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Autore: Mary P_Stark    06/12/2014    6 recensioni
Sheridan O'Connell è una figlia ribelle e selvaggia della campagna irlandese, fuggita a soli diciotto anni per raggiungere Dublino con il suo ragazzo. Dopo una vita travagliata è infine diventata fotoreporter per il National Geografic, sempre in giro per il mondo, ma sempre lontano da casa. Casa che la richiamerà a sé a causa delle cagionevoli condizioni di salute del padre. E lì, tra quelle lande dell'ovest Irlanda, immersa in ricordi dolce amari, Sheridan ritrova luoghi a lei cari, come il faro in cui si rifugiava sempre per rifuggire le ire dei genitori.
Il suo sancta santorum, però, ora è di proprietà di uno scorbutico guardiano, Ronan O'Sea, che le darà del filo da torcere, prima di permetterle di riavvicinarsi a ciò che le è caro.
La loro convivenza forzata in un luogo comune, però, sgrosserà i caratteri riottosi di entrambi, permettendo a una luce nuova di farsi largo nelle loro vite tribolate.
E darà il via a una serie di eventi che mai, Sheridan, si sarebbe aspettata. Perché un oscuro mistero si cela dietro gli occhi color acquamarina di Ronan.
Starà a lei scoprire quale. - 1° RACCONTO "SAGA DEI FOMORIANI"
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei Fomoriani'
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3.
 
 
 
 
Il vento batteva la costa con violenza, scivolando ribelle sulle rive della baia, increspando le sue acque scure, sommovendo l'erba verde e rigogliosa.

I capelli legati in una coda di cavallo e un cappello da baseball in testa, inforcai la mountain bike del nonno – da sempre un appassionato ciclista – e me ne andai in giro per la campagna.

Avevo sempre amato gironzolare nei dintorni di Portmagee, spingermi fino alle scogliere e al faro sulla costa e lì, sola, sdraiarmi sui prati battuti dal vento.

Quel giorno, con me, avevo solo la mia Canon Eos 1Dx, una bottiglietta d'acqua e un panino, casomai avessi deciso di fermarmi in giro, invece di rientrare.

Lo zaino ben saldo sulle spalle, mi aggirai come una turista per vecchie strade che conoscevo a menadito, salutando di quando in quando vecchi amici di un tempo.

I muretti a secco di quanto ero bambina erano ancora in piedi, mantenuti in perfetto ordine dai padroni dei terreni.

L'erba alta, sui bordi della stradina che stavo percorrendo, danzava leggera al ritmo del vento, che portava con sé il sentore dell'oceano e lo stormire dei gabbiani.

In lontananza, i pescherecci stavano rientrando dopo la pesca mattutina, silenziose macchie bianche su uno sfondo blu scuro punteggiato di onde.

Una barca da diporto della Kerry Ocean Adventure, stava portando dei turisti a visitare le scogliere limitrofe, oltre che a mostrare la bellezza selvaggia di quei luoghi.

Era aspra, priva di vegetazione ad alto fusto, erba ed erica erano le uniche piante abbastanza forti da resistere, oltre ai licheni.

Eppure a me pareva bellissima.

Così come la sagoma bianca e nera che, imponente, svettava all'orizzonte.

Il faro di Reencaheragh, nei pressi di Portmagee, mi era sempre piaciuto.

Giaceva imponente sulla scogliera più occidentale di tutta l'Irlanda, e si allungava verso il cielo con la sua linea affusolata, come una lancia sormontata di luce.

Mi ero sempre avvicinata  quasi in punta di piedi, piena di reverenziale timore e affascinato stupore.

Ogni volta, il vecchio guardiano del faro mi aveva fatto salire fino in alto, laddove nasceva la magia del suo bagliore perenne.

In realtà, quando scoprii trattarsi solo di una serie infinita di specchi, oltre a qualche lampada a incandescenza piuttosto grossa, parte del mio entusiasmo scemò.

La me stessa bambina aveva immaginato bacili ricolmi di fiamme, o cose simili.

