Disclaimer:
I diritti di “Berusaiyu No Bara” appartengono a Ryoko Ikeda, alle diverse case
editrici che ne hanno pubblicato il manga e ai produttori dell’anime. Nulla di
tutto ciò mi appartiene, non scrivo a scopo lucro, questo è solo un modo per
esercitare la mia fantasia. (e
forse per una volta ho scritto un disclaimer serio).
Autore:
Thilwen
Data: Gestazione iniziata a Marzo e
conclusa il 2 settembre del 2008 –altro che parto
gemellare!
Beta:
mise_keith
Note: Ho iniziato questa storia molti
mesi fa, all’inizio di marzo, ma, dopo aver scritto neanche una pagina, non sono
riuscita ad andare avanti. È stata la mia
storia in sospeso, quella che desideravo completare, ma alla quale non
riuscivo a dare forma.
Poi, nell’estasi mistica di una serata, dopo aver passato l’intera
giornata fra esametri e grammatica storica latina, ho riaperto il documento e,
magia, sono riuscita a completarla.
Per quanto riguarda le note di carattere tecnico: il titolo di questa
storia avrà certo portato la mente dei fan al momento della morte di André e
alle promesse di Oscar giusto prima che morisse. Lo spunto, infatti, l’ho preso
proprio da lì, anche se in generale preferisco il manga alla versione animata,
sia per la caratterizzazione dei personaggi che per l’evoluzione degli eventi
(anche perché il manga è di una lucidità e correttezza storica impressionate,
l’anime presenta diverse spettacolarizzazioni filmiche che non mi sono mai
andate giù).
Come nella versione originale, Oscar parla di se stessa al
maschile.
La storia è ambientata nell’agosto del 1769, quando
quindi Oscar deve ancora compiere quattordici anni, mentre André ne ha già
quindici.
Ringraziamenti: Grazie a Chiara perché ha sostenuto il
completamento di questa storia.
Grazie a Gioia perché è stata lei a riaccendere la mia passione per Lady
Oscar.
Dediche:
A “Sara”, che forse non
avrebbe apprezzato.
Per aver tentato di farmi capire il giusto peso delle
parole.
E per avermi insegnato a insegnare.
Un’alba
ad Arras
«Sai, Oscar, non sono sicuro che questa sia una buona
idea».
André lo aveva buttato giù così, con quel mezzo tono incerto che usava
con indifferenza quando voleva darle un consiglio.
Si era fermato un secondo, il piede destro su di un gradino, il sinistro
su uno più giù, la candela in mano ad altezza del suo gomito che creava livide
ombre magre in un giallo alone di luce lungo la
scalinata.
Nel sentire la sua voce e nel percepire il riverbero luminoso quasi
fermo, appena tremolante davanti ai suoi piedi, si era bloccata anche Oscar e si
era voltata di mezzo giro, guardandolo scettica.
«Temi troppo tua nonna, André; non è mica degno di un uomo» lo canzonò
con quella sua voce limpida di ragazza.
“Ecco,” pensò André “ci risiamo, prende in giro la mia
virilità”.
Succedeva più spesso, adesso che le loro caratteristiche fisiche si erano
differenziate in maniera tanto decisa. Lei doveva dimostrarsi più impavida e
mascolina nonostante il suo corpo sottile ed elegante manifestasse una
delicatezza innata.
«Ti ricordi, lo scorso anno» le disse, tenendo la voce rigorosamente
bassa, un po’ per non stonare con l’armonia dell’altra, un po’ per non svegliare
tutti gli abitanti della tenuta. «Quando hai beccato un febbrone da cavallo,
perché siamo andati in spiaggia prima dello spuntare del giorno e tu hai
ritenuto grandiosa l’idea di farti una nuotata?»
Il volto di Oscar, che nella penombra assumeva delicate sfumature color
miele, si schiuse in un sorriso sinceramente divertito. «Più che altro» rispose.
«Ricordo un tuo livido che ha impiegato parecchio tempo ad andare
via…»
Lo ricordava anche lui. La nonna non era stata clemente nonostante si
fosse beccato un brutto raffreddore lui stesso; poiché Oscar non l’aveva
ascoltato, mentre la richiamava dalla riva della spiaggia, si era lanciato anche
lui fra le onde basse per non essere da meno di lei e per non rischiare di
essere preso in giro. Quando si erano gettati stanchi e ansimanti sulla
spiaggia, la sabbia si era attaccata fastidiosamente ai loro vestiti e sulla
pelle umida; l’acqua salmastra gocciolava dai loro capelli appiccicati alle
tempie e alla fonte. Oscar rideva e tremava, i suoi riccioli biondi, tutti
bagnati, sembravano quasi bruni e, prima di ritornare a casa ad asciugarsi e
mettersi addosso della roba pulita, aveva voluto attendere che l’alba si
sollevasse rosata sulla costa stingendo il mare inchiostro nel quale avevano
nuotato. E lì, infreddoliti e infastiditi dall’umido e dalla rena, avevano
passato un bel momento, un ricordo felice sul limitare
dell’infanzia.
