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Autore: Fenio394Sparrow    30/11/2014    6 recensioni
{OC - What If - Poor Sweet Summer Child}
{Si alzò, andando vicino a Gandalf: «Posso provare io?» lui nemmeno le rispose, gettò a terra bastone e cappello, facendosi da parte.
Si schiarì la gola, si posizionò davanti alla porta con le mani sui fianchi e lo sguardo concentrato. Allargò le braccia, le mani aperte e la voce tonante: « Apriti, Sesamo!»
Ovviamente, non accadde nulla.
Ovviamente, fece la figura della scema.
Ovviamente, non demorse.
Osservò con aria pensosa la porta di pietra, borbottando qualcosa qua e là.
«Allora?» fece Boromir, ridacchiando apertamente.}
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aragorn, Boromir, Legolas, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Di Sette Regni e una Terra di Mezzo'
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What do we say to the god of death?
Not today.
-G.R.R. Martin

«TU! TU CI HAI TRADITI!»
«Non è vero, non è vero ..»
«TRADITRICE! Tu e il tuo amichetto Scassinatore! Finchè avrò vita, non metterete mai piede ad Erebor!»
«No ..» il gemito si disperse nell’oscurità, incurante delle lacrime che le rigavano il volto.
Finalmente il tutto assunse una forma.
Vide se stessa come in uno specchio, con i dettagli ribaltati rispetto a come si è soliti vederli. Curioso, visto quanto fosse ordinario e simmetrico il suo viso, eppure quelle piccole differenze, microscopiche, le saltarono tutte all’occhio, le saltarono all’occhio molto prima della posizione innaturale che il suo braccio aveva assunto, degli abiti eleganti che indossava, dell’espressione del viso.
Disperazione.
Riconobbe con orrore l’abito da lutto coperto di rubini scarlatti, la fasciatura nera in tinta con l’abito, sarebbe irrispettoso andare ad un funerale con delle stoffe chiare, non credi, mia cara?
Dìs …
Non si accorse subito che lei la stava guardando. Le si avvicinò strusciando i piedi, lo sguardo in qualche modo stupito, gli occhi rossi e gonfi di pianto. Voltò di scatto la testa verso la porta della stanza e uscì fuori come una furia. Arya ricordò troppo tardi dove stesse andando, provò a puntare i piedi, non voleva andare, non voleva riviverlo di nuovo, era in un sogno, perché la costringeva così?
«Avevi detto che ero qui per un motivo! Avevi detto se sono piombata quaggiù era perché avrei cambiato qualcosa! Che avrei alterato il corso degli eventi!»
«Arya …»
«Invece no! Io mi ricordo!»
«Arya …»
«Io l’ho letto! L’ho letto, Gandalf! Lo sapevo che sarebbero morti e non ho mosso un dito per aiutarli!»
«Arya!»
 
 
Si raddrizzò di scatto, il fiato ansante. Gli occhi impiegarono pochi secondi per abituarsi alla perenne oscurità, ci volle ancora meno per riconoscere la figura di Aragorn china su di lei.
Sembrava preoccupato. «Ti agitavi nel sonno, Arya. E’ tutto a posto?»
No, non lo era affatto, ma lei si affrettò ad annuire, eliminando le lacrime in eccesso, scoprendo di non  averne versate molte. «E’ che … è colpa di questo maledetto posto. Mi ricorda la Desolazione di Smaug. Tutti quei corpi …» un sospiro si perse nell’oscurità mentre si tirò su a sedere.

