Nick
(forum ed eventualmente sito): Chloe R Pendragon.
Titolo: I failed.
Fandom: Merlin.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico.
Rating: Verde.
Pairing/personaggi: Gwaine, Morgana.
Pacchetto scelto: Major Character Death.
Prompt e citazione utilizzati: Incubo/Le ferite
di un uomo che medita vendetta sanguineranno sempre.
Avvertimenti/Note: Missing Moments.
Nda: Nessuna.
I
failed.
Gwaine teneva il capo chino, i mesti occhi nocciola
fissi sul terreno umido ai suoi piedi mentre udiva il suono di passi rapidi e
decisi: sapeva perfettamente a chi appartenessero, quell’andatura gli era
familiare come il sapore dell’idromele. Sentì Percival rallentare e chinarsi
verso di lui e il moro avvertì una morsa d’acciaio stringergli il cuore, pensando
a quanto stesse soffrendo il suo compagno d’armi nel vederlo ridotto uno
straccio. Avrebbe voluto levare lo sguardo sull’imponente figura che aveva di
fronte, tuttavia non vi riuscì a causa dell’eccessiva debolezza e della
vergogna che provava: non soltanto non era riuscito a compiere la sua vendetta,
per giunta aveva rivelato alla sua acerrima nemica dove stava recandosi il re,
tradendo così il suo regno e condannando tutti alla rovina.
Un brivido gelido attraversò la sua schiena mentre
si domandava come avesse potuto ridursi in quel modo: si era fatto sopraffare
dai suoi avversari, aveva esposto la sua anima a coloro che lo volevano
solamente usare e soprattutto stava per lasciare questo mondo con la
consapevolezza di aver distrutto tutto ciò in cui aveva creduto. Da quando era
giunto a Camelot per la prima volta era cambiato tutto: aveva trovato un amico
fidato e aveva incontrato un principe che di nobile non aveva solamente il
titolo, entrambi più unici che rari. Eppure in quell’occasione non aveva dato
peso a qualcosa di più importante, qualcosa che aveva segnato l’inizio di un
incubo: difatti, mentre attendeva di conoscere il verdetto di Uther Pendragon,
il condottiero aveva vagato per i lunghi corridoi del palazzo reale e lì aveva
scorto una donna sfogare la sua muta collera contro un cuscino.
Era sempre stato un uomo curioso e anche in quella
circostanza non aveva saputo resistere alla tentazione, spinto dalla bellezza
dell’adirata fanciulla dai lunghi capelli corvini e dall’inspiegabile desiderio
di voler placare la sua ira. Ricordava ancora come si era sentito inchiodare al
suolo da quegli occhi glaciali e nel contempo infuocati quando Morgana si era
voltata per guardare colui che la stava osservando: non avrebbe mai potuto
dimenticare quel tripudio di sentimenti contrastanti che erano nati dentro di
lui in quel preciso istante, un intricato groviglio di emozioni che mai lo
avrebbero abbandonato. Era stato come se stesse fissando una pantera ferita,
aveva avvertito l’irrefrenabile impulso di avvicinarsi per accarezzarla e
confortarla, ma nello stesso tempo aveva avuto una sordida paura, come se
quella fragile e iraconda ragazza avesse potuto sbranarlo: avendo compreso il
pericolo, si era limitato a dirle una frase che sua madre gli aveva detto una
sera anni prima, quando aveva litigato con dei bambini della sua età per
un’inezia, per poi allontanarsi senza aspettare la risposta.
Era stato senza dubbi inopportuno da parte sua, ma
non era riuscito a trattenersi di fronte a quella fanciulla sconvolta da un
odio che ancora forse non l’aveva totalmente corrotta. Quando era stato
costretto a lasciare Camelot si era augurato di averla in qualche modo aiutata
a salvare se stessa, purtroppo però si era sbagliato: nel momento in cui era
tornato in quel luogo per aiutare Merlin ed Arthur, era venuto a conoscenza del
tradimento della figlia illegittima del re e ciò lo aveva amareggiato parecchio.
Per qualche oscuro motivo si era sentito in parte responsabile dell’accaduto,
come se quelle parole avessero avuto un peso nelle scelte di quell’intrigante e
tormentata ragazza. Suo malgrado il suo rammarico era dovuto a qualcosa di ben
più profondo e sbagliato, un sentimento che si sarebbe rivelato doloroso come
un incubo: si era infatuato della persona sbagliata, colei che avrebbe segnato
la sua rovina.
Dal giorno in cui era stato insignito del titolo di
Cavaliere, aveva giurato a se sesso di mettere da parte quell’assurdo
sentimento e di prodigarsi per il bene del suo popolo: era sempre stato ligio
al suo dovere, un valido difensore del regno, tuttavia non aveva mai
interamente dimenticato quell’incontro e ciò che ne era derivato. Infatti,
quando Morgana era riuscita a impadronirsi del trono e lo aveva catturato,
tutti i nodi erano tristemente venuti al pettine: mentre lei si era divertita
nel vederlo combattere per un’effimera razione di cibo, lui non era stato in
grado di distogliere la sua mente dalla regina nera e da come fosse cambiata.
