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Autore: Linster    17/12/2014    2 recensioni
Violet cercava in tutti i modi di non lasciare trasparire nulla, però talvolta non riusciva a tenere sotto controllo i suoi sentimenti. Doveva fingere che non le importasse, che stesse bene senza di lui, che dopo quello che fece a sua madre ed a tutti quei ragazzi non poteva più stare con lui. Però non ne era capace. I suoi sentimenti per lui erano troppo forti. La sua assenza la stava deteriorando dentro.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tate, Langdon, Violet, Harmon, Violet, Harmon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buona sera a tutti i lettori!
Io sono MonsterOfFire, e sono nuova da queste parti. Ho iniziato da poco a seguire AHS, e dopo aver finito la prima stagione mi sono sentita incompleta, amereggiata per come finisce la storia d'amore tra Tate e Violet.
So benissimo che lui è uno psicopatico, e che sfoga il suo dolore commettendo atti non proprio convenzionali. Ma alla fine non si può fare a meno di iniziare ad adorarlo, soprattutto per il suo amore nei confronti di Violet. Non credo che ci sia qualcuno che abbia amato così intensamente una persona come Tate ama Violet.
Io, infatti, sono d’accordo con Evan Peters nella sua affermazione:"Find someone who loves you like Tate loved Violet." (Trova qualcuno che ti ami come Tate ha amato Violet).
E' una delle frasi più belle che abbia mai sentito.
Ora però basta con le chiacchiere! Questa è la storia, spero vi piaccia!
MonsterOfFire.

 







 
                                                          Darkness and light

 
Tate girovagava per la casa, come al solito. Ormai oltre a giocare con Thaddeus, o con suo fratello, non sapeva più che fare. Non reggeva più quella situazione, soprattutto a causa di Hayden che gli stava sempre addosso come una spina nel fianco. La odiava.
La odiava perché continuava a stuzzicarlo, a cercare di attrarlo nella sua trappola con affermazioni che avrebbero dovuto ferirlo.
La odiava perché era consapevole del fatto che nelle sue parole si nascondesse un minimo di veridicità.
«Violet non ti perdonerà mai, non ritornerà da te.» Pensare questo gli faceva male, dannatamente male. Ma non riusciva a convincersi pienamente che queste parole fossero vere, perché lui la desiderava ancora. Perché la speranza è l’ultima a morire, no?
Non riusciva a smettere di pensarla. Non trovava mai pace.
Nei suoi pensieri c'era sempre lei.
Lei che l'aveva cacciato via. Lei che l'aveva amato. Lei che forse l'amava ancora.
Le aveva promesso che l’avrebbe protetta da chiunque l’avesse ferita, quando il primo a farle del male fu proprio lui.
Erano passati cinque anni, milleottocentoventicinque giorni, quarantatremilaottocento ore da quando lei interruppe definitivamente la loro relazione. Da quando lei lo uccise per la seconda volta.
 
A volte si ritrovava a parlare con Ben, ma capitava raramente.
Ben notava che ormai Tate era spento, non aveva più niente per cui lottare. I sentimenti per sua figlia l'avevano ridotto in un ammasso di macerie che non sarebbero mai più potute ritornare come prima dell'incendio. Prima dell'addio.
Ben detestava quel ragazzo, ma era anche consapevole del fatto che era solo grazie a lui se la sua famiglia fosse finalmente unita come non lo era mai stata.
Poi scrutava gli occhi di sua figlia. Sembrava felice, ma non lo era. Violet si nascondeva sempre dietro al suo solito: “Sto bene”.
Ma suo padre sapeva che non era così. Sapeva che non stava bene, il suo lavoro l'aveva aiutato a capire quando le persone mentivano o dicevano la verità.
Egli voleva che sua figlia fosse felice, ma come poteva esserlo in una casa dove non c'erano altro che persone morte e nessuno che facesse al caso suo? Però, in fondo al cuore, conosceva l'unica persona che avrebbe potuto renderla di nuovo viva, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce. Era Tate.
 