Riuscì a non pensare ai corpi che le interessavano di più, ai loro corpi, ai loro visi. Era tutto a posto. Tutto okay. Erano passati quattro – o sessanta?- anni dalla battaglia, li aveva lasciati andare, aveva accettato la loro morte. Magari avrebbe chiesto a Balin come scorresse la vita sotto la Montagna, come stessere gli altri e sarebbe bastata qualche moina con Ori per farsi disegnare qualcosa solo per lei. Era brava a disegnare, ma davanti al talento artistico del nano aveva dovuto alzare le mani; una volta gli aveva chiesto di insegnarle a scrivere in Khuzdul. Quella era stata una delle rarissime volte in cui aveva visto la timidezza scivolare via dal nano e lasciar posto ad un fiero orgoglio, spiegandole che no, non poteva insegnarle il Khuzdul perché era un onore  riservato solo ai nani e par quanto Arya potesse essere bassa, decisamente lei non era una di loro. Ci era rimasta un po’ male – molto in effetti- ma Ori era Ori, e lei non aveva neanche fatto finta di mettere su il muso. Anche perché qualche parolina gliel’aveva detta (ma proprio ina ina!) e l’aveva in parte accontentata. Cosa si poteva chiedere di più ad un Nano?
Una pinta di birra, si rispose, e l’avrebbe chiesta, oh sì. Si sarebbe ubriacata e Balin l’avrebbe sgridata aspramente: “Arya, tu non lo reggi l’alcool!” e lei avrebbe risposto che nell’Antico Egitto i bambini li tiravano su a scarabei stercorari e birra, e poi, troppo sbronza- perché era vero, l’alcool non lo reggeva!- avrebbe  dato un bacio a qualcuno. L’altra volta era toccato a Thorin, magari questa volta sarebbe toccato a Legolas. O a Boromir, chissà. Di sicuro sarebbe piaciuto anche a loro.

La voce di Aragorn la riportò sulla terra, strappandola da quelli che erano diventati lieti pensieri: «Arya, mi stai ascoltando?»
«Ehm .. in realtà no, scusa» fece lei leggermente dispiaciuta, passandosi nervosamente la mano sul collo. Anche nell’oscurità riuscì a vedere che l’uomo aveva alzato gli occhi al cielo e non potè fare a meno di ridacchiare, stringendogli la mano. «Grazie per non avermi fatto sfracellare al suolo, ieri. Avevo davvero tanta paura.»
L’uomo esitò prima di ricambiarla brevemente: «Non posso permettere che uno di noi muoia. Lo avrebbero fatto tutti»
Arya sorrise: era vero, anche lei lo avrebbe fatto. Solo che non l’avrebbe fatto per motivi di affetto. O meglio, sì, certo che lo avrebbe fatto per affetto, ma ci sono cose che non possono essere spiegate a parole e questa è una di quelle. Se lo avesse fatto, il senso del dovere avrebbe superato di gran lunga l’affetto, cosa che invece non sarebbe accaduta con i nani. Ma si possono mettere a confronto poche settimane di viaggi contro un anno e mezzo di vicinanza?
 «Quindi ora tocca a me fare la guardia?» chiese. Il cenno negativo dell’uomo fu motivo di curiosità in lei –tutto era motivo di curiosità per lei.

«La curiosità uccise il gatto!» la canzonava Dwalin. E c’era mancato poco che morisse. Dopo, Dwalin non le sorrise più. La curiosità uccise il gatto, Arya.
Lla soddisfazione lo riportò in vita.
«Come mai mi hai svegliata se non è il mio turno di guardia? Sempre ammesso che si possa guardiare  qualcosa qui.» borbottò lei.
«Te l’ho detto, eri davvero molto inquieta. Ti agiti e parli anche da addormentata. Ma tu non stai mai zitta?» eccolo qui il tono canzonatorio e il sorriso sghembo che percepiva nell’ombra.
Se fosse stata in vena di essere Marina, gli avrebbe fatto una linguaccia e, offesa, si sarebbe ritirata a dormire. Ma Marina era stanca, tanto stanca, tanto triste. Deglutì prima di rispondere: «Vorrei riportarli in vita, ma non posso. Tu sai cos’ho fatto, cos’abbiamo fatto, e nonostante ci abbiano perdonati, io non riesco ancora a guardarli in faccia. Tutti gli altri. Loro ..» la sua voce si spense, prese un respiro per non farla incrinare. Inspira, espira. Ancora non riusciva ad ammetterlo ad alta voce. «Loro sono morti e io non ho mosso un dito per salvarli. Non dovrei essere odiata per questo? Non dovresti guardarmi con disprezzo? Rancore? Sono una persona orribile.»

