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Autore: Darkrama    07/11/2008    1 recensioni
Questa è LA storia d'amore ma non è una storia vera. E’ un’opera di fantasia per tutto quello che riguarda le ambientazioni e i personaggi. Solo una cosa è assolutamente reale: i sentimenti dei due protagonisti. Ho cercato di esprimerli al meglio e ogni volta che rileggo tutto mi sembra di non esserci riuscito appieno. Non sono ancora così bravo con le parole. Buona lettura. Ps: il finale è inventato!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole filtra appena dalle fessure della tapparella. L’alba è iniziata e mi ha svegliato. Mi godo un altro paio di istanti il tepore delle coperte poi il pensiero mi da una scarica di adrenalina: è domenica! Butto le coperte e mi alzo: oggi si va a girare a Monza! Il caffé non è ancora uscito dalla moka che sono pronto. Mentre mi allaccio le scarpe penso che oggi mi divertirò! Bevo il caffé e scendo in garage. La Leon si accende silenziosa. Non scaldo il motore, avrò tempo lungo la strada. Esco dai box che il sole già rischiara tutto. Non ci sono molte macchine in giro, è ancora troppo presto. Guido con calma rispettando i limiti. Primo perché è saggio, secondo perché se mi fermano, oltre i soldi di multa, mi ritirano la macchina: ho calzato un paio di pneumatici, avuti tramite un favore, che non sono contemplati dal C.d.S. Mi godo la bella giornata che sta iniziando, la temperatura mite e il cielo sereno. Lo stereo diffonde Einaudi nell’abitacolo e in un battibaleno sono all’ingresso dell’autodromo. Poche macchine, è ancora presto, o molti hanno preferito andare a fare una gita in qualche località balneare cogliendo al volo il primo sole? Meglio così, meno casino in pista. Pago e parto. Il primo giro scaldo ben bene motore gomme e freni. A parte i pneumatici nulla è fuori C.d.S. Qualche car pesantemente tuninzata mi sorpassa rombando. Io ho spento persino lo stereo. Il circuito ormai lo conosco bene! Dopo un full immersion con un simulatore ci ho trascorso con la macchina tutte le domeniche degli ultimi mesi. Adesso è ora di andare! L’adrenalina pompa a manetta ed è una gioia vedere che le gomme tengono in maniera incredibile. Dopo un paio di giri molto soddisfacenti vedo nello specchietto una car piena di adesivi. Dal rumore dello scarico, l’altezza da terra e la velocità con cui mi prende in rettilineo scarto qualsiasi cosa possa girare regolarmente in strada. Alla staccata in fondo al rettilineo mi passa. Cerco di starle dietro, per quanto mi è possibile. Un paio di curve rimaniamo vicini, poi non c’è storia. Troppa differenza di meccanica per farcela. E’ stato divertente però. Guardo il cruscotto: il mio tempo ormai è scaduto! Rallento e lascio raffreddare il motore. Abbasso un filo i finestrini e sento odore di gomma bruciata. Lunedì dovrò andare dal gommista a metterne su di nuove ma sorrido: è stato bellissimo. Sono in coda, dietro le poche altre auto, quando vedo un tipo a piedi fermo al cancello. Ci guarda sfilare. Ci mancherebbe un controllo della stradale poco fuori l’autodromo, andrei a casa a piedi. No no no. Mi si avvicina e la mia patente trema nel portafogli. Mi fa cenno e ormai sicuro di essermi giocato patente, soldi ed auto pigio il tasto dell’alzavetro. Con espressione completamente afflitta, la gioia per la bella mezz’ora ormai evaporata, lo guardo chinarsi verso di me. Non ha la faccia tipica del poliziotto ma tantè:
“Potresti uscire dalla fila, vorrei parlare con te”.
Obbedisco e accosto. Gli altri mi guardano e vedo nelle loro espressioni il sollievo di averla scampata. A velocità ultrasonica spariscono dalla vista.
“Ti ho visto girare”.
“Non girare il coltello nella ferita” penso tra me e me “uccidimi subito”.
“Che modifiche hai fatto alla macchina?”.
Il tono è tranquillo, non indagatorio. Mi chiedo quanto posso nascondere che non venga fuori ad un controllo. Alla fine sono troppo sgonfio per mentire. Sparo li tutto:
“Gomme, dischi e pastiglie, filtro aria e candele”.