Scoprire che la mera energia elettrica faceva funzionare tutto, mi abbatté.

Ma il faro rimase comunque il mio porto sicuro, il luogo in cui tornare a ogni nuovo tumulto in famiglia.

E anche quel giorno, mi diressi lì piena di speranza.

Mi accorsi subito che qualcosa era cambiato, però.

La casa del custode era stata allargata, ridipinta di un bel bianco candido, e le finestre erano state dotate di serramenti in legno scuro.

Un giardino ben tenuto era riparato da un muro di cinta intonacato grossolanamente, anch'esso con una tinta bianco latte.

Scesi dalla bicicletta, lasciandola contro un vicino masso ricoperto di licheni e, fotocamera alla mano, mi apprestai a fare qualche foto.

Quello scorcio di paradiso selvaggio meritava di essere ripreso.

Non mi aspettai, però, di veder comparire qualcuno dal retro del faro.

E neppure che questo qualcuno si avvicinasse a passo di carica, e armato di zappa, neanche fosse stato pronto a spaccarmela sulla testa.

«Che diavolo sta facendo, qui?!»

La sua voce stentorea e profonda, che ben sovrastava il rombo delle onde contro la scogliera, oltre al vento sibilante, mi arrivò alle orecchie simile a una salva di cannoni.

Reclinai immediatamente la fotocamera e, stranita, fissai quello che ipotizzai essere l'attuale padrone del faro.

«Ehm... buongiorno. Stavo solo pensando di fare qualche foto al faro. Sa, ci venivo da bambina e...»

Interrompendomi con un gesto secco del braccio, che sciabolò l'aria con violenza, l'uomo, dai chiari occhi color acquamarina, mi frizzò con lo sguardo prima di sibilare: «Questa è proprietà privata, stradello compreso. E io non l'ho invitata.»

Sbalordita da tanta rabbia, che reputai più che immotivata, misi via la mia Canon prima di replicare, serafica: «Non pensavo si consumasse l'asfalto, mi perdoni. Me ne vado subito.»

«Bene» bofonchiò l'uomo, passandosi nervosamente una mano grande e forte tra la folta capigliatura.

Questa mandò dei lampi rossastri tra le ciocche brune, trattenute da quelle dita lunghe, e io mi incantai un istante di troppo a osservare lo spettacolo d'insieme.

Perché potevo anche essere risentita da quel comportamento da cavernicolo, ma difficilmente una fotografa si lascia scappare lineamenti così perfetti.

Era proporzionato in viso come nel corpo, che trasudava possanza da ogni poro – anche se ricoperto da una tenuta da giardinaggio – e, a quanto pareva, era infuriato nero con me.

«Se ne va, o no?!» sbottò a quel punto l'uomo, digrignando i denti.

Perfetti anche quelli, manco a dirlo.

«Me ne vado, me ne vado» mi affrettai a dire, inforcando la mia mountain bike per riprendere la via di casa.

Il burbero guardiano del faro sbuffò prima di tornare da dove era venuto, la zappa ben stretta in mano e il portamento di una persona che, in altre vesti, avrebbe potuto essere benissimo un guerriero in battaglia.

 
***
 
Tagliuzzando distratta un paio di carote al vapore, mi volsi sorpresa quando sentii mia nonna ridacchiare al resoconto della mia mattinata poco proficua.

«Non trovo nulla di strano in quel che mi dici, per questo rido» si affrettò a dire Niamh, dandomi una pacca sul braccio.

«Dovrebbero mettere un cartello in strada. 'Attenti al guardiano. Morde'.»

Sollevai il tagliere per lasciar scivolare le carote in un piatto di porcellana, che tenevo dinanzi a me, e Niamh annuì comprensiva.

«Nessuno si sogna di disturbare Ronan O'Sea, da quando ha perso la moglie e il figlioletto. A meno che non sia lui stesso a invitarti a casa sua, il che succede davvero di rado, e solo con pochissime persone.»

Sgranai gli occhi, confusa, ed esalai: «Moglie? Figlio? Ma...»

