l'aria modesta di chi è solo un intermediario tra l'ascoltatore e l'Onnipotente. Nonostante il tono autoritario e troppo alto, tipico delle maestre e di chiunque abbia lavorato a lungo con i bambini, ha una voce gradevole e ben impostata, che è facile immaginare mentre si leva limpida e decisa nel coro della chiesa. Una bella donna, un po' ansimante per il ritardo, si aggiunge alla piccola comitiva solo in quel momento e si siede subito accanto a una vecchia, attaccando discorso con lei senza quasi salutare, come se riprendesse una conversazione interrotta solo poco prima.
"E così, non manca molto" dice gettando un'occhiata alla suora ed evitando ostentatamente di salutare. La sua interlocutrice, che non ha potuto fare a meno di notare la manovra, sembra divisa tra l'imbarazzo e la gratitudine, giacché, se è vero che fino a un attimo prima stava chiedendo proprio a suor Mary Stigmata un rimedio contro le coliche intestinali dei neonati, è alla concessione della libertà sulla parola a suo figlio che si riferisce la nuova venuta. Grazie alla giovane età e all'assenza di qualsiasi precedente, Lou Marino sarà il primo della banda a lasciare il carcere; e potrebbe tornare al suo vecchio lavoro di lavapiatti, se la signora Murphy fosse disposta a riassumerlo.
Suor Mary sbuffa piano, ma abbastanza forte da farsi sentire, mentre un uomo al quale la mancanza del mento e lo sguardo inquieto danno un'aria sfuggente, si sporge dal suo posto per salutare la signora Murphy, con una cordialità che i maligni potrebbero pensare sia dovuta al fatto che la nuova venuta ha un bel paio di gambe, per non parlare del resto.
"Come va il locale, signora?"
"Me la cavo, grazie" risponde lei, cortese ma asciutta. Si capisce subito che si è abituata a non dare troppa confidenza agli uomini, mentre il suo è in galera. "Suo fratello come se la passa?"
"Bene" si entusiasma l'altro. "Ha servito alla cena che il direttore ha offerto al vicegovernatore la settimana scorsa, sa? Il vicegovernatore ha detto che il servizio è stato impeccabile."
"Non mi sorprende: suo fratello è un eccellente maitre" dichiara la signora Murphy. Si sistema meglio sulla seggiola, controlla che l'ultimo bottone della severa camicetta di lino bianco sia ben chiuso e guardando fissamente la suora, prosegue: "Infatti, aveva un ottimo posto e l'avrebbe ancora, se non si fosse lasciato coinvolgere in quella sciagurata impresa da quei due bianchi pazzi, disgraziati e irresponsabili."
La religiosa sbuffa ancora, questa volta un po' meno piano.
La vecchia signora Marino tossicchia e comincia "Ar…"
"Non intendevo essere razzista" chiarisce la signora Murphy, rendendosi conto della serie di facce bianche che si sono girate verso di lei. "Sono certa che non tutti i bianchi siano come quei due imbecilli incoscienti."
A questo punto suor Mary Stigmata sbuffa così forte che il velo le si solleva da una parte e il crocefisso che porta appeso al collo ondeggia leggermente.
Sull'onda di un'indignazione a lungo covata, la signora Murphy è lanciata come un treno in corsa.
"Il problema è quando non c'è una famiglia alle spalle ma si viene tirati su solo per carità: non si ha nessun rispetto né per le altre persone né per le loro proprietà" dice in tono di sfida.
Sebbene non sia chiaro se intenda insultare solo i trovatelli di razza caucasica o gli orfani in generale, la provocazione nei confronti della direttrice dell'istituto in cui sono cresciuti Jake ed Elwood Blues è più che evidente. Alcuni dei presenti cominciano visibilmente a ingobbirsi e restringersi sulle loro sedie, come se stessero per levarsi raffiche di vento gelido.
