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Autore: BlueButterfly93    30/11/2014    6 recensioni
(REVISIONE STORIA COMPLETATA)
MIKI: ragazza che, come il passato le ha insegnato, indossa ogni giorno la maschera della perfezione; minigonna e tacchi a spillo. È irraggiungibile, contro gli uomini e l'amore. Pensa di non essere in grado di provare sentimenti, perché infondo non sa neanche cosa siano. Ma sarà il trasferimento in un altro Stato a mettere tutta la sua vita in discussione. Già da quando salirà sull'aereo per Parigi, l'incontro con il ragazzo dai capelli rossi le stravolgerà l'esistenza e non le farà più dormire sogni tranquilli.
CASTIEL: ragazzo apatico, arrogante, sfacciato, menefreghista ma infondo solamente deluso e ferito da un'infanzia trascorsa in solitudine, e da una storia che ha segnato profondamente gli anni della sua adolescenza. Sarà l'incontro con la ragazza dai capelli ramati a far sorgere in lui il dubbio di possedere ancora un cuore capace di battere per qualcuno, e non solo..
-
Lo scontro di due mondi apparentemente opposti, ma in fondo incredibilmente simili. Le facce di una medaglia, l'odio e l'amore, che sotto sotto finiranno per completarsi a vicenda.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubriaca d'amore, ti odio!'
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Prima d'inserire il capitolo questa volta volevo richiamare la vostra attenzione con questo splendido disegno che avete appena ammirato. La mia unica lettrice fedele (che recensisce ogni capitolo) e che è bravissima a disegnare... è rimasta colpita da questa scena e ne ha fatto il relativo disegno. È una scena che ho “sentito” particolarmente anche io e sono contenta che lei è riuscita a renderla ancor più emozionante. Una Castelniana com'è anche lei, non poteva non creare un qualcosa collegata a Castiel, e questo mi ha reso ancora più su di giri xD E poi, ecco.. questa è Miki, come l'immagino io. Beh.. è in un momento di rabbia, ma credo ne possiate vedere le sue caratteristiche.. spero che tutti voi l'avevate immaginata così. Direi che questa volta, il disegno e l'autrice, si meritino anche solo un “brava” da almeno qualcuno di voi, ma visto e considerato di quanto “voi lettori silenti” siete pigri, sono sicura che come sempre, a fine capitolo, mi ritroverò le solite due recensioni (ringrazio le coraggiose :*)

E ora vorrei passare alla favolosa ragazza che ha creato questo capolavoro, credo se lo meriti più di tutti. RandomWriter è una scrittrice e disegnatrice bravissima, anzi se non l'avete già fatto invito tutti voi a leggere la sua fan fiction sempre ambientata in DF, dal titolo “in her shoes”, così mi darete anche voi ragione... Ora parlo rivolgendomi direttamente a te, così mi viene più facile, E. beh... ci siamo conosciute già da qualche mese, la tua storia ci ha fatto conoscere. Di te mi ha sempre colpito il tuo modo di scrivere e mi hanno sempre fatto impazzire i tuoi disegni, e soprattutto ora che ne hai fatto uno per la mia storia. Quello che hai fatto per la mia storia, Mi lusinga parecchio, già in MP ti ho ringraziato forse dieci volte xD, ma ora ci tenevo a farlo in pubblico, ti meriti tutto il bene del mondo e ti auguro di restare sempre così come sei, che oggi è davvero difficile trovare persone disponibili, brave e buone proprio come te... GRAZIEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE... Oltre questo non so cosa dire, perché non ci sono parole per descrivere quanto mi hai fatta felice facendomi quel disegno. Ti ringrazio anche per avermi sollevata dai miei dispiaceri e voglio inoltre che tutti sappiano che io per te ci sarò sempre, se un giorno avrai bisogno d'aiuto volerò come una farfalla da te e farò il possibile per aiutarti. :*

OK...Ho finito con la dose di miele, ma prima di lasciarvi leggere in pace: VOLEVO ACCENNARE CHE NEL CORSO DEL CAPITOLO SI FARÀ RIFERIMENTO A Paco Rabanne, NOTO STILISTA FRANCESE. I FATTI E GLI AVVENIMENTI CHE RACCONTERÒ SU DI LUI, SONO FRUTTO DELL'IMMAGINAZIONE E DELLA MIA LIBERA ISPIRAZIONE. DI REALE C'è SOLO IL NOME E QUALCHE ACCENNO SULLA SUA VITA. Vi dico questo per tutelarmi, non voglio che si pensino cattiverie o si facciano Spam, violazioni e via dicendo. Se non posso farlo avvertitemi che cambierò il nome dello stilista e me ne inventerò uno a caso.

Ora ho finito davvero.. VI LASCIO LEGGERE IL CAPITOLO. BUONA LETTURA!

 

Capitolo 15

Mille rose che cambiano la vita







Erano passati cinque giorni. Cinque giorni dall'ultima volta che i miei occhi avevano incontrato quelli di Castiel; cinque giorni da quando lui era tornato insieme alla sua ex ragazza; cinque giorni da quando in quella stanza, nella sua stanza, avevo intravisto qualcosa cambiare nel suo sguardo; cinque giorni dal mio addio a Castiel. Era stato duro nei miei confronti, mi aveva palesemente confidato di avermi abbindolata mesi prima solo con l'intenzione di portarmi a letto. Mi aveva ammesso di essere una sua semplice amica, ed io lo sapevo ancor prima di sentirlo uscire dalla sua bocca. Eppure mi aveva ferita e da stupida qual ero dopo cinque giorni ero ancora lì a piangere sul latte versato, e mi mancava. Tremendamente. Non osai immaginare cosa sarebbe accaduto dopo averlo incontrato di nuovo. Ma non potevo cedere, dovevo convincermi e tornare al principio quando di lui non m'importava niente. Lui ormai aveva la sua Debrah. Non m'interrogai neanche sul motivo per il quale mi aveva seguita sotto la pioggia, dopo il nostro addio, non ne valeva la pena illudersi ancora.

In realtà non sapevo come sarebbero andate le cose nei giorni a seguire ma di un fatto ero certa: in quel momento non volevo avere niente a che fare con il mondo maschile. Non avevo risposto al messaggio di Ciak, non lo meritava, avevo evitato come la peste anche Nathaniel. Volevo stare sola com'era sempre stato. L'unica persona che mi faceva piacere sentire era una donna, Rosalya, diventata la mia più cara amica a Parigi. Le avevo accennato tutto il trambusto accaduto e neanche lei era contenta di sapere del ritorno di Debrah. Avevo l'impressione che sapesse cosa fosse accaduto di così grave qualche anno prima, ma neanche lei aveva l'intenzione di rivelarmelo. Grazie a lei però avevo capito che in tutta quella storia c'entrasse anche Nathaniel. Non riuscivo a capacitarmi del perché tutti continuassero a volermi tenere nascosto quel litigio, quel passato. 

«Cosa farai domani? Sarà la vigilia di Capodanno, non esci con i tuoi amici?» interruppe i miei pensieri zia Kate, ma non la degnai di risposta.

Dopo l'episodio del pranzo di Natale, zia Kate, aveva cercato in tutti i modi di risanare il nostro rapporto. Dal mio arrivo a Parigi era tutto cambiato, la convivenza al contrario di quanto lei aveva sostenuto inizialmente, ci aveva solamente allontanate. Non tolleravo troppe cose di lei e quel pranzo insieme ai genitori di Castiel non era stato altro che la ciliegina sulla torta. Si era comportata da immatura, mi ero persino vergognata di lei, per non parlare del giorno prima quando l'avevo addirittura trovata insieme a quell'uomo sul tappeto del nostro salotto. Non ne combinava una giusta, ultimamente. Ma stavo apprezzando il suo costante darmi attenzioni, quel suo essere premurosa nei miei confronti per poter recuperare qualcosa. Qualcosa che io al momento non volevo assolutamente. Volevo stare sola, lontana anche da lei. Sapevo bene di starle dando sofferenza per quel mio menefreghismo nei suoi confronti ma, come tutti gli altri avevano fatto con me, anch'io volevo fregarmene altamente dei sentimenti ed emozioni di chi mi stava vicino. Avevo dato tanto a persone che non lo meritavano, a persone che poi non ci avevano pensato due volte a prendersi gioco di me, ad illudermi. Tutti avevano la consapevolezza che li avrei perdonati a prescindere e subito, ma i giochi erano cambiati. Ero stanca di correre dietro a chi non lo meritava, ad accettare le scuse da chi mi avrebbe nuovamente ferito. Purtroppo quei miei pensieri non erano riferiti solamente a zia Kate, ma anche a Nathaniel che si era rivelato un bugiardo come tutti gli altri, era riferito a Castiel ovviamente; lui non mancava mai nelle consapevolezze negative. 

I miei pensieri erano riferiti in parte anche a Ciak, ma era leggermente diverso. Non avevo risposto a quel messaggio di cinque giorni prima sebbene avessi tanto voluto chiedergli spiegazioni. Lo conoscevo da dieci anni, ormai, e sapevo quanto buono fosse, quanto rispettasse le donne, non era tipo da mandare quel genere di messaggio. Quindi ero giunta alla conclusione che l'avesse mandato solamente per ferirmi, toccando il mio punto debole. Ciak era bello, da togliere il fiato, ma non era il classico bad boy che si divertiva a spezzare i cuori delle ragazze. Amava le avventure di una notte, ma lo metteva in chiaro con ogni ragazza prima di fare qualsiasi cosa. Le rispettava, le venerava, era dolce e mai volgare. Era il ragazzo perfetto, ma non il mio. Quanto avrei voluto tornare indietro di qualche mese e poter chiarire con lui... Eppure non era possibile, ero convinta che nulla sarebbe tornato come prima, lui era innamorato di me. Ancora stentavo a crederci. Come poteva una persona innamorarsi della sottoscritta? Come aveva potuto proprio lui?

Dovevo ritornare ad essere passiva ai sentimenti come mi ero promessa. Stavo impazzendo dietro a tutti quei dilemmi. 

Dopo quei brutti comportamenti di zia Kate, dal giorno di Natale, avevo deciso di pranzare e cenare da sola, senza aspettarla, come se fossimo due estranee. Era brutto lo sapevo, eppure era l'unico modo per non sorbirmi le sue continue scuse e lamentele. Ma quel trenta Dicembre la separazione non servì molto. Aveva già terminato il suo pranzo ma era rimasta ugualmente in cucina, posizionandosi dalla parte opposta del tavolo in cui ero seduta io. Era alzata continuava a fissarmi e a parlarmi, era inquietante. Ovviamente non stavo ascoltando neanche una delle sue tante ed inutili frasi, ero concentrata a guardare la zuppa calda che stavo mangiando mentre pensavo ad altro. Persino una zuppa era più interessante dei discorsi della zia. Ma ad un certo qualcos'altro attirò la mia attenzione. Un qualcosa di liscio e appuntito, tagliente, colpì la mia fronte per poi cadere dritto nel piatto contenente la mia zuppa. 

Era una carta di credito. La presi, cercai di asciugarla e pulirla con un fazzoletto per poi alzare il volto corrucciato verso zia Kate. Aveva le mani poggiate sul tavolo, infuriata.

«Ma dove siamo arrivati?!? Devo lanciarti oggetti per attirare la tua attenzione? Cosa ho fatto di male, Miki? Parliamone ti prego, ma non ignorarmi» inizialmente urlò, poi via via si calmò divenendo quasi supplichevole nei miei confronti pur di convincermi a parlarle. L'accontentai. 

«Ed hai persino la faccia tosta di chiedermelo? Ti ho beccata a scopare col padre di un mio amico» trasalii nel pronunciare quell'ultima parola, perché quella persona non era proprio un mio amico «Hai rovinato la sua famiglia, sei stata tu la causa del divorzio dei suoi genitori, e mi hai tenuto nascosta questa storia patetica per ben due anni. In più hai fatto una pessima figura davanti lui e tutti gli altri presenti durante il pranzo di Natale. I-io mi vergogno di te, è questa la verità. Sei l'unica famiglia che io abbia mai avuto, l'unico esempio per me, ma è bastato vivere con te per qualche mese per capire quanto stupida io sia stata a crederti una persona leale e senza difetti. Volevo essere come te, da grande.. Magari diventare anch'io un avvocato importante, ma sinceramente ora non so più cosa è giusto e cosa invece no, non so se ne vale la pena avere come modello da imitare te» ero stata dura con le parole, senza filtri, ma avevo bisogno di mettere in chiaro cosa di lei mi aveva provocato del male. Quel suo nuovo lato mi aveva spiazzata nell'ultimo mese, non pensavo potesse diventare quasi stupida una volta essersi innamorata. Era adulta ma in determinate situazioni ritornava ad essere un adolescente davanti alla sua prima cotta. 

Zia Kate davanti quel mio discorso sgranò gli occhi. Non si aspettava questa sincerità da parte mia. Lessi anche delusione e leggera vergogna per la verità mostratele, mi dispiacque ma era quello che mi aveva dimostrato. 