Non lo guardo nemmeno altrimenti non mi sarei perso l’espressione di stupore sulla sua faccia.
“Sai la macchina che ti ha sorpassato?”.
Faccio cenno di si con la testa.
“Partecipa all’europeo in classe C”.
Lo guardo senza capire cosa voglia o dove vuole arrivare.
“E’ un’auto di serie turbo benzina rimappata, assettata e con gomme slic. Freni sportivi e alleggerita”.
“E allora?” mi viene un tono seccato nonostante la situazione.
“Chissenefrega” penso tra me e me.
Il tipo mi guarda meravigliato. Forse il tono è uscito fuori nonostante tutto.
Lo vedo tirarsi un pelo indietro e fissarmi.
“Volevo sapere se ti andrebbe di provarla”.
Il clank della mia mascella che cade a terra è eloquente. Lo guardo ad occhi sbarrati. Appena il mio cervello riconnette esclamo:
“Pensavo fossi un pulotto!”.
Scoppia a ridere.
“No! Sono il direttore corse della Alltima per il gruppo C”.
Gli vedo i lacrimoni dalle risate.
“Pensavi fossi della polizia e ti volessi multare?”.
“Certo. Tutte quelle domande sul giro in pista e sulle modifiche. Mi vedevo già spacciato”.
Respira a fondo e torna semiserio.
“Era solo per capire come avevi fatto a stare dietro il nostro pilota per tre curve con un’auto di serie”.
“Culo!”.
Mi guarda e vedo che non mi crede.
“Ti indico la strada”.
Sale al posto del passeggero e mi fa fare un giro dietro alcune corsie riservate. Il suo pass apre i cancelli che ci si pongono davanti. Alla fine mi dice di parcheggiare di fianco ad un camion che ha gli stessi colori della macchina che mi ha sorpassato in pista.
Un tipo in tuta blu sui sessanta si avvicina.
“Allora l’hai proprio chiamato” dice in tono incredulo.
Senza scomporsi l’altro risponde:
“Facciamogli fare un paio di giri e vediamo i tempi”.
Poi come folgorato da un’idea improvvisa:
“Se scende sotto l’uno e venti mi paghi il pranzo”.
Il sessantino lo fissa e mi fissa. Lo vedo ragionare. Forse si chiede quante possibilità abbia. Alla fine accetta.
“Andata me se non ce la fa paghi tu a tutti e tre”.
“Va bene va bene” e sorride.
Scendo e mi viene indicata la macchina ferma: la sorella della stilo che mi ha sorpassato. Un casco che mi va un po’ stretto e il mio accompagnatore praticamente mi butta dentro. Dopo una serie di spiegazioni base sul comportamento, il regime di esercizio e di cambiata mi dice di farmi qualche giro finché prendo confidenza e poi provare lentamente a spingere. Si infila dentro e avvia il motore. Lo guardo un pelo allarmato: la macchina anche al minimo urla da paura. Guardo attraverso il parabrezza, un respiro, prima e giù il gas. Esco dalla corsia dei box. La macchina è un alto pianeta: schiacciata e incollata a terra sembra correre su dei binari come un treno. Il motore canta che è una meraviglia e inizio lentamente a farlo cantare più in alto. Prendere le curve richiede rapidi adeguamenti: staccate e traiettorie sonno molto diverse per capacità frenante e tenuta in curva. Senza rendermene conto ho finito il primo giro. A malapena mi accorgo che sono al muretto entrambi a guardarmi passare. Pigio sul gas e la car schizza in avanti. Da adesso ogni curva è un test per cercare la traiettoria migliore e l’ultimo metro possibile prima di frenare. Sento l’adrenalina scacciare dalla mia mente il timore di fare un volo e pigio sul gas. Al terzo giro li vedo cronometrarmi, forse sono accettabile. Le loro facce sono imperscrutabili. Mi impegno ancora di più, quando mai mi capiterà un’altra occasione così? Perdo il conto dei giri quando passando sul rettilineo gasato a manetta vedo che il tracagnotto tiene un cartello esposto con scritto: rientra!