La religiosa emette un sospiro, che sembra il sibilo di un serpente pronto ad attaccare; poi socchiude gli occhi e fissa la signora Murphy, che coraggiosamente non rinuncia a proseguire, sebbene non riesca a evitare che un lieve tremito s'insinui nella sua voce.
"Mio marito sarebbe ancora con me a cuocere hamburger, se non si fosse lasciato irretire da quei due. Sarebbe un uomo libero."
"Libero?" le chiede suor Mary Stigmata. È la prima parola che le rivolge direttamente. Qualcuno degli astanti ridacchia. La signora Marino si mette le mani davanti alla bocca e passa lo sguardo dall'una all'altra delle due contendenti, chiaramente incapace di scegliere tra la solidarietà verso la datrice di lavoro del figlio e il timore reverenziale che la religiosa suscita in tutti quelli che la circondano.
"Più libero che dietro le sbarre" concede la moglie del chitarrista dei Never too late to mend (1). "Io non ho mai impedito a Matt di suonare dopo il lavoro. Di solito partecipando a un concerto per beneficenza non si accumulano quattro diverse imputazioni per danneggiamento, violazione della proprietà privata, favoreggiamento e frode. Ma se ci sono di mezzo due delinquenti come Jake ed Elwood Blues, allora è così che va a finire."
Suor Mary diventa rossa per l'indignazione.
"I miei ragazzi non sono dei delinquenti" risponde scandendo le parole.
"Ah, no? Quindi secondo lei si troverebbero qui dentro per un errore giudiziario" fa la signora Murphy, sarcastica.
Nonostante sappia che i fratelli Blues hanno commesso più reati dei grani che compongono il suo rosario, l'altra non si lascia smontare così facilmente: "Agli occhi degli uomini possono essere dei delinquenti, ma agli occhi di Dio sono dei bravi ragazzi. Un po' esuberanti, ma bene intenzionati."
"Bene intenzionati?" se la signora Murphy non avesse la pelle nera, sarebbe il suo turno di arrossire d'indignazione. Le parole le si strozzano in gola. "Esuberanti? Si rende conto o no che con quello che hanno distrutto, se lo sarebbe potuta costruire due volte, il suo dannato orfanotrofio? Altro che cinquemila schifosi dollari di tasse."
Alla fine di questo discorso, che tutti hanno potuto sentire perché pronunciato a voce alquanto alta, cala nella sala d'aspetto un incredulo silenzio. Dalla parte opposta della stanza, un visitatore che sta mostrando il contenuto della sua borsa e la guardia che lo sta visionando si bloccano in posizione e girano lentamente la testa verso la scena. Alcuni dei presenti alzano istintivamente lo sguardo verso l'orologio appeso alla parete, allo scopo evidente di fissare l'evento nel tempo. Tra le molte cose che suor Mary Stigmata depreca, il turpiloquio ha forse il primo posto, venendo ancor prima del dilagare di gravidanze tra le minorenni e il consumare carne i venerdì di Quaresima. Qualcuno che si è malauguratamente lasciato sfuggire un'imprecazione al suo cospetto afferma che ella possa inseguire il responsabile levitando come San Giuseppe da Copertino. Altri, meno ferrati in agiografia, hanno parlato schiettamente di superpoteri e di film dell'orrore.
Questa volta, però, chi si aspettava di assistere a fenomeni soprannaturali resterà deluso, perché la suora, che mentre la signora Murphy parlava è diventata dapprima rossa e poi livida in viso, intanto che le vene del collo le si sono gonfiate sempre più, pare ricordarsi all'improvviso la cristiana virtù della pazienza. Unisce le mani grassocce e si china verso la combattiva proprietaria di tavola calda che ha avuto il coraggio di tenerle testa, probabilmente anche perché, grazie alla sua fede battista, ha avuto di rado l'occasione di frequentare spose di Cristo del suo stampo.
"Il suo attaccamento verso suo marito, cara signora" replica "le fa onore. Nonostante lei non sia cattolica, si vede che prende molto sul serio il sacro vincolo del matrimonio cristiano. Tuttavia, parlare in questi termini dei miei ragazzi non è affatto caritatevole."