Prima di replicare sospirò e chiuse gli occhi «So di essere stata esagerata a volte ed in alcune occasioni, per questo motivo ti chiedo scusa. Ma prova a capirmi anche tu... Questa è la prima volta che m'innamoro seriamente. Lo sai, non ho mai dato retta al mondo maschile, tutti gli uomini davanti ai miei occhi risultavano essere degli approfittatori, dei farabutti, e ciò fin quando non ho conosciuto lui. Isaac è capitato, non era previsto; mi ha stregata e da quel benedetto giorno non faccio altro che pensare a lui. Mi batte il cuore all'impazzata anche solo nel pronunciare il suo nome, o quando lo penso. Quindi se devo essere considerata un'adolescente con gli ormoni impazziti solamente per essermi innamorata, beh, preferisco di gran lunga questo piuttosto che continuare con la mia vita noiosa e priva di colori. Perché lui mi fa vivere. Non ho fatto nulla di male, il rapporto tra Isaac e Adelaide aveva già delle crepe, non posso affibbiarmi colpe che non ho. Isaac non amava più Adelaide, è questa la realtà e dovreste iniziare ad accettarla anche voi; tu, Castiel, Adelaide. Mi dispiace di averti delusa, Miki, ma nessuno è perfetto ed io voglio continuare a vivere nella mia imperfezione se questa contiene una vita accanto ad Isaac!» il suo discorso era limpido e pulito, non faceva una piega apparentemente, ma spalancai la bocca ugualmente per la sorpresa di quelle frasi. Zia Kate era proprio cotta.

Ed io non mi sarei mai innamorata. L'amore portava all'offuscamento totale della vita vera, perdita del contatto con la realtà, io non sarei mai stata pronta a perdere me stessa. 

«Comunque quella» indicò la carta di credito sul tavolo «è intestata alla sottoscritta, ma ho deciso di regalarla a te. Fanne buon uso, la lista movimenti sarà sempre disponibile per controllarti quindi attenta. Vorrei che tu uscissi oggi pomeriggio per una seduta frenetica di shopping, ti fa sempre bene quello. E poi so per certo che è stato inaugurato da pochi giorni un negozio Guess poco distante da qui»

«Non ho molta voglia di uscire in r-» fui bloccata dalla voce insistente di zia Kate.

«Fallo per me, dai, ti prego» continuò così per cinque minuti buoni, ed alla fine acconsentii pur di far smettere le sue suppliche.

Nonostante non avessi nessuna voglia di uscire, accontentai zia Kate, le mie orecchie non ne potevano più di sentirla urlare. Pensavo che avrebbe reagito male dinanzi alle mie dichiarazioni forti di qualche minuto prima, ma invece dopo essersi giustificata, dopo avermi parlato del suo amore, ciò che più le premeva sembrava essere sbarazzarsi di me. Evidentemente le serviva avere la casa libera per un incontro focoso ed amoroso con Pinocchio. Avevo dato quel soprannome ad Isaac sia per la protuberanza del suo naso e sia per la sua indole a mentire; era perfetto quel nomignolo per lui.

Per evitare brutti incontri mi alzai velocemente dal tavolo e dopo aver lavato i piatti, salii in camera per cambiarmi. Mandai un messaggio a Rosalya, chiedendole se fosse libera quel pomeriggio per accompagnarmi e lei non ritardò ad acconsentire. Lo shopping era la salvezza di entrambe. Mi risollevò l'umore sapere che non sarei stata da sola, Rose era una buona compagnia, in più non stavamo insieme dal famoso di ballo di Natale. Nei giorni precedenti ci eravamo solamente sentite telefonicamente. 

Un'ora dopo, non ebbi neanche il tempo di mettere piede fuori dal cancello di casa che un Nathaniel sorridente iniziò ad importunarmi. Aveva messo delle cimici dentro la villa e conosceva ogni mio movimento, per caso?

«Oh finalmente! Cerco d'incontrarti da cinque giorni... Cos'è, esci solo la notte quando nessuno può vederti? Sto iniziando a pensare che tu sia un vampiro!» poggiò una mano sul mio braccio e mi sorrise.

Non avevo alcuna intenzione di parlare con lui. Da cinque giorni avevo stipulato un patto con me stessa, dovevo stare alla larga dai ragazzi che continuavano a portare problemi nella mia vita e lui era uno di quelli. 

Il suo sorriso toglieva il fiato. Era un ragazzo solare a differenza di qualcun altro di mia conoscenza. Guardai per un attimo il cielo cercando di tranquillizzarmi, era una bella giornata per essere Dicembre, il cappello e la sciarpa che avevo indossato non servivano più di tanto per quel clima, ma servivano più che altro per l'influenza. Come avevo predetto, a causa della mia fuga sotto l'acquazzone e a causa del freddo preso, il giorno dopo Natale mi ero svegliata con la fronte bollente e il raffreddore. Per fortuna cinque giorni dopo ero quasi guarita.

Guardai meglio il ragazzo di fronte a me, i raggi del sole riflettevano sui suoi capelli rendendoli ancor più dorati. Lo stesso sole rifletteva sui suoi occhi rendendoli quasi di un colore soprannaturale. Non potevo negare la sua bellezza, ogni giorno che passava sembrava sempre più perfetto. In un attimo mi ritrovai a pensare al suo bacio di qualche giorno prima e mi sentii a disagio. Non avevo sentito niente, nessuna emozione, era strano. 

"Rosalya ti aspetta. Mollalo con due parole e scappa!" "Grazie, se non ci fossi stata tu..." pensai sarcasticamente per la perspicacia della mia coscienza. "Se mi ascoltassi sempre non ci troveremmo in questo stato, zitella!" "Che? Come mi hai chiamata? Ma che str..." "Ehi, sta' attenta a quello che dici, insulteresti te stessa" "Ora smettila, sono impegnata" "No, non sei impegnata. Se fossi stata con Castiel, allora ti avrei lasciata in pace, ma ora sei con un tipo che non merita più di tanto la tua attenzione. Quindi muovi quei piedi, grazie!" "Ti ho detto che non voglio mai più sentir parlare di quel pomodoro secco..." "Oh sì, certo! Ridimmelo quando lo incontrerai di nuovo." 

«Miki, tutto ok?» la voce del biondo mi riportò alla realtà. Maledetta coscienza!

«Sì, hai bisogno di qualcosa?» gli risposi quasi infastidita.

«Ecco, vedi, i-io vo-volevo... A proposito del bacio, i-»

Bloccai il suo imbarazzo prendendo la parola. Sapevo già dove volesse andare a parare lui e le sue regole. «Oh non preoccuparti. I tuoi principi non sono stati violati, è stato un semplice bacio a stampo. Dopo quello non ci fidanzeremo, non ci sposeremo e non faremo un bel niente. Ora se non ti dispiace ho da fare. Ciao!» il mio tono di voce risultò troppo infastidito, più di quanto lo ero realmente. Levai il braccio dalle sue mani e m'incamminai verso la fermata dell'autobus. Con Rosalya ci saremmo visti direttamente in centro.

Sia Castiel che Nathaniel avevano passato il loro tempo a prendermi in giro. Nathaniel era stato molto chiuso nei miei confronti, non mi aveva raccontato della sua storia con Melody e anzi avevo la netta sensazione che mentre diceva parole dolci alla sottoscritta, passava il suo tempo anche con la mora. Certo, io ed il biondo non stavamo insieme quindi avrebbe potuto fare ciò che voleva, ma odiavo esser presa in giro e, una volta che mi si era presentata l'occasione, gli avrei fatto capire di essere a conoscenza di ogni cosa sulla sua storia passata. 

Dopo aver fatto qualche passo mi fermai per poi voltarmi nuovamente verso lui «Ah, un'ultima cosa. Dopo le vacanze parlerò con la direttrice per farti riavere il posto di delegato. Mantengo sempre le mie promesse. E quando la vedrai, di' pure a Melody di dormire sogni tranquilli: può riprenderti quando le pare, la sgualdrina -come mi ha definita lei- non ha nessuna voglia d'interferire con la vostra lunga ed importante storia d'amore».  Marcai gli ultimi due aggettivi per fargli capire di essere a conoscenza della loro storia, poi senza attendere risposta mi voltai nuovamente e con camminata decisa raggiunsi la fermata dell'autobus. 

«Aspetta, Miki, non è come pensi...»

"Sì certo come no, non è mai come penso". 

Con quel mio discorso avevo appena interrotto ogni specie di rapporto con Nathaniel. Ero stata abbastanza chiara, non volevo più essere il terzo incomodo né tantomeno dividere una coppia già affermata. Inoltre di bugiardi ne avevo già conosciuti tanti, un altro sarebbe stato di troppo. Quella di quei giorni oltre tutto fu una sorta di prova ai miei sospetti, l'innocenza che faceva apparire Nathaniel era finta, era fuoco sotto cenere, era come tutti gli altri. Ed io dovevo salvarmi finché ero in tempo, nonostante il senso di confusione insistente che m'annebbiava mente e cuore dovevo tornare ad essere quella di un tempo, apatica ad ogni tipo di sentimento, ad ogni ragazzo.

-

Rosalya, come immaginavo, aveva fatto di tutto per distrarmi. Era stata un'ottima compagna di shopping ma una rovina per la carta di credito della zia. Avevo speso davvero tanti, troppi soldi, perlomeno tornai a casa di ottimo umore. Erano ormai le otto di sera quando varcai la porta di quella villa. Le luci erano spente e proprio per quel motivo urlai il nome della zia per evitare spiacevoli inconvenienti com'era accaduto, invece, in quella famosa notte della vigilia di Natale. Ma dopo aver posato le buste dei miei acquisti su delle sedie, in cucina, e dopo aver acceso le luci, notai di essere sola realmente. Forse zia Kate aveva ascoltato il mio consiglio di prenotare un hotel per i suoi incontri passionali con Pinocchio. 

Mi fiondai in camera mia per liberarmi dei vestiti e fare un bagno rilassante, ma i miei piani furono stravolti non appena varcai la soglia e trovai davanti uno spettacolo irripetibile. 

La stanza, la mia stanza era cosparsa di rose rosse. Strabuzzai gli occhi per la sorpresa del tutto inaspettata. Non riuscii a contare quanti fiori potessero esserci in ogni angolo della camera. Erano davvero tanti, anzi erano troppi. 

Chi poteva aver fatto quel gesto così eclatante nei miei confronti? 

Nessuno era così pazzo, ma soprattutto nessuno era a conoscenza che quelli fossero i miei fiori preferiti. Per un attimo la mia mente malata e masochista ricollegò quel gesto a Castiel. Volevo illudermi ancora una volta che a lui importasse qualcosa di me, che volesse scusarsi in qualche modo per le parole urlate cinque giorni prima, per l'umiliazione subita a causa sua, ma ovviamente in cuor mio sapevo bene che quelle sorprese uno come lui non le avrebbe mai messe in atto, o perlomeno non per me. Lui aveva la sua Debrah... Eppure sarebbe stato bello ricevere dei fiori da parte sua, ne ero sicura. Accantonai quel pensiero doloroso e del tutto inappropriato e venni a contatto con la realtà. Solo zia Kate poteva aver fatto una cosa del genere. 

Restai immobile sull'uscio della porta, come un ebete, a fissare quella stanza per qualche altro istante, poi prendendo il cellulare feci una foto per immortalare quello spettacolo. Ero senza parole. Abbassai lo sguardo sul pavimento e vidi una scia di rose rosse formare una strada che partiva proprio dalla porta -dove mi trovavo io in quell'istante- e finiva accanto al letto. Seguii la scia di rose, raccogliendole man mano che mi capitavano sotto gli occhi e quando fui accanto al letto notai una custodia nera solitamente utilizzata per i vestiti, e accanto a questa una scatola di scarpe. Corrugai la fronte quando poi riconobbi la calligrafia di una lettera poggiata sulla custodia nera, dove dentro doveva esserci un vestito. 

Quel foglio bianco riportava il mio nome: per Miki. Era scritto in italiano. Quella calligrafia l'avrei riconosciuta anche tra mille simili, d'altronde avevamo imparato a scrivere insieme. Era stato il mio compagno di banco, il mio compagno di avventure per dieci anni esatti. 

Ciak aveva organizzato quella sorpresa per me, e quello fu l'unico momento in cui finalmente dopo mesi ebbi uno spiraglio di speranza nel pensare che ci fosse ancora qualche possibilità di riavere il mio Ciak, l'amico migliore che potesse esistere al mondo. 

Quando presi il foglio bianco tra le mani fui colpita da una brezza improvvisa di felicità, era il suo profumo, mi sentii di nuovo a casa, di nuovo vicina al mio migliore amico, sebbene non avessi ancora dimenticato il contenuto di quel messaggio mandatomi qualche giorno prima. Mi s'inumidirono gli occhi ancor prima di leggere il contenuto di quel foglio. 

Ciak mi aveva scritto una lettera. Non persi ulteriore tempo, mi sedetti sul letto coperto da centinaia di fiori e lessi.