«Lo so, sembra che non abbia neppure trent'anni, eppure è poco più grande di te, mi sembra di un anno, e si è sposato con Mairie Kensington cinque anni fa, quando si trasferirono qui da Limerich.»

«Oh.»

Conoscevo Mairie dai tempi del liceo, e l'avevo sempre vista come una ragazza schiva ma molto brillante negli studi.

Non la ricordavo bene ma sapevo che, a causa del lavoro del padre, si erano dovuti trasferire a Limerich quando lei aveva da poco compiuto quindici anni.

Evidentemente, l'amore per Portmagee l'aveva riportata a casa.

E qui era morta.

«Com'è successo?» domandai, turbata.

«Morì di parto, circa un anno dopo il loro trasferimento qui. Complicazioni durante la nascita, dissero. Il bambino era podalico, così tentarono un cesareo. Non riuscirono a fermare l'emorragia, e il bambino nacque cianotico. Non resistette che un giorno, poi morì anche lui.»

Sospirò e, con sguardo triste, mi passò un altro piatto in cui sistemare le verdure per il nonno. Lui detestava le carote, contrariamente a me.

«Da quel giorno, Ronan è cambiato. Viene di rado in paese e, quando lo fa, è solo per le scorte alimentari, per il giardino, che Mairie adorava e che lui cura con attenzione maniacale, oppure per dei lavori al porto. Gli unici che riescono a parlare con lui, sono coloro che hanno a che fare con il suo lavoro. Aggiusta le barche ai pescatori, e altri lavoretti simili.»

«E io ho invaso i suoi spazi» sospirai, sentendomi un'idiota nonostante l'iniziale arrabbiatura. «Deve averla amata moltissimo, per essere così... arrabbiato col mondo.»

«Non avresti potuto vedere due persone più innamorate» assentì Niamh. «Mairie letteralmente risplendeva, e Ronan la accompagnava sempre in paese perché lei parlasse con le amiche, o visitasse il negozio di fiori del centro. Era prodigo di attenzioni, e non le faceva mancare nulla. La sua mano era sempre pronta per lei.»

Non seppi dire se questo particolare mi piacesse o meno.

Tendenzialmente, ero troppo indipendente per apprezzare attenzioni così palesi o superflue.

Non amavo gli uomini-zerbino. Anche quelli innamorati pazzi.

«Parlate di Ronan?» intervenne il nonno, comparendo dall'orto attraverso la porta sul retro, che dava direttamente in cucina.

«Già. Sherry si è appena scontrata con le sue zanne» ridacchiò la nonna, raggiungendo il tavolo con lo stufato fumante e profumato di erbe.

Nonno Killian rise sommessamente e, nel darmi una pacca sulla spalla, disse: «Morde, ma non è pericoloso. E' solo molto, molto ferito dai casi della vita. Credo stia cercando di tirare avanti come può, ma è dura perdere qualcuno che ami quando sei così giovane.»

«L'hai conosciuto prima che passasse al lato oscuro della forza?» ironizzai, mettendomi a sedere.

«Eccome. Ronan, oltre a occuparsi del faro, è anche un ottimo falegname. La staccionata che vedi là fuori l'ha fatta lui, e gran parte delle opere in legno che vedrai i paese, le ha sistemate lui. Ci sa davvero fare, con la pialla.»

«Un po' meno con le persone.»

Brontolai mio malgrado, perché il faro aveva un significato particolare, per me, e venirne defraudata a quel modo, senza aver commesso nessun reato, mi sembrò ingiusto.

Comprendevo il suo dolore – solo un sasso non l'avrebbe fatto – ma trovavo scortese che mi avesse scacciata a quel modo dalla sua proprietà.

Non avevo fatto nulla di male, per meritare un trattamento di tal risma.

Nessuno, nei dintorni, si lamentava se qualcuno passava negli stradelli privati per raggiungere le scogliere! Era normale!

«Da dove viene, comunque? Non ho mai sentito di una famiglia O'Sea, in zona.»