“Finita” penso deluso. Lascio il gas e rallento un pelo godendomi come un giro d’onore il circuito. Quando arrivo al camion e spengo la macchina scendo subito fuori: meglio prendere le distanze da un bolide del genere o mi tocca cambiare auto! Mi avvicino per consegnare il casco già sperando di non ricevere battutine sarcastiche sulla mia abilità. Il tipo che mi ha chiesto di provare la macchina mi osserva con sguardo calcolatore. L’altro è arrabbiato.
“Bei giri” mi fa.
“Grazie” rispondo sulle mie.
“Il casco” dico accennando a restituirlo.
“E’ stato molto bello girare con una macchina simile”.
 “Hai impegni per l’ora di pranzo?” mi chiede.
Lo guardo senza capire, il casco ignorato. Incerto rispondo:
“No, nulla di particolare”.
“Allora pranzi con noi due, tanto paga Luigi” dice facendo cenno all’altro con un sorriso.
Realizzo che sono sceso sotto il tempo e lui ha vinto la scommessa, per quello è tutto contento. Poi torna a voltarsi verso di me:
“Io sono Francesco Torri e lui è il capo meccanico del team, Luigi Favori”.
“ Luciano Gelsomini” dico stringendo le mani ad entrambi.
“Mi ha molto colpito la tua prova”. Per la prima volta parla Luigi.
“Grazie” dico contento.
“Avevi mai provato qualcosa di sportivo prima d’ora?”.
“Una TDI 200cv con assetto koni un paio di anni fa. Nulla di troppo tirato perché eravamo su strada e li bisogna essere prudenti”.
Silenzio. Francesco ci indica il camion. Seduti sul pianale sospeso chiacchieriamo del team e della macchina. Di quello che ho provato guidandola. Dopo aver preso il coraggio a due mani mi faccio avanti facendo notare alcune cose della macchina con cui non mi sono trovato. Non mi uccidono e ne parliamo tranquillamente. Sembrano anzi interessati. A mezzogiorno andiamo a mangiare. Usciamo dall’autodromo a piedi e pranziamo in una trattoria poco lontano. Francesco mi chiede che lavoro faccio e al caffé butta li una mina.
“Ti piacerebbe gareggiare con noi?”.
Lo spostamento d’aria mi fa quasi cadere dalla sedia. Guardo Luigi cercando sul suo volto una traccia del sorriso che mi confermi la presa in giro: non ne trovo!
Torno a osservare Francesco e rifletto.
Lui cerca di convincermi:
“Il campionato è quasi alla fine. Dopo aver richiesto il patentino potresti partecipare al massimo a quattro, cinque gare. Stileremo un contratto di massima: retribuzione, assicurazione e obblighi e poi a giugno sarai libero”.
“Ma per il mio lavoro?” protesto debolmente.
Luigi e Francesco si guardano poi è ancora Francesco a parlare:
“Per ogni gara si è impegnati dal venerdì alla domenica. Libere venerdì, qualifiche sabato, gara la domenica mattina e rientro la sera. Ogni due settimane potresti prenderti un week end libero?”.
Sento la paura attorcigliarmi lo stomaco e stringerlo in una morsa.
Lo farei? E’ stato bello correre con quella macchina. Elettrizzante!
Una vocina mi dice: un paio di giri sono una cosa una gara un’altra. E se fai brutta figura? Se t’ammazzi? La paura mi attanaglia. La gioia e l’adrenalina spariscono sotto una tenda nera. Ma chi me lo fa fare? Posso continuare il mio lavoro tranquillo e girare quando mi va. No no no! Non me la sento. Poi mi arrabbio per la mia paura, per la mia inerzia e l’ira spazza i miei timori.
“Posso” dico solo e loro sorridono.
Luigi ordina una grappa e brindiamo. Tornati all’autodromo Francesco mi chiede una serie di dati e mi lascia il suo biglietto. Appena avrà le carte del patentino e il contratto da farmi firmare mi chiamerà. Vado a casa frastornato. Dopo aver messo la macchina in garage mi sdraio sul divano. Mi rialzo di scatto e vado in bagbo. Una doccia bollente non mi leva l’inquietudine per il mio domani. Il telefono lampeggia. Ci sono chiamate non risposte e un paio di sms. Leggo i mittenti, punto la sveglia per lunedì e poi lo ignoro. Mi rilasso al computer e vado a dormire senza cena. Il solo pensiero del cibo ora mi da la nausea. La sveglia mi scuote dal sonno. E’ lunedì, sono le sei e mezza e devo alzarmi per andare al lavoro. Alle nove sono quasi tentato di parlare della domenica passata con un paio di colleghi. Poi rifletto e cambio idea: meglio che nessuno lo sappia qui dentro, troppe implicazioni negative. Arrivano le tre e vado a casa. Dopo aver fatto merenda chiamo Giulia. Oltre ad essere la mia migliore amica è avvocato.
