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Autore: rossella0806    16/11/2014    3 recensioni
Piemonte, inizi del 1900.
Adele ha appena vent'anni quando è costretta a sposare il visconte Malgari di Pierre Robin, di quindici anni più vecchio, scelto in circostanze non chiarite dal padre di lei, dopo la chiusura in convento di Umberto, il ragazzo amato da Adele.
I genitori del giovane, infatti, in seguito ad una promessa fatta a Dio per risparmiarlo dalla tubercolosi, non ebbero alcun dubbio a sacrificare il figlio ad una vita di clausura, impedendogli di scegliere una strada alternativa.
Sono passati due anni dal matrimonio e dall'allontanamento forzato da Umberto, e Adele si è in parte rassegnata a condurre quell'esistenza tra Italia e Francia, circondata da persone che non significano nulla per lei, in balia di un marito che non ama, fino a quando, una sera di marzo, giunge a palazzo una lettera di Umberto, che le confessa di essere scappato dal convento di monaci e che presto la raggiungerà per portarla via.
Genere: Avventura, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Adele si sposò che aveva vent’anni. Secondo le regole sociali dell’epoca era già vecchia: sua madre, sua nonna, sua sorella, tutte si erano sposate prima, mentre lei non aveva trovato un buon marito fino a quell’età.
In realtà un giovanotto che le faceva la corte c’era stato, ma le due famiglie non avevano dato la loro benedizione a un eventuale matrimonio, perché il ragazzo era destinato a farsi monaco: Dio l’aveva guarito dalla tubercolosi e così, i genitori, in cambio della vita del loro secondogenito, lo avevano condannato contro la sua volontà ad entrare in convento.
Tutto questo era successo un anno prima del suo matrimonio, ma Adele si ricordava ancora molto bene di quello che avrebbe voluto fosse suo marito: rammentava con estremo piacere le lunghe passeggiate in campagna, le conversazioni sulle ultime novità letterarie, l’allegria dei suoi occhi, le caldi mani che la aiutavano a salire in carrozza, i sorrisi che si scambiavano quando parlavano dei viaggi che avrebbero voluto fare insieme.
Poi Umberto si ammalò e lei pensò di perderlo per sempre.
Le lunghe notti insonne che la tormentavano, le preghiere nella cappella di famiglia, l’immensa gioia della guarigione dell’innamorato, e poi la terribile notizia della sua clausura: Adele era venuta a saperlo tramite una lettera, qualche riga che lui le aveva scritto quando ormai era già in viaggio verso un convento di cui nessuno le aveva voluto rivelare il nome.
La disperazione, la delusione, l’amarezza e la rabbia presero il sopravvento su Adele, che cominciò a divenire apatica e perse la gioia di vivere.
Passava le sue giornate a ricamare, qualche volta suonava svogliatamente il pianoforte o leggeva con malinconia i libri di cui aveva parlato con Umberto, ma non partecipò quasi più alla vita mondana, se non quando la madre la obbligava ad andare a trovare la sorella maggiore che aveva avuto un bambino da pochi mesi o quando organizzarono il ricevimento per il ritorno di Alberto, il  primogenito, dall’Accademia militare.
Quando il padre, qualche mese dopo l'allontanamento dall'innamorato, le comunicò che aveva finalmente trovato uno sposo degno di lei, la giovane non se ne dispiacque più di tanto: annuì rassegnata al suo destino, in cuor suo forse fu addirittura felice -se così si può definire quello strano sentimento che provò- al pensiero che avrebbe per sempre abbandonato quei luoghi e quella casa che tanto l’avevano delusa.
Ora Adele era sposata da quasi due anni, ma era come se non lo fosse.
Suo marito non era quasi mai presente: il  visconte, infatti, era proprietario della maggior parte delle terre che si trovavano al confine con la Francia, e molto spesso viaggiava in quei luoghi per sistemare piccole questioni e per visitare i suoi possedimenti.
Nei primi mesi di matrimonio, anche Adele si era recata diverse volte con il marito, e quei viaggi l’avevano risollevata per qualche giorno dalle sue pene.
Non si era mai allontanata dalla sua casa d’origine, se non per andare in villeggiatura d’estate alla villa di famiglia sul lago, e quei territori a lei sconosciuti, le erano apparsi stranamente incantevoli: le immense distese di campi coltivati, le foreste, i palazzi del visconte, le cene con la sua nuova famiglia, tutto all’inizio non le dispiacque affatto poi, con il passare del tempo, anche queste novità così gradevoli, si rivelarono monotone e quasi noiose.
Così Adele cominciò a prendere la scusa che i viaggi in carrozza le davano disturbo, preferendo invece restare nella sua nuova casa, a una dozzina di chilometri dalla sua terra di origine, non abbastanza lontano da quello che aveva immaginato, ma sufficientemente vicino da martoriarsi con il ricordo di un passato ormai distante eppure ancora così felice.
Il visconte suo marito aveva quindici anni più di lei, ma nonostante questo aspetto del tutto trascurabile, Adele lo trovava un uomo affascinante e dalle vedute piuttosto ampie: si interessava di musica, letteratura e di arte, adorava i cavalli, amava i suoi cani e il gatto come se fossero dei figli, e con la moglie era affettuoso quanto bastava, ma era palesemente evidente che quel matrimonio non lo aveva cercato con convinzione, era uno dei tanti trofei e possedimenti che si aggiungevano alla sua lunga liste di cose e persone.
E anche fisicamente era piuttosto attraente: aveva lunghi capelli corvini raccolti in un codino, gli occhi verdi tremendamente espressivi, la bocca carnosa in netto contrasto con il naso aquilino, e poi era forte e alto, molto più alto di suo padre e di suo fratello.
Adele non lo aveva mai visto prima della festa di fidanzamento, e non riusciva a capire come e quando suo padre lo avesse conosciuto, ma qualche ora dopo la fine del ricevimento, si era già dimenticata di questo particolare.
 
