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Autore: ValeDowney    16/11/2014    6 recensioni
"Storybrooke sembra una cittadina come tutte le altre, se non fosse per il fatto che non è sulle carte, nessuno sa della sua esistenza e i cittadini sembrano nascondere qualcosa. Rose, una bambina dolce ma curiosa e sempre in cerca di guai, scoprirà, insieme al suo amico Henry, che qualcosa di magico si aggira per quella città"
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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The Rose of true Love
 
Note dell'autrice: Buona sera a tutti. Mi scuso già in anticipo con quelli che leggeranno,recensiranno o leggeranno solo. Questa è la mia primissima fanfict sul mondo di Once Upon a Time (ho lasciato per un attimo da parte Tony Stark e pirati maledetti), quindi perdonatemi se per alcuni personaggi sono uscita dal loro carattere normale o ho fatto qualche errore. Questo è il primo capitolo, ma l'ho diviso in due parti, per via della lunghezza ( ed anche perchè non voglio annoiarvi troppo). Il mio personaggio preferito, ovviamente, è il nostro caro Rumple (Tremotino) ed ho pensato ( ma ho visto in giro altre fanfict) se avesse una figlioletta (poi spiegherò dove e quando è nata) come sarebbero andate le vicende nella calma (si fa per dire) cittadina di Storybrooke.

 
Capitolo I: Un fiore per Gold - Prima Parte



 
“Buongiorno, Storybrooke: è un’altra giornata soleggiata in questa bellissima cittadina del Maine e ci siamo sempre noi due a tenervi compagnia: Redford “Red” Foxy e…” iniziò col dire il ragazzo.
“…Cathy Stevensons; due ore intere di notizie e gossip sui nostri amati cittadini. Quindi restate sintonizzati su Radio Storybrooke, la radio dove ogni sogno si avvera” finì col dire la ragazza, mentre le loro voci si diffondevano da alcuni altoparlanti attaccati ai pali della luce posti lungo le strade. I cittadini di Storybrooke stavano per iniziare un’altra giornata, riprendendo le loro routine quotidiane.

Una bambina, dai capelli ricci e gli occhi marroni, si guardava intorno con curiosità mentre passeggiava sul marciapiede, mano nella mano con una persona; l’uomo abbassò lo sguardo e, sollevandolo di nuovo, disse: “Rose, tesoro, guarda avanti, o rischierai di andare a sbattere da qualche parte”.
Rose guardò l’uomo che teneva per mano, domandandogli: “Ma papà, come farò ad andare a sbattere se ti tengo per mano? Tu non mi lascerai andare, vero?” Il Signor Gold fece un’espressione di tristezza, ripensando che, secoli prima, un’altra persona a lui molto cara gli aveva fatto la stessa identica domanda. Ora quella persona era perduta per sempre, ma lui continuava a cercarla.
Guardò la piccolina al suo fianco, rispondendole: “Mio piccolo fiore, il tuo papà non ti lascerà mai andare”.
Rose - questo era il nome della piccola - sorrise. Invece di guardare avanti, però, guardò la gamba di suo padre: l’uomo, infatti, zoppicava alla gamba destra e usava un elegante bastone per camminare. “Potevamo prendere la macchina” disse.
“Tesoro, oggi mi andava di fare una passeggiata con la mia piccola principessa. Di tanto in tanto possiamo anche concedercelo” disse il Signor Gold.
“Ma la gamba ti fa male?” domandò Rose.
“Oggi no” rispose il Signor Gold. Dopo aver visto lo sguardo poco convinto della figlia, sospirò e si fermò. Sapeva che non poteva mentirle; non lo aveva mai fatto e mai ci avrebbe provato… forse. Quella bambina era così uguale a sua madre, quando lo guardava in quella maniera: riusciva a convincere persino un orco. Si abbassò al suo livello e, dopo averle messo una mano sulla guancia, tenendo l’altra sul bastone per non cadere, le rispose: “A te non posso mentire, piccola mia. La gamba mi fa male, ma per te non lo farà mai. Farò sempre tutte le passeggiate che vorrai e non sentirò dolore; faremo tutto ciò che vorrai e il dolore alla gamba sarà come se non ci fosse.”