“Pronto!” la sua solita voce squillante.
“Ciao Giulia” rispondo contagiato dal suo entusiasmo, è del leone.
“Ciao Luciano, come stai?”.
“Niente male e tu?”.
“Presa come sempre dal lavoro, dal lavoro e dal lavoro”.
Ridiamo entrambi: è malata cronica di lavoro e lo ama.
“Com’è andata la scalata Mirro di cui mi parlavi?” era l’ultimo lavoro di cui si stava occupando: contratti tra multinazionali.
“Bene!” con orgoglio “Abbiamo smussato un paio di pretese assurde e ottenuto un buon accordo. I nostri clienti erano molto felici tantè che ci hanno dato dei biglietti per la prima della Scala di domenica”.
“Wow! Allora hai fatto un ottimo lavoro!” dico orgoglioso.
“Sai che il merito non è solo mio”.
“Per il tempo che passi in ufficio direi di si. Settimana scorsa rispondevi ai miei messaggi alle due di notte!” dico scherzando.
“Lo so. La preparazione è stata un massacro ma la nuova ragazza che abbiamo assunto è brava”.
“Bene almeno appena si impratichisce alleggerirai il tuo carico di lavoro” dico già sapendo quale sarà la sua risposta.
“Non se ne parla. Se tutto va bene entro fine anno diverrò socia dello studio!”.
“Lo so lo so” e rido “tutta carriera. Prenditi ogni tanto una mezza giornata per te” dico preoccupato.
Lei percepisce il mio tono.
“Domenica l’altra vado al mare con Giuseppe, vuoi venire?”.
“A reggervi il moccolo? Non credo proprio! E poi non credo sarò libero…”
“Hai trovato una ragazza?”salta su lei.
“No!” e rido, sempre la solita domanda “Forse avrò un impegno di lavoro…”.
“Tu che lavori di domenica?” dice incredula.
“Quanto ti danno?”.
“Spiritosa” dico colpito nel vivo.
“Ti ho chiamata apposta. Dovrò firmare un contratto e vorrei il tuo parere professionale”.
“Un contratto? Non è un lavoro per la tua ditta?” dice senza capire.
Decido che è ora di raccontarle tutto.
“Ma sei fuori? E se ti schianti? Ti ricordi cosa ti hanno combinato due anni fa?”.
Se lei reagisce così figuriamoci mia madre. All’istante prendo la decisione di non dirglielo, troppi, colossali, casini.
Parliamo a lungo e alla fine si convince. Così torniamo a ragionare di cose pratiche.
“Appena hai il contratto ci vediamo. Io intanto mi informo un po’,  ripasso. Dov’è che correrai?”.
“Se tutto va bene e mi danno la patente in fretta Italia, Germania, Repubblica Ceca, Francia e Austria”.
Silenzio.
“Lo dirai a tua madre?” preoccupata.
“Ho appena deciso di no. Se tutto va bene non lo saprà e quando avrò finito le gare sarà finito tutto. Non credo ne farò altre. Mi ci vedi come pilota professionista?” ironico “Ma quando mai!”.
“Ci sentiamo allora appena hai il contratto, mi reclamano” dice sorridendo.
“Un abbraccio”.
“Un abbraccio” e riattacco.
Tempo di andare in palestra. I giorni seguenti passano lisci tra il lavoro, le solite attività e l’attesa della telefonata di Francesco. Quando ormai la domenica all’autodromo mi sembra lontanissima ricevo la telefonata. Il giorno dopo ci vediamo a Milano nella sede del team. Il palazzo che la ospita è in periferia ma ben tenuto e in un bel complesso. Grazie allo stradario riesco a non perdermi come al solito in città. Il portinaio mi indica il piano e prendo l’ascensore. Gli uffici occupano tutto il quarto piano del palazzo. Niente di enorme, circa un centinaio di metri quadri. La segretaria che mi apre la porta è sui cinquanta, elegante e con un sorriso simpatico. Dopo aver ascoltato con chi ho appuntamento mi indica una fila di poltroncine. Mi siedo pronto ad aspettare. Di li a cinque minuti sento una porta aprirsi e vedo Francesco avvicinarsi. Mi alzo e ci stringiamo la mano.