Una mattina di marzo, un paio di settimane dopo che l’ultima neve si era sciolta nel grande parco che circondava la villa, i due coniugi stavano godendo di quel tempo finalmente clemente, quando improvvisamente la giovane voce di lei, ruppe l’abituale silenzio dei pasti:
“Siamo sposati da due anni e ancora non avete cercato di avere un figlio. Perché?”
Adele e il visconte erano seduti in veranda per la colazione: la giornata era mite, tipicamente primaverile, e la pioggia dei giorni passati aveva lasciato solo le sue gocce cadere dalle foglie dei querceti del giardino.
“Un anno e otto mesi per la precisione, mia cara” rispose l’uomo, pulendosi la bocca e appoggiando la tazza di caffè di fianco al tovagliolo.
Adele abbozzò un sorriso:
“Vi ricordate esattamente la data. Credo siate uno dei pochi mariti ad esser così precisi su questioni come questa”
“E non vi fa piacere?”
“Certo che sì, tuttavia non avete ancora risposto alla mia domanda”
“Ma non credo ci sia una risposta giusta da dare. Semplicemente non abbiamo fatto nulla che potesse far nascere un figlio. Siete soddisfatta?”
“Per nulla. E’ troppo banale come risposta: voi siete sempre via, e io non sono presente come una moglie degna di tale nome dovrebbe essere. Tuttavia vorrei avere un figlio, Francesco. Mia sorella ne ha già due, mio fratello a breve si sposerà, e io non voglio e non posso essere da meno e…”
“Quanto parlate questa mattina! Avete fatto qualche incubo, presumo, per avere una paura così ingiustificata! State tranquilla: se è solo questo che volete, cercherò di accontentarvi”
“Molto bene. Dovremo trovare un compromesso: viaggerete di meno, dormiremo nello stesso letto…”
“Aspettate un momento!” sul volto perfettamente glabro dell’uomo, si dipinse un ironico sorriso “anche voi, cara moglie, potreste accontentarmi, accompagnandomi quando vado in Francia. Lo sapete molto bene, lì ho la mia famiglia e tutti i possedimenti che ci permettono di condurre una vita così agiata. Anzi, comincio a dubitare che i vostri disturbi che vi affliggono da così tanto tempo, siano inventati di sana pianta”
Adele sorride a sua volta, le labbra umide dell’ultimo sorso di tè alla vaniglia.
“Avete ragione. La carrozza mi annoia con tutti quei colpi e sobbalzi. Dovremmo prendere il treno, è più comodo e veloce, e vedrete che ricomincerò a venire con voi. Ve lo prometto”
“Sì, ma il viaggio così si allungherebbe: dovremmo fare ugualmente un’ora in carrozza. Però se è questo che volete, allora ben venga. Pur di avervi con me, sono disposto a prendere il treno!”
“Molto bene. Quando partiamo?”
Il visconte guardò la moglie sempre più divertito, scuotendo leggermente la testa:
“Adele, così mi preoccupate! Perché tutta questa fretta? Sono tornato appena ieri sera, fatemi riposare per un paio di giorni, e poi potremo partire”
“Avete ragione, è solo che sono stanca di stare sempre qui, rinchiusa tra queste quattro pareti. Ora scusatemi, ma vorrei andare a fare una passeggiata in città” la giovane moglie si rimbocca il lungo abito color avorio così simile alla sua carnagione, poi con un leggero inchino fa per allontanarsi, quando viene richiamata dalle parole gentili del marito:
“Volete che vi accompagni?” propone il visconte alzandosi a sua volta.
“No, prenderò la diligenza. A più tardi, Francesco”
 
