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Autore: LaraPink777    23/11/2014    6 recensioni
Mikey scappa dalla fattoria. Ma nel bosco non incontra nessuno. What if di “The Croaking”.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Michelangelo Hamato
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Si puo solo sperare

 

N/A Lara Pink, in kimono bianco e katana, è pronta per la tenzone. Dinnanzi a lei, sulla neve, in tutina gialla bordata di nero e bazooka, Cartoonpeeker sogghigna.

La fanciulla aveva lanciato la seguente sfida: un What if di “The Croaking”. Questo è quello che ho buttato giù stanotte. A te, mia cara! (E tieni presente che se farai un piccolo capolavoro come quello dell’altra volta non ti mando più lo zio Kurtis ma un’automobile affamata).

Un bacio a tutti. Enjoy!

 

 

 

Era arancione, come la sua maschera. Il cerchio di fuoco che si rifletteva tremolante sull’acqua delle pozzanghere, per infrangersi in un’esplosione di scaglie quando una rana ha lasciato il suo riposo, disturbata dai passi leggeri del ninja.

In parecchie di queste pozze che, grandi e piccole, si irradiavano intorno al laghetto, minuscoli girini neri nuotavano irrequieti.

Michelangelo si è accosciato, ha poggiato il bastone con il fagotto di stoffa al suo fianco, ed ha immerso una mano nell’acqua.

I girini hanno iniziato a turbinare, galvanizzati ed inafferrabili, tra le grosse dita verdi. Ha tentato, senza troppa convinzione, di acchiapparne un paio, piegando la mano a coppa; ma questi sono scivolati nell’acqua, in un plop.

La tartaruga ha sollevato la mano, aggrottando la fronte per un improvviso pensiero. Forse, doveva catturarli tutti, e trasportarli nel lago. Il sole nei prossimi giorni avrebbe potuto seccare le pozzanghere, uccidendo i giovani occupanti.

Ma ci avrebbe messo delle ore, solo per una pozza.

Si è rialzato in piedi, guardandosi in giro. Vi erano, vicino al laghetto, centinaia di queste buche d’acqua stagnante, lì dove l’erba degradava fino a diventare solo terra e pietre e fanghiglia.

Il giovane mutante ha stretto gli occhi, ed ha scosso la testa.

Non era possibile, salvarli tutti. Bisognava solo sperare nella pioggia, o sperare che le creature si sviluppassero prima che fosse troppo tardi. Il suo cuore era pesante al pensiero che delle piccole vite potessero morire; lui si è reso conto che non avrebbe potuto farci niente. Per l’ennesima volta in quei difficili quattro mesi, Michelangelo diventava consapevole che nella vita non esisteva sempre una soluzione, non era possibile sempre risolvere ciò che non andava bene.

Quando non si può far nulla, si può solo sperare.

Sperare che sia ancora vivo.

Michelangelo ha ripreso il pacchetto da terra, si è accostato al laghetto. È salito su un grosso tronco, che dal ciglio del bagnasciuga si immergeva parzialmente nell’acqua. Ha fatto qualche passo sul legno e si è seduto, con i piedi a lambire lo specchio.

Il riflesso del sole, nel lago, stava diventando più intenso.

Ancora vivo.

Certo, certo che lo era. Lo aveva detto anche a Raph, di non preoccuparsi.

È un maestro ninja. Ce la farà.

Allora perché, anche questa volta, ha sentito un pizzicare agli angoli degli occhi? Perché questa strana sensazione nel petto, proprio sotto il carapace, a premere sul respiro?

Ogni qual volta il pensiero tornava, nelle settimane passate, il verde dei prati  perdeva un po’ del suo colore, la pizza surgelata un po’ del suo sapore, la puntata di Crognard The Barbarian diveniva improvvisamente noiosa. Ed adesso che aveva smesso di fissare il soffitto, la notte, chiedendosi se quella successiva sarebbe stata la mattina in cui suo fratello si sarebbe finalmente svegliato, adesso sentiva di aver ancora bisogno di sperare un po’ più forte, di desiderare un po’ più intensamente.

Sentiva che avrebbe dato tutto, per un altro suo abbraccio. E che, sì, avrebbe dato tutto anche per avere un’altra botta in testa col suo bastone, perché quella lezione, no, non riusciva a prenderla sul serio; o per vederlo passare vicino a lui mentre era intento a giocare alla consolle, e fermarsi e prestargli attenzione, guardandolo con un sorriso bonario, facendolo sbagliare perché la concentrazione si era persa nell’ansia gioiosa di avere lui come pubblico delle sue ludiche imprese.

L’acqua del laghetto era gelida, quando l’ha sfiorata con la punta del piede, increspandola in minuscoli cerchi. Si è passato una mano sul braccio, a scorrere sulla pelle intorpidita. L’aria diaccia della notte, nel bosco, lo aveva nelle ultime ore intirizzito fino alle ossa. Adesso, l’alba dorata, che si sdraiava sulle punte degli alberi, portava la promessa di un po’ di calore.

Mi manca.

