Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Harmony394    18/11/2014    18 recensioni
Sansa, subito dopo aver avuto il primo menarca, è costretta a sposare Joffrey appena tre giorni dopo la sua fine. Nessuna via d’uscita, nessun amico di cui fidarsi, nessuno pronto ad ascoltare i suoi cinguettii pregni di paura. Ma proprio quando la situazione sembra arrivata al capolinea, ecco qualcuno disposto a spezzare le inferriate di una gabbia che di dorato ha solo il colore. Qualcuno che non è né un principe né un cavaliere, ma un mastino. E il suo nome è Sandor Clegane.
«Perché siete sempre così crudele?!» domanda lei, le lacrime appese alla punta delle ciglia. Non mi piace vederla piangere, cazzo, soprattutto se la causa del pianto sono io. Ma non mi importa. Deve capire come funzionano le cose, che questa non è una delle sue fottute ballate ma la vita vera e che nella vita vera non esistono cavalieri ma solo chi muore e chi tenta di non morire. Il resto sono solo cazzate.
«Sarai grata per le cose crudeli che faccio quando sarai Regina e sarò l’unico a frapporsi tra te e il tuo adorato Re».
Genere: Angst, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: Lime, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
Capitoli:
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Premessa: questa fanfiction si basa su un WhatIf in cui Sansa, subito dopo aver avuto il menarca, è costretta a sposare Joffrey appena tre giorni dopo. La Battaglia delle Acque Nere non si è ancora verificata e in questo universo Margaery Tyrell non giungerà mai a corte, o perlomeno non per gli scopi che conosciamo noi. Cercherò comunque di rendere i personaggi il più IC possibile. Se non dovessi riuscirci, siete liberi di mandarmi gli Estranei sotto casa. Vi avviso inoltre che sarà una storia abbastanza cruenta e senza mezzi termini, con scene piuttosto violente e linguaggio scurrile. Considerato il fandom di appartenenza, credo sia il minimo. Ah, ho una grande passione per l’angst, quindi se non gradite il genere vi sconsiglio vivamente la lettura.

P.S: Per esigenze di forma, ho dovuto separare i POV di Sansa e di Sandor attraverso due simboli differenti. Se avessi inserito un segno comune per tutti e due sarebbe stato difficile capire di chi fosse il punto di vista. Per Sandor ho dunque deciso di utilizzare il simbolo di un mastino, mentre per Sansa quello di un uccellino in gabbia. Spero che la cosa non risulti pesante.
P.P.S: La storia si basa, nonostante abbia alcuni accenni al telefilm, soprattutto sui libri. Infatti qui Sandor ha 27 anni, mentre Sansa 15 (Ho deciso di laciare l'età del telefilm a causa di alcune scene)
P.P.P. S: Questa storia è dedicata a Red, a e Erza e a Francesca, le mie fedelissime compagne di ship e di sclero. <3

~

Prologue. 



 
Bless your heart 
And your tired eyes
And try to keep your strength
Your life bleeds like the red I wore
On my lips as skin turned pale

 

Il vino scende giù per la gola, bruciando lo stomaco e lasciando un lungo rivolo violetto sul collo e la barba. Ho sempre amato il vino. Riesce a farmi sentire un po’ più di caldo, mi lascia tranquillo per alcuni minuti e mi fa dimenticare ciò che non intendo ricordare. E adesso che il fottuto Re bambino sta per prendermi l’unica cosa che ho mai desiderato in tutta la mia fottuta vita, sembra il mio unico balsamo.
Ero presente quando l’uccelletto è stato convocato da Joffrey. Me ne stavo proprio lì davanti a lei, fermo e vigile come il cane che sono sempre stato, a guardarla avanzare con il suo passo incerto e tremante verso il Trono di Spade. Il suo volto di bambola era atterrito, le sue dita non smettevano di torturarsi a vicenda ed io non la finivo più di pensare a quanto mi sarebbe piaciuto averle attorno al mio cazzo.

«Vostra grazia…» Aveva pigolato con voce sottile. Joffrey l’aveva guardata con un ghigno sardonico che percorreva il suo viso da un orecchio all’altro ed io avevo capito subito che la voglia di farle del male gli era tornata, più forte di prima.
«Mia madre mi ha detto che hai sanguinato, l’altra notte, ed il mio mastino mi ha riferito che hai cercato di strappare il lenzuolo per nascondere le prove. È vero, mia lady Sansa?» Aveva chiesto con voce petulante. L’uccelletto rivolse un’occhiata fugace nella mia direzione, quasi a volermi ricordare che ero stato io a far la spia, ma io continuai a guardare dritto dinanzi a me, impassibile.