La signora Murphy, presa alla sprovvista, apre e chiude la bocca un paio di volte, come se avesse perso la voce, mentre al suo fianco la Marino si lascia sfuggire un sospiro di sollievo.
"A tutti i miei ragazzi insegno a rispettare i Dieci Comandamenti, ma è difficile mantenere la retta via quando tutto quello che si ha avuto dalla vita sono vestiti smessi, una suora brontolona e la compagnia di altri sfortunati." Sebbene suor Mary non lo descriva, i presenti possono vedere con gli occhi dell'immaginazione quello che Jake ed Elwood hanno chiamato casa: file di lettini tutti uguali, tavoli rivestiti di tela cerata e lunghi corridoi illuminati da lampade al neon. "Nonostante ciò e per la grazia dell'Onnipotente, molti dei miei ragazzi diventano stimabili membri della società. Altri invece sono destinati a passare in posti come questo gran parte degli anni che Dio concederà loro. Ne ho visti tanti, dannare la loro anima immortale conducendo una vita peccaminosa, e rovinarsi la salute e l'esistenza con le male azioni e la dissolutezza."
Se qualcuno di coloro che stanno ascoltando si sente toccato sul vivo da queste parole, non protesta: anche se si ritiene una vittima della società, in fondo al suo cuore sa che c'è stato almeno un momento in cui avrebbe potuto scegliere diversamente, dire di no o, al contrario, cogliere al volo l'occasione di ravvedersi. Magari una volta soltanto, breve come un battere di ciglia, ma c'è stata.
"Ne ho visti tanti e ho pregato per ognuno di loro, perché trovasse la sua strada. Di alcuni, peccando di immodestia, sono orgogliosa. Per altri prego ancora, ogni giorno, perché si pentano prima che sia troppo tardi. Tra tutti i miei ragazzi, però, quei due, quelli che lei chiama delinquenti, pazzi e disgraziati…"
"Irresponsabili. Più che altro, irresponsabili" interrompe la signora Murphy, ma non è più arrabbiata; anzi, un lieve sorriso le aleggia sulle labbra.
"Irresponsabili, infatti" sospira suor Mary. "Mi rimprovero per non aver insistito abbastanza, con quei due ragazzi, sulla virtù della prudenza e su quella della temperanza. Sì, certamente io sono da biasimare per la loro condotta, forse ancor più di quanto non siano da biasimare essi stessi."
A questo punto, un interlocutore addentro nella dottrina cattolica insinuerebbe che la religiosa potrebbe piuttosto aver insistito troppo su un'altra delle virtù cardinali, cioè la fortezza, dal momento che non c'è dubbio che i fratelli Blues abbiano resistito alle avversità, senza che nulla li distogliesse dal loro scopo. La signora Murphy, però, è stata educata nella fede di Lutero e di Calvino. Inoltre ha sempre pensato che quando i due pazzi asserivano di essere "in missione per conto di Dio" farneticassero. O bestemmiassero. O entrambe le cose.
"Non è certamente colpa sua, madre" interviene invece timidamente la signora Marino, che forse si sente chiamata in causa per non essere riuscita a tenere fuori dai guai il più piccolo dei suoi figli. La suora non si lascia tentare dalla strada dell'auto indulgenza, bensì sospira gravemente: "Non posso fare a meno di pensare altrimenti, di ripetermi che avrei potuto fare di più affinché non abbandonassero la retta via. Io conosco bene quel paio di furfanti e so che il loro cuore è buono. Ne ho visti passare tanti, di cattivi, d'indolenti e persino di malvagi, ma Jake Papageorge ed Elwood Delaney possiedono ancora il candore di due fanciulli: in questo mondo dominato dall'avidità e dall'egoismo sono due mosche bianche, ecco che cosa sono."