"Cara Miki,

da come avrai già capito queste mille rose rosse sono per te, per chiederti mille volte scusa... 

I miei comportamenti in questi mesi sono stati imperdonabili, ma non potevo lasciare scemare la nostra amicizia che dura da anni, restando a guardare, senza muovere un dito. 

Tua zia, che ti ha praticamente tolto di casa oggi pomeriggio, era d'accordo con me per aiutarmi in questa mia folle sorpresa, che poi folle non è perché quando si tratta di te io farei di tutto. Comunque ho pregato Kate affinché mi aiutasse, quindi qualora non apprezzassi questo mio gesto, non prendertela con lei, ma con me, e soprattutto non pensare che mi sono intrufolato dentro casa tua come un ladro. 

Ora di sicuro la tua bella testolina starà pensando: "ma questo è pazzo.. prima manda quei messaggi e ora fa il romantico", le due cose effettivamente sono legate, ma non arrivare a risultati affrettati. Calma! Respira, ora ti spiego! Innanzitutto, ho deciso di scriverti una lettera perché conoscendoti se mi avessi visto di persona, non mi avresti lasciato il tempo per parlare, come al tuo solito mi avresti aggredito senza lasciarmi spiegare.. Perché sei fatta semplicemente così, sei spontanea e a me piaci anche per questo. So anche che dopo aver letto questa frase starai sorridendo con quella bocca carnosa che ho sempre sognato di baciare.. Da come vedi ti conosco, ti conosco più di chiunque altro. La nostra amicizia va avanti da dieci anni, e oramai sono capace di prevedere qualsiasi tuo movimento o gesto. Mi è sempre piaciuto osservarti, sai? Anche quando meno te l'aspettavi, quando pensavi che nessuno badasse ai tuoi comportamenti, io ero lì a guardarti e ad innamorarmi ogni giorno di più. Mi ha da sempre incuriosito questo tuo modo di approcciarti al mondo, vedere come vuoi apparire perfetta davanti agli altri, di come vuoi far credere di essere immune ai sentimenti, contraria all'amore ma come in realtà di ciò non ne sei convinta neanche tu. Perché che ti piaccia o no un giorno t'innamorerai, Miki. Potrò essere o non essere io, ma sono sicuro che accadrà perché tu hai un mondo da donare, sei ricca di sentimenti tanto da non rendertene neanche conto. E sono sicuro che quando t'innamorerai donerai tutta te stessa, e pagherei tutti i tesori del mondo per essere io il fortunato a ricevere il tuo amore. Ma ora non voglio parlare di questo, anzi, scusa se sto divagando, ma quando si parla di te potrei anche riuscire a scrivere un libro. Dicevo: hai sempre mentito, e ci sei riuscita anche bene. Il mondo ti ha vista, ti vede come hai voluto, ma in tutto ciò hai dimenticato di cercare di convincere una persona: ME. Per quanto quel giorno di Settembre, ormai lontano, io abbia potuto fare il sorpreso, l'orgoglioso e l'incazzato, oggi posso e devo confessarti che io avevo già capito molte cose di te senza che tu me le rivelassi. Ad esempio avevo capito che tu fossi orfana, che raccontassi una montagna di frottole sul loro lavoro. Avevo capito che dietro la maschera della perfezione, hai sempre nascosto il tuo dolore. Tante volte avrei voluto aprire questo discorso, aiutarti, ma sono stato troppo orgoglioso. Ho sempre pensato che avresti dovuto parlarmene tu, ho aspettato tanto credimi, ma non l'hai fatto e ho capito che forse non ti sei mai fidata abbastanza di me per parlarmi sinceramente. Questa è stata  la cosa che più mi ha ferito, ciò che mi ha provocato maggiore rabbia. I tanti anni di amicizia si sono rivelati essere solo cenere ed è stato proprio questo a portarmi a scriverti quel messaggio orribile, il 25 Dicembre. Tu mi hai abbandonato, tu mi hai ferito ed io con quelle parole volevo ferire te, tornandoti almeno la metà del dolore che tu provocasti in me a Settembre. So di aver sbagliato, so di averti delusa, non avrei dovuto attaccarti proprio su quell'argomento, so quanto odi essere vergine. Perché per te verginità equivale a debolezza. Ma sai che ti dico oggi, Miki? Non è vero! Questo è un valore enorme che ancora possiedi e che non tutte le ragazze della tua età hanno, non concederlo solo per il gusto di farlo, donalo solamente a chi tu ritieni degno. So di sembrare contraddittorio, visto che ti ho praticamente fatto capire che la tua verginità mi spetta di diritto, ma non è così. Come ti ho già detto ho sbagliato, e sebbene essere la tua prima volta mi farebbe acquistare un primato indelebile nel tuo cuore, non voglio accada così. Tu e solo tu puoi decidere la persona giusta, io non ho alcun diritto di decidere al posto tuo. Spero potrai perdonarmi e che capirai i miei motivi. Ti chiedo ancora scusa!

Chiarite queste cose, vorrei passare ad un'altra parte fondamentale della lettera. Io, Ciak, sono a Parigi, da come avrai capito, e alloggio in un hotel vicino la Tour Eiffel. Mi trovo qui, non per pedinarti, non per supplicarti a stare con me, ma per lavoro. Ebbene sì, finalmente ce l'ho fatta. Ricordi la famosa agenzia in cui ero iscritto e che mi costava troppi soldi? Beh ecco... quella stessa agenzia, a Novembre mi ha finalmente chiamato, mi ha fissato un incontro e mi ha offerto tre possibilità di lavoro e dovevo scegliere se lavorare a Parigi, in Spagna o a Milano. Io ho scelto Parigi, ovviamente... la città dell'amore, la città del mio amore. Sono stato condizionato dal fatto che tu ti fossi trasferita a Parigi e per questo ho scelto di venire a vivere anch'io nella tua stessa città, perché non potevo stare più lontano da te. L'Italia, Roma era vuota senza te. Ho pensato anche che grazie alla vicinanza potremmo ritornare quelli di una volta, ho pensato che grazie a Parigi potrò di nuovo stare bene.. perché da quando sei andata via mi manca il respiro. E quindi eccomi qui. Da Gennaio sarò un modello, un vero foto modello, ti rendi conto?! Ancora stento a crederci di star realizzando il mio sogno più grande. Per fortuna avendo un'agenzia con ottimi agganci e dopo averla pagata profumatamente per anni, le mie foto sono state viste dai più grandi stilisti e case di moda attuali, così da Gennaio inizierò a lavorare per Paco Rabanne. Mi senti urlare?!? Mio Dio, Miki. Domani sera, poi, ci sarà una festa organizzata da lui, dove saranno presenti un bel po' di persone famose e tutti coloro che lavorano per lui, ancora non so molto, ma so solo che dietro di se ha una macchina enorme fatta di persone e collaboratori. Ed io, essendo il suo nuovo acquisto, sono stato invitato. 

Da come sai questo è un sogno che si avvera. E almeno per una sera vorrei condividere parte del mio sogno realizzatosi con te. Sì proprio così, ti ho invitata a venire con me. 

Vuoi essere la mia dama in un capodanno da VIP con me? 

Pensaci prima di rispondermi e quando vuoi apri pure le scatole che trovi sul letto. Questo è un mio regalo per te, un pensiero. Conoscendo la tua passione per queste cose, già avrai capito di cosa si tratta, e sono sicuro che muori dalla voglia di vedere com'è. Quando lo avrai tra le mani capirai anche che ho mantenuto la promessa fatta due anni fa. Indossalo domani sera qualora tu deciderai di accompagnarmi. Altrimenti sarà ugualmente tuo. 

Aspetto la tua risposta. Il mio numero di cellulare è rimasto sempre il solito. 

Un bacio.. Ciak"

Ero esterrefatta, incredula e contenta per lui. Nel leggere l'ultima parte della lettera mi ero messa a saltare di gioia per tutta la stanza per la bella notizia. Sapevo quanto ci tenesse, Ciak, a sfondare nel mondo dello spettacolo e sapere che ormai quel sogno era divenuto realtà mi fece battere il cuore all'impazzata. Avrebbe lavorato con uno degli stilisti più conosciuti al mondo, ero così fiera di lui nonostante le incomprensioni. Avrei tanto voluto abbracciarlo in quel momento.   

Con quella lettera, Ciak, aveva dimostrato di conoscermi più di chiunque altro. Aveva previsto persino i miei gesti, era qualcosa di sensazionale, qualcosa d'inspiegabile. Quella sorpresa, quella lettera mi avevano lasciato senza parole. Era tutto vero quello che aveva affermato.. ed era proprio come immaginavo, quel messaggio lo aveva mandato per rabbia, per provocarmi dolore. Come lui conosceva me, io conoscevo lui. Infondo avevamo passato insieme dieci anni, in cui ne avevamo combinate molte, entrambi conoscevamo ogni lato dell'altro. Finalmente dopo tanti giorni riuscii nuovamente a sorridere. Era da cinque giorni che non lo facevo. E chi se lo sarebbe aspettato che proprio Ciak, quel Ciak, sarebbe stato capace di farmi ridere?

Senza perdere altro tempo, mi precipitai ad aprire la custodia nera in cui doveva per forza esserci il vestito. Ero curiosa. Restai a bocca aperta quando lo vidi, era perfetto come avevo sempre immaginato. Alzandomi dal letto e saltellando, nuovamente, per la felicità decisi d'indossarlo, poteva anche non andare bene, starmi male, non potevo saperlo senza provarlo. Ma una volta indossato dovetti ricredermi. Quel vestito sembrò esser stato cucito appositamente per l'evento e per me, non avevo parole nell'ammirarmi allo specchio.

L'abito era a sirena, stretto fino alle gambe e dalle gambe in poi scendeva ampio. Era rosso e bianco, lungo fin sotto i piedi. Lo scollo alla parte superiore era a cuore e drappeggiato. Sotto il seno una fascia piena zeppa di diamanti lo rendevano spettacolare. Sotto ai fianchi dei decori a fiori di Swaroski accompagnavano la stoffa che poi si allargava dando spazio all'ampiezza. La stoffa rossa scendeva morbida fino alle ginocchia e dalle ginocchia fino a sotto i piedi una stoffa di pizzo bianca rendeva fiabesco e non troppo colorato quel vestito favoloso. Poi presi le scarpe, quelle richiamavano gli Swaroski del vestito, e praticamente erano interamente ricoperte di brillantini. Avevano un tacco di circa quindici centimetri. Le guardai con ammirazione ed elettrizzata mi venne in mente quanto fossero simili se non identiche alle scarpe delle principesse delle fiabe. 

Ancora con il vestito addosso, guardandomi allo specchio, ripensai a tutte le volte che avevo parlato di un vestito simile a Ciak.

«Guarda Ciak...» lo richiamai con voce sognante.

«Ancora in fissa con questi vestiti?!» alzò gli occhi al cielo fintamente scocciato, mostrandomi la vetrina. Eravamo in via Condotti, a Roma, proprio di fronte al negozio Valentino. 

«Sai come sarebbe perfetto?! La stessa forma di questo, a sirena, ma con degli Swaroski sulla vita e sotto il seno. Poi mi piacerebbe alternare il rosso con una stoffa bianca di pizzo sulla parte ampia, sarebbe fantastico e poi...»

«Miki non ripetermelo ancora una volta, ti prego!» mi fermò dalla descrizione dell'abito dei miei sogni. «Ora vieni o faremo tardi...» mi afferrò dal braccio ed iniziò a trascinarmi verso casa mia. Nonostante le sue parole, non dimostrava alcun segno d'irritazione sul volto, anzi sorrideva. Avevo sempre ammirato la sua pazienza.

«Il fatto è che non avrei occasioni per indossarlo, altrimenti l'avrei già fatto cucire» sbuffai mentre c'incamminammo. Ero realmente innamorata di quel vestito disegnato nella mia mente, non potevo farci niente. 

«Allora, facciamo una cosa» si bloccò ed io sbattei alla sua schiena, poi si voltò e fece quella promessa guardandomi dritta negli occhi «quando diventerò famoso ti farò cucire questo benedetto vestito che tanto ami. Te lo prometto!» incrociò le dita guardandomi dritto negli occhi. Nel suo sguardo non c'era ombra di esitazione, lo stava promettendo sul serio.

A distanza di due anni, aveva mantenuto realmente quella promessa. E non solo... A mio parere l'aveva persino superata. Il vestito era ancora più bello di come immaginavo, aveva aggiunto dei dettagli che lo rendevano ancor più meraviglioso. In quel gesto vidi nuovamente il mio migliore amico, quello che conoscevo da dieci anni, sembrava esser sparito il Ciak vendicativo dei precedenti mesi. Sperai di poter recuperare il nostro rapporto, sapevo non fosse facile dal momento che lui provava ben altro per me, ma se solo lui lo avesse voluto ci avrei provato. Dopo quelle dimostrazioni decisi di perdonarlo, di concedergli un'ulteriore possibilità, non me ne sarei pentita ne ero sicura.