Non sapeva di preciso perché stesse dicendo quelle cose ad Aragorn. Non sapeva perché stessa parlando. Forse perché lui le infondeva davvero tanta sicurezza, come quella sensazione che provava quando sua madre l’abbracciava e si ricordò che sua madre era davvero tanto lontana.
«Non ho mai pensato questo su di te, Arya.» Queste parole le fecero alzare la testa, come un faro di speranza, i vaneggiamenti di una redenzione agognata che non avrebbe mai avuto. Un illusione. Ma lei aveva capito che le illusione sono meglio della verità quando si è disperati.
«Credo che non si debbano mai giudicare le persone fino a che non si conoscano le motivazioni che l’abbiano spinta a fare ciò che ha fatto. Io condivido le tue scelte, Arya, avrei fatto la stessa cosa. Perciò non giudicare te stessa con troppa severità: le tue azioni hanno salvato più persone di quante ne abbiano uccise.» Le poggiò le labbra sulla guancia e le sorrise rassicurante; Arya era commossa dalle sue parole.
«Puoi dormire, Aragorn. Io ho perso il sonno e tu sei stanco. Sogna tante torte anche per me» gli disse con un sorriso. Probabilmente l’uomo si chiese perché avrebbe dovuto sognare delle torte, ma non parlò e si adagiò vicino a Gandalf. Pochi minuti dopo le giunsero i respiri regolari alle orecchie, informandola che Aragorn era piombato fra le braccia di Morfeo.

La torcia illuminava di una luce fredda e luminosa le grotte di Moria, creando ombre di mostri e ricordi passati sui muri. Non voleva pensarci, necessitava di un appiglio, un ritorno alla realtà – la sua realtà. Non era casa sua, quel posto lì, però quello della sua famiglia era un pensiero confortante. Così estrasse dal mantello il suo portafoglio. Arrivando lì – accidenti a quel vuoto di memoria!- aveva portato con sé tutti gli aggeggi che normalmente le persone hanno con sé: portafogli, tessera della biblioteca e cellulare. Già, il cellulare. Ovviamente non c’era campo né wifi né connessione dati ed essendo alquanto inutile lo aveva abbandonato – nascosto- a Granburrone, portando con sé il portafogli. Si prese de tempo per guardare i soldi – solo lei poteva andare in giro con dieci euro di monetine da venti centesimi- e poi passò alla piega del borsellino, estraendo la propria fototessera. La mise da parte e prese la foto tutta spiegazzata che custodiva gelosamente. Ritraeva lei, sua sorella e i loro genitori abbracciati, una grande torta con sopra disegnato un enorme 18 e le candeline mezze sciolte. Ridevano tutti quanti, la festeggiata –lei stessa!- con le guance arrossate per le risate. Sua sorella aveva ancora i capelli lunghi! Passò dolcemente il dito sulla sua figura, come se con quel tocco potesse raggiungerla, carezzarla e dirle che le voleva bene. Non le mancava  e non voleva vederla dal vivo. Arya era pronta da molto tempo, ormai, a lasciare il nido e spiccare il volo. Ma sua sorella no. Soltanto il saperlo al sicuro la tranquillizzava: Martina non era fatta per la Terra di Mezzo, mondo di morte e desolazione; lei era perfetta per il pianeta Terra e la loro casa ad Acilia, con Mirko. Era un bene che lei fosse ancora così piccola, così bambina, innocente. Arya sapeva quando aveva perso la propria innocenza e sapeva che Martina non l’avrebbe mai perduta. Non in modo convenzionale, per lo meno.