L’uccelletto mi piaceva, cazzo se mi piaceva, ma io ero pur sempre il cane da guardia del Re. E i cani sono fedeli a chi li nutre.

«I-io… maestà… ero spaventata, non sapevo cosa fare… vi assicuro che non avrei mai—».
«Oh, fa’ silenzio!», urlò Joffrey, scattando in piedi. Avrei potuto uccidere quel reuccio da quattro soldi con una sola mano, se avessi voluto. Forse sarebbe stata la scelta migliore, forse avrei dovuto farlo sin dal primo momento. «Non mi importano le tue scuse, stupida scema. Ciò per cui ti ho fatto convocare, Sansa, è perché ora che hai sanguinato dovrò sposarti e mettere un bambino dentro di te, lo capisci?», fece una pausa mentre un sorrisetto sadico gli incurvava le labbra. Sentii il sangue ribollirmi nelle vene e le mie dita scattarono d’istinto verso l’elsa della spada. «Sei felice, mia signora?».

No che non era felice. Non lo era proprio per niente. I suoi occhi erano sgranati e spaventati, le sue labbra tremavano. Tutto di lei era in subbuglio ed io fui certo che sarebbe scoppiata a piangere da un momento all’altro. Nella sala si diffusero alcuni mormorii concitati e risatine malvagie, tuttavia continuò a mantenere quel comportamento cortese e composto che l’aveva sempre caratterizzata. Fui fiero di lei, seppur non lo diedi a vedere.

«Non chiedo altro, maestà. Sposarvi è l’unica cosa che ho sempre desiderato» Cinguettò, ed io digrignai i denti.

Fottuto uccelletto. Fottuto, dannato uccelletto. Se ne stava sempre lì a cinguettare, a dire quelle belle paroline che le aveva insegnato la balia, a trattenere le lacrime. Non lo sopportavo, cazzo. Non sopportavo quei suoi dannati occhi tristi, quel volto ombreggiato d’angoscia, quelle labbra tremolanti. Era un’agonia vederla in quello stato, lo era sempre stato.

«Bene, mia signora, perché la cerimonia si terrà fra tre giorni. E non vestirti di bianco… ho intenzione di farti visita, stanotte. Che ne pensi? Ti piace l’idea?».

L’uccelletto non rispose a quella provocazione, chinò il capo e sussurrò qualcosa che non riuscii ad udire. Neanche Joffrey dovette riuscirci, perché d’un tratto fece un gesto stizzito con le mani e la cacciò via come se fosse stata un cane pulcioso. Lei parve non aspettare altro, poiché fece subito come le era stato ordinato. Non la vidi più per l’intera giornata.

Adesso sono qui, in questo sottoscala dove l’aria della sera arriva fredda e pungente, a bere vino e sperare di prendere sonno presto. Voglio vedere l’uccelletto, voglio vederla e toccarla, magari anche baciarla, ma la voglio. La sola idea che sarà quella fichetta bionda di Joffrey a prenderla per la prima volta mi riempie d’odio e di rabbia. Lei non merita una prima volta del genere, non con uno come quello. Merita qualcuno come il fottuto Cavaliere di Fiori, un sir dall’armatura splendente e dagli occhi azzurri, qualcuno che la sappia amare e che la riempia di fiori e d’amore. 

Qualcuno che non sono io.

Mi domando come sia sentire la sua pelle di porcellana sotto le dita, assaggiare le sue labbra delicate, sentirne il sapore. Per i Sette Inferi, scuoierei vivo qualcuno per saperlo.

Poso la fiasca a terra e tiro su col naso: la devo piantare con queste stronzate. Lei è una lady ed io un cane. Il cane del Re, per l’esattezza: lo stesso Re che le ha ammazzato il padre davanti agli occhi e che minaccia di far lo stesso con la madre e il fratello. Non esattamente il principe dei suoi sogni.

«Ah, ‘fanculo!» Impreco, dando un calcio alla fiasca, che rimbalza a terra emettendo un rumore fastidioso e metallico. L’alcool inizia a fare il suo effetto, mandandomi fuori gioco una volta per tutte, e sento il sangue affluirmi velocemente alla testa ed il petto scaldarsi. Chiudo gli occhi e all’improvviso la vedo: i capelli rossi che le ricadono morbidi sulla schiena nuda, le labbra rosse e la pelle candida, mentre piange di dolore. Due uomini la tengono ferma e il Re bambino fa quello che ha promesso di farle alla sala del trono: fotterla. Quando mi avvicino, però, noto che l’aguzzino dell’uccelletto non è Joffrey.