Sul suo viso un sorriso.
“Come stai Luciano?”.
“Bene”.
“Hai avuto problemi a raggiungerci?”.
“No tutto tranquillo”.
“Vieni allora. Ti voglio presentare al presidente e poi parleremo col commerciale per il tuo contratto. A giorni dovremmo avere la tua patente quindi non preoccuparti: riuscirai a correre anche a Misano“.
“Ok” un po’ spento ora. Ci manca mi sgamino da casa.
Parlando ci siamo fermati davanti una porta. Francesco bussa e all’avanti entra facendomi cenno di seguirlo. L’ufficio è spazioso e dietro una scrivania di legno e acciaio c’è un uomo sui sessant’anni. Completo grigio e capelli bianchi. In viso mi ricorda lo sguardo aperto ma attento di un contadino. Lo trovo subito simpatico.
“Tu devi essere Luciano”.
Mi avvicino per stringergli la mano, che dopo essersi alzato dalla poltrona, mi porge.
“Piacere di conoscerla” dico stringendola con forza.
Lo vedo ammiccare come se mi ha valutato.
“Francesco mi ha parlato di te e sono colpito. Io sono Ruggero Della Torre e sono il titolare dell’Alltima team” poi sorridendo “Hai fatto un buon tempo visto che era la tua prima prova ma le gare sono un’altra cosa”.
“Lo so e sono felice che mi diate questa possibilità. Farò del mio meglio perché non ve ne pentiate”.
“Questo è parlare. Di la c’è il commerciale. Ti spiegherà i termini del contratto. Ricorda che devi andare a fare le prove per il patentino. Spero ci vedremo domenica in pista”.
Dopo un’altra vigorosa stretta di mano ci congediamo. Il commerciale è il tipo del figurino. Un bel po’ snob, mi guarda dall’alto in basso. Professionalmente mi spiega i termini del contratto. Più di qualche volta Francesco mi illumina su alcuni particolari e dal tono capisco che tra i due non c’è un buon rapporto. Prendo la mia copia, dicendo che l’avrei letta con calma e qui lui si ferma.
“Veramente volevamo la firmassi subito”.
Lo guardo serio:
“Voglio leggerlo con calma. Ci sono dieci pagine fronte retro, un bel po’ di cose sui riflettere”.
“Devi solo guidare una macchina” dice scocciato.
“Ragione in più per leggerle bene. Dieci pagine per farmi guidare una macchina? Nemmeno a scuola guida ne ho firmate tante!”dico sarcastico. Mi sta esponenzialmente sempre più sulle scatole.
Interviene Francesco:
“E’ ovvio che te le possiamo lasciare qualche giorno”.
Si guardano male.
“Solo sei vincolato a non divulgarlo. Parlane coi tuoi e prenditi un po’ di tempo per rifletterci. Quando hai deciso mi chiami”.
Il commerciale non gradisce la presa di potere ma non dice nulla. Saluto Francesco e all’uscita la segretaria che mi apre gentilmente la porta.
Il presidente si affaccia dal suo ufficio e fa cenno a Francesco di raggiungerlo. Quando si sono seduti gli dice:
“Mi sembra un bravo ragazzo”.
“Ho preso informazioni sul suo curriculum lavorativo e sulla famiglia” dice Francesco.
“Niente da dire. E’ uno che si impegna e tanto e  puoi chiedere a Luigi: ha un talento incredibile”.
“Ma sarà un bravo pilota? Non è che si monterà la testa e scoppierà come una bolla di sapone?”
“Non penso. Non ci crede ancora e mi sembra un ragazzo posato”.
Poi scuote le spalle: “Solo il tempo ce lo dirà”.
“Hai punzecchiato ancora Pierluigi vero?” dice con un velo di rimprovero sulle labbra.
“Non voleva dargli il contratto da leggere e lo trattava come un idiota” risponde seccato Francesco.
“Non c’è bisogno che io ti ricordi che il marito di mia figlia tra qualche anno prenderà il mio posto e diventerà il tuo capo vero?”.
“Tra qualche anno vedremo presidente. Tutto può cambiare”.