Il desiderio di vendetta aveva scavato il suo volto e l’aveva privata della sua
antica eleganza, eppure lui non aveva saputo pensare a una donna più bella di
lei: avrebbe tanto voluto avventarsi su di lei e assaporare le sue labbra
sottili, avrebbe dato qualunque cosa pur di poter giacere con lei e donarle
tutto se stesso. Per la prima volta in vita sua, Gwaine aveva avuto paura di sé
e del suo istinto: senza neppure accorgersene, si era trasformato nel mostro
protagonista dei suoi stessi incubi. Era stato graziato dall’arrivo di Arthur e
degli altri, poiché se non avessero fatto irruzione e cacciato la strega, lui
avrebbe potuto davvero cedere all’ignobile tentazione di tradire tutto e tutti
pur di stare con lei.
I tre anni di latitanza dell’amata nemica erano
serviti al cavaliere per temprare il suo spirito e nascondere i suoi più
torbidi desideri, permettendogli di ottenere ottimi risultati: era riuscito a
dominare quella matassa venefica e ad incanalarla nel suo operato,
trasformandola in qualcosa di buono. Sfortunatamente Morgana era ritornata alla
carica e lo aveva nuovamente imprigionato, obbligandolo stavolta a lavorare
insieme agli altri soldati sequestrati: l’aveva vista per pochi minuti e si
erano scambiati un paio di frecciate, tuttavia era stato più che sufficiente
per far riemergere l’antico sentimento che aveva sepolto nei recessi della sua
anima. Dopo quell’esperienza, il guerriero era stato costretto a fare
nuovamente i conti con se stesso e aveva infine accettato quell’indomabile
passione che mai si sarebbe estinta.
Era riuscito ad andare avanti grazie al supporto dei
suoi amici, Percival in particolar modo, i quali gli erano stati vicini pur non
sapendo cosa stesse accadendo dentro di lui. Quando si era ormai persuaso a
consacrarsi all’amicizia e a Camelot, era arrivata lei, la donna che aveva dato
nuova forza al cuore di Gwaine: Eira, la bellissima fanciulla che aveva detto
di essere la sola superstite dell’attacco dei sassoni alla sua patria. Il
cavaliere si era irrimediabilmente innamorato di lei e aveva creduto di essere
ricambiato: le aveva confidato tutti i piani di Arthur, certo di potersi
fidare, invece era ancora una volta caduto nelle mani della sacerdotessa nera.
Se Gaius non fosse tornato in patria per metterli in
guardia, lui avrebbe continuato a farsi manovrare come un burattino,
ingenuamente felice nella sua gabbia dorata: quando infine avevano scongiurato
la minaccia rappresentata da quella serpe che avevano allevato in seno, il
guerriero era totalmente sprofondato negli abissi del suo incubo personale,
incarnato dalla malefica Pendragon. Ancora una volta, era stato Percival a
fargli sentire la sua vicinanza, posandogli una mano sulla spalla mentre la
traditrice era stata giustiziata davanti ai suoi occhi: era stato in
quell’istante che il suo incoerente amore si era trasformato in un feroce odio,
facendo sì che la sua mente venisse divorata dal desiderio di vendetta.
Aveva coinvolto il suo compagno d’armi nel suo folle
progetto, convinto di poter riuscire a uccidere la strega, ma suo malgrado non
aveva fatto altro che metterlo in pericolo: se Morgana avesse scelto di
torturare il suo amico, non se lo sarebbe potuto mai perdonare... Era stato
solo in quel momento che la fatidica frase detta tempo addietro aveva dato i
suoi frutti: fin dal principio la strega aveva voluto fargliela pagare e ora
aveva finalmente trovato il modo per farlo, usando quelle parole contro di lui. Difatti, dopo aver usato il Nathair
per scoprire la vera destinazione di Arthur, la sacerdotessa lo aveva
sbeffeggiato con la stessa frase che egli aveva pronunciato per consolarla,
mentre lei l’aveva utilizzata per infliggergli la stoccata finale.
Le
ferite di un uomo che medita vendetta sanguineranno sempre.
Perso nelle sue elucubrazioni, aveva completamente
dimenticato la presenza di Percival, che aveva preso il suo volto tra le mani e
aveva sussurrato il suo nome con un misto di dolore e orrore. Il cavaliere
morente non riuscì a trattenere le uniche due parole che sintetizzavano alla
perfezione quello spaventoso incubo che aveva vissuto: “Ho fallito...”. Udì a stento la flebile negazione mormorata dal
suo caro amico, poi l’agonia che provava divenne insostenibile: le palpebre si
abbassarono lentamente e inesorabili, così da permettere a Gwaine di porre fine
all’angoscioso sogno che era diventato la sua vita.