Sono io.

Mi sveglio di soprassalto, la fronte grondante di sudore e l’armatura improvvisamente stretta attorno al collo e le gambe. Ho il fiato corto, la testa mi gira e martella furiosa mentre i rimasugli del sogno mi tornano alla mente. Per un attimo, l’idea di aver davvero fatto del male all’uccellino mi sfiora la mente e il cuore manca un battito. Mi passo una mano sul viso, come se così potessi portar via quelle immagini orribili, e ispiro profondamente nel tentativo di calmarmi. Era un incubo, mi dico. Solo un fottutissimo incubo, smettila di agitarti come una fichetta. Eppure gli occhi di Sansa, sgranati e colmi di terrore mentre mi avvicinavo a lei, sono ancora davanti a me terribili come il peggiore degli incubi. Mi piego su me stesso e poggio la faccia sui palmi delle mani, i calli delle dita che mi sfregano il viso. Era solo un incubo, continuo a ripetermi. Non le farò del male.

Recupero la fiasca di vino e bevo con avidità il liquido rimasto. Vino. Vino, vino, vino. Ho bisogno di vino. Bevo fino a star male, finché non riesco nemmeno più a restare seduto sulla sedia e crollo a terra, a ridosso della parete di mattoni. Tutto gira: la testa, il castello, il mondo intero. I suoni attorno a me sono improvvisamente ovattati, lo stomaco brucia come fuoco. All’improvviso, l’uccellino è di nuovo davanti a me, i lunghi capelli ramati le scendono morbidi sotto le spalle, ed io la trovo bellissima nella sua bellezza ancora acerba, nel suo viso da bambina e nei suoi occhi di cielo. Sansa. Sansa, Sansa, ripeto il suo nome finché le lettere perdono valore e la sua immagine sfoca. Uccellino, non andartene. Non ti farò del male. Non avere paura, uccellino. Non ti farò del male, no. Non a te. Mai a te.
 

Lei incurva le labbra in un sorriso triste, si volta e svanisce. Ed io resto di nuovo da solo.


 
 

Mi trovo a Grande Inverno. La neve ricopre le torri del castello e l’aria gelida solidifica il mio respiro in dense nuvolette grigie. Indosso di nuovo le mie vecchie vesti, quelle calde e piene di nodi che piacciono tanto alla lady mia madre, ed in lontananza posso ascoltare le urla divertite di Bran, Rickon ed Arya mentre si rincorrono e le risate calde e familiari di Jon e Robb che si allenano con la spada. Odo un profondo ululato e il mio cuore sobbalza: è Lady. La mia piccola, dolce Lady. Corro da lei, gli occhi bagnati di lacrime di gioia, ma quando arrivo il respiro mi si spezza in gola: la neve è coperta di rosso, gli alberi-diga sembrano piangere ed i cavalieri non sono Jon e Robb, ma sir Ilyn e Joffrey che lanciano dei sassi a Lady, facendola guaire di dolore. Mi lancio verso di loro urlando di smetterla, che Lady non ha fatto nulla di male e che sono dei vigliacchi, ma non mi ascoltano. Non mi hanno mai ascoltata.

Un respiro pesante mi solletica il collo e voltandomi incontro gli occhi verdi di Joffrey che sorride crudele e mi afferra con prepotenza per la vita. «Non vestirti di bianco… ho intenzione di farti visita, stanotte. Che ne pensi? Ti piace l’idea?», sussurra. Le lacrime rigano il mio volto e la paura si insidia dentro di me, nelle ossa e nel cuore. «Aiutatemi!», grido, tentando di districarmi dalla sua stretta, «Vi prego! », ma nessuno viene in mio soccorso.

Due uomini di cui non riconosco il volto mi tengono ferma per le braccia mentre Joffrey alza la mia gonna e si fa largo verso di me, incurante delle mie suppliche. Piango tutte le mie lacrime, grido, scalcio ma è tutto inutile. Lo sento avvicinarsi al mio orecchio, mentre il suo membro mi sfiora l’interno della coscia. «Ti ucciderò come ho ucciso il tuo schifoso padre, subito dopo averti scopata come la cagna che sei», dice. «Ti piace l’idea, mia signora? Ti piace?».