Violet stava sfogliando il libro sui volatili, che non aveva mai riportato in biblioteca, poiché era morta prima che potesse farlo. Ricordò quando Tate le confessò che anche a lui piacevano molto. Era rimasta piacevolmente sorpresa nel scoprire quest’altro piccolo dettaglio di lui, anche se la situazione tra loro due in quel momento era molto tesa.
Poi ricordò anche il momento in cui scoprì di essere morta. La voce di Tate risuonava ancora nella sua testa: «Ho provato a salvarti. Sei morta piangendo. Io ti tenevo stretta. Eri al sicuro. Sei morta… Amata».
Quelle dannate parole erano riuscite a scalfirgli l’anima. Era sicura che lui sapesse quanto quelle parole significassero per lei. «… Sei morta.. Amata. »
Amata. Era tutto quello che agognava dalla vita. Essere amata.
In poco tempo i suoi pensieri iniziarono a prendere il sopravvento, e a vorticare intorno a tutte le belle parole che Lui le aveva rivolto.
«Ti lascerò stare se è quello che vuoi. E’ quello che vuoi? Sai perché ti lascerò stare? Perché mi importa più dei tuoi sentimenti che dei miei. Ti amo. Ecco, te l’ho detto. Non è più solo una scritta sulla lavagna. Non permetterò che niente o nessuno ti faccia del male. Non ho mai provato queste cose per nessuno.»
«Da quando sei arrivata, questo è il posto migliore.»
«Ci sarò sempre, se è questo ciò che vuoi.»
«Sei tutto ciò che voglio! Sei tutto ciò che ho!»
«Saremo io e te. Insieme per sempre.»
Frasi sfuse dall’ordine temporale. L’ultima era stata una pietra che gli aveva schiacciato il cuore.
Pensare a Lui la faceva star male. Piccole goccie iniziarono a scivolare lungo il suo viso.
Lei gli aveva detto addio. Comprendeva di aver fatto la scelta giusta, ma senza di lui, le mancava qualcosa. Le mancava lui, semplicemente.
 
 
Vivien si presentò alla porta. Osservava la figlia persa nei suoi pensieri distanti migliaia di anni dalla loro realtà. Aveva uno sguardo triste, le lacrime agli occhi e si rese subito conto si conoscere il motivo del malessere di sua figlia.
Violet cercava in tutti i modi di non lasciare trasparire nulla, però talvolta non riusciva a tenere sotto controllo i suoi sentimenti. Doveva fingere che non le importasse, che stesse bene senza di lui, che dopo tutti i casini commessi, non poteva più stare con lui. Però non ne era capace. I suoi sentimenti per lui erano troppo forti. La sua assenza la stava deteriorando dentro.
«Chiamalo» disse Vivien.
Violet si riscosse dai suoi pensieri e la guardò interrogativa. Intanto cercava di asciugarsi le lacrime che non smettevano di scendere.
«Chiamalo» le ripetè.
Violet non riusciva a credere alle parole di sua madre. Non poteva conoscere l’andamento dei suoi pensieri. «Cosa stai dicendo? Non posso farlo, non dopo quello che ha fatto a te e a tutte quelle persone.»
Sua madre le si avvicinò lentamente, prese la mano destra di sua figlia tra le sue e iniziò a carezzarla dolcemente.
«Sì che puoi, tesoro. Lo devi fare. Mi ricordo benissimo di quel che ha fatto, e ogni volta che lo incontro per la casa non fa altro che implorarmi pietà con occhi pieni di rimorso. Non si avvicina nemmeno, non tenta di chiedermi scusa. Questa è una cosa che apprezzo di lui, è molto rispettoso. Anche se questo termine può sembrare ironico, parlando di lui. Però in fondo, se adesso siamo una famiglia felice è solo grazie a lui. Violet, io lo so che lo ami ancora, e capisco il motivo per cui non vuoi più vederlo. Non puoi continuare così per l'eternità. Se lui è la chiave della tua felicità, permettigli di aprire di nuovo il tuo cuore.»
Violet era confusa. Come poteva sua madre dire certe cose dopo tutto quello che Lui le aveva fatto passare? Lei non riusciva nepppure a pensare al suo nome, anzi, non voleva farlo. Perché aveva paura che se avesse pronunciato una sola volta il suo nome, seppur nella sua testa, lui sarebbe apparso, e avrebbe distrutto la maschera d'indifferenza che aveva “costruito” verso di lui.
«Io lo amo ancora, sì, ma ormai gli ho detto addio. Io sono felice anche senza di lui.» Bugia.
 
