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Autore: Non ti scordar di me    19/12/2014    7 recensioni
[Sequel Amore Proibito]
E dopo anni di lontananza, Elena e Damon Salvatore si rincontrano in un altro contesto e con altri sentimenti.
Elena è in bilico tra due mondi diversi: un mondo di sorrisi finti o un mondo di apatia. Lei non fa parte né di uno né dell’altro.
Damon ha trasformato il ‘proibito’ che provava per Elena in altro: in odio e sarcasmo mal celato.
Elena non ha rinunciato alla vita. Lei vuole salvarsi. Non vuole sentirsi un reietto della società.
Damon non ha più fiducia in nessuno. Lui non vuole salvarsi. Vuole trovare un metodo per chiudere tutto.
I due una volta che si rincontreranno cosa faranno? E soprattutto, i due lasceranno alle spalle il loro legame di sangue?
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Dalla storia:
«Se ora sei così sicura di te e combatti questa merda che hai intorno, è merito mio. Ti ho reso io forte, bimba.» Commentò stanco.
-
«Un fiammifero.»
«Un fiammifero?» Chiesi.
«Un fiammifero che prova a battere le tenebre. Ecco cosa sei.» Disse Damon.
-
«Lei era un’oppressa. Lui era un sopravissuto.»
-
E i due come si comporteranno? Lasceranno che il loro ‘proibito’ vinca su quello che pensa la gente?
Non ti scordar di me.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo due.
Today, you killed Matt.
 
«Oh merda.» Ripetevo le stesse parole da dieci minuti e non riuscivo a respirare. Tutto intorno a me si stava facendo più piccolo e girava tutto velocemente.
Le mie braccia iniziarono a tremare lentamente, accompagnate da un fastidioso tremolio della gambe. Luke mi guardava con espressione calma, sapeva già cosa fare.

«Elena, respira.» Mi disse prendendomi per le spalle. «Non farti prendere da un attacco di panico, okay?» Continuò scuotendomi leggermente, mentre il tremolio alle gambe stava aumentando gradualmente.
«Mi sento male…» Rantolai appoggiandomi al mio amico che mi tenne stretta a sé saldamente.
Non dovevo farmi prendere dal panico, non dovevo cadere in iperventilazione e dovevo calmare questi attacchi di panico improvvisi.

«Siediti e respira. Respiri profondi, fai come me.» Mi sedetti a terra e iniziai ad imitare Luke. Respiri lunghi e profondi, cercare di guardare un punto fisso e non farsi prendere dal nervosismo.
«E’ da tempo che non vedevo un attacco di panico. Non ne avevi uno da mesi.» Mi ricordò il biondo accarezzandomi la mano comprensivo. Sospirai pesantemente e iniziai ad elaborare quelle poche informazioni che avevo colto in così poco tempo.

«Non può essere, Luke. Hai visto la stessa cosa che ho visto io, vero?» Gli dissi convinta. Il formicolio alle braccia e alle gambe erano spariti e il senso di soffocamento iniziale era scemato.

«Ehm…Ho visto un figo da paura scendere da una macchina?» Tentò con un sorriso. No. Non era possibile. Perché dovrebbe venire qui? Per quale motivo era venuto a Londra?
«Quello…Quello è…» Oddio, sto rientrando nel panico più totale.
«Ehi, Els, calma. Spiegati.» Intervenne Luke accarezzandomi i capelli. Sospirai pesantemente e guardai negli occhi il mio amico che mi fissava spaesato. Come aveva fatto a sopportarmi in questi mesi? Se io fossi stata al posto suo me la sarei già date a gambe.

«E’ mio fratello. Quello è mio fratello.» Gli dissi stringendogli la mano. E non era un fratello normale, non era Stefan, non lo sarebbe mai stato…e questa cosa mi spaventava, tanto. Troppo.
«Non vuoi rivederlo?» Mi chiese stranito. Già, un’altra sorella sarebbe corsa tra le braccia del fratello e si sarebbero abbracciati contenti. Io no. E non perché non potevo, ma non volevo. Non volevo averlo né tra i pensieri né nel cuore.

«Non siamo…molto uniti.» Improvvisai una scusa su momento, sforzando un debole sorriso. Lui annuì comprensivo.
«Sai cosa facciamo, ora?» Mi chiese abbassandosi sulle ginocchia e porgendomi la mano. Scossi la testa e afferrai la mano, invitandolo a parlare. «Ti accompagno a casa e insieme vediamo cosa succederà.» Mi consigliò, aiutandomi ad alzarmi.

«Prima o poi, ti racconterò tutto.» Gli dissi abbracciandolo stretto. Sapevo che dentro stava morendo dalla voglia di capire. Ma lui non voleva curiosare nella mia vita, aveva solo voglia di capire la situazione e più di tutto voleva comprendermi.
«Ci conto, Els.» Mi disse lasciando qualche schiaffetto amorevole dietro la schiena. Mi sistemai i capelli, presi un respiro e oltrepassai il nascondiglio con Luke che mi teneva stretta per mano.

