Note dell'autrice: E' la prima volta che scrivo di una persona vera, o meglio, la prima che mi decido a pubblicare. Comunque, Robert Pattinson è l'idolo di chiunque al momento, ma qui, lo vedo, o meglio, Kate lo vede semplicemente come una persona che deve ritrarre. Lei è fan della saga, ma non è "fan" di Robert (è Gaspard!Team xD). Ho scelto il faccino di Emily Browning per Kate anche se in effetti la Browning è bassina per l'idea di Kate che ho io. Comunque, spero apprezziate e critichiate! E insomma, vi piaccia. =)
Breathless.
01. Late
Ok. Ero in ritardo di nuovo. “Ma sto giro non è colpa mia”.
Mi ripetei mentalmente quella litania per almeno venti minuti prima di approdare
al castello diroccato a nord di Londra dove il servizio fotografico per Vogue UK
doveva tenersi.
Roger, l’autista aveva avuto un malore ed avevo dovuto accompagnarlo
all’ospedale prima di poter ripartire alla volta del photoshoot che mi
attendeva; il mio primo photoshoot professionale, ed io ero in ritardo.
Il cellulare prese a suonare convulsamente, mi maledissi per aver scelto come
suoneria del mio socio Megalomeniac degli Incubus.
Shiacciai il pulsante sull’auricolare e risposi sospirando:
«Mark?»
«Dove DIAVOLO sei finita Lil? Lo sai che loro sono già qui?» era fuori di se.
Respirai a pieni polmoni e risposi
«Sono sulla strada, cinque minuti ed arrivo, sai cosa fare» chiusi la
conversazione prima che potesse urlarmi dietro qualcosa. Si, Mark aveva ragione,
io sarei dovuta partire prima, o avrei potuto chiamare un’ambulanza per Roger,
ma, era un vecchio amico di mio padre, come potevo mollarlo sul ciglio della
strada? Loro avrebbero aspettato.
Spinsi la macchina in salita ed arrivai davanti all’enorme cancello che
delimitava la tenuta, parcheggiai accanto alle altre auto degli addetti ai
lavori e scesi dalla macchina per prendere le borse nel bagagliaio, mentre mi
avviavo sentii tossire e mi voltai appena per vedere se non fosse per caso Mark
pronto a farmi a pezzi.
Non vidi nessuno.
Aprii il bagagliaio e tirai fuori il borsone con la macchina fotografica e le
ottiche, stavo per tirare giù anche il cavalletto in più quando un fruscio molto
vicino mi fece fermare; alzai lo sguardo ed appoggiato ad un pulmino bianco
c’era lui, Edward Cullen, o meglio, il suo volto cinematografico: Robert
Pattinson.
Gli sorrisi nervosamente e continuai il mio lavoro di scarico, chiusi il
bagagliaio e mentre iniziavo a caricarmi in spalla le borse, tese il braccio ed
afferrò la cinghia del borsone con la macchina fotografica, abbozzai un sorriso
e lasciai la presa; era una borsa pesante e la mia schiena faceva ancora male.
«Sei Lilian?» chiese con voce roca e profonda passandosi una mano sulla testa,
un gesto che gli era usuale.
«Lilian?» domandai guardandolo mentre sotto il peso di un tre piedi e di un kit
completo di faretti arrancavo verso il castello
«Scusa, credevo fossi la fotografa …» mi lanciò un’occhiata in tralice ed io
sorrisi annuendo
«Lo sono, ma non mi chiamo Lilian»
«Ma, un certo Mark ti ha chiamata Lil, l’ho sentito mentre mi impiastricciavano
i capelli» disse corrugando la fronte, io annuii
«Mark mi chiama Lil, ma non è un diminutivo del mio nome, ma ti Little. Perché
dice che sono nana» pronunciai l’ultima parola in italiano e lui mi fissò
interrogativamente, io ripresi
«Significa “bassa” in italiano. Comunque, sono Katherine»
«Beh,non c’è bisogno che mi introduca» disse sorridendo mentre varcavamo il
portone di legno antico, non appena lo oltrepassammo posai le borse a terra e lo
fissai appoggiandomi le mani sui fianchi tondi
«In effetti, sarebbe carino se ti presentassi. Ti conosco, ma solo dai tabloid,
ed io odio i tabloid» mi guardò e sorridendo tese una mano con dita affusolate
«Piacere, sono Robert» gli presi la mano nella mia piccola e tozza e strinsi con
forza come mio padre mi aveva insegnato
«Piacere mio, sono Katherine, ma puoi chiamarmi Kate»
Appena le nostre mani si sciolsero un tornado urlante venne giù dalle scale, era
Mark, blaterava del mio ritardo, della stizza degli addetti ai lavori, delle
superdomande di Catherine e Stephenie e di altre mille cose. Alzai una mano e
lui tacque, poi, vedendo che Robert reggeva la mia borsa gli si fece vicino e
gliela strappò dalle mani, come se fosse un tesoro da custodire.
Ci precedette sulle scale, io arrancavo sugli scalini di pietra domandandomi da
dove avessero preso l’idea di un castello per un servizio su Twilight quando
finalmente entrai nella zona rossa, la zona delle foto.