E poi si erano ovviamente ammalati.
E lui era stato l’unico a pagarne le
conseguenze.
Il sorriso di Oscar, alla vista del suo cipiglio pensieroso e assorto, si
fece più ampio.
«Non temere, André; prometto di non gettarmi in acqua come uno
screanzato, questa volta. E tua nonna non ne saprà nulla. Vale la pena andare;
sai che spettacolo meraviglioso è l’alba qui ad
Arras».
Al ragazzo scappò un profondo sospiro arrendevole che Oscar si affrettò a
considerare un assenso, riprendendo a scendere le scale evitando il più
possibile di fare rumore; si accorse dopo due o tre secondi che l’altro la
seguiva a pochi gradini di distanza. Infine, silenziosamente, inforcarono
l’uscio e si ritrovarono in un buio quasi notturno.
André alzò gli occhi al cielo: dalla posizione di Lucifero doveva mancare
poco meno di un’ora all’alba. Spense il mozzicone di candela che reggeva in mano
e lasciò che fossero le tremule luci delle stelle a
guidarlo.
Fuori dalla tenuta de Jarjayes, continuarono ad avanzare nella
semioscurità, fianco a fianco, stretti nei loro mantelli leggeri di mezza
stagione, leggermente infreddoliti dal sereno delle prime ore del mattino;
impiegarono circa una decina di minuti per raggiungere la
spiaggia.
Il mare era quieto e quasi silenzioso; il rumore della risacca si
spandeva assopito nell’aria livida e la schiuma biancheggiava appena sulla costa
come il sorriso sbilenco di uno sdentato.
Rimasero fermi alcuni secondi, traendo profondi respiri e riempiendo i
polmoni della salmastra aria di mare. Quel profumo sembrava giungere da mille
spiagge e luoghi lontani portando con sé ì ricordi e le sensazioni sperdute
della gente.
André era ancora immerso nei suoi pensieri e nella contemplazione di quei
suoni vaghi e quegli odori, quando vide Oscar muoversi come una sonnambula
lasciando il suo fianco per raggiungere la sagoma di una piccola barca di legno,
quella usata per muoversi al largo da piccoli gruppi di pescatori, riversa e
ancorata al terreno da cumuli di sabbia. Forse qualche marea particolarmente
violenta avrebbe potuto svellere l’imbarcazione dalla spiaggia, ma probabilmente
era stata lasciata in quella posizione da qualcuno abbastanza certo di
ritrovarla intatta.
André si accorse che Oscar stava studiando con circospezione una fiancata
della barca, spostandosi avanti e indietro e tastando con il piede come alla
ricerca di qualcosa fra la sabbia; finita la veloce esplorazione, la ragazza si
sedette comodamente poggiando la schiena a un fianco legnoso e cingendo con le
braccia le ginocchia al petto, in una posizione di
raccoglimento.
Osservava il mare, assorta, i capelli per metà sul viso, l’aria
stranamente indifesa.
Lui si avvicinò e, continuando a guardarla, si sedette al suo
fianco.
«Non sembra anche a te, André» disse, non appena si fu seduto, senza
comunque distogliere lo sguardo dal vago cullare delle onde. «Che il mare possa
riuscire a rasserenare lo spirito? I suoi colori, il suo lento avanzare e
ritrarsi, sempre uguale eppure sempre diverso».
Tacque, quasi aspettasse che egli assentisse alle sue parole. André
sapeva, però, che poco si sarebbe curata di una sua risposta; era una
riflessione sussurrata ad alta voce a se stessa e che chiamasse questa parte di
sé “André” poco
importava.
«Le onde: perché sembrano tutte uguali se in fondo sono sempre diverse?»
continuò dopo una breve pausa e con un tono leggermente più
basso.
Questa volta André rispose: «È così per tante
cose».
In quel buio alitato dal mare, gli sembrò che la sua voce
stonasse.
Era sempre così da quando erano
cambiati.
