── La
Comitiva degli Aspiranti Suicidi ──
“We know we
shouldn't do it but we do it anyway”
──────────────────────────
“Il suicidio non elimina la possibilità che la vita
peggiori.
Il suicidio elimina la possibilità che essa diventi
migliore.”
Oliver Sykes
20. L’ingrediente
speciale.
Bussò alla sua porta con mano
tremante, sentendo una o due gocce di sudore scivolargli lungo la fronte. Era
davvero pronto? La sua anima impura avrebbe trovato pace o ne sarebbe rimasta
macchiata per sempre?
Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e bussò ancora.
Finalmente lei
venne ad aprirgli. Non l’aveva mai vista
prima d’ora, ma qualcosa nel suo sguardo gli fece capire che era quella giusta.
Forse fu merito dell’ombra di rassegnazione che le incupiva le iridi verdi, o
magari dell’accenno di paura riflesso nelle pupille scure.
Si fece audace e chiese: «Sono arrivato in ritardo?»
Lei scosse la testa, ma non osò proferir parola; imbarazzata, abbozzò un
sorriso di cortesia e lo invitò ad entrare. Il giovane avanzò di qualche passo,
sentendo la porta chiudersi alle sue spalle, e istintivamente si lasciò
sfuggire qualche commento sul grazioso arredamento, intavolando una discussione
banale che sfociò in argomenti altrettanto miseri come le terribili condizioni
climatiche e le ultime news della BBC. Cosa l’aveva spinto a perder tempo con
simili convenevoli quando era giunto lì per tutt’altro scopo? La paura, l’indecisione… Gli stessi
sentimenti che attanagliavano la mente di lei. Il giovane non sapeva come agire, non aveva preparato un discorso –
credendo di avere buone capacità di improvvisazione – e ora si trovava lì, a
contemplare i quadri appesi alle pareti del salotto mentre la povera ragazza
attendeva, impaziente, un qualche segnale di salvezza da parte sua. Aveva
elaborato un piano piuttosto semplice ed efficace, lavorando esclusivamente
sulla parte tecnica, mentre aveva trascurato del tutto il modo in cui avrebbe
dovuto esporre i suoi pensieri a Alice. Eppure lui era sempre stato bravo a
consolare amici e conoscenti. Avrebbe dovuto pensare a cosa dire in questa
situazione, invece si sentiva come un alunno che si era limitato a ripassare
distrattamente la sera prima dell’interrogazione senza aver realmente studiato
la lezione. Nessuno in queste condizioni avrebbe potuto prendere una A.
Gli occhi di lei si riempirono di lacrime, le labbra contratte in una
smorfia e le mani artigliate alla camicia di lui, che sobbalzò a quel contatto
inaspettato.
«Alice?» mormorò cauto, voltandosi per asciugarle il viso.
«Mi dispiace, mi dispiace…» continuava a
ripetere tra i singhiozzi, rischiando di soffocarsi per l’impeto con cui
piangeva. «Ti prego,» lo implorava «ti prego, aiutami…»
«Ti preparo un tè, così ne discutiamo con calma, va bene?» La sua voce
era melliflua e calda, impossibile opporsi.
La fece accomodare su una delle poltrone disposte di fronte al
televisore e si avventurò nel corridoio alla ricerca della cucina; quando il tè
fu pronto si premurò di aggiungere quell’ingrediente indispensabile per
l’occasione, poi portò la tazzina fumante ad Alice e si accomodò accanto a lei,
che gli sorrise con innocente riconoscenza. Basandosi sulle consuete leggi
morali prefissate dalla società, qualcosa gli suggeriva che avrebbe dovuto
provare sentimenti di vergogna, un moto di colpevolezza, invece non sentiva
nulla. Assolutamente nulla.
Alice – mentre il tè si raffreddava – gli parlò dei suoi problemi, della
sua vita disgraziata, della madre che non la capiva, del bambino che non
sarebbe mai arrivato, dell’enorme vuoto che provava…
Poi dopo aver ringraziato ancora una volta il giovane per la sua disponibilità,
sorseggiò il tè tra le lacrime, ma il sapore della bevanda fu accompagnato da
un retrogusto acido ed un insopportabile bruciore all’esofago – e in quel
momento lui si domandò se non si fosse accorta
dell’odore di mandorle. Il giovane le tenne una mano dietro la testa e con
l’altra la costrinse a finire la bevanda, spingendo con forza la tazzina contro
la bocca dischiusa. Dopo un primo tentativo di ribellione il corpo di lei si
adagiò esanime sullo schienale della poltrona, pendendo da un lato con lo
sguardo vitreo rivolto verso il nulla. Sorpreso dalla velocità con cui era
avvenuto il tutto, si concesse un attimo per osservarle le labbra corrose, poi
si accertò che fosse morta.
Niente battito.
Fino a quel momento la sua mente non aveva realizzato cosa stava
accadendo e la consapevolezza di averla uccisa lo colpì con una fitta al petto,
come un fastidioso dolore intercostale. Aveva preannunciato una reazione
devastante, invece si sentiva più calmo di quanto avesse potuto immaginare,
eppure il presentimento di aver dimenticato qualcosa lo tormentava. E se si
fosse risvegliata? Impossibile, era morta! Libera da ogni vincolo e
responsabilità, libera dalle bugie e dalla sofferenza. Un limbo di pace e
silenzio l’attendeva, proprio come nei suoi sogni.
Tentò invano d’ingoiare il groppo che gli si era formato in gola,
impedendogli di respirare regolarmente, e proseguì con simulata sicurezza versò
l’uscio, ma prima di varcare la soglia un antiquato oggetto catturò la sua
attenzione: un giradischi. Lo esaminò qualche istante, poi diede un’occhiata
alla pila di dischi sul mobile a fianco e ne scelse uno: “La gazza ladra”, uno
dei suoi brani preferiti. Perché lo fece, tuttora non saprebbe dirlo con
certezza, ma di fronte alla buona musica non sapeva fermarsi, ne era attratto
come un insetto dalla luce.
Qualcuno prima o poi se ne sarebbe accorto. I vicini avrebbero sentito
il tanfo del cadavere una volta che il corpo avesse cominciato a decomporsi; i
colleghi avrebbero fatto caso all’assenza prolungata di Alice dal lavoro e la
madre non avrebbe ricevuto alcuna risposta alle sue chiamate, lasciando
messaggi preoccupati alla segreteria telefonica. Ma la teoria del suicidio era
piuttosto credibile, doveva solo sperare che nessuno si fosse accorto della sua
presenza in quel palazzo.
Prima di lasciare l’appartamento posò una lettera blu e un fiore di
campo sul tavolo.
Ammirò il suo lavoro, sorrise e uscì.
══════════════════════════════════════════════════
La
“vittima” si chiama Alice perché odio “Alice in Wonderland”, mi
sembrava
giusto specificarlo.
Christopher