Era un ampio salone con le pareti dipinte con una foresta stupenda, i colori dei
verdi e marroni spiccavano contro il grigio del cielo. Il soffitto era decorato
con enormi nuvole bianche e grigie che troneggiavano fin sulla volta che non
aveva lampadari. Sedute su di un enorme tappeto di foglie verdi ed aghi di pino
c’erano Kristen Stewart in un magnifico abito color sabbia che le lasciava
scoperto il collo sottile e le lunghe braccia; poco distante, su di un tronco
tagliato Catherine Hardwick se la rideva allegramente con Stephenie Meyer che
era seduta su di un ammasso di rocce ripescate dai giardini del castello.
Sorrisi mentalmente complimentandomi per l’idea che mi era venuta qualche sera
prima “Anche se io l’avrei ambientato all’esterno” pensai.
Mentre mi avvicinavo alla troupe che armeggiava con le luci che avevo portato,
notai che Robert andava a prendere posto dietro Kristen inginocchiandosi accanto
a lei e prendendo a parlare. Dalla mia distanza non potevo sentire cosa si
dicevano, ma speravo che non stessero parlando di me. O del set.
Era il mio primo vero incarico ed ero nervosa, le mie conoscenze tecniche erano
pressoché zero, ma ero bravina, avevo idee ed alla gente piacevano i miei scatti
per questo ero stata scelta. Ah, e perché ero una fan della saga.
Mi avvicinai al cavalletto e iniziai a controllare le inquadrature con le mani
come ero solita fare fin da quando avevo cominciato a fotografare, non me ne
accorsi subito, ma poco dopo notai che tutti mi stavano fissando. Piena di
imbarazzo, ma fortunatamente senza arrossire, chiesi
«Che avete da fissare?» il coraggioso che mi rispose era un ragazzo con cui
avevo già lavorato per riviste minori, Gerard, era un tecnico delle luci molto
bravo nonostante fosse più giovane di me, ma il fatto di aver avuto un padre
direttore della fotografia l’aveva avvantaggiato.
«Non conoscono il tuo modo di lavorare Lil! E’ per questo» e scoppiò a ridere
mentre stizzita mi avvicinavo al tavolo su cui Mark aveva disposto la mia roba.
Cominciai la sessione con dei ritratti singoli di ogni persona, circa dodici
scatti per testa.
Ero completamente assorbita nel lavoro e non mi accorsi nemmeno che la
campanella per il pranzo era stata suonata fu Kristen a farmelo notare quando si
alzò dal tronco sul quale era seduta con un sorriso imbarazzato
«Scusa, mi gorgoglia la pancia» disse come per scusarsi; allora arrossii
«Oh, mi dispiace! Va pure a pranzo! E di a tutti che ci rivediamo qui tra un
paio d’ore! Voglio controllare gli scatti» Lei annuii e lasciò la stanza
fermandosi solo a prendere una felpa blu ce giaceva su di una sedia vicino
all’uscita.
“Bene, ed ora vediamo come sta venendo questa session” mi dissi mentre mi
avvicinavo al portatile verde mela che stava sul tavolo a pochi passi.
…
Stavo lavorando da circa dieci minuti quando sentii
tossicchiare, senza nemmeno voltarmi feci segno di avvicinarsi, convinta che
fosse Mark per chiedergli un parere su di un paio di scatti che mi convincevano
poco, senza nemmeno attendere che si sedesse cominciai a parlare.
«Credo che dovrò chiedere a Robert di tornare sul tronco, questo scatto ha la
luce opaca e non mi piace come rende la foto Photoshop, che ne dici?»
«Che se vuoi possiamo scattare anche subito» trasalii nell’udire quella voce, mi
voltai e per poco non caddi dalla sedia. Robert stringeva una bottiglietta
d’acqua tra le dita ed un sorriso divertito si era dipinto sulla sua faccia dopo
la mia esibizione di goffaggine.
«Ahm, scusa credevo fosse Mark, ha un certo occhio»
«L’avevo capito che non aspettavi me» disse appoggiandosi di spalle contro il
tavolo. Seduta così, gli arrivavo appena agli addominali. “E’ proprio alto”
pensai studiando la struttura del suo corpo. Lui richiamò la mia attenzione
indicando la macchina fotografica ancora montata sul cavalletto
«Vuoi che scattiamo ora che siamo tranquilli?»
«Per te è un problema?» domandai desiderosa di rimettermi al lavoro e
dimenticare la mia scenetta patetica di poco prima
«No, a patto che …» disse ammiccando. Lo fissai alzando un sopracciglio
«A patto che?»
«A patto che mi dici che questa sera, verrai con me in un posto» disse stendendo
ancora una volta la mano verso di me. “Venire con te dove?” mi chiesi
mentalmente. Aspettai qualche secondo prima di rispondere poi, spinta dalla
curiosità per la sua proposta accettai
«D’accordo» ci stringemmo la mano e poi, ognuno di noi riprese il proprio posto.
In camera e Off camera.