Lui aveva mantenuto la promessa ed io avrei mantenuto la mia. Avremmo festeggiato il suo debutto insieme. L'indomani sarebbe stato Capodanno ed io non avevo di meglio da fare. E Ciak meritava il mio tempo. 

Non posso crederci che tu ricordavi quella promessa. Non posso crederci che tu l'abbia mantenuta. Il vestito è favoloso, ancor più bello di come lo immaginavo. Ti adoro Ciak! Grazie per le mille rose rosse, grazie per le belle parole avute per me nella lettera, grazie di tutto. Per questa volta perdono il tuo esser stato stronzo, dopotutto tu hai perdonato me per non averti raccontato la mia storia... Bene, se vorrai domani inizierò a raccontarti qualcosa. Ti voglio bene!

Mandai quel messaggio al mio migliore amico e lui rispose subito, dopo neanche un minuto, sembrava stesse aspettando un mio segno di vita.

Cosa vuol dire? Accetti di accompagnarmi? Sul serio? 

Percepii la sua felicità persino da un messaggio.

Certo che ti accompagno. Mantengo sempre le mie promesse ;)

Feci riferimento alle nostre promesse fatte quando ancora ci trovavamo entrambi in Italia. Lui aveva promesso di farmi cucire ed indossare quel vestito ed io avevo promesso a lui di stargli accanto nel giorno più importante della sua vita.

Mitico! Passo a prenderti domani alle 20:30. Buona serata, un bacio.

Sapevo quanti sacrifici avesse fatto per raggiungere quel traguardo e non potevo che essere felice per lui. Era iscritto in quell'agenzia da ormai tre anni e aveva partecipato a parecchi provini sebbene avesse solo sedici anni. Il mondo della moda favoriva modelli giovani e dopo anni ci era riuscito seriamente. Non potevo crederci. Il mio Ciak a breve sarebbe diventato famoso. Lo meritava. Per mantenere un fisico tonico e muscoloso aveva un'alimentazione ferrea, beveva persino uova crude, in più si allenava per quattro ore ogni giorno. Certo, oltre quei particolari, madre natura era stata generosa con lui. Gli aveva donato due occhi verdi bellissimi, dei capelli mori e un'altezza impressionante. Tutti quei suoi particolari lo facevano sembrare più grande rispetto alla sua età reale, infatti aveva sempre attirato attenzioni anche da donne mature. Era bellissimo, non c'erano dubbi. 

Oltre la mia felicità per lui, però, avrei dovuto chiarire un ultimo punto. Lui era il mio migliore amico, non avrei mai potuto immaginarlo o considerarlo come qualcosa di più. 

-

Dopo aver passato l'intera serata a raccogliere rose sparse per tutta la stanza, con zia Kate era tornato un provvisorio sereno. Non avevamo più parlato dei nostri problemi, anzi avevamo passato tutta la sera ed il successivo giorno a parlare di quel gala a cui avrei dovuto partecipare. Il pomeriggio insisté persino ad aiutarmi con il trucco e i capelli. Per una volta la lasciai fare, dopotutto era bello vederla così sorridente. Se non fosse stato che aveva rovinato un'intera famiglia, sarei stata contenta per lei. L'amore le faceva bene. La sera avrebbe festeggiato con Pinocchio in un locale, ma aveva continuato a sostenere che io avessi la priorità e che quindi lei si sarebbe sistemata in un secondo momento. 

Per quella sera decisi di abbandonare i ricci e di optare per un'acconciatura liscia. Zia Kate mi lisciò i capelli con la piastra e poi, sotto la mia guida -dopo aver guardato per circa un'ora dei tutorial su YouTube- mi raccolse i capelli in uno chignon laterale che poi abbellì con delle forcine brillantate. Era perfetta. 

Volevo creare un trucco delicato sugli occhi e più marcato sulle labbra. Infatti così feci. Misi il fondotinta e come ombretto un colore tenue, naturale. Poi passai al mascara, misi quello nero e subito dopo i brillantini sulle ciglia. Ed ecco arrivati al rossetto.. optai per un rosso uguale al colore del vestito. 

Poi finalmente arrivò il momento che più attendevo dal giorno prima, indossai quel vestito che non avevo perso d'occhio neanche un secondo. Dopo, sedendomi sul letto indossai le scarpe sotto gli occhi sbalorditi di zia Kate. Doveva apprezzare sicuramente il risultato finale, vista la sua espressione.

«Wow! La mia bambina sta crescendo» quasi si commosse nel vedermi pronta.

Si avvicinò e dopo tanti mesi mi abbracciò. Zia Kate non era mai stata una donna affettuosa, non che non ci tenesse a me, solo... Non riusciva sempre a dimostrarlo. Quella sera ricambiai l'abbraccio sperando in giorni migliori e soprattutto sperando nel recupero del nostro rapporto. 

Il citofono interruppe il nostro momento dolce. Zia Kate si staccò e andò ad aprire.  

«Miki» urlò la zia dal piano inferiore «Ciak è arrivato, scendi!»

Deglutii rumorosamente e cominciai a scendere le scale lentamente. Ero ansiosa di rivedere Ciak. Erano ormai quasi quattro mesi che passavamo lontani senza neanche sentirci. In quel momento -mentre scendevo le scale di quella villa- mi sentii una modella, visto il contesto e visto gli spettatori che non facevano altro che fissarmi con un sorriso sulle labbra. Avevo solo quattro occhi puntati addosso, ma quelli bastarono per farmi sentire in soggezione. Arrivata all'ultimo gradino, senza perdere tempo e velocemente, anche se il vestito mi avrebbe dovuto impedire quel tipo di movimenti, corsi verso Ciak e mi attaccai al suo collo. Fu un gesto troppo avventato per la mia indole e visti i precedenti, ma non riuscii a trattenermi. Quel ragazzo mi era mancato così tanto.. Appena mi staccai, dopo forse un minuto, lo squadrai dalla testa ai piedi.

Se lo si guardava all'apparenza, aveva il tipico vestito elegante maschile con giacca e pantaloni neri. Ma non era così, la particolarità stava nella camicia e negli accessori. Entrambi erano coordinati al mio vestito. La camicia era bianca con i bottoni rossi, al posto della cravatta aveva un papillon rosso, ed una fascia grossa di seta sulla pancia legata a mo' di cinta di cui non ricordavo il nome. D'altronde la mia passione erano gli abiti femminili, di quelli maschili non ne capivo poi molto. Un'altra particolarità stava nel taschino della giacca. Solitamente lì si sarebbe dovuto portare una specie di fazzoletto di stoffa, ma lui lo aveva di pizzo bianco, lo stesso pizzo della parte inferiore del mio vestito. Eravamo coordinati perfettamente. I capelli poi erano diversi di come li ricordavo io, non sapevo se lo avesse fatto per l'occasione, ma di sicuro quei capelli scompigliati e quei ciuffetti ribelli che lo distinguevano dalla massa, erano spariti. I capelli erano stati sistemati all'indietro con il gel e ciò faceva risaltare i lineamenti virili del suo volto e soprattutto gli occhi. Il suo sguardo era felice ed emozionato totalmente differente dall'ultima immagine impressa nella mia mente di lui. Quattro mesi prima lo avevo lasciato con uno sguardo duro, pieno di rabbia, vederlo nuovamente sereno, rasserenò anche me. 

Zia Kate ci aveva salutati ed era corsa di sopra a prepararsi, mentre io continuai a fissare quello che era rimasto del mio migliore amico. Era cambiato e lui se ne accorse che lo stessi fissando con sorpresa per quel motivo. 

«Sì, lo so sono cambiato.. Beh fa parte del contratto che ho firmato. Non posso più sembrare un ragazzino anche se ho solo sedici anni. Devo apparire maturo, sembrare un uomo, devo mantenere la mia immagine altrimenti non durerò molto in questo mondo».

In effetti la sua immagine era cambiata molto. Essendo un ragazzo molto sportivo, in Italia, indossava solamente t-shirt, jeans, e tute da ginnastica era strano vederlo in quegli abiti così eleganti. Avrebbe potuto indossare un semplice completo casual per quell'evento, ma il suo contratto non glielo permetteva. 

«Comunque sei spettacolare, ed è bellissimo rivederti dopo tutti questi mesi» si complimentò senza ombra d'imbarazzo. Era sempre stato un ragazzo diretto e deciso.

Dopo avermi guardata con ammirazione, accorciò nuovamente le distanze tra di noi, si abbassò di qualche centimetro per arrivare all'altezza del mio viso e mi diede un dolce bacio sulla guancia. Nonostante non fossi una ragazza eccessivamente bassa -ma di altezza normale- lui mi superava di parecchio, era alto un metro e novanta ed in quel momento nonostante i tacchi mi fece sentire una bambina.  

Ero contenta che non avesse perso la parte dolce di lui, l'avevo sempre apprezzata. Era dolce e premuroso nei miei confronti a differenza di un'altra persona. Maledizione, mi ero promessa di non pensare a quella testa rossa eppure lo stavo nuovamente paragonando a qualcuno. 

«Cos'è, hai perso la lingua? Comunque andiamo, siamo già in ritardo!»

"Ed ora questa battuta da dov'è uscita?" Non erano battute da Ciak. Non aveva detto qualcosa di offensivo o strano, ma era stato il modo con il quale aveva pronunciato quelle parole a farmi sussultare. Mi diede l'impressione di sentirsi una spanna sopra di me, più importante, sperai non si fosse montato la testa ancor prima d'iniziare a lavorare seriamente in quel mondo. Sarebbe stata la fine.

Non risposi a differenza di come avrei fatto in altre situazioni, volevo tastare i suoi altri comportamenti prima di giudicare ed eventualmente farglielo presente. Uscimmo fuori dal cancello e ad aspettarci c'era una limousine. Come facesse un modello ancora inesperto a potersi permettere un mezzo del genere non ne avevo idea, avrei indagato in un secondo momento. Quella sera volevo solamente godermi quel giro in un mezzo che quasi sicuramente non avrei rivisto in altre occasioni. 

Era nera e lunghissima. Ad aprire lo sportello non fu Ciak ma l'autista, che scese appositamente per noi. Avrei potuto benissimo aprire da sola lo sportello, non era necessaria mica una laurea per farlo. Eppure Ciak mi bloccò quando vide le mie mani dirette alla maniglia. Alzai gli occhi al cielo e quando il mio migliore amico finì di fare il divo finalmente riuscimmo ad entrare in auto. Più che automobile quella sembrava una vera e propria casa. Mi sedetti e guardai ogni punto. I sedili erano di color beige, di pelle e molto morbidi. Oltre i sedili vi era una piccola piscina idromassaggio rotonda, ancora più in là una specie di bar portatile ed un freezer che Ciak non perse tempo ad aprire. L'autista partì in direzione del gala che non avevo idea dove si sarebbe tenuto, mentre il mio migliore amico afferrò tre bottiglie alcoliche, poi scuotendole e aprendole pronunciò testuali parole «Che la festa abbia inizio...» Ed io non potevo credere ai miei occhi quando iniziò a bere prima da una bottiglia e poi dall'altra, alternandosi. Inarcai le sopracciglia per la sorpresa. Cosa ne era stato del mio migliore amico? Quella era la versione di un Ciak viziato e a me non piaceva per niente. 

Sotto la mia espressione scioccata mi offrì persino una bottiglia di un liquore, che sembrava parecchio pesante visto il forte odore di alcol presente nell'abitacolo, che io però non tardai a rifiutare. 

Dopo avermi raggiunta si accomodò accanto a me e: «Ah a proposito, Miki... Davanti a quella gente non chiamarmi Ciak, loro mi conoscono come Francois. Il mio manager continua a sostenere che Ciak è un soprannome imbecille e per marmocchi e devo dire che non ha tutti i torti. D'altronde il mio vero nome è Francesco che poi trasformato in francese diviene Francois; et voilà... Ecco che anch'io ho uno pseudonimo». La sua voce al momento era irritante, troppo.

Con quella frase, poi, mi aveva stravolto ancor di più. Ero stata proprio io, dieci anni prima, ad inventare quel nomignolo e da quel giorno era divenuto di tendenza chiamarlo in quel modo. Nessuno a Roma lo conosceva come Francesco, ma tutti come Ciak. Poteva anche sembrare infantile da parte mia, ma sostenendo di essere d'accordo col suo manager un po' mi ferì. Ero affezionata a quel nomignolo, lui per me era Ciak, e Ciak non era un soprannome imbecille o per marmocchi, era solamente un nome per distinguersi dalla massa, un nome che rappresentava la nostra amicizia. Aveva sempre sostenuto di esser rimasto incuriosito da me perché ero l'unica a chiamarlo diversamente, ed era proprio per quel mio modo buffo di chiamarlo che la nostra amicizia era iniziata. Quando giocavamo con gli altri bambini aveva sempre la tendenza a dire "Ciak si gira!" era il tipico modo italiano dei registi per iniziare una registrazione; lui era già colpito da quel mondo sin da piccolo, sin da quando suo zio -un regista dilettante- lo aveva portato con sé sul set di un film. E da lì il suo gioco preferito divenne far finta di essere un regista. Quindi d'imbecille quel nome non aveva proprio nulla; aveva tutta una storia dietro, praticamente un mondo. 