Dopo essersi lasciata andare a questa arringa difensiva, suor Mary Stigmata occhieggia severamente il suo uditorio con espressione arcigna, come a volerlo sfidare a trarre dalle sue parole qualche indebita conclusione riguardo alla fondatezza di quella reputazione d'inflessibile severità che si è guadagnata in quarant'anni di vita religiosa. Forse intimoriti dalla minaccia di quegli occhi azzurri come lame ben affilate o forse increduli di ciò che le loro orecchie hanno appena sentito, i presenti tacciono. Alcuni si chiedono anche chi diavolo siano Papageorge e Delaney, dal momento che i veri cognomi dei fratelli Blues sono noti solo all'anagrafe e alla burocrazia. Persino il giudice, al processo, continuava a sbagliarsi.
La combattiva e battista signora Murphy, però, non rinuncia ad avere l'ultima parola. "Lei, che li difende tanto, sorella" dice alla fine, un po' impietosita dall'evidente attaccamento di questa vecchia cornacchia per quei due disgraziati "dovrebbe almeno sapere come la chiamano alle sue sp..."
"Pinguina" la interrompe prontamente l'altra. "Lo so benissimo. Da molti anni." Questa nuova, stupefacente dichiarazione è seguita da un rumore strano, un roco ruggito intervallato da una sorta di singhiozzare asmatico, di cui a tutta prima nessuno sa riconoscere l'origine, finché nella mente dei presenti non si fa strada la consapevolezza di stare assistendo a un fatto inaudito: suor Mary Stigmata sta ridendo.
"Pinguina" ripete scuotendo la testa, mentre la sua ilarità lentamente si spegne. "Perché la mia veste è bianca e nera, suppongo" aggiunge, abbastanza inutilmente, a mo' di spiegazione.
"Allora, vogliamo andare? Potete passare in parlatorio, adesso" interviene a questo punto una delle due guardie. La sua espressione dice inequivocabilmente quello che sta pensando: 'Dovevo vedere anche questa: suore che ridono. E qui dentro, per giunta.'
In mezzo al rumore delle sedie che vengono trascinate sul pavimento, l'uomo comincia a leggere i nomi dei visitatori dall'elenco che ha in mano.
"Brown Clara e Brown George. Marino Eleonora. Harris Mary Elisabeth…"
Quando arriva al suo nome, anche suor Mary Stigmata prende posto insieme con gli altri, che si mettono in fila come a scuola, formando una serpeggiante coda davanti alla porta laterale. Il suo abito ingombrante e austero spicca tra i jeans e le camicie di garza degli uomini e tra i vestiti colorati e leggeri delle altre donne. La signora Marino, che non è lontana da lei, le rivolge un sorriso d'intesa. È impaziente di rivedere il suo Lou e di parlare delle belle novità. La signora Murphy, che è arrivata tardi, è in fondo alla fila e si fa aria con un ventaglio di carta che ha tratto dalla borsetta, perché lo stato dell'Illinois non ha soldi da spendere per l'aria condizionata delle sue prigioni. Anche negli uffici e nei locali delle guardie si muore di caldo, quasi come nelle celle.
Quando percorrono un lungo corridoio tortuoso e privo di finestre, i visitatori cominciano a sentirsi veramente in prigione. Parlano a voce bassa e affrettano il ritmo dei loro passi, che risuonano in quello spazio privo di arredi come in un museo. Le luci al neon li fanno sembrare tutti malaticci e troppo bianchi, come piante che crescono al buio, anche gli afroamericani che, curiosamente, non sono immuni a questo fenomeno. La pelle chiara di suor Mary si confonde addirittura col soggolo candido, così da farla somigliare al fotogramma sbiadito di un vecchio film in bianco e nero. Alla fine del corridoio, si entra in una stanza dove si svolge l'ultima sosta, prima di raggiungere finalmente il parlatorio. Le grandi finestre, munite di solide sbarre, affacciano a poca distanza del muro di cinta, che copre ogni altra visuale. Ci sono delle panche di legno, residuo dei tempi in cui i colloqui si svolgevano all'aperto, prima che l'area a ciò destinata fosse occupata da una nuova ala del carcere, poiché la dimensione delle prigioni di stato continua ad aumentare insieme al numero dei detenuti.
