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Autore: saccuz    02/12/2014    1 recensioni
In un universo in cui magia e scienza convivono, un bambino proveniente dagli estremi confini della Galassia, in possesso di poteri che non credeva di avere, crescendo, dovrà riuscire a trovare il suo posto in essa, a qualunque costo.
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1 capitolo corretto il 22-12-2014
Genere: Fantasy, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'Universo Inquieto'
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Prologo 2
 
Alast rimase a bocca aperta: «Un mago? Io?»
«Beh – rispose l’altro – il tramutarsi in pietra, la sensazione di pericolo, il far cambiare colore alla pelle…, tu come li chiameresti, se non magia?»
«Ehi, come fai a sapere che posso cambiare colore!!??»
L’uomo non rispose, limitandosi a strizzargli l’occhio.
«E adesso? Cosa ne sarà di me?»
«Dipende da cosa scegli di fare»
«Posso scegliere?»
«Ovvio! Puoi scegliere se rimanere qui, da solo, aspettando che arrivi una nave sulla colonia e, nell’eventualità in cui tu sopravviva fino ad allora, imbarcarti, diventare un marinaio, passare la tua vita in un vascello e chissà, un giorno magari diventarne capitano. Oppure potresti chiederci un passaggio fino al pianeta più vicino, dove verresti consegnato alle autorità, piazzato in un orfanotrofio e poi, una volta maggiorenne, mandato allo sbaraglio nel mondo…»
«C’è anche una terza strada, vero?» disse Alast
«Già – disse l’uomo sorridendo – potresti rimanere qui per qualche giorno, in attesa di una nave della nostra associazione, che ti prenderebbe, ti porterebbe sulla Terra, nella nostra sede centrale, dove impareresti ad usare la magia, a fare, per così dire, trucchi migliori del diventare un sasso!».
 
Alast osservò la navetta di Dereb (così aveva detto di chiamarsi quell’uomo) e dei suoi silenziosi compagni sollevarsi dal terreno e schizzare ad altissima velocità verso il cielo, per poi sparire inghiottita dallo spazio. Era molto più piccola di quella dei pirati, e si era chiesto come avrebbero fatto a sconfiggerli, ma Dereb si era limitato a sorridere, dicendogli che la sua era molto, molto più veloce, e che non doveva fermarsi alle apparenze, che in realtà quella piccola nave poteva creare molti più problemi di quanto non potesse sembrare. Poi lo aveva salutato, era salito sulla nave, ed era partito. Chissà se lo avrebbe più rivisto…
 
Si guardò intorno: gli avevano assicurato che in un paio di giorni sarebbero venuti a prenderlo, e gli avevano lasciato provviste per due settimane, non avrebbe di certo sofferto la fame. Smise di volgere lo sguardo intorno a se, puntando deciso verso casa sua, o almeno quello che ne rimaneva. Nonostante si fosse preparato mentalmente a ciò che lo aspettava, rimase comunque sconvolto dalla devastazione della casa. La ricordava bella, pulita, con le pareti rosse, con quella sua piacevole forma semisferica, che gli ricordava una scodella per la colazione rovesciata al contrario. Ora invece i muri erano crollati, i calcinacci occupavano tutta la strada e anche l’interno, le poche pareti rimaste in piedi erano annerite dal fumo, piene di crateri fatti dai colpi dei laser. L’interno era pieno di macerie, di polvere, di cocci; tutto ciò che non era stato portato via era stato distrutto, carbonizzato. Entrò in quella che una volta era la sua camera. Il suo letto non c’era più, il tetto era crollato, distruggendo quei pochi mobili risparmiati dalla razzia.
 
Uscì.
 