Nonostante ci fossi rimasta particolarmente male, non lo diedi a vedere, non volevo partire col piede sbagliato, non volevo creare maggiori crepe in quel rapporto che già ne aveva troppe. Così acconsentii a chiamarlo con il suo vero nome francesizzato e cambiai discorso. 

«Hai notato che stiamo parlando in italiano da quando ci siamo visti?» risi «In Italia parlavamo in francese ed ora che siamo in Francia parliamo l'italiano. Il colmo proprio..»

In effetti era buffo quel fatto. Quando eravamo a Roma lui insisteva a voler parlare in francese perché in quel modo avrebbe potuto imparare un'altra lingua. Una delle poche e vere cose raccontate a Ciak era proprio quella di essere bilingue. Lui sapeva che mio padre fosse francese, nulla di più. Nonostante le mezze verità, perlomeno ero stata un'ottima insegnante, in quegli anni aveva imparato a parlare il Francese perfettamente. 

«Oddio, è vero... E dire che non me n'ero neanche accorto» mi sorrise, l'esaltazione gli era passata, apparì più tranquillo «Ti manca l'Italia? A me per niente!» 

«Diciamo che se prima avevo un motivo per tornarci, ora non più. Il mio motivo è qui vicino a me» gli sorrisi spontaneamente. Ed era la verità. Non avevo rimpianti o mancanze, in Italia mi era rimasto solo lui e dal momento che si sarebbe trasferito a Parigi, non avevo più motivo di tornarci. 

Per un attimo mi venne in mente il fatto di aver vinto un viaggio a Roma insieme al rosso, ma scacciai quel pensiero dalla testa per evitare di fasciarmela. A Gennaio avrei proposto alla preside di cambiare meta.

«Oh! Finalmente una frase carina per me. Quindi ora ammetti che ti sono mancato...» lasciò la frase in sospeso e si alzò dal sedile cominciando a solleticare la mia pancia. Una frenata un po' troppo brusca nel momento sbagliato, lo fece cadere su di me.

C'era poca distanza tra di noi, non era la prima volta che accadeva nel corso degli anni, ma quella volta fu diverso; quella volta entrambi avevamo la consapevolezza che qualcosa era cambiato. Lui era innamorato di me e si era dichiarato. Ci guardammo negli occhi e a causa del suo sguardo una triste consapevolezza mi arrivò come uno schiaffo in pieno viso, perché capii che non sarebbe più stato come prima. Quell'amicizia innocente e genuina non esisteva più. Era duro da ammettere, ma era quella l'unica verità. Avremmo potuto volerci riprovare, accantonare le incongruenze, ma nulla sarebbe potuto tornare com'era un tempo. Non sarebbero ritornate le gite al mare, in moto, le lunghe chiacchierate o le dormite insieme, nulla di tutto ciò sarebbe potuto ritornare senza un secondo scopo da parte sua. Il mio Ciak, il mio migliore amico non sarebbe potuto ritornare. Quegli occhi che continuavano a fissarmi bramosi erano uguali a tutti gli altri ragazzi, non era lo sguardo del mio migliore amico, quello senza malizia. Era diventato quasi un estraneo per me.

Non feci in tempo a far pressione sul suo petto per spostarlo che subito si avvicinò ad un centimetro dalla mia bocca e sussurrò: «da troppo tempo aspetto questo momento...» la sua voce era sensuale e mi fece rabbrividire, ma non per il piacere. Era strano, troppo, vedere il mio migliore amico provarci con me. 

«Eh no però...» lo spinsi con tutta la forza posseduta in corpo e lui cadde sulla moquette della Limousine «Io a differenza tua non aspettavo questo momento, Cia... o Francois, come ti chiami tu...» sospirai. La serata doveva ancora iniziare ed io già ero piena di problemi. 

«Ti ho già detto che non provo niente per te, sei il mio migliore amico, cazzo Ciak... Ci siamo visti neanche un'ora fa dopo quattro mesi di litigi e tu che fai? Arrivi e mi baci? E no, eh! Ti ringrazio per la sorpresa, ti perdono, ma questo non vuol dire che puoi baciarmi senza che io voglia!» cercai di essere il più chiara possibile senza alterarmi, ma ci riuscii malamente. Quel suo gesto avventato mi aveva innervosita e scossa.

«Sc-scusa Miki, hai ragione» abbassò il volto senza neanche provare ad alzarsi da terra.

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CASTIEL

Da cinque giorni Debrah era come una sanguisuga, mi cercava costantemente e continuamente insisteva sul voler stare a casa mia. Fino a qualche tempo prima avrei dato tutto pur di avere quel genere di attenzioni da parte sua, invece in quei giorni -dalla sera di Natale esattamente- non sapevo cosa mi fosse preso ma la reputavo insopportabile. Eppure continuavo a stare con lei. Avevo bisogno di un ottimo specialista, evidentemente. 

Mentre ancora riflettevo sulla mia poca sanità indossai, sbuffando, quel maledetto papillon e quel vestito elegante che da sempre odiavo ma che perennemente mi trovavo a dover indossare. Anche quella sera, vigilia di Capodanno, dovevo lavorare. Certo, quel lavoro mi era retribuito bene e non potevo lamentarmi. Grazie ai guadagni riuscivo a mantenermi da solo ormai da due anni, ed ero fiero di quel particolare. Non dovevo più chiedere nulla a quella sottospecie di genitore che mi ritrovavo, ed anche al momento del divorzio da mia madre non mi sarebbe spettato nulla, per fortuna. Non volevo i soldi del suo lavoro che aveva sfasciato la mia famiglia già sul nascere. 

Lavoravo in una strana e grande compagnia comandata e gestita da un unico capo, molto conosciuto in forse tutto il mondo. Mi aveva sempre detto di essere alla ricerca della mia partner ideale e che quando l'avrebbe trovata, insieme avremmo potuto fare grandi cose, e mi avrebbe aumentato lo stipendio. Io, personalmente, avevo sempre ritenuto che quel vecchio avesse qualche rotella fuori posto, ma dettagli. Negli anni avevo fatto di tutto, dal cameriere al cuoco, dal lavapiatti al pianista, dal chitarrista al batterista. Il fatto che conoscessi bene la musica era un punto a mio favore. In realtà le uniche cose che mi avevano trattenuto dal non sbottare e lasciare quel lavoro erano il bisogno di soldi insieme alla voglia di sfondare proprio nel mondo della musica. Probabilmente grazie a quella compagnia ci sarei riuscito, un giorno. 

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MIKI

Ciak comprese il motivo del mio rifiuto e del mio nervosismo, ed anzi mi chiese di perdonarlo dicendo che fosse stato stupido da parte sua provare a baciarmi. Quando il suo imbarazzo svanì decise di raccontarmi qualcosa sul famoso Paco Rabanne. Ormai mancava poco al nostro arrivo al Gala ed io non avevo la minima idea di cosa avrei trovato in quel luogo. 

«Paco ha quasi 80 anni, è nato in Spagna, ma si è trasferito in Francia sin da piccolo. Il suo vero nome è Francisco Rabaneda Cuervo. Divenne famoso già da giovane, creando gioielli per Givenchy e Dior, in quei tempi lo chiamavano "l'enfànt terrible". Quando si rese conto di essere pronto a spiccare il volo, nel 1966 creò la sua casa di moda. Ciò che mi ha sempre incuriosito di lui è la sua attitudine e mania di controllo. Da anni ormai, vengono selezionati molti giovani per lavorare con lui. Prende ragazzi e ragazze iscritti nelle varie agenzie che lo colpiscono particolarmente, e poi magari il lavoro per cui ambiscono è l'ultima cosa che gli fa fare. Tutti assecondano le sue richieste perché è un uomo molto potente. Oggi potrai averne la prova. Ogni persona del suo staff è scelta personalmente da lui o dai suoi collaboratori più stretti, e ovviamente sono tutti di bella presenza o che soddisfano determinati requisiti. Ha una squadra dietro di se incredibile... Ha un catering, una band. È impressionante il suo staff, sul serio. Dice di non voler mai fare brutta figura, di voler essere impeccabile e che per questo motivo preferisce avere sotto controllo ogni cosa».

Dalla descrizione del mio amico quello stilista m'incuriosì molto. Persino Ciak stesso ne sembrava ammaliato. Aveva parlato di lui con un'ammirazione e venerazione incredibili. Nutriva molte speranze in quell'uomo e in quell'opportunità concessa. Io non sapevo come fosse d'aspetto quello stilista, conoscevo solo il nome ed il suo profumo "one million" molto di voga tra i giovani italiani negli ultimi anni. Era strano che uno stilista fosse concentrato non soltanto sui vestiti, sugli accessori, sulle fragranze, ma anche sul cibo e sulla musica necessaria per ogni sfilata o evento. Quel particolare mi risultò bizzarro, ma nello stesso tempo entusiasmante. Perlomeno dava lavoro a molte persone.

«Sarà sicuramente interessante conoscerlo».

«Beh, per questo non dovrai aspettare molto. Siamo arrivati al luogo della fiesta» disse Ciak urlando e allungando l'ultima vocale, appena l'auto si fermò.

Ero ufficialmente arrivata al famoso gala dei VIP di Capodanno. Non sapevo cosa aspettarmi da quella serata e non sapevo neanche in che zona di Parigi fossimo. Ma non appena scesi dalla limousine capii ogni cosa. Ancora una volta la Tour Eiffel avrebbe fatto da scenario ad una mia notte di festa. Solamente sei giorni prima ero stata sotto quella torre, proprio lì dove io e Castiel eravamo stati incoronati Re e Reginetta del ballo di Natale. Dei brividi si formarono sulle braccia nel ripensare a quella notte, sperai di passare un Capodanno migliore. Ovviamente quella sera non saremmo stati all'aperto, ma in un locale lussuoso a qualche metro dalla Tour Eiffel. Mi guardai intorno per studiare il posto e notai un lunghissimo tappeto rosso partire dal marciapiede dov'eravamo scesi noi e finire proprio sull'entrata di un locale. Ai lati del tappeto erano state posizionate delle transenne dove tante ragazzine urlanti indicavano verso la nostra direzione. Ma se Ciak non era ancora divenuto famoso, allora per chi stavano urlando?

Come se avesse potuto leggere la mia mente Ciak rispose al mio dubbio «Sanno del nuovo acquisto del team Rabanne e stanno urlando proprio per il sottoscritto. Da circa un mese sui Social ufficiali dello stilista hanno pubblicato delle mie foto e da quel momento non si fa altro che parlare di me. I miei follower sono saliti tantissimo, ne ho già 2 milioni e tutto ciò ancor prima di ottenere un vero ingaggio. Ho ricevuto tanti riscontri positivi dal pubblico e commenti poco casti dalle ragazze. Sono troppo felice, Miki! E pensare che io non ho fatto altro che raccontare le mie giornate, i miei allenamenti e postare foto. Amo questo mondo, questo lavoro. Non vedo l'ora d'iniziare seriamente». 

Restai sbalordita dal suo racconto. Non mi sarei abituata facilmente all'idea che il mio migliore amico stesse diventando l'idolo di migliaia di ragazze. Non utilizzavo molto i Social e non mi ero minimamente accorta della sua crescita sconsiderata di seguaci. Non risposi all'ennesima rivelazione della serata di Ciak, non ne trovai le parole. 

E lui, vedendomi in totale imbarazzo prese il mio braccio mettendoselo sotto al suo ed insieme c'incamminammo lungo il tappeto rosso. Camminavamo a passo di lumaca, Ciak spesso si fermava a firmare autografi e a scattare foto con le fan, mentre io restavo immobile spettatrice della scena. Ero incredula di ciò che si stava materializzando sotto i miei occhi; il mio migliore amico era davvero diventato un personaggio pubblico, da quel giorno lo avrebbero fermato per strada, le sue ammiratrici avrebbero urlato ai quattro venti quanto fosse bello e perfetto, e lui avrebbe sostenuto quelle ragazze, le avrebbe aiutate nei momenti tristi. Quelle reazioni le avevo avuto anch'io con i miei cantanti preferiti. In quel momento m'immedesimai parecchio in una ragazza che mi chiese di scattarle una foto insieme "al suo amore", lo aveva definito così. Ed io non esitai, le sorrisi e realizzai il suo sogno. Certo, tutta quell'acclamazione verso un personaggio conosciuto solamente un mese prima era un tantino esagerata, ma sapevo come andavano quelle cose e non me la sentii di condannare quella folla.  