«NO!» Tutto il mio corpo viene spinto verso l’alto ed i miei occhi si aprono, rivelando i colori caldi della mia stanza da letto. Il cuore mi batte così forte che posso sentirlo rintonarmi nelle orecchie, terribile come una marcia funebre. Era un incubo, realizzo. Un orribile, disgustoso incubo, eppure la paura è reale, così come il senso d’oppressione al petto. Le lacrime mi salgono agli occhi tutte insieme e il mio corpo viene scosso da forti sussulti mentre porto le ginocchia al petto e vi nascondo il viso.

Non ce la faccio più. Voglio tornare a Grande Inverno, sentire l’abbraccio caldo di mia madre e pregare per il lord mio padre al Parco degli Dèi. La sola idea di dover sposare Joffrey mi terrorizza... Non voglio farlo, non voglio! Cos’ho fatto di male per meritarmi tanta sofferenza? Sono sempre stata tanto buona, tanto, tanto buona! Perché deve accadere tutto questo? Perché a me?

Delle ancelle bussano alla porta ed io sussulto e mi asciugo il viso in fretta e furia. Sono tentata di scacciarle via, ma la mia educazione me lo proibisce. Quando entrano, noto che hanno diversi panni con loro e subito ricordo che tre giorni fa ho avuto il mio menarca, ormai arrivato agli sgoccioli. Un senso d’angoscia mi stringe il petto fino a far male. Da bambina non vedevo l’ora di diventare una donna, eppure adesso darei qualsiasi cosa pur di non esserlo.
Le ancelle mi aiutano a lavarmi e vestirmi, dicendomi che entro domani il mio ciclo sarà cessato e che potrò finalmente sposare il Re. Maschero l’angoscia che mi attanaglia il petto con un sorriso di circostanza, fingendo una gioia che non mi appartiene. Sono ancelle Lannister, queste. Non Stark. Non posso fidarmi di loro. Non posso fidarmi di nessuno.

Una volta pronta, decido di dirigermi verso i giardini reali, nei pressi del tempio. Lì nessuno mi disturberà. Una parte di me spera ancora che Dontos mi aiuti a fuggire da questo covo di segreti e paure, ma ormai quella speranza è quasi svanita insieme a tutte le altre. Dopotutto, ciò in cui speravo è sempre stato soffiato via come sabbia nel vento per un motivo o per un altro, quasi il destino si diverta a farsi beffe di me, quindi perché questa volta dovrebbe essere diversa?

«Guarda un po’ chi è uscito a giocare» Sbatto contro qualcuno e perdo l’equilibrio ma, prima che possa cadere, una mano forte e grande mi afferra. Alzo lo sguardo: è il Mastino. I lunghi capelli neri gli ricadono pesanti sulle spalle, l’armatura risplende alla luce del sole e la cicatrice sul suo volto è persino più disgustosa del solito, alla luce del mattino. Distolgo lo sguardo, pentendomene subito dopo. Non avrei dovuto farlo, lo so bene, eppure al momento l’unica cosa che riesco a pensare è che gli basterebbe un solo dito per farmi davvero, davvero del male e questo mi spaventa anche più della sua cicatrice.

«Mi stavo recando al tempio, mio signore» Rispondo, evitando accuratamente di guardarlo negli occhi. Non ho dimenticato che è stato lui a salvarmi durante la rivolta del pane, eppure non riesco ancora a guardarlo in faccia per troppo tempo. Una risata crudele lascia le sue labbra.
«Preghi, uccelletto? E per cosa preghi?».

Prego che Joffrey muoia, che la Regina e tutta la sua famiglia vengano uccisi, di vedere Robb irrompere nelle mie stanze per portarmi in salvo, proprio come quando da bambini giocavamo al principe e alla principessa e di ritornare finalmente a Grande Inverno. «Prego per il mio matrimonio, mio signore; che gli dèi mi diano la fertilità e mi rendano una moglie ubbidiente e una madre amorevole», rispondo invece.

Lui sembra infastidito dalla mia risposta, proprio come ogni volta che dico una bugia. Un tempo mi disse che un mastino fiuta le bugie, che sa riconoscerle subito, e per quanto vorrei non mentirgli non posso farne a meno: se c’è una cosa che ho imparato ad Approdo del Re è che non devo fidarmi di nessuno, e lui è il cane di Joffrey. Non oso nemmeno immaginare quale sarebbe la mia punizione se venisse a sapere ciò che penso di lui.