Tate aveva assistito alla scena. Vivian sapeva che lui era lì, perché lui era sempre affianco a Violet. Non la lasciava mai, anche se lei non poteva vederlo.
Tate aveva le lacrime agli occhi, stringeva i pugni contro i fianchi e carcava di controllare la sua sofferenza. Era distrutto. Come poteva Violet essere felice senza di lui, come?
Lui non aveva nemmeno più sorriso da quando lei l'aveva cacciato. Sentì un dolore acuto attanagliargli il cuore. Non riusciva più a respirare. I suoi sensi erano fuori controllo, la bestia dentro di lui si fece sempre più cattiva, divorandogli quel poco che era rimasto ancora integro in lui.
Lui non sopportava più quel dolore, non poteva rimanere in quella stanza, non voleva sentire il resto della conversazione. Gli avrebbe arrecato solo altre ferite, ed era certo che esse non si sarebbe mai più richiuse. Lui ormai ne aveva abbastanza per l'eternità.
 
Vivien lo guardò mentre se ne andava. Vide le lacrime che scendevano furiose ed irruenti dai suoi occhi, la sofferenza che ormai lo attanagliava senza aver più via d'uscita.
Violet capì tutto in un istante.
«Mamma, era qui, vero?» disse con tono profondamente addolorato.
Sua madre le rivolse uno sguardo carico d’amore materno e comprensione. Annuì.
Una cicatrice di Violet si riaprì. Sapeva di aver fatto del male a Tate, di nuovo, ma aveva fatto del male anche a sè stessa pronunciando quelle fatidiche parole.
Doveva sfogarsi. Conosceva solo un modo.
Ormai non si procurava più tagli così spesso come prima, ma lo faceva ancora, anche se aveva promesso a Lui che non si sarebbe più mutilata. Questa volta fino ad uccidersi, perché tanto ormai la morte non poteva più toccarla.
Scappò da quella stanza, andò in bagno. Lo stesso posto dove si era rifugiato Tate dopo aver sentito la conversazione tra Violet e Vivian.
Violet scorse del sangue per terra. Rimase paralizzata. Vedeva piccole goccie di sangue cadere per terra, istintivamente capì a chi appartenesse quel sangue.
Non esitò oltre, lo chiamò. «Tate! Tate, lo so che sei qui! Tate! Voglio che torni... Tate...» urlò disperata accasciando a terra. Completamente distrutta.
Ed egli apparse.
Lei lo vide.
Lo vide in delle condizioni in cui non avrebbe mai immaginato di scorgerlo. Aveva i polsi squarciati, le lacrime agli occhi e trasudava una depressione infinita. Non pensava che si sarebbe ridotto così, non immaginava che avrebbe potuto fare una cosa simile. Lui stesso le aveva fatto promettere di non procurarsi più cicatrici, ed ora lui si riduceva in quello stato per lei.
Perché Tate? Perché l'hai fatto?
«Violet...» pronunciò il suo nome con una dolcezza inaudita, sorridendo, come se avesse davanti la cosa più importante, più bella della sua vita. Come se lei fosse la sua panacea.
«Cos'hai fatto, Tate?» gli chiese con voce stridula, colma di sofferenza e di colpevolezza.
«Mi sono tagliato. In orizzontale, come facevi tu. E’ un modo per sentirmi più vicino a te. Per la prima volta funziona… E’ bellissimo poterti avere davanti ed essere certo che mi vedi, sai?»
«Tate, non è un sogno. Io sono qui. Sono qui per te. Ti amo Tate» disse lentamente, per permettergli di assimilare le sue parole.
«Ti amo anch'io, Violet» affermò, con una voce ancora stralunata.
Egli morì. Ma poi le ferite si chiusero e aprì nuovamente gli occhi. Rimase sotto chock.
Non stava sognando. Lei era lì per davvero, era lì, che gli accarezzava il volto con delle piccole goccie di dolore liquido che scorrevano giù per il suo bellissimo viso.
Era lì per lui.
«Violet, sei qui... Sei qui!» Non poteva crederci. Lacrime di gioia pura scesero dal suo volto. Era felice, di nuovo. La accarezzò, la baciò con passione, e Violet non si ritrasse, anzi rispose al bacio con la stessa intensità, con lo stesso bisogno che sentiva Tate.
Lo amava così tanto. Ora non lo avrebbe mai più lasciato andare. Mai più.
Ne era certa.
Puntò i suoi occhi in quelli di Tate, e accarezzandogli dolcemente la guancia, gli disse: «Tate, ti ricordi quando ti dissi che tu eri l'oscurità? E quando tu mi dissi che io era l'unica luce che avessi mai conosciuto? E' vero. Tate tu sei l'oscurità, io sono la tua luce. Solo insieme possiamo combattere i tuoi demoni.»
  
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