 
La lettera era arrivata il giorno prima: dire che l’aveva sconvolta, non sarebbe bastato per esprimere lo stato d’animo in cui si trovava.
Non sapeva come Umberto fosse riuscito a sapere il suo nuovo indirizzo, e soprattutto chi glielo avesse dato, dal momento che aveva rotto qualsiasi contatto sia con la sua famiglia che con quella di lei.
La notte  Adele non aveva dormito:  dopo averla riletta tre volte appena la cameriera personale gliel’aveva portata, l’aveva accartocciata e gettata in un angolo della sua camera.
Ma la sera, dopo che il visconte era tornato da uno dei suoi soliti giri notturni, per la paura che lui la scoprisse, aveva recuperato con la disperazione nel cuore la lettera per nasconderla sotto il cuscino.
E alla luce dell’alba l’aveva riletta ancora una volta:
 
Adele, amore mio,
riconosci la mia scrittura? Sono Umberto! Non sai che gioia quando finalmente sono riuscito a scappare dal convento e ad avere tue notizie.
Non desidero altro che rivederti! E’ passato così  tanto tempo! Come stai, mia cara? Ho saputo che ti sei sposata, che ti hanno obbligato, ma stai tranquilla: verrò a prenderti molto presto, e finalmente potremo vivere insieme, per sempre.
Scrivimi all’indirizzo qui sotto per dirmi quando potrò finalmente raggiungerti!
A presto, ti abbraccio e ti bacio,
Tuo Umberto
 
 
Dio mio, continuava a ripetersi Adele, perché questa lettera è arrivata solo adesso? Perché Umberto non era riuscito a fuggire prima? Solamente due anni, solo settecentotrenta giorni, e la sua vita, anzi la loro vita, non sarebbe stata distrutta per sempre.
Nella sua stanza, la camera che da quasi un anno non divideva più con il visconte suo marito, la giovane sposa, continuava a camminare a passi veloci, avanti e indietro, quel mucchietto di parole ormai accartocciate tra le sue dita fredde e tremanti.
Il cuore le batteva furiosamente, il respiro diventava minuto dopo minuto, accelerato e pesante, come mai prima di allora.
Non doveva andare proprio da nessuna parte Adele, quella raccontata appena pochi minuti prima a Francesco, era solo una bugia, ma aveva un bisogno folle di riflettere, perché altrimenti la sua testa sarebbe scoppiata, la sua voce avrebbe gridato al mondo intero che, presto, Umberto sarebbe tornato a prenderla!
Riconosceva i suoi errori di moglie, di sposa che non aveva soddisfatto i desideri del marito, anche se lui non le aveva mai rimproverato nulla, tantomeno l’aveva biasimata quando lei, la scorsa primavera, gli aveva domandato se sarebbe stato un problema dormire in camere separate, attigue sì, ma non la stessa.
“Viaggiate ogni mese, state via per così tanti giorni, che ormai non sento più la vostra mancanza quando non ci siete, e non avverto la vostra presenza quando siete con me” era riuscita a dirgli allora.
Ma ora tutto stava precipitando: da qualche mese un desiderio irrefrenabile di maternità le divorava l’anima, la notte si struggeva non più pensando solo ad Umberto, il suo unico vero amore, ma anche ad un bambino che così tanto avrebbe voluto per colmare quelle giornate interminabili di solitudine.
E quella mattina, finalmente, il suo sogno era ad un passo dall’avverarsi: Francesco le aveva promesso che presto le avrebbe dato un figlio, eppure … avrebbe potuto fuggire con Umberto, avere dei bambini con lui, ma qualcosa la bloccava.
Mi sono rassegnata, ammise a se stessa, è passato così tanto tempo che non riesco più ad immaginare la mia vita con lui. Ma lo voglio, lo voglio immensamente, lo desidero come non ho mai desiderato niente o nessuno, però se fuggo, di cosa vivrò? Come potremo mantenere i nostri bambini?.
Adele nascose nuovamente la lettera ormai spiegazzata sotto il cuscino: si cambiò d’abito velocemente, indossando il vestito di velluto nero con i merletti all’orlo e alle maniche, che era solita indossare quando andava a cavalcare e, il sangue che le ribolliva nelle vene, uscì dalla stanza.
 
   
 
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