Una volta non c’erano differenze. C’era una sola differenza, ma non sembrava
fosse una cosa che contasse poi tanto, per quanto tutti sembravano averne un
chiodo fisso, come se un cosa mancante o in eccesso dividesse gli abitanti del
mondo in due tribù incapaci di comprendersi e
comunicare.
Per loro, invece, non faceva differenza; Oscar e André erano due bambini
quasi della stessa altezza e dello stesso peso. Non particolarmente robusti, né
troppo gracili. Due bambini che crescevano allo stesso modo, facendo le stesse
cose.
Un giorno, poi, senza nessun preavviso, il generale de Jarjayes lo aveva
fatto chiamare nel suo studio specificando che avrebbe dovuto presenziarvi da
solo. “Non toglierle mai gli occhi di
dosso”, gli aveva detto, mentre quel pronome femminile sulla sua bocca lo
aveva colpito con violenza inaudita. Aveva sentito sempre sua nonna riferirsi a
lei al femminile, ma in quel caso era solo un vizio senza
significato.
Ridiscendendo le scale, Oscar lo aveva bloccato afferrandogli la mano e
lui ne aveva scoperto delle dita incredibilmente sottile fra le sue, rozze e
tozze. Il pronome scappato come una bestemmia dalla bocca del Generale aveva
preso una sua dimensione tangibile fra quelle mani e davanti a lui avevano
iniziato a vorticare centinaia di cose delle quali non si era mai reso
conto.
In quel momento i cambiamenti accorsi negli ultimi mesi vennero percepiti
sotto una luce nuova; il suo corpo era diventato più spesso, le sue ossa più
ampie, la sua voce più bassa e meno armoniosa. Si era riempito di peli.
Ovunque.
Da quella presa di coscienza aveva iniziato a sentirsi come una nota
stonata, sempre imperfetto accanto ad Oscar, così liscia, affusolata ed
elegante.
Non sapeva perché, ma non appena si soffermava a pensare a tutte queste
differenze fra loro, a quanto lei
ormai fosse diversa da lui, un
profondo disagio gli si allargava in petto, come se si trovasse in un posto e in
un momento sbagliato.
«Siamo stati degli sciocchi lo scorso anno» disse improvvisamente Oscar.
«Fare il bagno in mare all’alba è stata davvero un’idea da
bambini».
«Già» non volle precisare che l’idea era stata solo sua. «Ne abbiamo
anche pagato le conseguenze come bambini».
Oscar rise e si voltò verso di lui staccando per la prima volta gli occhi
dalle onde del mare. «Ci pensi ogni tanto a quando eravamo bambini?» sembrò che
gli avesse letto nel pensiero. Poteva solo immaginare nella semioscurità il
bagliore dei suoi occhi azzurri, ma fu certo che in fondo alle sue iridi
dovessero baluginare vaghe fiaccole di malinconia.
«Sì, capita» rispose in tutta sincerità. «Ci sono tanti bei ricordi e… ho
come l’impressione che fosse tutto più facile. Mentre adesso, anche se non è
cambiato granché nelle nostre vite, sembra ci siano problemi
inarrivabili».
Oscar reclinò di poco il capo indietro, poggiandolo sul legno della barca
con un piccolo tonfo sordo. «Io ero convinto di essere un uomo. Era estremamente
più facile». André non seppe dire se mentre parlava guardasse verso di lui o se
i suoi occhi fossero fissi al di là della sua figura verso un punto inesistente.
C’era un inesprimibile senso di disagio nell’aria.
La ragazza affondò una mano nella sabbia, come a voler radicare un
pensiero, prima di riprendere la parola. «Posso vivere come un uomo senza
problemi. Posso vivere come un uomo e non essere da meno di nessuno» rimase in
silenzio un secondo, con il fiato sospeso; cercava le parole. «Eppure se nasci
donna» borbottò infine, con voce forzata. «Devi diventarlo per forza. Anche se
decidi di vivere come un uomo. Anche se non vorresti
esserlo».
Udirono il fragore di un’onda più violenta infrangersi contro riva. Il
mare prese un respiro profondo mentre un vago chiarore osava levarsi come nebbia
sottile sulla linea dell’orizzonte.
«André?» chiamò Oscar d’improvviso e, benché fosse al suo fianco e ne
percepisse il respiro e la vaga pressione della propria gamba contro la sua
coscia, non continuò finché non sentì un mugolio da parte del ragazzo. «Sii
sincero: tu talvolta ci pensi al fatto che io in realtà sono una
donna?»