Rose sorrise, per poi dirgli: “Non ti preoccupare, papà. Se la gamba ti farà male non sarà un problema, ma spero che non ti affaticherai troppo.”
“Mia piccolina, sei tale e quale a tua madre. Anche lei si preoccupava sempre di tutti e, solo alla fine, di se stessa. Facciamo un patto: se la gamba mi farà male, te lo dirò e tu deciderai cosa fare, va bene?” disse il Signor Gold e allungò una mano. Rose la guardò e, mentre gliela stringeva, disse: “Va bene, ma decideremo insieme e devi promettermi di dirmelo prima che ti faccia troppo male.”
“Come vuoi tu, piccola mia” disse sorridendo il Signor Gold ed i due si abbracciarono. “Ti voglio bene, papà” disse Rose. “Ti voglio bene anche io, piccola” disse il Signor Gold.
Si staccarono dall’abbraccio ed il Signor Gold, rialzandosi in piedi aiutandosi con il bastone, disse: “Ma ora faremmo meglio ad andare o farai tardi a scuola.” E, dopo aver preso per mano la figlia, ripresero a camminare.
“Devo proprio andare a scuola? Non posso venire in negozio con te?” chiese Rose. Suo padre era titolare del negozio dei pegni dove, al suo interno, c'erano un sacco di oggetti di ogni tipo, alcuni anche molto rari e Rose non sapeva dove suo padre li avesse trovati. La sola cosa che sapeva era che in città tutti lo temevano, non solo perché incuteva una certa aria di timore, ma anche perché possedeva tutta la città. Solo il sindaco sembrava non temerlo.
Ma la piccolina non aveva paura del suo papà: lo adorava, gli voleva molto bene e lui ne voleva altrettanto a lei. Fin da quando era nata, non aveva mai smesso di riempirla di attenzioni, coccole e tanti regali, come se non volesse mai farle mancare l’assenza della figura materna. Suo padre le aveva raccontato che la madre era morta dandola alla luce. Lei sentiva nel suo piccolo cuore che sua madre poteva essere ancora viva, ma non voleva dirlo a suo padre per non farlo sentire ancora più triste. Ogni volta che parlava di lei, c’era sempre un velo di tristezza nella sua voce e Rose non voleva vederlo così.
Venne distolta dai suoi pensieri quando suo padre le rispose: “Rose, l’istruzione è molto importante e io voglio che tu abbia il massimo.”
“Ma odio la scuola e odio anche i miei compagni di classe e la mia maestra” disse Rose, mentre voltava lo sguardo verso Granny’s, il locale più visitato della città. Granny, l’anziana proprietaria, stava mettendo fuori l’insegna e sua nipote Ruby la stava a guardare senza però aiutarla.
“Piccola, non mi interessa se non sarai la prima della classe, ma almeno voglio tu abbia un’istruzione decente per quando sarai grande” disse il Signor Gold. Arrivarono davanti a scuola. Si abbassò e, dopo aver preso un fazzoletto da una tasca della giacca, pulì una guancia della figlia, dicendole: “Devi essere perfetta, mio piccolo fiore… ma tu sei già perfetta”. Rimise il fazzoletto nella tasca.
“Sei il mio papà: è normale che tu dica che sia perfetta” disse Rose.
“Lo avrei detto anche se non fossi stata mia figlia” disse il Signor Gold; Rose guardò l’entrata della scuola, dove altri genitori stavano salutando i loro figli. Poi riguardò suo padre, dicendogli: “È che non ho amici: solo Henry è amico mio, ma è più grande di me.”
“È più grande di te di solo un anno” disse il Signor Gold.
“Due: compirò nove anni fra qualche giorno” lo corresse Rose.