Anche per questo, aveva avuto ieri sera quell’improvvisa voglia di tornare in città. La rabbia verso i suoi fratelli che lo avevano trattato troppo duramente, il risentimento verso Raph, erano stati solo la scusa che si era dato lui stesso in quel momento. Adesso, evaporato il piccolo rancore nel freddo dei boschi, era rimasta solo l’incertezza, e la stanchezza dopo tutte quelle ore di cammino.

Dove credeva di andare? Non era neanche del tutto sicuro che quella fosse la direzione per arrivare a New York… E poi, cosa avrebbe fatto una volta arrivato? Come avrebbe potuto fare, da solo? Forse, sarebbe stato più intelligente tornare indietro. Sopportare la ramanzina di Leo, lo sguardo deluso di Donnie e qualche scapaccione di Raph, chiedere scusa per essersi comportato per l’ennesima volta come un bambino, ed aspettare che Leo si rimettesse pienamente in sesto per poterci tornare tutti insieme, in città, prendere a calci i Kraang e cercare Splinter. Sì, sarebbe stata la cosa migliore da fare… Cosa gli era venuto in mente, di scappare in quel modo? Sicuramente adesso lo stavano cercando, preoccupati… Deciso. Si sarebbe riposato un po’ e poi avrebbe ripreso la strada verso la fattoria. Tempo di rilassarsi un’oretta…

Ha sbadigliato, stirando le braccia, e si è sdraiato sul legno, ancora umido per la rugiada della notte. Poi, girato di fianco, si è alzato su un gomito, ed ha sciolto il nodo al fagotto che aveva riposto accanto a sé: ha tirato fuori dalla stoffa blu dell’involucro il suo orsetto di peluche, si è nuovamente sdraiato, stringendolo al piastrone.

Ha tracciato con le dita le linee del nastro isolante grigio che ricopriva il tronco del pupazzo dal giorno che lo aveva lacerato Leatherhead. Alla memoria è tornato, morbido e caldo, il ricordo di quando, da bambino, suo padre gli aveva regalato quest’orsetto. La vita allora era una giostra, e lui era così sicuro, accanto al suo papà…

Si può solo sperare.

I raggi del sole iniziavano a carezzare la pelle col loro tiepido tocco; Michelangelo ha chiuso gli occhi, sorridendo alle meraviglie di una vita. E nei sogni, sono giunte, caotiche e allegre, triste e sibilanti, le immagini di paure e ricordi, di fatti avvenuti e desideri cullati; e Leo dormiva il suo sonno dentro la vasca mentre un droide Kraang, seduto sulla sedia in bagno, lo guardava con i suoi stupidi e vuoti occhi meccanici, e Donnie vestito come la madre di April teneva in grembo Ice Cream Kitty che si scioglieva piano piano mentre Raph, avvolto di viticci, mormorava qualcosa a proposito sull’essere ninja od essere un inutile fardello…

Ha aperto gli occhi, improvvisamente sveglio, sfiorato dalla sensazione di essere osservato. Il sole, adesso alto nel cielo, luccicava abbagliante sull’acqua, dove, da una foglia di ninfea un po’ più grande delle altre, una grossa rana lo stava fissando con le sue pupille rosse, sbattendo le palpebre, impettita ed altera come un re; sulla pelle salvia una costellazione di macchie oliva bordate di bianco. L’anfibio, lucente, si è stiracchiato, pigro, ed è balzato nel lago. Poco distante, un piccolo stormo di uccelli bianchi ha preso il volo, verso l’azzurro del cielo e dell’acqua.

Qualcuno si stava avvicinando.

L’adolescente mutante si è alzato a sedere, e si è voltato, in allarme, pronto a nascondersi, le mani per istinto poggiate sui nunchaku. Lì, in lontananza, una forma scura stava uscendo dalla foresta, camminando verso di lui.

Michelangelo si è rilassato, si è voltato completamente, ha incrociato le gambe sul tronco, si è schermato dal sole con una mano, ed ha sorriso. Suo fratello Raph lo indicava con un dito, mentre parlava eccitato al T-phone.

La tartaruga mascherata in rosso ha percorso velocemente, a passi lunghi e pesanti sull’erba, la distanza tra di loro. Riposto il T-phone, adesso le braccia che sbattevano a tempo della marcia tradivano la sua rabbia. Michelangelo l’ha visto fermarsi a pochi passi da lui, ed ha iniziato a preparare i suoi fori auricolari alle immancabili urla e la sua testa all’inevitabile botta che sarebbe giunta presto.

Raffaello l’ha guardato, fuoco verde le sue pupille. Ha aperto la bocca per parlare, ma l’ha richiusa subito. Ha stretto gli occhi, prendendo un profondo respiro. Quando li ha riaperti, Michelangelo avrebbe giurato di averli visti brillare, un po’ troppo umidi.

“Idiota.”

“Raph, io…”

“Non farlo mai più. Mai più.”

La rana, dal lago, vedeva le due figure sul bordo; quella con la maschera rossa ha assestato un piccolo scappellotto in testa a quella in arancione, prima di avvolgerla in un abbraccio, forte, alzandola un po’ da terra. L’anfibio ha iniziato a gracidare, ritmico palpito la bianca gola, gonfia e sgonfia dell’aria umida e odorosa, tra i tremiti d luce poggiati sull’acqua.

I due fratelli si sono allontanati insieme.

 

  
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