La macchina di mamma era sparita, così come i bagagli. Ciò significava che Damon era entrato dentro. Niente di più semplice, dovevo solo entrare.
Apri la porta, fai ciao con freddezza e vai in camera con Luke a studiare. Mi dissi. Mi resi conto che stavo ripetendo quella frase fin da quando avevo superato il mio nascondiglio e che ora mi ritrovavo faccia a faccia con la porta di casa mia.

«Luke sai che possiamo studiare a casa tua?» Gli dissi ironica, prendendo le chiavi dal mio giubbotto. Il biondo scoppiò a ridere e mi fece cenno di inserire la chiave nella serratura.
La infilai e la girai nella toppa, lentamente aprii la porta. Casa era così come l’avevo lasciata questa mattina, se ovviamente volevamo togliere tutti quei bagagli presenti in salotto.

«Entra, Lukey.» Lo invitai con un sorriso tenue. Mi chiusi le porta alle spalle e mi resi conto che in casa non c’era assolutamente nessuno, o quel qualcuno non voleva farsi vedere.
«No, tranquilla. Me ne vado…» Annunciò giocherellando con la tasca dei jeans. Aggrottai le sopraciglia, pensavo si sarebbe fermato un po’.
«Ma…» Scosse la testa divertito e mise su quel sorriso insopportabilmente dolce che ti faceva solamente tenerezza. Se prima volevo urlargli contro, dopo aver visto quell’espressione da cucciolo non ne avevo proprio la forza.

«Dove andrai stasera?» Mi chiese. M’inumidii le labbra e non gli risposi. Non voleva sentire quelle parole, perciò perché ripetergliele e vedere la sua espressione da stai-sbagliando-tutto? Potevo gentilmente evitare questo step, quindi perché non saltarlo e passare direttamente alla ramanzina che mi faceva sempre?

«Okay, dimmi l’ora. Vengo a prenderti.» Commentò con una scrollata di spalle. Strabuzzai gli occhi. Sbaglio o Lukey – lo stesso Luke che odiava la pista di motocross – mi stava chiedendo a che ora doveva passarmi a prendere?
«Non devi venire per forza.» Gli dissi sentendomi quasi in colpa. Insomma…Non poteva passare tutta la vita dietro me e le mie stronzate, giusto?

«Oh, dolcezza, non ti lascerò di certo andare da sola.» Ammiccò col tono tra il divertito e l’incerto. Scoppiai in una risatina e sperai con tutta me stessa che non mi facesse quella domanda che mi chiedeva sempre.

«Partecipi?» Ecco. Mi sembrava piuttosto strano che non mi aveva ancora chiesto niente.
«Sì. L’ho promesso a Kai.» Al nome del ragazzo, vidi Luke tremare leggermente. Sapevo che era facilmente influenzabile da lui e non avevo la più pallida idea del perché.

Uhm, è innamorato. Mi ricordai, mettendo su un’espressione pensierosa. Questo ti faceva l’amore? Anche Damon diventava così quando si trattava di Katherine?
Rabbrividii, era da secoli che non andavo al cimitero da Katherine…A pensarci bene, era un secolo che mi rifiutavo categoricamente di andare a cimitero e basta.

«Bene, vengo a vederti.» Continuò con aria innocente. Chiusi gli occhi, perché aveva la capacità di mettersi nei casini con così tanta facilità? Era peggiore di me.
«Non sei obbligato, Luke.» Provai a dissuaderlo, anche se sapevo che questa volta non l’avrei avuto vinta. Per una ragione sconosciuta, oggi quel ragazzo voleva sfidare la sorte.

«Ehi, voglio solamente venire a vederti. Sarai migliorata dall’ultima volta che ti ho vista, no?» Alzò le spalle ridacchiando. Alzai le braccia al cielo e mi arresi. Per una volta che voleva venire con me, cosa poteva succedere di male?
«Per le dieci, Lukey. Vieni in moto!» Mi raccomandai, dandogli un bacio sulla guancia.

«A più tardi, Els.» Chiuse la porta alle sue spalle e io sospirai. Un solo pensiero mi attanagliò la mente.
Dov’è lui? Pensai guardandomi attorno. Scrollai le spalle con calma e mi avviai in cucina. Dovevo prendere al più presto un antidolorifico, altrimenti questa sera non sarei riuscita a stare in piedi.

A passo filato mi avviai verso la cucina e presi un bicchiere d’acqua liscia. Chiusi il frigo e bevvi un sorso d’acqua.
In casa era tutto troppo tranquillo. Non voleva una mosca e la curiosità era troppa. Cercando di scacciare quel pensiero, uscii dalla cucina per andare verso il bagno e prendere qualcosa per questo mal di testa.

«Ritornata da un’uscita romantica?» Mi fermai immediatamente e sentii il mio cuore battere sempre più velocemente. Mi girai e lo vidi.
Lo vidi stravaccato sul divano con una sigaretta in bocca e un insopportabile sorriso in volto. Aspirava lentamente mentre io lo osservavo con calma mantenendo il respiro regolare e non lasciandomi andare nel panico totale.