“Tu sei una bambina speciale e gli altri non sanno cosa si perdono nel non diventare tuoi amici. Devono solo cercare di capire il grosso errore che stanno commettendo” disse il Signor Gold.
“È che vorrei avere qualcuno con cui giocare, qualcuno della mia età. A volte Henry non è proprio di compagnia, visto che sua madre lo rinchiude in casa” disse Rose.
Il Signor Gold guardò da una parte. Sapeva che la colpa era sua, se la figlia non aveva amici. Tutti lo temevano, tutti gli stavano a debita distanza e, di conseguenza, stavano a distanza dalla figlia. Era esattamente successa la stessa cosa anche quando, secoli prima, gli stavano a distanza dopo essere diventato il Signore Oscuro, e quella persona che aveva perso non aveva amici con cui giocare. Non voleva che la figlia soffrisse per causa sua, ma sapeva che poteva fare ben poco nella situazione che ricopriva in città.
Suonò la campanella. Riguardò la bambina e le sorrise. Si rialzò in piedi e, mentre le metteva la cartella sulla schiena, le disse: “E ricordati di fare sempre la brava, di prestare sempre attenzione e…”, ma Rose continuò: “… ascoltare sempre la maestra e chiedere qualora non avessi capito qualcosa”. Ogni mattina, infatti, il Signor Gold le raccomandava sempre le stesse cose, e Rose ormai aveva imparato a memoria le parole del padre.
Il Signor Gold la voltò verso di sé, dicendole: “E se dovessi sentirti male, non esitare a chiamarmi che verrò subito a prenderti.”
“Papà, devi tenere aperto il negozio” disse Rose.
“È vero, ma il mio piccolo fiore viene prima di qualunque cosa” disse il Signor Gold e, abbassandosi, le diede un dolce bacio sulla fronte. Rose sorrise, poi si voltò e camminò verso l’entrata della scuola, sotto lo sguardo attento del padre.
In quel momento, al fianco del Signor Gold, arrivò un uomo con gli occhiali, una sciarpa intorno al collo e una lunga giacca. Teneva al guinzaglio un dalmata: “Buon giorno, Signor Gold, come mai ancora qua?” domandò l’uomo.
“Buongiorno, Dottor Hopper” disse Gold, non guardandolo. L’uomo, che si trattava del Dottor Archibald Hopper, noto psichiatra della città, guardò avanti a sé, capendo già la sua risposta: “Rose è veramente una bambina eccezionale e cresce in fretta”.
“Troppo in fretta per i miei gusti” disse Gold.
“Qui a scuola è al sicuro, non le succederà nulla” disse il Dottor Hopper.
“Potrebbe scappare, non appena me ne vado, ma so che la mia piccolina non farebbe mai una cosa del genere” disse Gold.
“Allora perché continuare a rimanere qua?” chiese il Dottor Hopper.
“Qualcuno potrebbe arrivare e farle del male solo per arrivare a me. Lei lo dovrebbe sapere che non sono ben visto in questa città” rispose Gold.
“Nessuno le farà del male e deve anche cercare di fidarsi di lei. È sua figlia e se fosse in pericolo glielo direbbe. Rose è una cara bambina, proprio come lo era la madre” disse il Dottor Hopper. Gold lo guardò, dicendogli: “E’ tardi, Dottor Hopper, e lei deve andare a lavorare, così come io devo andare ad aprire il mio negozio. Ci vediamo” e se ne andò.
Il Dottor Hopper lo guardò andarsene, dicendogli: “Buona giornata, Signor Gold”. Ogni volta che parlava della defunta madre di Rose, Gold cambiava velocemente discorso, come se non volesse pensarci o soffrire. Nessuno in città sapeva chi fosse la madre di Rose e Gold non ne voleva mai parlare. La vita privata di Gold doveva rimanere tale, e chi provava a ficcare il naso sarebbe stato in grossi guai.
