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Autore: Alechan Black Helsing    08/11/2008    3 recensioni
«Beh,non c’è bisogno che mi introduca» disse sorridendo mentre varcavamo il portone di legno antico, non appena lo oltrepassammo posai le borse a terra e lo fissai appoggiandomi le mani sui fianchi tondi
«In effetti, sarebbe carino se ti presentassi. Ti conosco, ma solo dai tabloid, ed io odio i tabloid» mi guardò e sorridendo tese una mano con dita affusolate
«Piacere, sono Robert» gli presi la mano nella mia piccola e tozza e strinsi con forza come mio padre mi aveva insegnato.

Prima vera RPF con protagonista Robert Pattinson, ambientata in Inghilterra nel periodo promozionale di Twilight (ovvero sto periodo)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice: E' la prima volta che scrivo di una persona vera, o meglio, la prima che mi decido a pubblicare. Comunque, Robert Pattinson è l'idolo di chiunque al momento, ma qui, lo vedo, o meglio, Kate lo vede semplicemente come una persona che deve ritrarre. Lei è fan della saga, ma non è "fan" di Robert (è Gaspard!Team xD). Ho scelto il faccino di Emily Browning per Kate anche se in effetti la Browning è bassina per l'idea di Kate che ho io. Comunque, spero apprezziate e critichiate! E insomma, vi piaccia. =)

Breathless.
01. Late

Ok. Ero in ritardo di nuovo. “Ma sto giro non è colpa mia”.
Mi ripetei mentalmente quella litania per almeno venti minuti prima di approdare al castello diroccato a nord di Londra dove il servizio fotografico per Vogue UK doveva tenersi.
Roger, l’autista aveva avuto un malore ed avevo dovuto accompagnarlo all’ospedale prima di poter ripartire alla volta del photoshoot che mi attendeva; il mio primo photoshoot professionale, ed io ero in ritardo.
Il cellulare prese a suonare convulsamente, mi maledissi per aver scelto come suoneria del mio socio Megalomeniac degli Incubus.
Shiacciai il pulsante sull’auricolare e risposi sospirando:
«Mark?»
«Dove DIAVOLO sei finita Lil? Lo sai che loro sono già qui?» era fuori di se.
Respirai a pieni polmoni e risposi
«Sono sulla strada, cinque minuti ed arrivo, sai cosa fare» chiusi la conversazione prima che potesse urlarmi dietro qualcosa. Si, Mark aveva ragione, io sarei dovuta partire prima, o avrei potuto chiamare un’ambulanza per Roger, ma, era un vecchio amico di mio padre, come potevo mollarlo sul ciglio della strada? Loro avrebbero aspettato.
Spinsi la macchina in salita ed arrivai davanti all’enorme cancello che delimitava la tenuta, parcheggiai accanto alle altre auto degli addetti ai lavori e scesi dalla macchina per prendere le borse nel bagagliaio, mentre mi avviavo sentii tossire e mi voltai appena per vedere se non fosse per caso Mark pronto a farmi a pezzi.
Non vidi nessuno.
Aprii il bagagliaio e tirai fuori il borsone con la macchina fotografica e le ottiche, stavo per tirare giù anche il cavalletto in più quando un fruscio molto vicino mi fece fermare; alzai lo sguardo ed appoggiato ad un pulmino bianco c’era lui, Edward Cullen, o meglio, il suo volto cinematografico: Robert Pattinson.
Gli sorrisi nervosamente e continuai il mio lavoro di scarico, chiusi il bagagliaio e mentre iniziavo a caricarmi in spalla le borse, tese il braccio ed afferrò la cinghia del borsone con la macchina fotografica, abbozzai un sorriso e lasciai la presa; era una borsa pesante e la mia schiena faceva ancora male.
«Sei Lilian?» chiese con voce roca e profonda passandosi una mano sulla testa, un gesto che gli era usuale.
«Lilian?» domandai guardandolo mentre sotto il peso di un tre piedi e di un kit completo di faretti arrancavo verso il castello
«Scusa, credevo fossi la fotografa …» mi lanciò un’occhiata in tralice ed io sorrisi annuendo
«Lo sono, ma non mi chiamo Lilian»
«Ma, un certo Mark ti ha chiamata Lil, l’ho sentito mentre mi impiastricciavano i capelli» disse corrugando la fronte, io annuii
«Mark mi chiama Lil, ma non è un diminutivo del mio nome, ma ti Little. Perché dice che sono nana» pronunciai l’ultima parola in italiano e lui mi fissò interrogativamente, io ripresi
«Significa “bassa” in italiano. Comunque, sono Katherine»
«Beh,non c’è bisogno che mi introduca» disse sorridendo mentre varcavamo il portone di legno antico, non appena lo oltrepassammo posai le borse a terra e lo fissai appoggiandomi le mani sui fianchi tondi
«In effetti, sarebbe carino se ti presentassi. Ti conosco, ma solo dai tabloid, ed io odio i tabloid» mi guardò e sorridendo tese una mano con dita affusolate
«Piacere, sono Robert» gli presi la mano nella mia piccola e tozza e strinsi con forza come mio padre mi aveva insegnato
«Piacere mio, sono Katherine, ma puoi chiamarmi Kate»
Appena le nostre mani si sciolsero un tornado urlante venne giù dalle scale, era Mark, blaterava del mio ritardo, della stizza degli addetti ai lavori, delle superdomande di Catherine e Stephenie e di altre mille cose. Alzai una mano e lui tacque, poi, vedendo che Robert reggeva la mia borsa gli si fece vicino e gliela strappò dalle mani, come se fosse un tesoro da custodire.
Ci precedette sulle scale, io arrancavo sugli scalini di pietra domandandomi da dove avessero preso l’idea di un castello per un servizio su Twilight quando finalmente entrai nella zona rossa, la zona delle foto.
Era un ampio salone con le pareti dipinte con una foresta stupenda, i colori dei verdi e marroni spiccavano contro il grigio del cielo. Il soffitto era decorato con enormi nuvole bianche e grigie che troneggiavano fin sulla volta che non aveva lampadari. Sedute su di un enorme tappeto di foglie verdi ed aghi di pino c’erano Kristen Stewart in un magnifico abito color sabbia che le lasciava scoperto il collo sottile e le lunghe braccia; poco distante, su di un tronco tagliato Catherine Hardwick se la rideva allegramente con Stephenie Meyer che era seduta su di un ammasso di rocce ripescate dai giardini del castello. Sorrisi mentalmente complimentandomi per l’idea che mi era venuta qualche sera prima “Anche se io l’avrei ambientato all’esterno” pensai.
Mentre mi avvicinavo alla troupe che armeggiava con le luci che avevo portato, notai che Robert andava a prendere posto dietro Kristen inginocchiandosi accanto a lei e prendendo a parlare. Dalla mia distanza non potevo sentire cosa si dicevano, ma speravo che non stessero parlando di me. O del set.
Era il mio primo vero incarico ed ero nervosa, le mie conoscenze tecniche erano pressoché zero, ma ero bravina, avevo idee ed alla gente piacevano i miei scatti per questo ero stata scelta. Ah, e perché ero una fan della saga.
Mi avvicinai al cavalletto e iniziai a controllare le inquadrature con le mani come ero solita fare fin da quando avevo cominciato a fotografare, non me ne accorsi subito, ma poco dopo notai che tutti mi stavano fissando. Piena di imbarazzo, ma fortunatamente senza arrossire, chiesi
«Che avete da fissare?» il coraggioso che mi rispose era un ragazzo con cui avevo già lavorato per riviste minori, Gerard, era un tecnico delle luci molto bravo nonostante fosse più giovane di me, ma il fatto di aver avuto un padre direttore della fotografia l’aveva avvantaggiato.
«Non conoscono il tuo modo di lavorare Lil! E’ per questo» e scoppiò a ridere mentre stizzita mi avvicinavo al tavolo su cui Mark aveva disposto la mia roba.
Cominciai la sessione con dei ritratti singoli di ogni persona, circa dodici scatti per testa.
Ero completamente assorbita nel lavoro e non mi accorsi nemmeno che la campanella per il pranzo era stata suonata fu Kristen a farmelo notare quando si alzò dal tronco sul quale era seduta con un sorriso imbarazzato
«Scusa, mi gorgoglia la pancia» disse come per scusarsi; allora arrossii
«Oh, mi dispiace! Va pure a pranzo! E di a tutti che ci rivediamo qui tra un paio d’ore! Voglio controllare gli scatti» Lei annuii e lasciò la stanza fermandosi solo a prendere una felpa blu ce giaceva su di una sedia vicino all’uscita.
“Bene, ed ora vediamo come sta venendo questa session” mi dissi mentre mi avvicinavo al portatile verde mela che stava sul tavolo a pochi passi.