«Noi sappiamo soltanto che lui e Mairie si sono conosciuti a Limerich, ma credo non abbia nessuno, oltre a se stesso, perché al funerale non partecipò nessun membro della sua famiglia, né si fece mai vivo alcuno per confortarlo, nel corso degli anni. Gli unici che vanno a trovarlo a casa senza che dia in escandescenze, sono Fynn e Cormac.»

«Fynn riuscirebbe a far parlare un leone marino con il mal di denti» ridacchiai, annuendo tra me. «Quanto a Cormac... non me l'aspettavo. Quel vecchio lupo di mare solca ancora l'oceano con la sua barca?»

«Ehi, dico! Cormac ha solo cinque anni meno di me!» sbottò ironico mio nonno, fissandomi con aria falsamente disgustata.

«Pardon, nonno. Ma ammetterai che Cormac ha più rughe in faccia di uno Shar Pei! E ha la stessa simpatia di una tempesta di grandine.»

Ridemmo tutti e tre, passando ad altri argomenti, ma la faccenda 'Ronan' rimase in sospeso nella mia testa.

Non volevo rinunciare così facilmente al mio angolo di paradiso, perciò avrei dovuto trovare il modo per ammorbidire quella sottospecie di orso.

Nel frattempo, però, dovevo occuparmi di una questione più annosa.

I miei genitori.

Il giorno precedente non era andata esattamente bene, ma speravo in qualche modo di rimediare almeno una sufficienza, quel pomeriggio.

Dopo aver promesso alla nonna di portarle a casa del pesce fresco, mi recai dai miei genitori.

Atteso paziente che mia madre venisse ad aprirmi, entrai con un sorriso esitante e un’idea fissa in testa. Non dovevo sbarellare, per nessun motivo.

Mio padre sedeva nello studio, il giornale tra le mani… e la pipa ancora fumante nel posacenere.

Inorridii alla sola vista.

«Sono io che ho capito male, o tu sei malato?»

Indicai la pipa come se fosse un criminale armato di pistola e mio padre, con una scrollata di spalle, evitò la domanda.

«Hai dormito bene, dai nonni?»

«Da pascià, ma non è questo il punto» brontolai, già sul chi vive, in barba a tutti i miei buoni propositi.

Fissai sgomenta mia madre, ma lei non trovò null'altro da dirmi se non 'vi lascio soli'.

Se ne andò in cucina, chiudendosi la porta alle spalle con un fruscio di legno e cardini ben oliati.

Rimasi ancora un attimo a fissare la pipa dopodiché, quasi le gambe avessero deciso di darmi buca, fui costretta a sedermi.

Non ce la facevo davvero a reggere una discussione anche quel giorno, ma sembrava inevitabile.

«Papà, non credi che sia un po' come darsi la zappa sui piedi?»

Il riferimento alla zappa non fu casuale.

La visione di quell'attrezzo contundente, e pronto a spaccarmi la testa, mi era rimasto ben impresso.

Magari Ronan non l'avrebbe realmente usata contro di me, ma l'idea bastava a traumatizzarmi a ogni nuovo passaggio su quel ricordo in particolare.

«La mamma non è d'accordo, esattamente come te. Ma lei non è neppure d'accordo sul fatto che io muoia. Come se ci potesse fare qualcosa.»

Io e mia madre che eravamo concordi su qualcosa? Era da segnare sul calendario.

Le ultime parole di mio padre, però, fecero subito passare in secondo piano quel record da Guinness dei Primati.

«Cosa vuoi dire, papà?»

Aggrottai la fronte, cercando di capire.

«Che non ho speranze. Me l'hanno detto tutti. Solo, lei non lo accetta, e continua a cercare sempre medici nuovi. Non ascolta la verità.»

«Ti vuole bene. Cerca di fare il meglio per te» buttai lì, neppure troppo convinta di aver detto la verità.

Li avevo sempre visti come una coppia fredda e poco incline ai sentimentalismi, perciò non sapevo se stavo solo usando delle frasi fatte.