Lo vedo alzare una mano verso di me e serro gli occhi, terrorizzata all’idea che stia per picchiarmi, ma il dolore non arriva. Non è mai arrivato, con lui. Invece sento le sue dita possenti accarezzare la mia guancia e prendere una ciocca dei miei capelli ramati; il suo tocco è gentile proprio come quella volta in cui mi aveva asciugato il sangue dal labbro spaccato. Schiudo gli occhi: c’è frustrazione nei suoi lineamenti, e rabbia: una rabbia piena d’angoscia e avvilimento, ma non cattiva. Non è mai stato davvero cattivo con me, lui. Questo lo ricordo.

«Sei brava a cantare*, uccelletto», dice. «Canta ancora, se avrai bisogno di me».

Quando va via, mi accorgo di non averlo ancora ringraziato per avermi salvato la vita.

 
 

La fichetta bionda continua a provare vestiti dopo vestiti, mantelli dopo mantelli e gioielli dopo gioielli neanche fosse una donnetta del cazzo. Ci sono almeno dieci sarti dentro questa stanza da letto, ognuno dei quali ha proposto più di venti modelli differenti di vestiti e stronzate varie, eppure lui non ha ancora deciso cosa indossare per il suo matrimonio e minaccia di darli tutti in pasto ai cani se non riuscirà ad essere soddisfatto entro la fine della giornata.

«Ehi, mastino», volto il capo verso di lui: indossa un farsetto dorato e un lungo mantello di broccato rosso e oro, i colori dei Lannister. Roteo gli occhi, irritato. Non sono ancora abbastanza ubriaco per questa merda. «Pensi sia meglio il rosso o il rosso porpora?».

Penso sia meglio che me ne vada di qui prima che quel fottuto mantello finisca stretto attorno al tuo collo. «Fa differenza?».

Joffrey sbuffa forte e sbatte i piedi. «Come immaginavo. Sei inutile. Va’ a chiamare mia madre, allora. Almeno lei… ahi! Piano con quelle spille, idiota, se non vuoi che pianti la tua testa su una picca!» Bercia quando uno dei sarti tenta di appuntargli una cintura attorno alla vita.  Non mi faccio ripetere l’ordine due volte e mi dirigo fuori dalla stanza, alla ricerca della Regina. Non impiego molto a trovarla: è in giro nei lunghi corridoi del palazzo e al suo fianco c’è Sansa Stark, bellissima nel suo vestito di seta argentea. Mi avvicino.

«Maestà», parlo. «Il Re chiede di voi. È nelle sue stanze a provare vestiti in vista del suo matrimonio».

Con la coda dell’occhio, scorgo l’uccelletto trattenere il fiato. Nella mia mente si forma l’immagine di lei che si rigira nel letto nel tentativo di scacciare via il pensiero delle sue nozze con Joffrey. Non riesco a biasimarla: chi vorrebbe essere la moglie di un coglione del genere?
Cersei sussurra qualcosa all’orecchio di Sansa, le rivolge un sorriso falso e si congeda senza voltarsi indietro. Storco le labbra. Non mi è mai piaciuta, la Regina. Rivolgo un’ultima occhiata all’uccelletto e infine decido di andarmene, ma lei mi ferma.

«Aspettate!», dice. Io obbedisco e mi volto verso di lei. Sulle sue labbra sembrano danzare una miriade di parole e la voglia animalesca di baciarla mi stringe lo stomaco. «I-Io non vi ho ancora ringraziato per l’altra volta, quando mi avete salvata da quel gruppo di rivoltosi. Siete stato molto coraggioso».
«Coraggioso?», sbuffo. L’uccelletto mi crede forse uno di quei froci dei suoi cavalieri splendenti? «Un cane non ha bisogno di coraggio per uccidere dei ratti».

Il suo sorriso si incrina, le dita si stringono a pugno sulla stoffa del vestito. «Vi dona gioia spaventare la gente?», ribatte, continuando a mantenere quel suo portamento da lady che non eccede mai con una parola di troppo. Mi viene da ridere. L’uccelletto ha iniziato ad arruffare le penne? Magari con qualche latrato si deciderà a volare via.

Le mie labbra si stendono in una smorfia obliqua, grave, mentre mi avvicino a lei. «No, mi dona gioia uccidere la gente», sussurro. I suoi occhi diventano vacui, spaventati. Non sai più che rispondere, uccelletto? Proprio ora che iniziavo a divertirmi? «Risparmiami quello sguardo, ragazzina. Anche Ned Stark uccideva senza guardare in faccia nessuno».