«Chi è lei?» quella voce la fece trasalire, spiegazzandole la foto tra le mani. Si trattenne dal ringhiare solo perché non voleva svegliare gli altri: «Taci e fatti gli affari tuoi, Boromir!»
Lui non l’ascoltò e si sedette accanto a lei, piegandosi per osservare bene e oscurandole la visuale: «Sembrate felici. Chi sono, la tua famiglia?»
Annuì, all’improvviso non più reticente, qualcosa nel tono morbido dell’uomo l’aveva indotta ad abbassare la guardia e ad aprirsi un po’: «Lei è mia sorella»
«Anche io ho un fratello, si chiama Faramir.» la sua voce risultava morbida e gentile alle orecchie della ragazza; calda contro tutto quel gelo.
«Mart-Sansa. Si chiama Sansa. E’ più piccola di me e litighiamo sempre»
«Davvero?» fece lui curioso: «Strano, non vedo perché mai uno dovrebbe litigare con te» e l’ironia nella sua voce contagiò anche Arya che ridacchiò con lui.
«Vuoi parlarmi un po’ di lei?» le chiese dopo, quando le risate si spensero ed entrambi si ritrovarono a guardare il vuoto, il silenzio a coprirli come una cappa di gelo.
«No» sussurrò lei, spostandosi da lui. «Vuoi parlare tu di Faramir?»
«No» e tacquero entrambi per un po’, ognuno immerso nei propri pensieri.

Alla fine fu Boromir a spezzare il silenzio, forse perché lo spaventava non sentire Arya parlare, vederla così quieta e … abbattuta lo infastidiva. Triste. Ecco come si sentiva non vedendo il solito brio sul viso della giovane. «Io e Faramir siamo come un sol uomo. Io sono il braccio e lui è la mente. Dove lui non riesce ad arrivare io mi adopero per aiutarlo e viceversa. Siamo così uniti … Io non volevo venire a Granburrone. Io sono venuto per uno scopo» tacque, ricordando per quale motivo avesse intrapreso quel viaggio. Suo padre voleva prendere l’Anello per loro, per Gondor. «Mio padre ha sempre sottovalutato Faramir. Ma lui è un bravo ragazzo, è valoroso, onorevole, leale. Cos’ha di sbagliato lui? Cos’ho di sbagliato io per non essere in grado di impedirlo?» Arya lo ascoltava interessata, gli occhi fissi su di lui.

«Io sono il primogenito, io manderò avanti il nostro casato. Tuttavia non è anche Faramir sangue del suo sangue? Perché tutta questa differenza fra noi? Lo sai cosa mi ha chiesto quando eravamo piccoli?» Arya si affrettò a scuotere la testa. Lo interpretò come un buon segno. «Mi ha chiesto perché nostro padre non lo amasse. Aveva cinque anni, Arya. Un bambino di cinque anni queste domande non dovrebbe porsele» sospirò pesantemente, corrugando la fronte. Suo fratello non meritava tutto quello che loro padre gli aveva fatto subire. Boromir sperava ardentemente che questi mesi di lontananza aprissero la mente e il cuore a suo padre. Quando sentì la mano piccola e fredda di Arya sulla propria sussultò leggermente, perché non si aspettava quel contatto così improvviso e gradito. Sollevò la testa incrociando gli occhi scuri di lei, increspati in un leggero sorriso. Ma non era un sorriso dei suoi, un ghigno birichino o un sorrisino irreverente, non era neppure uno di quelli smielati e angelici che ogni tanto tirava fuori per prendere in giro qualcuno – molto spesso lui stesso. Era un sorriso triste ma coraggioso, uno di quei sorrisi che valgono più di mille parole. Gli parlò dolcemente, come una madre parla con il proprio figlio: «Un mio carissimo amico una volta mi chiese cosa ci fosse di sbagliato in lui. Amava un’elfa, sai? Eppure, gli dissi, non c’era niente di sbagliato nel suo amore, o in lui. Non poteva reprimerlo e non poteva uscire allo scoperto perché le loro razze si odiano. E’ un problema loro se si odiano. Ed è un problema di tuo padre se non ama tuo fratello. Basta che tu lo ami, e un giorno, quando tuo padre sarà alla fine dei suoi giorni, capirà l’errore madornale che ha commesso nel sottovalutare tuo fratello. E morirà nel rimpianto, perché avrà tirato su un figliolo diligente e onorevole e un altro zuccone e arrogante» gli sorrise, stringendogli la mano. Boromir le sorrise di rimando, ricambiando la stretta.
 

 
   
 
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