Come se non bastasse, dopo aver passato le fan, ci raggiunse la televisione di un canale francese. Cominciarono ad intervistare Ciak ed io restai in disparte. Mentre ascoltavo le sue risposte mi accorsi che era migliorato molto nel francese; usava persino gli accenti corretti e non sbagliava neanche la pronuncia di una parola. Di sicuro aveva frequentato un corso di dizione. I movimenti del suo corpo e l'espressione del suo viso erano misurati, tranquilli, oserei dire calcolati. Più minuti passavano e più mi rendevo conto che del vecchio Ciak era rimasto davvero poco. Solamente i suoi occhi, fino a quel momento, apparvero quelli naturali. Nonostante la sua bellezza da sempre indiscussa, in Italia, aveva un'aria buffa e dei movimenti naturali, non era per nulla controllato, faceva ogni cosa spontaneamente senza pensare alla conseguenze. Ma quelle caratteristiche da sempre apprezzate in lui erano come sparite quella sera. Era diventato semplicemente un burattino nelle mani del più potente.

«La tua accompagnatrice è per caso un nuovo acquisto del team Rabanne? A noi puoi dirlo, sappiamo mantenere i segreti» la giornalista che aveva formulato quella domanda strizzò un occhio e poggiò una mano sul petto di Ciak quasi tastandolo. Stava per caso flirtando con un minorenne? Per carità aveva quarant'anni quella donna, aveva per caso perso il lume della ragione? Mi schiaffeggiai mentalmente per ciò che i miei occhi stavano dovendo vedere.

Poi un'espressione schifata si dipinse sul mio volto. Doveva essere una giornalista da quattro soldi se il suo intuito le aveva suggerito che fossi una modella. Non avevo nulla a che vedere con loro.

«Oh... No» sorrise nella mia direzione Ciak «lei è la mia migliore amica!» 

Con quella risposta il mio migliore amico aveva accumulato punti. Non aveva risposto alle avance esplicite della giornalista, ma aveva utilizzato semplice professionalità. Lo ammirai. Ma ovviamente quella sua risposta generò ulteriori domande, tra cui: "non sembri convinto, c'è qualcosa di più tra voi? E' la tua ragazza? Chi è allora?" Alzai gli occhi al cielo per l'irritazione e incontrai l'insegna del posto in cui avremmo cenato, semmai ci fossimo arrivati all'interno della struttura. Di quel passo neanche per il giorno dell'Epifania avremmo concluso quella serata. Comunque il locale si chiamava: Alain Ducasse. La struttura di quel posto era a forma tondeggiante e piena di finestre, porte di vetro trasparenti. Di muro ve n'era poco. Restai sbalordita per la bellezza di quelle vetrate. Ad abbellire il tutto erano le luci, poste in ogni angolo, pronte a donare suggestione.

Ciak continuava a rispondere alle domande di varie televisioni o a posare per qualche foto di giornale, era passata già mezz'ora dal nostro arrivo. Io continuavo a seguirlo senza alcun interesse. Più i minuti scorrevano e più gente arrivava. Tra tanti riconobbi parecchi volti noti, da sempre visti in televisione o in qualche film o su qualche rivista di moda. Era incredibile quanto una vita potesse cambiare da un momento all'altro. Ieri non mi sarei mai e poi mai immaginata di essere catapultata in un mondo simile per una sera. Era tutto strano e troppo confusionario per una come me. Avevo bisogno di una persona affianco, ma quella persona era impegnata ad atteggiarsi con gente che non faceva altro che elogiarlo. Quindi era quello tutto il divertimento che avrei avuto quella sera? Che ruolo avevo io? Non avremmo mai festeggiato insieme, come ci eravamo promessi, di quel passo. 

Per non pensare eccessivamente e per evitare di star male ulteriormente, incuriosita dalla struttura tondeggiante ritornai ad ammirarla. Di quel passo avrei fatto in tempo a prendermi una laurea in architettura, che al mio ritorno avrei trovato Ciak ancora lì intento a rispondere a quei giornalisti impiccioni. Proprio mentre ammiravo da qualche metro di distanza uno dei tanti decori sulle porte, mi apparve una visione davanti agli occhi. Ero diventata matta per caso? Mi mancò la terra sotto i piedi per un minuto buono quando mi resi conto di dovermi rinchiudere in un manicomio, da quel giorno. Perché lui non poteva essere lì, nello stesso mio posto. Lui non aveva niente a che vedere con il mondo di Ciak. Chiusi gli occhi e mi trattenni dallo strofinarli per evitare di rovinare il trucco e quando li riaprii speravo nella scomparsa della visione, ma lui era ancora lì.

Non captando nient'altro se non lui, mollai Ciak senza avvertirlo, percorsi il restante e brevissimo tratto di tappeto rosso quasi correndo, e mi diressi verso quel ragazzo. Volevo vedere e capire da vicino quanto fossi diventata pazza di lui. Era davvero impossibile che lui si trovasse lì. Infatti una volta giunta al punto in cui lo avevo intravisto, non c'era più. Sbirciai ogni angolo per dimostrare a me stessa di non essere matta; ma neanche in quel caso lo trovai. Perché il mio cervello aveva riprodotto la sua immagine in un momento in cui lui non era neanche tra i miei pensieri? Era così grave la mia situazione?

«Cerchi qualcuno?»

La sua voce. Ero addirittura diventata sorda o Castiel era proprio lì nel mio stesso posto? Se non lo avessi visto con i miei occhi non ci avrei mai creduto. Quel gala era esclusivamente per gente selezionata e poi non avrei mai immaginato che ad uno come lui potesse interessare quel genere di festa. Castiel era un ragazzo dalle mille risorse.

Senza rispondere alla sua domanda mi voltai in direzione della voce e lo guardai dalla testa ai piedi. Una visione, un miraggio non poteva essere così reale. Castiel era realmente lì per qualche strano motivo a me ignoto. Aveva un vestito elegante che mi ricordava un cameriere. Aveva camicia bianca, papillon e gilet nero. Vederlo di nuovo dopo cinque giorni, dopo quegli accaduti, dopo il nostro addio, mi fece battere il cuore e come sempre non capii più nulla, era così bello rivederlo dopo tutti quei giorni. Ma nonostante ciò nella mia mente risuonarono le parole cattive che mi aveva detto e che io di conseguenza gli avevo urlato, così mi convinsi di non doverlo parlare neanche in quell'occasione sebbene fossi contenta di vederlo. 

«Miki?!?» evidentemente non mi aveva riconosciuta prima di spalle «Oh cazzo!» spalancò gli occhi per la sorpresa quando riuscì a vedermi nel mio vestito «s-sei b-belli... S-stai bene così!» si stava lasciando andare ad un complimento troppo esagerato per uno come lui, infatti si corresse. Mi fece sorridere ugualmente il fatto di averlo sorpreso, non era scena di tutti i giorni vedere un Castiel in imbarazzo balbettare.

Non sapevo se quello fosse un modo per cercare di recuperare un rapporto ormai giunto al capolinea o se fosse ancora una delle sue tattiche per farmi entrare nel suo letto. Evidentemente Debrah non l'aveva soddisfatto. Scacciai quei pensieri poco casti e mi ricordai di non doverlo parlare e così feci. Lui continuava a guardarmi dalla testa ai piedi sbalordito e compiaciuto, mentre io continuai ad ignorarlo incrociando le braccia al petto. Non l'avrebbe avuta vinta con me sebbene morissi dalla voglia di chiedergli cosa ci facesse lì uno come lui.

«Ehi tesoro che succede? Perché sei scappata?» udii la voce di Ciak alle mie spalle.

Era arrivato nel momento giusto con le parole giuste. Castiel nell'udire quelle parole e nel vedere l'evidente bellezza del mio migliore amico cambiò totalmente espressione, mi sembrò di vederlo innervosirsi ma non ne fui sicura. Dopotutto non ne aveva motivo. Io non gli piacevo e nel suo cuore non avevo tutta quella importanza. 

Ma proprio in quel momento mi balenò nella testa un'idea che forse era meglio non pensare. Volevo dimostrare la poca importanza che Castiel avesse nella mia vita, fargli capire che lui non fosse al centro del mio mondo, convincerlo di esser stata capace di andare avanti. Sapevo che con quel mio comportamento mi sarei messa in cattiva luce nei suoi confronti; solo cinque giorni prima gli avevo confessato -falsamente- di volerci provare con Nathaniel ed ora sapendomi felicemente fidanzata con un aspirante modello non mi avrebbe creato una buona reputazione, ma poco m'importava. Era pur sempre l'immagine che volevo trasmettere di me stessa, e da quel giorno anche lui avrebbe dovuto avere quell'idea di me. Castiel non era diverso dagli altri.

«Oh Love, mi ero solamente scocciata di vedermi tutte quelle telecamere e tutti quegli occhi puntati addosso, mentre tu finivi le tue interviste, così ho deciso di entrare. Sono felice che tu mi abbia raggiunta presto, questi minuti senza te sono sembrati un'eternità. Mi mancavi già..» ed inscenai la recita senza pensare alle conseguenze che quella mia frase avrebbe potuto provocare in Ciak. Sperai solamente che mi avrebbe retto il gioco da migliore amico qual era stato negli anni precedenti. 

Per un attimo però, avevo dimenticato che Ciak non fosse più lo stesso. Infatti non assecondò le mie parole. Rimase talmente confuso da non riuscire ad emettere neanche un suono, continuava solamente a guardarmi imbambolato. Castiel, invece, oltre che parecchio confuso era sorpreso negativamente, ma non potei giudicare quelle sensazioni come vere perché quel ragazzo era un mistero.

«Ora andiamo. Sono proprio curiosa di conoscere il tuo amato Paco» finsi un sorriso e poi afferrando Ciak dal braccio, lo trascinai via da quell'angolo dove rimase Castiel, ogni secondo più sbalordito. 

Ovviamente il rosso non aveva mai visto o sentito parlare di Ciak prima d'allora, e quello per una volta giocò a mio favore. Non sapevo bene cosa avrei ottenuto dalle mie menzogne, ma volevo vendicarmi, dare una lezione a quel pallone gonfiato di Castiel Black. La sera di cinque giorni prima aveva insinuato cose non troppo piacevoli per me, mi aveva fatto capire di essere quasi convinto che io provassi qualcosa per lui e come se non bastava mi aveva umiliata. Quella delusione non mi sarebbe passata se prima non avessi dimostrato il contrario delle sue insinuazioni. Tra noi, da quel momento, sarebbe stata guerra aperta. E non m'importava se a lui fregasse o meno di me, doveva ficcarsi in quella brutta testolina rossa che io vivevo benissimo anche senza di lui.

«Mi spieghi cosa diavolo sta succedendo?» una volta lontani dal rosso, Ciak mi chiese giustamente spiegazioni sul mio strano comportamento. Strappò il braccio dalla mia mano e mi guardò negli occhi con sguardo furente «Chi è quello? Lo conosci?»

A quel punto chiusi gli occhi e gettai dalla bocca un enorme sospiro. Per troppo tempo avevo mentito a Ciak ed era giunto il momento di concedergli una prima verità. Sapevo di ferirlo, ma avevo tastato sula mia pelle che di bugie ce n'erano state già troppe e facevano ancora più male di un'amara verità. Così gli rivelai quella verità senza filtri, gli raccontai brevemente del mio incontro con Castiel, dei nostri baci, dei nostri litigi, di Debrah, del ballo, ogni cosa accaduta in quei quattro mesi.

«Quindi tu vorresti dirmi che preferisci quelli come lui a quelli come me?» si mostrò compiaciuto. Aveva sviluppato troppa fiducia in se stesso «Sul serio Miki? Io dovrei competere con uno zotico, senza classe, dai capelli rossi e lunghi?» fu il suo turno di essere sbalordito.

"Quando arriva la parte in cui tu gli dai un dolce ceffone in pieno viso accompagnato da un tenero calcio in culo? No, perché altrimenti lo faccio io!" riapparì in un momento poco opportuno, la mia coscienza. La lasciai sbruffare sola mentre io tornai con la mente a quella insinuazione di Ciak.

Avrei tanto voluto rispondergli "al cuor non si comanda", ma decisi che sarebbe stato meglio mordersi la lingua per non peggiorare la situazione e così feci. Ciò che Ciak non riusciva a capire era che erano i difetti a rendere una persona unica nel suo genere, e Castiel lo era. 

Non appena aprii la bocca per replicare al mio migliore amico, venne chiamato dall'ennesima giornalista della serata che lo intervistò. Tutta quella attenzione su di lui era esagerata, non ero gelosa ma semplicemente stavo ragionando con la testa. Ciak era un semplice ed aspirante modello, non capivo quel loro continuo tartassarlo.

Approfittando dell'ennesimo momento di solitudine della serata cominciai a fissare la sala, visto che fino a quel momento non ne avevo avuto l'opportunità, grazie ad una persona che aveva occupato tutta la scena. 

