Film > Il Principe d’Egitto
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Autore: ellacowgirl in Madame_Butterfly    27/11/2014    0 recensioni
(ZipporaxTuya)
Non è stato Mosé a vedere la gitana fuggire, quella sera dopo la festa, ma niente di meno che la moglie del Faraone.
E si sa, il cuore di una donna è ben differente da quello di chinque altro.
1."Solo una donna può comprendere il dolore di un’altra donna, non credi?"
2. Aveva il profumo del più impetuoso dei deserti e delicatezza di una nuova alba
3. La loro era una straziante necessità di comprendersi, di provarsi l’un l’altra che una speranza esisteva ancora.
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(La raccolta di brevi fanfiction non ha una durata nè una scadenza, và a seconda dell'ispirazione personale e delle emozioni che può trasmettere - possibile modifica a raiting arancione)
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri | Personaggi: Tuya, Zippora
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Vi rubo solo un attimo...
Come specificato, aggiorno a "ispirazione", ma ho già scritto parecchi capitoli quindi non dovrei farvi attendere molto.
Grazie a chi ha recensito, facendomi sapere che per quanto disperso, abbandonato e quasi inesistente, questo fandom comunque qualche lettore ce l'ha.
Spero che questi componimenti (volutamente brevi) siano comunque abbastanza intensi e ben caratterizzati.
Dal prossimo il raiting salirà!
Buona lettura.



2.
«Non puoi farlo.»
Per una frazione di secondo finse di non udire quella voce, mentre controllava allo specchio che il trucco fosse impeccabile.
Come se una bellezza del genere ne avesse bisogno, per essere ulteriormente invidiabile.
«Da quando hai il permesso di rivolgerti a me in questo modo?» Fu la sola risposta che uscì dalle labbra della Regina, seduta all’ampio specchio della sua stanza.
Era pur sempre la Regina dopotutto.
Dal grande letto a baldacchino, Zippora inarcò un sopracciglio e la sua espressione ondeggiò tra l’ironico e l’offeso.
Rimase in silenzio, costringendo Tuya e volgerle un’impercettibile occhiata dal proprio riflesso: era un vero problema, non riuscire mai a capire cosa passasse per la testa di quella ebrea.
Aveva osservato milioni di volti ed espressioni, ma quella ribellione – con tanto di strafottenza non indifferente – continuava a sfuggirle.
Era un fiore che continuava a sbocciare nonostante la furia delle tempeste, nonostante la siccità, nonostante tutto gli fosse avverso.
Lui sbocciava e fioriva e del resto se ne fregava.
«Non è giusto.» Proferì di nuovo, assumendo quella che poteva sembrare un’espressione infantile.
Tuya parve non curarsene, delineò una riga nera precisa ed impeccabilmente orizzontale accanto all’occhio.
«Non ho detto che è giusto. Ho detto che è necessario che io lo faccia.» Tagliò corto, quasi volesse evitare il discorso.
Da quando si metteva anche a discutere con una selvaggia, che per di più era in palese debito con lei?
Scosse il capo, decisamente si era rabbonita più del previsto, contrariamente alla maschera di fredda compagna del Faraone che quotidianamente portava.
«E’ necessario schiavizzare altri poveracci per una stupida costruzione?» Azzardò ancora, insolente, sporgendosi in avanti col busto quasi avesse tutte le intenzioni di alzarsi dal letto nonostante la caviglia abilmente fasciata.
E se c’era una cosa che la mandava in bestia era vedere come quella Regina troppo irraggiungibile avesse una maturità ed una fermezza tali da non reagire minimamente alle sue schiette provocazioni.
Dio, quanto la innervosiva!
«Ho dei doveri.» Si limitò di nuovo a dire, il tono era però più grave rispetto a prima, meno sicuro.
In cuor proprio sapeva che non era un bene, lo sapeva benissimo nonostante fosse cresciuta proprio in quella società… eppure cos’altro poteva fare se non cercare di mitigare le scelte del Faraone con la propria presenza?
«Anche questo non è giusto!» Si inalberò ulteriormente Zippora, questa volta il suo impeto fu ancora più istintivo ed impetuoso, tanto che azzardò a lasciare il letto per alzarsi e si ritrovò di nuovo a terra, la caviglia troppo fragile perché potesse ancora reggerla.
La Regina si volse d’istinto verso di lei, per una frazione di secondo l’ebrea vide nel suo sguardo un cenno di preoccupazione, forse di apprensione.
Dunque aveva davvero un lato umano, quella freddezza fatta a persona?
Tuya non le diede modo di prolungare la scrupolosa osservazione, si alzò in piedi e le si avvicinò, aiutandola a tornare sul letto.
«E’ la sola scelta che ho.» Sembrava una giustificazione, anche se il suo era solo un voler mettere un punto a quella questione.
Le portò un braccio alla vita e l’altro sotto la spalla, aiutandola a sedersi nuovamente sul morbido letto.
Aveva il profumo del più impetuoso dei deserti e delicatezza di una nuova alba, quella ebrea.
Ma nel momento in cui la Regina fece per riallontanarsi, una presa salda le bloccò l’avambraccio, costringendola a specchiarsi in quelle iridi così scure e profonde da metterle quasi i brividi.
Da quanto non vedeva uno sguardo tanto intenso?
«E’ la sola scelta che vuoi vedere.» E fecero male, malissimo quelle parole.
Per un attimo la vide tentennare ma no, non ne gioì: per quanto fosse dispettosa per natura, Zippora aveva l’insana capacità di pungere nel momento più appropriato.
Non si dissero altro, si limitarono a quello sguardo forte e quasi insostenibile da parte di entrambe: l’ardore di una pareva morire nella sicurezza dell’altra, almeno quanto la consapevolezza annegava nella volontà più magnanima.
Come si erano ritrovate così vicine?
Quella stretta sul braccio bruciava, bruciava da morire.
Poteva zittirla, poteva insultarla, poteva farla fustigare o uccidere o semplicemente considerare le sue opinioni alla stregua di qualsiasi pezzente di turno… ma no, lei non era ipocrita, non era un’illusa.
Tuya non era come loro.
Tacque con le labbra leggermente dischiuse, sin quando la consapevolezza non riprese possesso di lei e con delicatezza si liberò dalla presa, rialzandosi e riassumendo quel portamento regale e maledettamente raffinato.
«Le erbe per la caviglia sono sul comodino.» E di nuovo le voltò le spalle in un gesto rapido, quasi avesse fretta di lasciare la stanza – la sua stanza, tra l’altro, dove era solita rifugiarsi in più occasioni.
La gitana si lasciò sfuggire uno sbuffo sconsolato, misto ad un sorriso quasi divertito.
«Fate sempre così, voi nobili? Scappate?»
La provocò ancora, determinata, coraggiosa al limite dell’autolesionismo.
Non sapeva spiegarsi perché, eppure quella situazione le piaceva, le metteva i brividi, la faceva sentire viva come non mai: possibile che l’essere ogni attimo in pericolo di morte la divertisse? La facesse sentire bene?
Perché quella donna la attirava, invece di spaventarla?
E lei, Tuya, Regina e sovrana d’Egitto, perché non la mandava semplicemente al diavolo e tornava ai propri impegni?
Lo fece, all’apparenza, uscì da quella stanza sbattendo la porta.
E sapeva che quella ebrea troppo sfacciata avesse ragione.
Maledettamente ragione.



 
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