"Questo pavimento non è molto pulito" sospira la madre di Lou, che è famosa in tutto il vicinato per quanto la sua casetta è linda e tirata a lucido.
Suor Mary Stigmata, che combatte la sporcizia dei pavimenti quasi si trattasse di una diretta manifestazione del Maligno, fa uscire inorridita uno strozzato: "È lurido." Si direbbe che l'indignazione le abbia tolto la voce.
"Il parlatorio è molto meglio" la conforta la piccola signora Marino "Le volevo chiedere... i parlatori, ci sono anche nei conventi, non è vero?"
Un lievissimo sorriso nasce sulle labbra di suor Mary. Le suore dell'orfanotrofio non vivono in un vero convento, sebbene nel loro piccolo appartamento ci sia una statua della Madonna. Non c'è né lo spazio né la necessità di un parlatorio, poiché il loro ordine non serve il Signore attraverso la clausura bensì operando nel mondo. Nella casa madre, in Irlanda, è molto diverso. Oltre a lunghi e tranquilli corridoi e porticati gioiosamente battuti dal vento, non mancano uno sterminato refettorio dall'altissimo soffitto e una splendida cappella luccicante di decorazioni dorate e di marmi bianchi, con una nicchia piena di fiori da dove una tenera Maria col suo Bambino in collo tiene d'occhio tutte le sorelle, dalle novizie sventate e piene d'energia alle vecchie suore pazienti e mezze sorde. Là c'è anche un grande parlatorio, con sedie e tavoli di legno massiccio, lustrato e incerato da generazioni di mani premurose; con alti soffitti a volta e grandi finestre dai vetri piombati, sui quali scintillano le gocce di pioggia e si riflettono i raggi del sole. Suor Mary vi ricevette la visita, più di quarant'anni fa, dei suoi stizziti genitori benestanti e bene istruiti, che non si capacitavano che la loro caparbia figliola volesse prendere il velo.
"Sì, ci sono i parlatori nei conventi, ma sono molto diversi da questo."
Una guardia chiama la signora Marino e la fa entrare in parlatorio. È un ragazzo giovane, che non dà confidenza, diversamente dal suo collega dell'ufficio all'ingresso, ritornato al suo posto dopo aver accompagnato qui i parenti in visita. Il suo compito consiste nel sistemare tutti i visitatori in posti prefissati lungo questo lato del lungo bancone che divide il parlatorio a metà, prima che i detenuti vengano fatti entrare uno alla volta da un'altra porta per andarsi a sedere di fronte ai loro parenti. Lo svolge con la faccia dura di chi tende ad approfittare della sua posizione e infatti, quando viene il turno di suor Mary, le intima villanamente di spicciarsi. Senza rispondere, lei gli rivolge la sua collaudata occhiata di rimprovero, quella con cui ha tenuto in riga intere generazioni di orfanelli e convinto stuoli di fornitori a concedere l'ennesima proroga.
Il vice-procuratore ha sudato freddo quando si è trovato davanti questa particolare testimone, primo perché gli sembrava di essere ritornato all'asilo, secondo perché l'inflessibile virtù dell'anziana suora rischiava di estendersi fino ai malriusciti prodotti della sua opera educativa, soprattutto dopo che l'avvocato difensore era riuscito a estorcere dagli imbarazzati coimputati dei fratelli Blues l'ammissione che costoro sembravano sinceramente convinti di essere in missione per conto di Dio. Per fortuna dell'accusa, suor Mary si è invece dimostrata genuinamente costernata davanti a una simile ipotesi.