Lei aggrotta la fronte e stringe la labbra offesa. «Quello era il suo dovere!», risponde, la voce rotta dalla rabbia e la tristezza. «Non gli è mai piaciuto!».
Rido sprezzante. Povero, sciocco e ingenuo uccelletto che crede a tutto ciò che le viene detto. Non gli è mai piaciuto, dice? Che gran stronzata. A tutti piace uccidere. A tutti. Dai una cazzo di spada ad un uomo e vedi come anche il più coniglio della cricca diventa desideroso di ammazzare qualcuno o fare a pezzi qualcosa. «È questo ciò che ti ha detto? Be’, ha mentito! Uccidere è la cosa più dolce che ci sia in questo mondo. Mettitelo bene in testa e forse riuscirai ad evitare di farti ammazzare entro la fine del mese».

«Perché siete sempre così crudele?!» domanda lei, le lacrime appese alla punta delle ciglia. Non mi piace vederla piangere, cazzo, soprattutto se la causa del pianto sono io. Ma non mi importa. Deve capire come funzionano le cose, che questa non è una delle sue fottute ballate ma la vita vera e che nella vita vera non esistono cavalieri ma solo chi muore e chi tenta di non morire. Il resto sono solo cazzate.

«Sarai grata per le cose crudeli che faccio quando sarai Regina e sarò l’unico a frapporsi tra te e il tuo adorato Re» biascico, le mani che formicolano per la rabbia e lo stomaco stretto in una morsa di ferro. La deve smettere di credere a quelle stronzate. Sono state proprio quelle a far finire la testa di suo padre su una picca, e presto ci finirà anche la sua, di testa, se non la smette di comportarsi così. Ed io questo non lo voglio, cazzo.

Lei non dice nulla. Rimane in silenzio, a fissarmi con quei suoi occhioni azzurri pieni di tanto muto dolore. Un ghigno amaro mi incurva le labbra. Hai finito le canzoncine da cinguettare, uccelletto?

Mi dà le spalle e va via. Tuttavia, mentre si allontana, odo con chiarezza le parole che lasciano le sue labbra.

«Semmai diverrò Regina…» Sussurra. E solo quando è ormai sparita dietro una colonna, realizzo ciò che intende fare.


 

Il gelido freddo della notte mi schiaffeggia il viso, pungente come lame acuminate. Sotto di me si estende un paesaggio fantastico, con giardini pieni di gigli e gelsomini, i miei fiori preferiti. Quanti metri saranno da quassù? Cinque? Dieci? Non mi importa. Non più.

Avevo letto una storia, una volta. Parlava di una donna dalla bellezza senza eguali di nome Ashara Dayne: ella aveva assistito alla battaglia del Tridente e si era gettata dalla torre più alta del suo palazzo per il dolore che la morte del suo amato le aveva causato. I menestrelli cantavano la sua storia come la più nobile e dolorosa delle storie d’amore ed io adoravo sentirla raccontare quando ero a Grande Inverno, nonostante mi provocasse sempre una grande tristezza. Basterebbe un solo passo, una spinta, e forse anch’io verrei ricordata come una povera vittima del fato. Le lacrime sono fredde contro la mia guancia, il vento non permette loro di scorrere e fa rimanere i solchi sulla mia pelle. Sarà doloroso?, mi chiedo. Di certo molto meno di sposare Joffrey, risponde una vocina dentro di me. Eppure non riesco ancora a saltare. Sono così vigliacca da non riuscire neppure a porre fine alla mia inutile vita.

«L’uccelletto ha deciso di imparare a volare?».

Sussulto e per poco non cado davvero. Reggendomi alla ringhiera in marmo del balcone, giro di poco il capo e incontro gli occhi grigi del Mastino. Mille dubbi mi attanagliano: come faceva a sapere quello che stavo per fare? Lo dirà a Joffrey? Mi spingerà di sotto?

«State indietro!», grido. «Non fate un altro passo!».

Lui rimane in silenzio. Non so che espressione abbia il suo volto deturpato in questo momento ma una parte di me è certa che conservi ancora la sua impressione impassibile e rabbiosa che tanto lo contraddistingue.