Girovagò ancora un per un po’ fra le case in rovina, scavando nelle macerie, spostando calcinacci, alla ricerca di qualcosa, qualunque cosa, che potesse, una volta sulla Terra, ricordargli casa. Quando scese la notte, riparò in una delle poche case con un tetto ancora intero.
La mattina, dopo aver mangiato qualcosa, si diresse verso una parte della colonia che non aveva ancora esplorato dopo l’attacco: il quartiere ovest, la zona in cui abitava Laren. Dovette camminare per più di un ora per raggiungere quella zona, i detriti infatti avevano ostruito completamente le strade del centro, e Alast procedeva a stento fra le macerie, incespicando, cadendo, sbucciandosi le mani, ma alla fine riuscì a passare.
Quando raggiunse il quartiere ovest si rese conto che gli abitanti della colonia non si erano lasciati trucidare senza reagire, ma anzi, avevano opposto una fiera resistenza al nemico. Vedeva chiaramente scheletri di persone avvinghiati uno sull’altro, pareti crivellate dai colpi dei laser, crateri nel suolo scavati dall’esplosione di granate al plasma.
Giunse infine a quella che era stata la casa di Laren, perché in quel momento altro non era se non ammasso di calcinacci pieni di polvere.
Alast entrò in quella che ricordava essere la cucina, anche se ormai era ridotta a un cumulo di cenere e resti carbonizzati, il salotto e la camera dei genitori erano nelle stesse condizioni. C’era solo più un posto in cui doveva entrare: la camera del suo amico. Questa era nella stessa situazione del resto della casa: spoglia, con i frammenti del tetto sul pavimento, con i resti delle pareti neri dal fumo e perforati dai colpi delle armi.
Improvvisamente dal mare di ricordi ne emerse uno particolare:
“Lui era andato a trovare Laren a casa, e quello lo aveva portato in camera sua:
«Sai – disse Laren – ho letto un libro su uno scienziato che nascondeva un libro in un posto, e poi secoli dopo un suo parente lo trovava, e con quel libro salvava il mondo da un epidemia!»
«Wow – rispose Alast – sembra interessante!»
«Già, e ho deciso di fare anche io una cosa del genere!»
«Vuoi salvare il mondo da un’epidemia?»
«Ma no! Voglio nascondere anche io qualcosa per i miei pro-pro-pronipoti, così che, quando lo troveranno, si ricorderanno di me!»
«Che bella idea! Che cosa nasconderai?»
«Beh, non deve essere qualcosa di troppo grande, sennò poi è troppo difficile nasconderlo… pensavo di nascondere il cristallo che abbiamo trovato l’anno scorso, se non ti dispiace, ovviamente…»
«Dispiacermi? Ma scherzi? È fantastico, così si ricorderanno anche di me!»”
Chissà se era ancora lì…
 Alast era per terra in ginocchio, che scavava a mani nude nella sabbia rossa dell’asteroide. Dopo pochi minuti si rimise in piedi, fra le mani aveva una scatola rossa. L’aprì: dentro c’era un cristallo rosso. Senza esitazione se lo mise in tasca, per poi girarsi e tornarsene sui suoi passi.
 
Tre giorni dopo una navetta entrò nell’atmosfera, atterrando a qualche centinaio di metri di distanza, in quelle che una volta erano culture idroponiche.
Dalla nave non scesero, come si era aspettato, uomini con abiti grigi e bastoni, ma un ragazzo e una ragazza, di circa vent’anni. Entrambi con maglia e pantaloni rossi.
«Bene! – disse la ragazza – prendiamo il bambino e andiamocene, non mi piace questo posto.»
«Ah, eccolo!» disse il ragazzo vedendo Alast arrivare
«Chi siete?»
«Ciao! – disse il ragazzo - siamo stati incaricati di portarti via da qui.»
«Non siete come Dereb e gli altri »
«Ovvio – intervenne la ragazza – loro sono maghi a tutti gli effetti, noi siamo ancora allievi, vicini al passaggio ma pur sempre novizi.»
«Allora – disse il ragazzo – andiamo?»
«Sapete fare anche voi le magie?»
«Certo! Non siamo al livello di un mago ma non ce la caviamo così male.»
Alast sapeva che avrebbe dovuto essere diffidente, eppure guardandoli avvertita una sensazione di potere, meno marcata rispetto a quella di Dereb, ma comunque facilmente percepibile.
«D’accordo, andiamo!» disse infine.
«Eccellente! – esclamò il ragazzo – Sei mai stato su un’astronave?»
   
 
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