Era penoso rendersi conto di conoscere così poco i propri genitori.

Lui mi sorrise, replicando soltanto: «Potrei girare la frase a te. E mi sembra che anche tu abbia fatto di testa tua. Non solo io, adesso.»

«Uh» mugugnai, reclinando il capo.

E come potevo dargli torto? Per lo meno, sulla seconda parte della frase. Sulla prima, nutrivo ancora qualche dubbio.

Sul fatto che, però, mamma avesse sempre cercato di instradarmi per darmi la sua idea di ‘cosa fosse meglio’, non avevo nulla da ridire. L'aveva sempre fatto.

Stabilire se avesse avuto o meno ragione nel farlo, era un altro discorso.

Uscii da casa dei miei molte ore dopo.

Gli intensi colori del tramonto a macchiavano le nubi temporalesche di maggio, che si stavano gonfiando sull'oceano agitato.

Quella notte, con tutta probabilità, sarebbe piovuto.

A capo chino, me ne tornai a casa in sella alla bicicletta, le sneakers ben piantate sui pedali e le mani sul manubrio, mentre le gambe si muovevano a un ritmo lento, noioso.

Non avevo voglia di pedalare veloce, in quel momento.

Arrivai con calma, misi la bici in garage e me ne andai in bagno per una doccia veloce, mentre il chiacchiericcio di alcuni turisti riempiva il salottino.

Quando uscii, pulita e un po' rinfrancata, mi presentai e mi offrii di mostrare loro alcuni luoghi interessanti da visitare.

Spuntate le località su una cartina che, sapientemente, tenevano sulle loro biciclette da turisti esperti, dissi loro cosa vedere e dove soggiornare.

Nel pensare al faro, – di solito meta di interesse per molti turisti – mi dissi di non consigliarlo.

Non volevo che Ronan spaccasse la testa a qualcuno, rovinando così il buon nome di Portmagee.

Meglio tenerli lontani da quel punto in particolare della costa.

 
***
 
«Penso che andrò a scusarmi e, al tempo stesso, gli chiederò se posso usufruire di uno dei suoi sassi per sedermi. Chissà che non la prenda in ridere, e non si convinca che non voglio fare nulla di male.»

Nonna e nonno mi fissarono straniti per alcuni attimi, prima di capire a cosa mi stessi riferendo.

Ero così abituata a fare i miei ragionamenti a voce alta – a casa, c'erano solo le piante ad ascoltarmi – che scoppiai a ridere, imbarazzata.

«Scusate. Pensavo a voce alta.»

«Immagino tu stia parlando di Ronan. Ma perché ci tieni tanto a quel faro? Abbiamo altri scorci bellissimi, da queste parti, se vuoi metterti a fare fotografie.»

Niamh, come sempre, fu pragmatica.

«Lo so, nonna, ma quel faro conta molto, per me. Ci andavo da bambina, e lì mi sono sempre trovata bene.»

Sarebbe stato assurdo dire loro quanto, quel luogo, mi aiutasse a venire a patti col mondo, e mi facesse sentire in pace con me stessa, aiutandomi ad accettare i motivi della mia presenza lì.

«Fossi in te, lo prenderei con le molle. Oppure, chiederei a Fynn di fare da paciere.»

Nonno Killian era un mediatore nato.

«Non voglio scomodare Fynn per una cosa del genere.»

Brontolai come una bambina, ma non vi diedi importanza.

Tanto, i miei nonni sapevano benissimo quanto fossi indipendente. Anche quando si trattava di cacciarmi nei guai.

 
***
 
Appollaiata sul muro di cinta della casa di Fynn, una birra in mano e i piedi penzoloni, scrutai con un mezzo sorriso il volto ghignante del mio amico.

Insomma, quando mai ero stata coerente? Ben poche volte.

Subito dopo aver cenato con i miei, avevo afferrato le chiavi dell’auto e, in barba al mio principio di non voler infilare Fynn in mezzo a quel casino, ero andata a casa sua.