“Non ti è mai piaciuto vero?” preoccupato.
“Ci conosciamo da trentacinque anni e ho tenuto tua figlia sulle ginocchia quando ancora non camminava. Non so cosa ci trovi in quell’arrogante idiota ma non glielo si può toccare. Ho provato a parlarle, nulla. Mi ringrazia per il mio affetto e la mia preoccupazione ma mi risponde che è grande”.
“E’ diventata testarda con gli anni. Mi dispiace non ci sia Elisa con cui poterne parlare”. Si fanno tristi entrambi. La moglie del presidente è morta che la figlia aveva pochi anni.
“Tutto si aggiusterà” dice Francesco alzandosi “devo parlare coi ragazzi e non ho ancora detto a Michele che avrà un compagno di squadra.”.
“Al lavoro allora” dice sorridendo.
Mentre mi dirigo in centro chiamo Giulia per confermare il nostro appuntamento. Le offro la cena, era da tempo che non ci si vedeva. Il week end al mare le ha fatto bene: é più radiosa che mai.
“O é Giuseppe che le ha fatto bene?” penso sorridendo.
Ci abbracciamo e ci scambiamo un bacio sulle guance. Finita la cena e gli argomenti leggeri prende a leggere il contratto. Ne discutiamo e mi chiede se sono realmente intenzionato a farlo.
“Non dovrei?” dico accennando al contratto.
“No quello è buono. Sei legato a loro fino alla fine del campionato. Ti pagano l’assicurazione,  la preparazione fisica e le trasferte più duemila euro a gara. Come controparte si tengono semplicemente un’opzione se decidessi di correre l’anno prossimo”.
“Temi per la mia salute?”.
“Certo. Hai passato sei mesi col gesso perché un deficiente ti ha investito e ora vai a fare le gare?”.
“Le possibilità di farsi male sono molto basse”.
“Tu sei fuori! Al posto di questa tua fisima per la velocità venivi al mare con noi domenica. Un paio di colleghe mi hanno chiesto di te dopo quel venerdì che sei venuto a trovarmi al lavoro. Erano interessate” butta li con noncuranza.
“Lo sai che non mi va” dico scuotendo le spalle e guardando altrove.
“Quando ti deciderai a dimenticarla e ad andare avanti?”.
Eterno tema di molte nostre discussioni.
“Quando riuscirò a dimenticarla” dico tornando a guardarla negli occhi.
Le prendo le mani:
“Magari domani mentre faccio la spesa perderò la testa per una cassiera e mi farai da testimone al matrimonio”.
Sorride: “Smettila di dire scemate!”.
L’atmosfera si rasserena e ora possiamo parlare di cose leggere. L’accompagno alla macchina e ci salutiamo. Mi sento più felice e più triste che non la mattina appena alzato. Due giorni dopo chiamo Francesco e ci mettiamo d’accordo. Prendo un paio di giorni di ferie per fare gli esami e così mi presenta alla squadra e all’altro pilota. Michele ha circa quarant’anni e da trenta guida qualsiasi cosa a quattro ruote abbia un motore. Facciamo amicizia ma percepisco che teme di essere messo da parte. Del resto io ho dieci anni meno di lui. Non mi sento in grado di scalzarlo e solo il tempo ci farà superare, spero, questa tensione. Domenica andiamo a girare a Monza. Dopo aver parlato un po’, e avere esposto a tutti l’alta autostima che ho, i meccanici ridono e lui si tranquillizza. Mi da un sacco di consigli quando vede che li accetto volentieri e ci scambiamo impressioni di guida. Con orgoglio vedo che fa settare la sua macchina come la mia dopo aver visto i riscontri cronometrici. Alla fine della giornata siamo ben affiatati e in pista mi fanno fare un po’ di prove di sorpasso per farmi fare esperienza. Vado a letto stanco morto. Con sforzi incredibili riescono a farmi rilasciare la patente a tempo record: correrò in Italia. Mi fa sentire stimato ed è un bene. Mi fa stringere lo stomaco ma è ok. Dico ai miei che vado via per il week end e prendo il venerdì di ferie. Non dormo e penso ad una scusa per non farmi trovare. La solita vocina mi dice che potrei scappare, che farò una figuraccia o mi schianterò. Il primo raggio di luce mi trova ad occhi aperti. 
  
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