L'ambiente in cui mi trovavo era molto grande, a mio parere poteva arrivare ad ospitare oltre mille persone. La stanza era tutta bianca, al centro vi erano quattro pilastri rotondi che facevano da sostegno ad una specie di balconcino anch'esso rotondo. Sotto il balconcino delle scale permettevano di accedere al piano superiore. Erano proprio accanto a dove mi trovavo io, così curiosa percorsi le scale e arrivata al piano superiore alzai la testa. Quello spettacolo lo avrei ricordato per tutta la vita. C'era un enorme lampadario -grande quanto tutto il balconcino- che scendeva a grappolo ed arrivava al piano inferiore quasi a due metri da terra. Il lampadario era di Swaroski, brillava talmente tanto da emettere tutti i colori dell'arcobaleno... Quei colori regalavano un'atmosfera bellissima ed emozionante, erano molto suggestivi. Le sfere di cristallo potevano persino essere toccate da dove mi trovavo io, così completamente ammaliata da loro, mi avvicinai toccandole e notai che al centro della cascata di Swaroski vi era un enorme palla anch'essa di cristallo e diamanti, ma questa a differenza delle altre, emanava luce artificiale illuminante gran parte della sala. 

Dal balconcino si godeva di un'ottima vista, perché posto al centro della sala, da lì si poteva guardare e tenere d'occhio ogni cosa. Il piano superiore era vuoto. Diedi uno sguardo ai tavoli sotto di me, erano tutti bianchi e rotondi, mentre le sedie non erano semplici ma erano delle vere e proprie poltrone anch'esse bianche. C'era fin troppo bianco in quella stanza, quasi come se fossimo nel paradiso di Dante Alighieri, l'unico paragone stupido che mi venne in mente in quell'istante.

Cercai di non pensare a quel dettaglio inquietante, così ammirai gli invitati al gala. Più passavano i minuti e più la sala si riempiva di gente ben vestita, ma nessuno superava la bellezza, l'eleganza e la raffinatezza del mio abito, modestamente. Forse Ciak aveva esagerato nella scelta, ma poco importava, quello era l'abito dei miei sogni e finalmente ero riuscita ad indossarlo. Il mio sguardo successivamente cadde sui camerieri cercando di capire se la confidenza fattami da Ciak un'ora prima, in auto, fosse vera o meno. Li guardai per bene e fu così, Ciak aveva detto la verità. Ogni persona dello staff era di bella presenza, alta e con un fisico asciutto, ma la cosa che risaltò ancor più ai miei occhi fu che tutti erano vestiti come Castiel. Era inevitabile, ogni pensiero, ogni sguardo mi riportava pericolosamente a lui. Cosa ci facesse quel ragazzo a quell'evento era un mistero; sebbene gli altri camerieri fossero vestiti come lui, lui non poteva far parte dello staff di Rabanne, c'era qualcosa di diverso in lui da non poterlo minimamente paragonare a quei bellocci tutto muscoli facenti parte di quel mondo. 

«Signorina le è piaciuto il vestito, quindi...» una voce di un uomo maturo alle mie spalle rivolta a me.

«Mi scusi?!? Ci conosciamo?» replicai, cercando di capire, e voltandomi verso di lui. Mi si presentò un uomo più anziano di quanto avevo immaginato ascoltando soltanto il suo tono di voce.

«Venga! Mi accompagni al piano di sotto» non rispose alla mia domanda, al contrario dettò ordini e rise di gusto.

"Ma che modi sono questi? Neanche un misero per favore o una richiesta. Niente. Come se fossi costretta ad obbedire a lui per forza. E poi cosa sei un pagliaccio? Come si permette a riderti in faccia?!" la mia coscienza sempre presente che invece di farmi ragionare, m'istigava alla violenza.

«Oh! Non riesce a camminare solo?» cercai di mantenere un tono calmo, ma dentro di me bollivo dal fastidio. Odiavo quando qualcuno voleva darmi ordini.

Era alto su per giù un metro e settanta, di corporatura robusta, aveva i capelli grigi e una barba di media lunghezza. Appariva come un uomo distinto ma a me non stava per niente simpatico.

Acconsentii ad aiutarlo giusto per non apparire scostumata. Ci recammo davanti le scale ma senza capirne il motivo sul primo gradino si fermò, senza continuare a scendere.

«C'è qualcosa che non va? Non riesce a scendere le scale? La devo prendere di peso e trascinarla giù? In tal caso chiamerei i rinforzi, ho degli amici qui, da sola non ci riuscirei mai a portarla di sotto» sicuramente dovetti risultare buffa ai suoi occhi perché riprese a ridere come se avessi fatto la battuta migliore dell'anno. Corrugai la fronte. Quel vecchio stava iniziando ad irritarmi. Non solo avevo acconsentito ad aiutarlo a scendere le scale, ora si permetteva persino di fare i capricci facendomi aspettare come un ebete davanti quei dodici gradini. E poi... non mi parve di vederlo incapace di camminare o particolarmente malato. Qualcosa non mi tornava.

«Signorina mi tolga una curiosità: lei non ha proprio capito chi sono eh?» si avvicinò al mio orecchio come se mi stesse confidando un segreto. Il suo sguardo curioso attendeva una risposta ed io avevo capito a che gioco stesse giocando. Il vecchietto aveva voglia di spacciarsi per il vip della situazione.

«Oh sì che lo so!» mi fermai per un attimo dal rivelargli chi fosse per me «Lei è un signore molto pigro che non ha voglia di scendere le scale, anzi ce la sta mettendo tutta per irritarmi e devo dire che ci sta riuscendo. Ora possiamo scendere o...»

Fui bloccata da una voce maschile al microfono che attirò l'attenzione di tutti compresa quella del signore accanto a me.

«Signori e Signore buonasera. Diamo il via a questa splendida serata con l'ingresso del padrone di casa. Sollevate tutti gli occhi. Ecco a voi l'unico ed inimitabile Paco Rabanne...» allungò le vocali sul nome del famoso stilista. 

Ero proprio curiosa di conoscerlo, non avevo mai visto una sua foto. I racconti di Ciak mi avevano incuriosita incredibilmente. Cercai di sbirciare da dove sarebbe potuto entrare, ma di lui nessuna traccia. Un attimo. Quell'uomo al microfono aveva detto "sollevate tutti gli occhi!"   Oh cazzo!

«A quanto vedo i ruoli si sono invertiti. Ora è lei la pigra della situazione? Hanno annunciato la mia entrata, adesso è arrivato il momento di scendere» marcò la parola "adesso" e mi prese a braccetto mentre io restai immobile, di sasso.

«Che cosa?!?» mi uscì spontaneo un urlo che superava di parecchio i decibel legali. Non potevo crederci, avevo appena fatto la figura di merda peggiore della mia vita. Non solo avevo incontrato prima di tutti il grande stilista, ma lo avevo anche definito pigro e non lo avevo riconosciuto. Avevo persino osato a fare la saccente e la simpatica con lui. Mi ero addirittura infastidita dei suoi comportamenti quando era programma della serata che lui entrasse dopo un annuncio.

La cosa fu ancora più grave perchè mi trovavo ad una sua festa. Per l'imbarazzo ritornai al centro del balconcino -lontana dalle scale- e abbassando lo sguardo mi coprii il volto con le mani, senza curarmi del trucco. Sarei voluta scomparire. Non facevo altro che combinare guai.

Ma il signore pigro, seguendomi, prese le mie mani levandole dal mio viso, poggiò le sue sotto il mio mento e con pollice ed indice mi sollevò il volto: «stai tranquilla! Ho già qualcosa in mente per farti perdonare» rise furbamente rivolgendosi a me con il tu. Fino a quel momento mi si era rivolto con il lei. Quella frase appena pronunciata dalla sua bocca rugosa poteva essere fraintesa e a me non piaceva per niente.

«Nulla di scabroso, non preoccuparti. Farai un provino come modella nel mio studio!» mi spiegò vedendo totale confusione sul mio volto. Ma quella sua spiegazione non mi era stata di molto aiuto e di certo non mi aveva rassicurata.

«Forse finalmente ho trovato la modella giusta per quel ragazzo». 

Di quale ragazzo stava parlando? Senza spiegarmi cosa stesse farneticando, prese il cellulare e sembrò digitare un messaggio.

Avrei voluto strapparmi i capelli per essermi infilata in quel guaio. Fare la modella non era una mia ambizione e non avevo alcuna intenzione di assecondare quello stilista capriccioso. Quella sera sarebbe stata l'ultima volta che l'avrei visto, non l'avrei mai più incontrato, quindi non avrebbe dovuto perdonarmi un bel niente. Dopotutto non lo avevo riconosciuto ed ero stata leggermente scorbutica con lui inizialmente, non era la fine del mondo e non avevo ucciso nessuno.

«Le chiedo scusa di esser stata irrispettosa nei suoi confronti e di non averla riconosciuta, ma io non farò alcun provino per farmi perdonare. Non è accaduto nulla di grave!» ritrovai il coraggio e la mia determinazione rifiutando quella sua offerta guardandolo dritto negli occhi. Poco importava della sua potenza o importanza nel mondo.

Ma quella mia replica parve infastidirlo molto. Mi prese il braccio, lo infilò sotto il suo e ci voltammo nuovamente verso le scale. Tutti gli invitati ci stavano fissando e tutte le telecamere dei vari canali televisivi ci stavano inquadrando. Perfetto! La mia figuraccia sarebbe stata mandata in onda per tutta la Francia e chissà dove altro. Con quattromila occhi puntati addosso cominciammo a scendere le scale. Non me la sentii di fare scenate davanti a quelle persone, così cercai di sorridere ed essere il più disinvolta possibile sebbene avrei voluto trovarmi da tutt'altra parte. Magari nel mio letto. Da sola. Tutti cominciarono ad applaudire e arrossii dalla vergogna. Ero abituata ad avere attenzioni soprattutto per il mio modo di vestire quotidianamente, ma quel genere di attenzione era diversa rispetto al solito.

Continuavo a non capire quell'uomo. In tutta la sala avrebbe potuto trovare migliaia di modelle che avrebbero fatto a gara per essere notate da lui e da tutto il mondo. Perché aveva scelto me? Non avevo professionalità o esperienza. I tacchi e i vestiti erano la mia passione, vero, ma non avevo il portamento di una modella e mai lo avrei avuto. 

Puntai gli occhi alla fine della scalinata e trovai quelli di Castiel. Sembrava ci stesse aspettando e restò sbalordito nel vedermi a braccetto con lo stilista. Anch'io lo ero. Ci guardammo intensamente, il suo sguardo bruciava su tutto il mio corpo ma stranamente fissando lui mi sentii di nuovo a mio agio. Era strano come mi faceva sentire.

Quando scendemmo l'ultimo gradino, Rabanne si liberò dalla mia presa, e mandò vari baci e saluti alle persone presenti in sala. Io restai immobile a fissare Castiel e lui fece lo stesso con me.

«Bene! Mettetevi vicini» lo stilista si avvicinò a me dopo aver terminato i saluti al microfono. Poggiò le mani sulle mie spalle e mi spostò avvicinandomi a Castiel. Entrambi restammo fermi. Io non stavo capendo più niente. L'unico a capirci qualcosa sembrò proprio Paco che ci guardò per due minuti buoni, accarezzandosi la barba con le mani. Io ed il rosso eravamo terribilmente imbarazzati e confusi, nessuno dei due capiva dove volesse andare a parare quello stilista bizzarro.. O forse l'unica a non capirci niente ero proprio io. Nella sala nessuno fiatava, tutti pendevano dalle labbra del potente Rabanne.

«Il 7 Gennaio alle 20:30, nel mio ufficio. Entrambi. Tu, signorina, sei minorenne e dovrai venire accompagnata da un tuo famigliare. Buona serata!» ci comunicò fiscalmente ciò che avremmo dovuto fare e girò i tacchi lasciandoci soli.

Sgranai gli occhi sorpresa. Cos'era appena successo? Ero esterrefatta. Sapeva persino che io fossi minorenne, Ciak aveva dovuto mostrargli una mia foto e aveva sicuramente parlato di me, era l'unica spiegazione visto che prima, sulle scale, aveva persino parlato del mio vestito. 

Quel vecchio non aveva minimamente considerato il mio rifiuto categorico di non voler fare il provino. Avevo appena avuto la prova di chi fosse realmente Paco Rabanne. Mi aveva imposto qualcosa che non volevo fare, come se lui potesse decidere al posto degli altri, come se lui fosse il padrone del mondo. Che nervi!

Appena lo stilista si allontanò il rosso cominciò a ridere incredulo, lui non sembrava essere infastidito dall'imposizione dello stilista, quasi come se fosse a conoscenza di qualcosa.

«Certo che neanche a farlo apposta... Tra cento sei tu quella che vede giusta per me!» finì quella frase con un sorriso sghembo mentre io perdevo cento anni di vita. 

Quella frase che per qualche strana ragione associai a tutt'altro e quel sorriso mozzafiato mi avevano stesa, le mie barriere erano cadute nuovamente davanti a lui. E per un attimo gli rivolsi la parola, giusto per capire qualcosa in più su quella storia.

«Cioè tu sai cos'ha in mente quello lì? Lo conoscevi già prima?» mi morsi la lingua per non chiedergli altro. Non dovevo.

«E che credi, che io sia qui per grazia divina?!» mi si rivolse con il suo solito tono arrogante, quasi seccato. In altre situazioni lo avrei lasciato solo, ma quella sera non potevo, dovevo vederci chiaro in quella storia.