Avevo giocato per un poco con Keath e Maureen prima di dar loro la buonanotte, e ora Donna stava tentando di trovare il bandolo della matassa nel caos seguito ai nostri giochi.

Non la invidiai, e mi ripromisi di aiutarla, dopo aver parlato con Fynn.

Ma ora, avevo bisogno anche delle sue rassicurazioni.

Passandosi una mano tra i corti capelli castani, mi squadrò con il suo solito sguardo comprensivo, e io gli feci la lingua.

«Mi domando sempre se la tua sia semplice testardaggine, o un insano senso del pericolo che non riesci a domare. Perché vuoi disturbare Ronan nel suo sancta santorum

«Non è che voglia… disturbarlo. Ma ho bisogno di stare lì. Più di quanto riesca a spiegarlo a livello razionale.»

Scrollai le spalle, non sapendo cos’altro aggiungere. Sapevo benissimo anche da sola che, quel mio accanirmi, poteva essere visto solo come un capriccio.

Ma erano la mia pelle, i miei nervi, la mia corteccia celebrale, tutta quanta me a chiedermi di andare là.

Un bisogno insopprimibile che non potevo cancellare così semplicemente, anche se la zappa di Ronan era stato un buon motivo per darmi alla fuga.

Lui sospirò, ammiccò con i suoi occhi color del ghiaccio e mormorò: «Ronan non è cattivo, davvero. Solo, non ci sa fare con la gente.»

«Ma va? Non l’avevo notato!» esclamai, sorseggiando un po’ di Guinness. Il suo retrogusto cioccolatoso mi rimase in bocca come una dolce promessa e, sospirando, aggiunsi: «Senti, nonna mi ha detto di sua moglie e del figlio. Mi spiace davvero ma, in tutta onestà, non capisco che danno potrei fare, bazzicando lì.»

«In realtà, nessuno. Preso a piccole dosi, Ronan sa anche essere simpatico. Basta non pressarlo con domande su Mairie e il figlio. Lì, allora, si perde. Ed esce fuori il suo lato più dolce» ironizzò mestamente Fynn, spallucciando.

«Dolce come una zappa?» ironizzai, e lui rise.

Gli avevo raccontato l’aneddoto, e Fynn era scoppiato a ridere così tanto da rischiare di strozzarsi.

Donna gli aveva piantato una gomitata nel fianco, ma questo non era bastato a calmarlo.

Alla fine lo avevo mandato al diavolo, minacciandolo di andarmene se lui non avesse smesso.

E ora eravamo lì a disquisire di un uomo e dei suoi demoni.

Dio, potevo capirli meglio di chiunque altro. Quei demoni erano rimasti parcheggiati a casa mia, con il loro culone enorme, per anni interi.

Anni che avevo speso nel tentativo di capire come camminare nuovamente, come respirare nuovamente.

Avevo amato Kieran di un amore giovanile, puro, ricco di aspettative ma, sostanzialmente, anche assai immaturo.

Ci avevo messo parecchio per venire a patti coi nostri errori, e con il fatto che, nel bene e nel male, lui non mi avrebbe più fatta ridere, o sentire desiderata… speciale.

Capivo Ronan? Eccome se lo capivo!

Ma il faro era più importante di qualsiasi altra cosa, anche del buonsenso.

«Vuoi un consiglio? Non stressarlo, non ficcanasare, non imporgli la tua presenza, e vedrai che non avrai problemi.»

«Sono nel mio anno sabbatico. Il mio cartellino da giornalista lo lascio nella borsa» ghignai, levando tre dita come se fossi stata una scout.

Fynn mi fissò con estremo scetticismo, replicando bonario: «La curiosità è donna per concezione, ma con te assume dimensioni diaboliche.»

Nel sentire dei passi dietro di noi, mi volsi a mezzo, sorrisi a Donna e, indicando Fynn con la bottiglia di Guinness, esclamai: «Salvami da lui! Mi ha appena detto che sono diabolica!»