«Se credi che questo risolverà i tuoi problemi, uccelletto, fallo» La sua voce mi colpisce dritta al petto, avvelenata. Ero certa che mi avrebbe perlomeno chiesto di pensarci su, che suicidarmi non avrebbe risolto i miei problemi, e invece… oh, ma che mi aspettavo? Lui è il cane del Re. Non gliene importa niente di me. Per lui io sono solo un oggetto, uno stupido uccelletto dalle ali spezzate che non fa altro che cinguettare paroline cortesi e senza senso. È qui solo per farsi beffe di me e del mio dolore!

«Lo farò», singhiozzo allora, la voce spezzata dal pianto. «Tutto purché non debba sposare Joffrey, domani».

«E cosa stai aspettando allora? Fallo!», la voce di Sandor Clegane non è più bassa e mitigata come prima. Adesso è più un ringhio, come se anche lui stesse tremando. «Fallo, se è questo che vuoi. Domani troveranno il tuo corpo e lo getteranno in pasto ai cani e, se sarai fortunata, di te resteranno i tuoi bei capelli rossi».

«Smettetela!», urlo. Come può dirmi queste crudeltà? Come può trattarmi così in un momento come questo? Perché non se ne va e mi lascia in pace? Mi odia a tal punto da voler rovinare anche i miei ultimi istanti di vita? « Siete crudele! Andatevene! A nessuno importa della mia morte, tanto meno a voi, quindi perché continuate a rimanere qui?».

«Perché poi toccherà a me toglierti dalla strada, ragazzina, ecco perché. Quindi mi faresti un enorme favore se la smettessi con queste cazzate e tornassi a dormire nel tuo fottuto letto di piume!».

Un’improvvisa furia mi avvolge e le parole escono dalle mie labbra prima ancora di rendermene conto. «Voi siete la persona più crudele che conosca! Vi detesto!», mi volto verso di lui, ma metto un piede in fallo e perdo l’equilibrio. La sensazione di vuoto quando mi manca la terra sotto i piedi è devastante, come se un fantasma mi attraversasse da parte a parte. Sto cadendo. Sto morendo. Non faccio in tempo ad urlare che una mano possente mi afferra per un braccio mentre un’altra mi prende per la vita e mi tira verso di sé. Solo quando la morbidezza delle lenzuola mi accarezza la pelle, capisco che il Mastino mi ha di nuovo salvato la vita.

«Voi…», le parole faticano ad uscire dalle mie labbra. Il cuore mi batte a perdifiato e le ginocchia sono ridotte a un tremolio convulso. Se qualcuno mi chiedesse come mi chiamo, non sarei in grado di rispondere. «… mi avete salvata».
«Non essere tanto sorpresa, uccelletto. L’ho fatto solo perché togliere il tuo cadavere dalla strada sarebbe stata una gran seccatura».
«Lo direte al Re?» Taglio corto. Lo guardo negli occhi mentre lo faccio. Voglio assicurarmi che non mi rifili qualche bugia, che almeno lui non lo faccia. Se lo dirà a Joffrey verrò di certo uccisa o punita e questo lui lo sa bene, quindi tanto vale saperlo subito e prepararsi. Lui non risponde ma per la prima volta mi guarda come se mi vedesse davvero, come se non fossi solo uno stupido uccelletto incapace di mentire ma una persona, qualcuno di cui prendersi cura. Poi le parole lasciano le sue labbra e, dal modo in cui mi guarda, capisco che non sta mentendo.

«No, uccelletto».

Dovrei sorridere, forse. Una lady lo farebbe, ringrazierebbe e direbbe che è lieta di aver trovato qualcuno di tanto gentile, eppure non ci riesco. Perché dovrei farlo, dopotutto? Ho paura, ho appena tentato il suicidio e domani dovrò sposare l’assassino di mio padre. Che motivo ho di sorridere? Mio fratello Robb era solito dire che una volta raggiunto il fondo del barile non si può fare altro che risalire, eppure la mia vita sembra continuare a scendere, come se qualcuno continuasse a raschiare il fondo fino a consumarlo.