«Smettila di fare il misterioso per una volta e dimmi cosa diavolo c'entri con lui»

«Sai quanto odio quando mi s'impone qualcosa. E poi non vedo il motivo per il quale dovrei informarti di qualcosa di personale. Noi non siamo niente, non sei stata tu a dirmelo l'ultima volta?»

«Castiel, vaffanculo!» e con charme e rabbia mi allontanai da lui lasciandolo solo a fare qualsiasi cosa lui era andato a fare a quel gala. 

Alla fine non avevo resistito. Dopo tutto si era permesso anche a ricordarmi di quella sera, di fare l'arrogante. Mi aveva appena dimostrato di non voler recuperare alcun tipo di rapporto con me ed io di certo non sarei stata il suo burattino. Non gli avrei rivolto più la parola, sul serio. Per il momento cercai di tenere a bada la mia curiosità sul cosa ci facesse lui ad un gala e sul motivo per il quale Rabanne avrebbe voluto farci fare un provino insieme. Entrambi avevano pronunciato delle strani frasi. Ma non m'importava di scoprire niente, non avrei fatto quel provino per nulla al mondo.

Andai alla ricerca di Ciak, solamente lui avrebbe potuto aiutarmi a disdire quell'appuntamento. Per come mi aveva detto lui era molto in confidenza con Rabanne, lo avrebbe convinto, ne ero sicura. Girovagai, senza mai trovarlo, per tutta la sala. Incontrai parecchi volti noti della televisione ma dalla fretta e per la confusione che avevo in testa, non mi scusai quando li spinsi o li urtai senza volerlo. Parecchie ragazze avrebbero voluto trovarsi nella mia stessa situazione, ma non potevo farci niente se quello non volevo che fosse il mio futuro mondo. Da grande avrei tanto voluto lavorare in una rivista di moda, ma come redattrice non come modella. Conoscevo bene le tendenze di stagione ma non avrei mai voluto posare o essere fotografata. E poi non avevo la minima intenzione di lavorare insieme a Castiel, non dopo il nostro litigio. 

Ma più lo cercavo e più Ciak sembrava essersi volatilizzato nel nulla. Così decidi di tentare il tutto e per tutto andando fuori, nel giardino situato nella parte posteriore della sala. Uscii fuori, e dopo aver girovagato tra cespugli e fiori vari finalmente lo trovai. Gettai un sospiro di sollievo. Era lì, su una delle tante panchine, ma non era solo. Era con tre ragazze che immaginai fossero modelle vista l'altezza, la magrezza e la perfezione dei loro corpi.

«Ciak, finalmente ti ho trovato» dissi con il fiato corto «comunque potresti venire con me un attimo? Ho urgente bisogno di parlarti!» il mio tono di voce risultò supplichevole, come se la mia vita dipendesse da lui.

«Non conosco nessun Ciak. Io sono Francois» sollevò le sopracciglia infastidito e guardandomi con aria di sufficienza «in ogni caso ora sono impegnato, non lo vedi?!?»

Un'altra pugnalata mi arrivò dritta al cuore. Ed ecco che mi apparve davanti agli occhi la trasformazione completa del mio ex migliore amico. Dovevo chiamarlo così ormai. Dopo quella sua risposta capii che il vecchio Ciak non esisteva più, per davvero. Di lui non esisteva più neanche una misera traccia. Se fino a un'ora prima mi ero impegnata a cercarne le somiglianze e le differenze, da quel momento non ce ne sarebbe stato più bisogno. La situazione era palese, e mi fece male. Tanto male. Feci risalire le lacrime che minacciavano di uscire e mi avvicinai a lui. Gli avrei parlato davanti a quelle ragazze mettendo il mio orgoglio sotto i piedi per una volta. Lui era l'unico che poteva aiutarmi e dovevo risolvere quel piccolo problema con quel maledetto stilista. 

«Il tuo amato stilista del cavolo vuole che io faccia un provino, mi ha già fissato la data. Come se non bastasse dovrei presentarmi con quella testa di cazzo rossa e giocare a fare la modella insieme a lui. Io non voglio farlo per nessuna ragione al mondo. Ora dimmi che puoi aiutarmi a disdire questa cosa insulsa...» gli parlai quasi urlando in italiano sperando che nessuna delle ragazze parlasse la mia lingua. All'ultima frase incrociai le dita e chiusi gli occhi fin quando Ciak non mi rispose.

«Forse le cose che ti ho detto prima di entrare non ti sono chiare. A Paco Rabanne non si può dire di no. Sai quante ragazze vorrebbero essere al tuo posto? Smettila di fare la capricciosa e vacci. Non sarà così terribile, vedrai».

«No, no e no! Io non farò il provino, deve esserci un modo per rifiutare, deve per forza esserci un...» alzai di qualche tono la voce facendola risultare più acuta. Non sapevo neanche perché mi stessi impuntando in quel modo, dopotutto non voleva dire niente un provino. Tanto, quasi sicuramente, in quell'occasione avrebbe capito che io non avessi la grazia e l'eleganza di una modella e mi avrebbe mandata a casa.. ma a chi volevo prendere in giro? La mia vera paura era e restava Castiel. Stare in sua presenza mi avrebbe fatta cedere, ancora una volta, ed io non potevo più soffrire per lui.

«Tu forse ancora non hai capito con chi hai a che fare. Metterti contro di lui vorrebbe dire chiudere tutte le porte per il futuro. Lui odia essere scavalcato o essere contraddetto. Se non vuoi ritrovarti senza un lavoro, da grande, devi andare a quel provino. Io ti ho dato un consiglio, poi fa' come vuoi..» non mostrò neanche un briciolo di compassione o interesse nei miei confronti. Il vecchio Ciak non mi avrebbe liquidata con quelle parole.

Aveva descritto quello stilista quasi come se fosse il diavolo in persona o comunque qualcuno da temere, uno degli uomini più potenti al mondo, eppure non riuscivo a capirne il motivo. Come poteva un semplice stilista avere tutto quel potere?

Con le sue parole dure mi aveva quasi convinta a partecipare a quel provino, non volevo avere problemi in futuro. Ma avrei cercato ugualmente da sola una scappatoia.

«Va bene. Grazie per le dritte e scusa per il disturbo. Non volevo farti perdere tempo.. Chiamami quando dobbiamo andare via, mi troverai ad ubriacarmi da qualche parte al bancone degli alcolici» non sapevo neanche perché uscirono quelle parole dalla mia bocca. Sembrai addirittura sconsolata o infastidita per averlo trovato con quelle ragazze e soprattutto per le sue risposte. Non avevo alcun diritto di avere quegli atteggiamenti. Fatto stava che dopo le mie frasi girai i tacchi e m'incamminai verso l'interno della struttura.

Non feci in tempo ad arrivare alla porta che una mano sul mio braccio bloccò la mia fuga. Mi voltai e trovai Ciak con uno sguardo di speranza, dovevo avergli trasmesso il messaggio sbagliato, poco prima. Ero una stupida, non c'era niente da fare, sapevo solo complicare le cose.

Senza parlare scese la sua mano fino alla mia e l'afferrò per poi trascinarmi in una parte di giardino che ancora non avevo visto. Dovetti ammettere che quel posto era molto suggestivo. Il giardino era completamente formato da un prato verde curato, con delle piante di qua e di là e delle siepi. L'unica parte senza verde erano delle panchine di legno insieme a dei lampioni piccoli. Ma il posto dove Ciak mi portò superò tutto. Quando si fermò ritrovai davanti agli occhi un ponticello di legno e ferro con sotto un laghetto. Senza staccare le nostre mani mi trascinò fino al centro del ponte e si poggiò alla ringhiera, concentrato guardò l'acqua di quel laghetto, lo imitai anch'io. Era pensieroso, in dubbio se dire o meno qualcosa. Ed io per la prima volta in dieci anni ebbi paura di ciò che la sua bocca avrebbe potuto far fuoriuscire. Per smaltire un po' di ansia mi concentrai sul lago. Come abbellimento vi erano delle piantine galleggianti e finte con dei fiori colorati, dentro all'acqua notai qualche pesce dai colori improbabili. Quel posto era il più romantico mai visitato ed ero in compagnia di quello che una volta era il mio migliore amico. Tutto questo era strano.

Girai il volto per ammirare lui, quella sicurezza che Ciak aveva nei movimenti, tutta la sua bellezza e perfezione mi spiazzarono. Qualcosa stava cambiando nell'aria e non era il clima. Così con semplicità facendomi un sorriso che avrebbe sciolto persino i ghiacciai del Polo Nord, cominciò a parlarmi, interrompendo quel silenzio che fino a quel momento aveva fatto da padrone alla situazione. Si staccò dalla ringhiera e si avvicinò a me, prese il mio volto tra le sue mani a coppa e guardandomi negli occhi...

«Parlo, parlo, parlo... Dico tante cose per nascondere l'imbarazzo, per nascondere le parole che vorrei urlarti ogni volta che ti guardo, ogni volta che siamo nella stessa stanza. So di averti promesso di non fare gesti avventati, di non complicare maggiormente le cose, ma non ci riesco. Non posso continuare a fare finta di niente Miki. Perché io ti amo, sul serio. Quello che provo nei tuoi confronti non è una semplice infatuazione, è amore, lo sento dal profondo del mio cuore. Volevo fare l'eroe, il superiore, stando in compagnia di quelle ragazze. Ma la verità è che nessuna è te. E' impossibile stare con altre quando so di poter avere te..» I suoi occhi erano sinceri come non vedevo da tanto tempo e mi aveva appena confessato i suoi sentimenti. Stentavo a crederci.

Il cuore cominciò a battermi forte, nessuno, aveva mai osato dirmi quel genere di parole. E lui le aveva sussurrate con una tale convinzione e disinvoltura da farmi tremare. Lui era il mio migliore amico, cavolo, non poteva farmi quell'effetto. 

Poi cominciò a sfiorarmi il lato inferiore degli occhi «perché nessuna ha il tuo sguardo...»

Passò ad accarezzarmi le ciocche sciolte dei miei capelli «perché nessuna ha i tuoi capelli color del grano e del sole congiuntamente...»

Poggiò le sue mani sui miei fianchi «perché nessuna ha il tuo corpo, neanche la modella più bella...»

Infine sfiorò la mia bocca con le sue mani disegnandone i contorni «Perché nessuna ha la tua bocca...» ed io schiusi le labbra senza rendermene neanche conto.

A quel punto la tentazione di baciarlo salì alle stelle, ogni mia convinzione, ogni muro che mi ero creata nei suoi confronti risultò essere di sabbia. Infondo un bacio non avrebbe fatto male a nessuno, infondo avrei potuto provarci. Dentro me salì una sensazione strana che non avevo mai provato per lui. Se gli fossi stata vicina un secondo di più avrei ceduto. Non resistevo più. Com'ero strana... Solo poche ore prima lo avevo allontanato e gli avevo urlato contro per aver provato a baciarmi, mentre poco dopo ero quasi io a volerlo baciare. Solo che... 

Guardare i suoi occhi da così vicino, mi stregò. Vedere quella dolcezza inaspettata m'ipnotizzò

Mi aveva fatta sentire speciale con le sue parole e con le sue carezze. Con nessuna era stato in quel modo prima di quel giorno. A nessuna aveva fatto quello sguardo, a nessuna aveva detto "ti amo", nessuna gli aveva rubato il cuore. Io ero soltanto fortunata a ricevere le sue attenzioni.

Continuammo a guardarci immobili, questa volta non provò a baciarmi, si vedeva volesse che a fare il primo passo fossi io. Se prima, in limousine non avevo avuto dubbi, ora ne avevo e pure tanti. Il mio cuore voleva baciarlo per capire finalmente che effetto mi avrebbe fatto, ma la mia mente continuava a bloccarmi, lui era il mio migliore amico, non potevo illuderlo di un qualcosa che non ci sarebbe mai potuto essere.

«Ora non vorrei niente di più di un tuo tenero abbraccio. Non chiedo poi tanto, non credi? Solo di sentirmi anche per un attimo importante per te... E sappi che qualunque cosa accada di brutto o di bello tra noi, non vorrò perderti mai, non posso vivere senza te!»

Se un minuto prima del muro erano rimasti pochi mattoni di sabbia con quell'ultime parole il muro di sabbia cadde definitivamente.

Feci come desiderava, mi avvicinai ancor di più al suo corpo e accorciammo le distanze in un abbraccio. Ma quello non fu un abbraccio amichevole, di mezzo c'era qualcosa di più. Il suo cuore batteva all'impazzata ed il mio non era da meno. Quelle nuove sensazioni verso lui mi fecero restare sbalordita. La sua dichiarazione schietta ma dolce aveva smosso qualcosa nel mio cuore.

Mentre la mia mente e il mio cuore continuarono a combattere per tutta la durata dell'abbraccio. 

Se lo baciassi, morirei. E allora cosa avrei dovuto fare?!? Avrei dovuto baciarlo lasciandomi morire, o non baciarlo continuando a vivere in dubbi e rimpianti?

  
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