“Andiamo, Pongo, ho dei pazienti da visitare” disse il Dottor Hopper e, insieme al suo fedele cane, se ne andò verso l’ufficio.
Nel frattempo, Rose stava camminando per uno dei corridoi della scuola, per raggiungere la classe e sedersi al suo posto accanto alla finestra. Aprì la cartella, tirandone fuori tutto l’occorrente per la lezione, mettendolo sul banco. Gli altri bambini che erano già in classe la guardarono per poi chiacchierare tra loro. Peccato, avrebbe potuto vedere Henry solamente durante la ricreazione, visto che si trovava in un’altra classe.
Nessuno parlava con lei e la prendevano sempre in giro, anche se sapevano di rischiare: prendersela con Rose, significava andare contro le ire del Signor Gold e, di conseguenza, venire anche severamente puniti. Spesso aveva sentito brutte storie riguardo suo padre, raccontate da quei bambini. Alcuni di loro avevano detto che, anni prima, un signore per strada aveva fatto cadere inavvertitamente Rose e il Signor Gold, arrabbiato perché la figlia si era ferita a un ginocchio, non ascoltando le scuse dell’uomo lo tramutò in una lumaca per poi schiacciarlo davanti agli occhi di tutti.
Rose sapeva che suo padre non aveva mai fatto una cosa simile: era vero, la proteggeva in ogni momento, ma non si sarebbe mai permesso di tramutare un poveruomo in una lumaca per poi schiacciarlo.
Quando riguardò avanti, entrò la maestra e tutti i bambini andarono ognuno al proprio posto. Si trattava di una ragazza sulla trentina, dai capelli neri raccolti a cipolla e di certo non di bell’aspetto. Si chiamava Druzella Tremaine e la sua voce gracchiante non faceva altro che peggiorare le cose.
“Bambini, oggi faremo una cosa davvero speciale: ho un compito davvero bello per voi. Descriverete la vostra famiglia” disse Druzella e i bambini, eccetto Rose, esultarono. A loro piaceva descrivere i propri genitori e vantarsi dei lavori che svolgevano.
Quando i bambini si calmarono, Druzella continuò: “Ma mi raccomando, entrambi i genitori devono essere descritti e potete chiedere loro qualsiasi cosa”. Fu a quel punto che Rose alzò la mano. Druzella la guardò, dicendole: “Sì, Signorina Gold?”
Rose abbassò la mano, dicendo: “Signorina Tremaine, la mia mamma è morta: come potrò quindi fare il tema?”
“Bè, è ovvio: chieda a suo padre” disse Druzella
“Ma lei ha appena detto che dobbiamo chiedere ad entrambi. Non sarebbe la stessa cosa se chiedessi solo a mio padre” disse Rose.
“Signorina Gold, non approvo affatto questa sua sfacciataggine nei miei confronti. Se non la smette, giuro che la mando dalla preside e, questa settimana, fanno già due volte” replicò Druzella. L’ultima volta, Rose era stata mandata dalla preside (Lady Tremaine, un’anziana e ricca donna dallo sguardo sempre severo, nonché madre di Druzella e Anastacia, sua sorella minore, dallo stesso brutto aspetto e voce gracchiante, ma che insegnava nella classe di Henry ed era un po’ più buona di sua sorella maggiore) perché aveva fatto del male a Lucy Hunter, una sua antipatica compagna di classe.
In verità Lucy Hunter aveva finto tutto, dicendo che Rose le aveva dato un pugno, quando invece non l’aveva nemmeno sfiorata. Ogni occasione era buona per Lucy e le sue spregevoli amiche, far prendere la colpa alla piccola Rose, la quale si prendeva tutte le colpe, evitando di essere ripresa da Lady Tremaine e, il peggio, era che suo padre non sapeva nulla di tutto ciò.
“Mi dispiace, Signorina Tremaine. Non volevo essere scortese e prometto che farò il tema” disse Rose.