Stavo lavorando da circa dieci minuti quando sentii tossicchiare, senza nemmeno voltarmi feci segno di avvicinarsi, convinta che fosse Mark per chiedergli un parere su di un paio di scatti che mi convincevano poco, senza nemmeno attendere che si sedesse cominciai a parlare.
«Credo che dovrò chiedere a Robert di tornare sul tronco, questo scatto ha la luce opaca e non mi piace come rende la foto Photoshop, che ne dici?»
«Che se vuoi possiamo scattare anche subito» trasalii nell’udire quella voce, mi voltai e per poco non caddi dalla sedia. Robert stringeva una bottiglietta d’acqua tra le dita ed un sorriso divertito si era dipinto sulla sua faccia dopo la mia esibizione di goffaggine.
«Ahm, scusa credevo fosse Mark, ha un certo occhio»
«L’avevo capito che non aspettavi me» disse appoggiandosi di spalle contro il tavolo. Seduta così, gli arrivavo appena agli addominali. “E’ proprio alto” pensai studiando la struttura del suo corpo. Lui richiamò la mia attenzione indicando la macchina fotografica ancora montata sul cavalletto
«Vuoi che scattiamo ora che siamo tranquilli?»
«Per te è un problema?» domandai desiderosa di rimettermi al lavoro e dimenticare la mia scenetta patetica di poco prima
«No, a patto che …» disse ammiccando. Lo fissai alzando un sopracciglio
«A patto che?»
«A patto che mi dici che questa sera, verrai con me in un posto» disse stendendo ancora una volta la mano verso di me. “Venire con te dove?” mi chiesi mentalmente. Aspettai qualche secondo prima di rispondere poi, spinta dalla curiosità per la sua proposta accettai
«D’accordo» ci stringemmo la mano e poi, ognuno di noi riprese il proprio posto. In camera e Off camera.

  
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