Lei rise sommessamente e, nel dare un bacetto sulla tempia al marito, mormorò: «Sii buono con lei, Fynn. Dopotutto, non è da tutti affrontare Ronan e uscirne indenni.»

«Siete cattive. Ronan non è così tremendo.»

Sia io che Donna lo fissammo divertite e lui, levando le mani in segno di resa, dichiarò: «Non mi metterò contro due donne, poco ma sicuro. Vado a prendermi un’altra birra. Voi approfittatene pure per sparlare di me.»

Lo osservai con un sorriso prima di rivolgermi a Donna e dire: «Sei fortunata. In pochi hanno la grazia di avere un marito come Fynn.»

«Ha i suoi pro e i suoi contro, ma hai ragione. Sono fortunata» assentì lei, dandomi una pacca sul braccio. «E Fynn ha ragione su una cosa. Ronan non è cattivo, ma credo che non sappia bene come prendere le persone. Hai visto i giocattoli di legno di Keath?»

Annuii, e lei mi disse: «Li ha fatti tutti lui. E dopo la morte di Mairie. Non ce l’ha col mondo, solo non sa come affrontarlo. A ogni compleanno di Keath, Fynn veniva a casa con un giocattolo nuovo intagliato a mano.»

La fissai strabiliata, sinceramente senza parole.

Il suo sorriso si fece dolce, quando mormorò: «Ricordo che una volta, quando Keath aveva solo quattro anni, Fynn lo portò con sé da Ronan. Dentro di me, ero terrorizzata, ma non dissi nulla perché sapevo quando Fynn teneva – e tiene – all’amicizia di Ronan. Quando tornarono a casa, Keath era entusiasta.»

«Non … non soffrì, vedendolo?» esalai, sempre più confusa.

«Forse. Ma non lo diede a vedere. Fynn mi raccontò che, per tutto il tempo passato nella sua officina, Ronan non fece altro che sorridere a Keath e, mentre aggiustava la mia sedia a dondolo, gli spiegò tutto ciò che stava facendo. Keath lo aiutò passandogli i chiodi e, per tutto il tempo, Fynn ristette lì a guardarli.»

Sospirò, sorseggiando la sua birra fredda, e aggiunse: «No, credo che Ronan abbia smesso di piangerli da tempo. Penso sia cosciente di dover ricominciare. Solo, non sa come riappropriarsi della sua vita.»

«E’ sempre la parte più difficile» assentii, torva in viso.

 
***

La notte era già scesa da tempo, quando tornai a casa.

Quando il temporale iniziò, io mi posizionai alla finestra con la macchina fotografica.

I fulmini mi erano sempre piaciuti e guardarli infrangersi sulla costa, come sulle onde furenti dell'oceano in tempesta, era eccitante.

Lì nella baia le acque erano agitate, ma non così terrificanti come, immaginai, fossero in quel momento in mare aperto.

Mi chiesi per un istante se Ronan fosse alla finestra a godersi lo spettacolo, poi mi diedi da sola dell'idiota.

Un orso come lui non avrebbe mai potuto trovare affascinante un simile sfoggio di forza della Natura.

Nel complesso, riuscii a ottenere delle buone riprese e, verso le tre di notte, mi infilai a letto.

La casa era silenziosa, se si escludeva il lontano battere dell'orologio a pendolo, che nonno aveva sistemato nel salotto a tinte bianche e blu.

Ristetti a lungo a occhi aperti, fissandomi sugli eventi della giornata e, solo a fatica, riuscii a prendere sonno.

Trovavo assurdo che mio padre fumasse la pipa, in quelle condizioni.

Ma chi ero io per dissuaderlo, se neppure sua moglie riusciva a portarlo a più miti consigli?

 
 
 
__________________________
The Waterfront, come B&B, esiste realmente. Io mi sono solo inventata gli interni.
Quanto al faro, non esiste in zona, ma il luogo in cui l’ho posizionato c’è davvero e porta il nome riportato nel racconto.
Il nome della nonna di Sherry, Niamh, si legge “niv”.


  
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