“Deve, se non vuole che le metta un brutto voto e convochi suo padre dalla preside” disse Druzella, sorridendole maliziosamente. Rose la guardò e si limitò ad annuire con la testa. Per Rose, le lezioni della Signorina Tremaine sembravano non terminare mai.
Quando suonò la campanella della ricreazione e la piccola Gold corse fuori dalla classe, qualcuno le fece lo sgambetto, facendola cadere a terra. Si sentì ridere e Rose si voltò, per vedere che a farle lo sgambetto era stata Lucy insieme alle sue amiche.
“Lo sai che non si corre per la scuola, Goldie?” la canzonò Lucy e le sue amiche risero. “Goldie” era il nomignolo che Lucy aveva scelto per Rose: era un modo, come gli altri, per ridicolizzarla ancora di più di quanto già non facesse.
“Potevi farmi male” disse Rose, mentre si rialzava un po’ dolorante, visto che con la caduta si era fatta male al ginocchio destro.
“Che fai ora? Vai a piangere dal paparino? Ovvio che ci andrai, perché sei la cocca del papà” disse Lucy.
“Non sono la cocca del papà!” replicò Rose, mentre gli occhi le diventavano lucidi. Non voleva piangere, soprattutto non davanti a quell’antipatica di Lucy: non voleva darle questa soddisfazione.
“Vacci piano, Lucy, o suo padre potrebbe trasformarci in lumache” disse un’amica e le altre risero.
“Goldie, sai quali sono i patti stipulati: se spifferi tutto, il tuo amico pulcioso farà una brutta fine” disse Lucy.
“Ti prego, non fargli del male. Prometto che terrò la bocca chiusa con mio padre” disse Rose.
“Mi piaci quando supplichi in questa maniera” disse Lucy e, ridendo, lei e le sue amiche se ne andarono. Rose abbassò tristemente lo sguardo, poi si voltò ed uscì dalla scuola, raggiungendo Henry, che la stava già aspettando seduto sotto un grosso salice piangente.
“Devi finirla di farti trattare in questo modo da quelle là. Dovresti dire tutto a tuo padre” disse Henry, dopo che Rose gli ebbe raccontato quelle che le avevano appena fatto.
“ Non posso. Ho fatto un patto ed io mantengo sempre i patti” disse Rose.
“E cosa riguarderebbe questo patto?” domandò Henry. Rose lo guardò, ma non rispose. Nemmeno il suo migliore, ed unico, amico sapeva chi stava proteggendo. Forse, se glielo avesse detto, le cose sarebbero cambiate, ma da suo padre aveva anche ereditato a non disfare mai un patto e, quindi, preferì mentirgli: “Una cosa mia, ma che Lucy mi ha preso e, se racconto tutto a mio padre, lei non me la ridarà più ”.
“Capisco, ma almeno devi agire diversamente. C’è sempre un altro modo, per tutte le cose” disse Henry.
“E se anche trovassi questo altro modo, Lucy l’avrebbe sempre vinta. Ti ricordo che suo papà è molto amico con lo sceriffo” disse Rose.
“Ma tuo padre è molto più potente di lui, visto che possiede tutta la città” disse Henry.
“Anche tua madre è molto più potente di lui, eppure i due vanno molto d’accordo e sembra che stiano sempre tramando qualcosa” disse Rose.
“Lo penso anche io” disse sospirando Henry ed i due guardarono il cielo limpido, ma poi il bambino chiese: “Che compito vi ha dato questa volta la Signorina Tremaine?”
“Dobbiamo descrivere i nostri genitori e chiedere ad entrambi” rispose Rose. Henry la guardò dicendo: “Ma Rose, tua madre…” ma Rose lo interruppe: “…morta; sì, lo so, ma la Signorina Tremaine non ha voluto sentire ragioni e mi ha rimproverata, minacciandomi di mandarmi dalla preside se avessi continuato e, così, me ne sono stata zitta”.
“Questo, però, a tuo padre devi dirglielo” disse Henry.