«Vi ringrazio», bisbiglio ma le mie parole sono vuote, prive di sentimento, ed i miei occhi puntano verso il basso. Avrebbe dovuto lasciarmi cadere, penso, sarebbe stato meglio. Almeno avrei smesso di soffrire. «Ora potete lasciarmi. Prometto che tornerò a dormire e non farò mai più nulla del genere».
Sandor annuisce. «Lo spero per te, uccelletto», la sua voce rauca è simile allo stridio del ferro contro altro ferro. «Perché la prossima volta non ci sarò io a prenderti», e si allontana. I suoi passi sono pesanti e la sua armatura cigola sotto il suo peso ma io lo sento a malapena. Shae non è ancora tornata, oggi è stata fuori tutto il giorno e mai come adesso ho sentito la sua mancanza. Vorrei solo che qualcuno mi dicesse che va tutto bene, che anche questo incubo passerà, ma la notte è buia, le ombre sembrano farsi sempre più fitte attorno a me e questo incubo non sembra avere una fine. Stringo i denti, cercando di trattenere le lacrime. Raccolgo le gambe al petto affondandoci il capo e aspetto che il Mastino lasci le mie stanze. Ma lui non lo fa, rimane lì, in silenzio, seduto su una poltrona. Non mi guarda, eppure avverto il suo respiro pesante, il suo sguardo malinconico che si sposta per la stanza. Teme che possa di nuovo tentare di buttarmi di sotto, realizzo, ma so per certo che se glielo facessi notare si alzerebbe e andrebbe via a causa del suo orgoglio.

Non voglio che lui se ne vada. Non adesso, non dopo quello che è accaduto. E allora resto in silenzio,  mi sdraio, porto le coperte fino al mento e con ancora il suo sguardo addosso chiudo gli occhi. Forse, mi dico prima di cadere in un sonno senza sogni, c’è ancora qualcuno a cui importa di me.
 
Trascorro la notte in preda agli incubi, sognando di cadere nel vuoto e di essere sbranata dai cani. Quando mi risveglio mi tiro a sedere di scatto, il respiro mozzato come se fossi stata sott’acqua per troppo tempo, ed il cuore mi batte prepotente contro il petto. Mi volto verso il punto in cui Sandor Clegane si era seduto la scorsa notte ma lui non c’è più. È andato via insieme al buio e per un attimo mi domando se non sia stato tutto un semplice sogno. Solo quando le porte si spalancano e Shae fa il suo ingresso, il volto colmo di apprensione e le labbra serrate in una smorfia, capisco che questo non è un sogno ma un incubo.

«No», sussurro, sgranando gli occhi, ricordando improvvisamente che giorno è oggi. «Non può essere. È ancora troppo presto. Ti prego, Shae, dimmi che non è oggi. Dimmi che mi rimane un altro giorno, che sto sognando… ti prego, ti prego…», ma Shae non risponde. Resta in silenzio, gli occhi colmi di amarezza e la fronte aggrottata. Le porte si aprono lasciando entrare una ventina di ancelle dei Lannister nelle mie camere, tutte con in mano oli profumati e vestiti preziosi, e la verità si fa strada in me tagliente come la lama di un rasoio.

È il giorno del mio matrimonio.
 




 
  • Note dell’Autrice.
 1) La canzone iniziale si intitola: “Black is the color of my true love’s heart”.
2) Per “cantare”, Sandor si riferisce alle bugie di Sansa.


Ed eccomi qui! Per chi non mi conoscesse, piacere: sono Harmony394 ed ho una passione a dir poco spietata per tutto ciò che riguarda Game of Thrones ed in particolare la SanSan. Questa è la mia primissima long sul fandom e sono davvero tanto nervosa perché non so se uscirà fuori una ciofeca o qualcosa di decente. Questo sarete voi lettori a decretarlo, spero comunque per il meglio! Ahah :)

Conto di aggiornare, salvo imprevisti, una volta a settimana. Dico fin da subito che potrebbe trattarsi del martedì o del venerdì o del sabato, dipende sempre dagli impegni (dannata scuola!) e dall’ispirazione. XD

Mi scuso (?) per il linguaggio un po’ volgare che adotto nei POV di Sandor, ma ho cercato di pensare il più possibile con la testa del personaggio e sappiamo tutti che Sandor Clegane non è proprio un angioletto che non dice mai le brutte parole. ( “fuck the king” vi dice nulla? :P)
Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto. Fatemi sapere che ne pensate, i commenti sono sempre graditi!

P.S: grazie mille alla mia Beta Alice. (qui trovare il suo sito efp: 
TsunadeShirahime  ), sei sempre un amore. <3

P.P.S: e grazie di cuore anche a Red ed Erza. Senza il vostro supporto, probabilmente questa storia non avrebbe mai visto la luce. XD
Se vorrete contattarmi o avere notizie sulle mie ff, questo è il mio profilo “fake” creato appositamente per EFP.
Link: 
https://www.facebook.com/harmony.efp.9
 
Valar Morghulis. 
   
 
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