Mentre la guardia scortese abbassa gli occhi, la religiosa entra solennemente nel parlatorio e si siede con grande compostezza al posto che le è stato indicato. Immobile come una statua di gesso, rimane in attesa. Solo gli occhietti, sprofondati in quel faccione severo, si spostano da una parte all'altra, osservando il movimento dei parenti che prendono posto uno per volta, finché non hanno occupato tutta la lunga fila di sedie, davanti alla rete metallica che renderà impossibile ogni contatto fisico con i detenuti. Nonostante la signora Murphy sia stata tra gli ultimi ad accomodarsi, il marito entra nel parlatorio per primo, scortato da una delle due guardie che assisteranno ai colloqui. La sua faccia simpatica s'illumina di gioia nel vedere la moglie, che non può fare a meno di sorridergli in risposta; mentre lui corre a occupare la sedia di fronte a lei, già si è dimenticata tutti i rimproveri e gli ammonimenti che gli voleva rivolgere. Si toccano la punta delle dita, attraverso i buchini della rete. Matt si volta di qua e di là e saluta calorosamente i parenti dei vecchi amici, compresa suor Mary, che non aveva mai incontrato prima del processo e a proposito della quale - e delle sue responsabilità in tutta la disgraziata faccenda - ha avuto lunghe discussioni con la moglie.
"Adesso arrivano, ho visto che li mandavano a chiamare" la rassicura cordiale.
"Grazie" dice la religiosa, rinunciando alla sua immobilità per girarsi verso di lui. "Come sta, signor Murphy? Lavora sempre nelle cucine?"
"Oh, sì."
"Bene" approva suor Mary "È certamente una cosa positiva che lei possa mettere a frutto le sue capacità anche in queste disgraziate circostanze."
La signora Murphy non dice niente, ma pensa che dev'essere lungo e scomodo il viaggio di ritorno fino all'orfanotrofio. Forse potrebbe offrire un passaggio in macchina all'anziana suora. Solo perché avere compagnia la distrarrebbe dal pensiero di aver lasciato Matt lì dentro e di non poterlo più rivedere per chissà quanto tempo. Per nessun'altra ragione che questa, sia chiaro. "Abbiamo ricostituito la banda" continua lui nel frattempo. "I ragazzi ed io suoniamo, Jake ed Elwood cantano, proprio come prima. Gli lasciano perfino mettere la giacca e il cappello, sa. Mi sembrano felici, tutto sommato."
Un sorriso sghimbescio attraversa brevemente il viso severo della suora, che sospira sottovoce: "Sono contenta di sentirlo", prima che la sua attenzione sia distolta dall'ingresso dei fratelli Blues. Come vedono la loro visitatrice, i due visibilmente arretrano, ma trovano nella massiccia guardia alle loro spalle un invalicabile ostacolo. La faccia tonda di Jake e il lungo viso impassibile dell'allampanato Elwood si riempiono di costernazione, mentre subito la voce di suor Mary si leva sopra il chiacchiericcio del parlatorio, alta e minacciosa come un brontolio di tuono. A giudicare dal suo atteggiamento, nessuno penserebbe che fino a pochi minuti fa li abbia difesi a spada tratta.
"Voi due disgraziati delinquenti" inizia solennemente la sua invettiva, puntando il dito contro i malcapitati, che dopo essersi scambiati uno sguardo sgomento, si avvicinano lentamente, guardando nel frattempo la rete metallica come per assicurarsi che offra loro sufficiente protezione. "Possibile che nemmeno in questo luogo di espiazione siate indotti a riflettere seriamente sui vostri peccati?" prosegue inesorabile suor Mary Stigmata con voce sempre più alta, mentre Jake ed Elwood, a testa china, occupano le due sedie di fronte a lei. "Veramente non riesco a credere che possiate essere così sconsiderati, da passare il tempo suonando e ballando invece di pentirvi delle vostre malefatte!”



(1) Cioè Mai troppo tardi per ravvedersi, ovvero il nome con cui la band suona nella mensa della prigione, almeno a giudicare dalla scritta che leggiamo nell'ultima scena del film.

  
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