“Non voglio passare per la cocca del papà. Non voglio andare sempre a piangere da lui. Devo anche cavarmela da sola e, ormai, non ho più cinque anni, ma vado per i nove, anche se papà mi tratta ancora come una bambina piccola” disse Rose.
“Ma tu sei una bambina piccola” disse Henry, ma non aggiunse altro quando Rose gli lanciò un’occhiataccia. Suonò la campanella: entrambi voltarono lo sguardo verso la scuola.
“Oggi verrai al nostro castello? Devo mostrarti una cosa” domandò Henry, riguardandola.
“Non lo so. Prima devo chiedere a papà e lui non vuole che me ne stia fuori fino a tardi” rispose Rose, mentre aveva lo sguardo abbassato. Non le andava di ritornare in classe e rivedere i suoi compagni, né tanto meno la sua maestra.
“Basta solo che gli dici che verrai a giocare con me e che ritornerai a casa prima di cena” disse Henry. Rose sospirò, quindi Henry aggiunse, dicendole e mettendole una mano sulla spalla: “Senti, io sarò là. Se verrai, bene; se non verrai, vorrà dire che ci rivedremo direttamente domani a scuola” e rientrò nell’edificio.
Rose guardò il cielo, dicendo: “Mammina, come vorrei averti conosciuta meglio ed accanto a me. Forse le cose sarebbero diverse e papà non incuterebbe timore a tutta la città. Forse avrei più amici e nessuno mi prenderebbe in giro, o forse le cose sarebbero rimaste uguali; so solo che ti avrei avuto molto bene e che papà sarebbe stato più felice” ed anche lei rientrò a scuola, mentre soffiava un leggero vento.

Dopo un po’ di ore, la scuola finì e Rose poté finalmente uscire da quell’inferno. Con cartella sulle spalle, uscì dall’edificio, insieme a tutti gli altri bambini, i quali corsero dai loro genitori. La bambina si guardò intorno e, quando guardò davanti a sé, vide suo padre che se ne stava in piedi davanti a una Cadillac d’epoca. Sorridendo gli corse incontro, per poi abbracciarlo.
“Sono così contenta di rivederti” disse Rose, mentre continuava ad abbracciarlo.
“Anche io, mio piccolo fiore, ma sembra che tu non mi abbia visto per secoli” disse Gold, abbracciandola a sua volta. Rose alzò lo sguardo e gli disse: “E’ che il tempo a scuola sembra non passare mai”.
“Passerebbe se tu prestassi più attenzione” disse Gold. Il sorriso dal volto di Rose scomparve. Che la preside gli avesse già telefonato, raccontandogli ciò che era accaduto quella mattina con la Signorina Tremaine? Gold, ovviamente, si accorse dell’improvviso cambio d’umore della figlia e, quindi, le domandò: “Qualcosa non va, tesoro?”.
Rose guardò indietro, per vedere Lucy e le sue amiche guardarla e ridacchiare. Si ricordò delle sue parole. Riguardò il padre, quando questi le chiese: “Cosa hai fatto al ginocchio? Piccolina, sei ferita. Ora andiamo subito a casa e ti curo”. Stava per prenderla in braccio quando Rose indietreggiò. Non voleva passare per la cocca del papà proprio davanti a Lucy ed alle sue amiche. Quindi passò accanto al padre entrando in macchina e sbattendo la portiera.
Gold la guardò senza parole, poi guardò minacciosamente Lucy e le sue amiche, le quali smisero subito di ridacchiare, per poi andare per la loro strada. Gold riguardò la figlia, poi entrò in macchina anche lui. Mise la cartella sul sedile del retro, avviò il motore e partì.


 
Note dell'autrice: Innanzitutto grazie per essere arrivati fin qua in fondo. Grazie e spero di non avervi annoiato troppo. Per il momento non mi dilungo ancora di più e volevo ringraziare due miei amici (Lucia e Robert) per avermi aiutata a correggere la storia e mettere giù le idee.Alla prossima parte del capitolo, miei cari Oncers

  
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