Capitolo 16
La realtà di un incubo
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Prima parte -
“Un vecchio
amore è come un granello di sabbia, in un occhio, che ci tormenta sempre”.
Voltaire
Massimo Girotti e Lucia Bosè
Kurt
non era più nel suo ufficio. Quel peso tremendo, che iniziava a logorargli
l’anima e il corpo, lo aveva spinto a uscire dalla sede del giornale nella mera
speranza di liberarsene. Ma fu inutile e, addirittura, peggio perché il
camminare da solo nel buio e nel silenzio della città lo costrinse ben presto a
guardare nelle profondità della sua anima e a farle violenza, spogliandola
della maschera che si era costruito in quei dieci anni. E vide che il suo
matrimonio non era fondato su un grande amore ma su delle enormi fragilità – le
sue paure e le sue insicurezze – e che, nonostante possedesse tutto – una
moglie splendida, una figlia sana e intelligente, una casa e un lavoro
invidiabili –, non era un uomo felice perché ancora vincolato al suo passato …
il suo passato con Nadine. Quel peso divenne un macigno e la sua tristezza mutò
improvvisamente in un lucido delirio. Iniziò a tormentarsi pensando che Nadine
avesse ricominciato una nuova vita con il bel “dottorino” biondo col nasino
alla francese e, in lui, crebbe sempre di più quest’assurda gelosia. Werner
aveva usurpato il suo posto e, di sicuro, viveva una vita felice con accanto
una donna bella, raffinata, dolce, sensibile, forte come Nadine, la vita che
spettava a lui se solo quella maledetta notte fosse andata diversamente. Il
macigno lasciò una voragine nelle cui profondità Kurt smarrì l’amore di Engel e
il calore della famiglia e ritrovò la sua antica e distruttiva ossessione per
Nadine. Poi ebbe un attimo di lucidità e capì che i suoi pensieri ferivano
Engel, il loro matrimonio e la stessa Nadine.
“Allora
è meglio che me ne vada!” esclamò Nadine e si alzò di scatto, travolta da un
vortice di sentimenti. Era scioccata, impietrita, imbarazzata, sconvolta,
impaurita all’idea che Kurt fosse ancora innamorato di lei. Avrebbe voluto
nascondersi nel posto più buio e isolato della terra e urlare con tutte le sue
forze. “No! …” Engel la fermò disperata “… Tu sei l’unica persona che può
aiutarlo a dimenticarti!” Nadine la guardò con espressione interrogativa e
occhi gonfi di lacrime trattenute. Poi sedette di nuovo e, fissando lo strazio
impresso sul suo volto, si mise in attesa di una più esaustiva spiegazione. Ma,
prima che Engel potesse aprir bocca, Kurt ritornò a casa. “Il lavoro era poco e
sono tornato prima.” disse e, guardando meglio le due donne, si accorse della
loro espressione stravolta, dei loro occhi arrossati e del loro aspetto
scarmigliato. “Cos’è successo?” chiese, preoccupato. “Nadine mi stava
raccontando di Ravensbrück.”
esordì Engel, dopo un lunghissimo istante di silenzio e Nadine confermò: “Sì,
sono stati anni terribili.” Era una bugia. Kurt lo capì subito perché entrambe,
a differenza sua, non erano mai state brave a mentire. “Adesso è tutto
passato.” disse ugualmente, chiedendosi di che cosa avessero parlato le due
donne. Nadine gli rivolse lo sguardo ed esalò un profondo sospiro. “Già.” proferì,
con voce flebile e afflitta per poi abbassare gli occhi e fissare il vuoto.
Gli occhi di Nadine
continuavano a fissare il vuoto mentre la sua mente e il suo corpo, tesi
all’estremo, cercavano un po’ di distensione nell’acqua calda della vasca. Con
profondi sospiri, la donna provava inutilmente a buttar fuori tutto lo stress
accumulato in quel giorno che sembrava non finire mai. Guardò il numero inciso
per sempre sulla sua pelle e nella sua anima e poi, lentamente, portò le mani
all’addome coprendo l’enorme e indelebile cicatrice. Scoppiò in lacrime: la sua
vita era continuamente provata dalla sofferenza. Nadine aveva vissuto cinque
anni d’inferno a Ravensbrück soffrendo il freddo, il caldo, la fame, la sete,
la fatica di un lavoro inutile e durissimo, le botte, gli insulti, il ricordo
della morte atroce del suo primo amore, il dolore degli esperimenti medici con
i quali i nazisti le avevano tolto l’utero e strappato anche l’ultima dignità.
Dopo la guerra aveva combattuto contro la malattia, i sensi di colpa per essere
sopravvissuta a sei milioni di ebrei, le accuse di chi l’additava come una
venduta alle SS e, adesso, doveva far fronte alla delusione di suo marito. No,
non c’era mai fine alla sua sofferenza. Con Werner, pensava di aver raggiunto
quella felicità tanto desiderata ma, in meno di un secondo, tutto era
sprofondato nella tristezza del suo inganno: il loro matrimonio, la loro
famiglia, il loro amore, le loro promesse, i loro momenti di tenerezza. Tutto
era come ricoperto da un enorme velo scuro, persino la gioia di essere genitore
insieme ad una persona che adesso non riconosceva più come l’uomo sincero che
aveva sposato e che amava oltre ogni misura. Le lacrime scivolavano veloci sul
suo viso pallido e stanco, cadendo e mescolandosi nell’acqua, ormai fredda,
della vasca: Nadine aveva perso il suo Werner e, con lui, tutte le certezze
sulle quali aveva ricominciato la propria vita dopo l’inferno di Ravensbrück.
In ultimo, Kurt le aveva chiesto di ritornare con lui al campo il pomeriggio
successivo e lei, convinta da Engel, aveva accettato dandosi l’obiettivo di
approfittare di quest’occasione per mettere ordine alla confusione dell’uomo e
salvare un matrimonio sull’orlo del precipizio. Non sapeva come e nemmeno se ne
avrebbe avuto la forza perché tramortita dal tradimento di Werner che aveva
ribaltato e scosso violentemente la sua vita, la sua anima e anche il suo
corpo. Nadine si sentiva troppo fragile.
Engel si mise sotto le
coperte e, con infinita dolcezza e desiderio ardente di un gesto di tenerezza,
cercò la mano di suo marito. Ma Kurt le volse bruscamente le spalle e la donna,
enormemente risentita, fece altrettanto per poi esplodere in un pianto
sommesso. Engel aveva perso suo marito.