André dentro di sé raggelò e un ronzio lontano prese a vagargli nel
cervello come la fastidiosa presenza di un suono distante eppure reale. Era
qualcosa di vivo che per lui non era mai esistito
prima.
«Io… capita. Ogni tanto».
Un calore gli formicolò lungo il corpo, soffermandosi in alcune zone ben
precise. Avvampò.
Era quello il problema, la perenne nota stonata fra lui e
Oscar.
Lui da un po’ pensava spesso che il suo compagno di giochi fosse in
realtà una donna, perché a questo portava tutto quel continuo indugiare sulle
loro differenze.
Lo aveva sempre saputo. Gliel’aveva detto la nonna, non appena era
arrivato a casa dei de Jarjayes, con aria assolutamente seria e determinata “Tu
sarai il compagno di giochi di madamigella” e poi, di fronte al suo smarrimento
alla vista di Oscar, “Madamigella è una signorina al cento per cento”, e lo
sguardo severo della vecchia bambinaia non gli aveva lasciato
dubbi.
Ma che fosse femmina o meno, prima, non cambiava
nulla.
Prima.
Oscar strinse i pugni contro la sabbia alla sua risposta e voltò di
scatto la testa verso il mare, sibilando al cerchio rosa che chiudeva la notte
oltre l’eco della risacca: «Mai, André. Almeno tu non devi farlo
mai».
Andrè chinò il capo accennando un assenso, con un senso di pesantezza
ruvida a bloccargli il fiato in petto.
Non sarebbe mai più andato via.
Rimasero in silenzio mentre il cielo scioglieva il suo buio contro i
colori pastello dell’alba, mentre il mare si rischiarava e sembrava promettere
specchi di rugiada e cristalli trasparenti.
Rimasero in silenzio terribilmente a lungo, mentre i primi raggi del sole
coloravano le loro figure e rendevano tutto intorno vaghe ombre, svelando il
luogo dove avevano trovato rifugio, una conchiglia quasi completamente immersa
nella sabbia, una bottiglia miseramente vuota.
André non seppe dire quanto tempo fosse passato da quando aveva sentito
la voce di lei per l’ultima volta e poi, ciascuno con i propri demoni, avevano
osservato quelle tinte velate contro il cielo; di certo prima aveva visto una
nuvola dalla strana forma di pecora che adesso si era sfaldata in chissà quali
altri disegni.
Il peso della testa di Oscar, scivolata involontariamente contro la sua
spalla, fu tuttavia inaspettato; la luce vaga creava sul suo volto ombre
inquietanti, specchio dell’intricata massa di capelli, e le ciglia dei suoi
occhi chiusi raramente gli erano sembrate tanto
lunghe.
Si era addormentata, come sempre, come quando era
bambina.
C’era una fatica antica su quel volto assopito. Una fatica che non lui
avrebbe mai capito.
L’avrebbe lasciata dormire, per un po’.
L’odore di André era per lei odore di casa. Era come il profumo di Nanny
che, buono e burroso, le avrebbe sempre portato alla mente spensierate risate
infantili.
L’odore di André era una certezza. Aveva un che di vago che richiamava i
cavalli e il fieno, misto alla colonia e a un sottile aroma speziato che non
avrebbe mai saputo definire ma che, sì, le avrebbe sempre portato alla mente
lui.
La sua spalla era una roccia gentile senza sporgenze sulla quale
appoggiarsi sicuri che avrebbe retto qualunque
peso.
Un nascondiglio sempre presente, l’ombra di un albero fresco e
frondoso.
Prima che lei fosse Oscar, André era lì. Anche quando non lo conosceva,
c’era, perché ci sarebbe stato poi, una presenza immancabile, silenziosa,
reale.
Se lui si fosse accorto che lei adesso era diversa, forse avrebbe potuto
perderlo. Non voleva che la trattasse come gli uomini trattano le donne, baci a
fior di mano, inchini, parole inutili.
Voleva che fossero Oscar e André, com’era sempre
stato.
Eppure era troppo gentile la mano che si avvicinava al suo volto con una
carezza timida, che piano la scuoteva per destarla, perché dovevano andare, sì,
altrimenti si sarebbero accorti della loro
assenza.
Ma era stato sempre gentile. Quando litigavano. Quando si davano
botte.
C’era per lei, in lui, una gentilezza
innata.
Non l’aiutava ad alzarsi, no, lui lo sapeva, la guardava appena e
sorrideva, come sempre.
Sempre.
‘Non cambierà nulla, André. Torneremo qui, anche da adulti, sempre
uguali, sempre insieme.
Torneremo ancora a guardare l’alba ad
Arras.’