I capelli neri erano sempre lucidi, sistemati in modo diverso…Ora aveva una riga più ordinata da come la ricordavo; gli occhi azzurro cielo erano cambiati, erano freddi e calcolatori; la bocca piegata in un ghigno quasi cattivo…Era cambiato.
«Dovrei ridere?» Chiesi brusca, inchiodando i miei occhi nei suoi. Non era proprio giornata, ora volevo solamente sapere perché era qui. E sapere quando se ne fosse andato via.

«Dovresti.» Ribatté alzandosi dal divano. Finalmente potei osservarlo in piedi, non era cambiato. Anche il suo look era rimasto quello: completamente nero.
«Dovrei fare tante cose. Peccato che non mi piace ascoltare le persone.» Non gli avrei lasciato l’ultima parola. Il suo sguardo mi stava sfidando come sempre d’altronde. Mi avvicinai di più e posai il bicchiere d’acqua sul tavolino che avevo di fronte.

Il mal di testa poteva aspettare. Ero vicinissima a lui e mi sentii fortunata a non essere troppo bassa, visto che lui mi sovrastava di pochi centimetri.
«Spostati.» Disse brusco guardandomi di sottecchi. Sgranai la bocca e gli occhi. Non mi aspettavo un grande trattamento da parte sua, ma neanche che si comportasse come un cavernicolo.

«Ehm…Mai sentito parlare di educazione e rispetto nei confronti delle persone?» Gli chiesi facendo un passo analogo al suo non lasciandolo andare via. Mi dava fastidio quel comportamento e sapevo che lui aveva ragione, sapevo che tra i due ero io quella ad aver sbagliato…Ma quell’indifferenza mi dava sui nervi.
«Sì.» Rispose. «Sto facendo l’educato, ma il rispetto delle persone si guadagna bimba.» Continuò, facendo uscire del fumo dalla bocca e indirizzandolo verso di me.

Mi stava dicendo che mi ero perso il suo rispetto? Stavamo scherzando?
«Smettila di trattarmi con quest’aria di sufficienza.» Gli dissi con voce bassa. Camminava con la testa alta e con troppa sicurezza, una sicurezza insopportabile. Usava quel tono di voce provato che mi faceva sentire una merda, perché mi sentivo colpevole. Di tutto.
«E come dovrei trattarti? Dovresti ringraziarmi.» Sputò inacidito. Ringraziarlo? Dovevo ringraziarlo?

«E per cosa?» Chiesi con il suo stesso tono di voce. Un tono raschiato e sofferto, un tono da cui trasudava in ogni sillaba e in ogni parola acidità e veleno.
«Se ora sei così sicura di te e combatti questa merda che hai intorno, è merito mio. Ti ho reso forte io, bimba.» Commentò stanco.
«Fammi capire…Se ora non sono più insicura di me e non ho paura di dire le cose in faccia come stanno, è merito tuo? Oh, non ci siamo proprio capiti noi due.» Replicai. Lui poteva aver fatto tutto, tutto quello che riteneva necessario per rendermi forte…Ma se ero così, era merito mio. Mio e della mia costanza
nell’andare avanti, nel guardare in faccia alla persone e non aver paura di dire crepa, non m’interessa, nell’avere il coraggio di farsi valere con gli altri.

«No, forse sei tu che non hai capito me.» M’interruppe, gettando il mozzicone di sigarette nel posacenere. Mi afferrò per il polso e mi trasse a sé bruscamente, facendo combaciare il mio petto col suo.
«Non hai più di fronte il Damon di due anni fa. Quello che si fa prendere in giro, che si fa manipolare, che si fa comandare, che lascia libere le persone. Ti è chiaro?» Scandì quelle parole lentamente e furono meno dolorose di quanto pensassi. All’inizio pensavo che vedere il suo cambiamento interiore mi avrebbe spaventato, mi avrebbe reso più vulnerabile…No. Mi sentivo solo più fomentata di prima, sentivo che quel proibito stava bruciando creando una nuova energia. Un’energia negativa. Nei suoi confronti.

«Sei cambiato. Lo siamo tutti.» Grugnii infastidita provando a minimizzare il dolore fisico che stavo provando al polso. Questo brutto stronzo mi stava facendo male.

«Non sono cambiato, le circostanze mi hanno cambiato.» Le circostanze. Neanche quelle parole mi scalfirono, non quanto mi avrebbero scalfito un tempo.

«E come sei cambiato?» Lo sfottei con lo sguardo lampeggiante di divertimento. A volte era meglio puntare sull’ironia che sulle offese. Con lui non volevo giocare, non volevo manipolarlo con i giochi di parole insolenti…Non perché non ci riuscissi, ma perché con lui non funzionavano.

«Ogni traccia di buon sentimento che c’era, ora non c’è più. Spazzato via tutto.» Quelle parole dette con quel tono mi fecero venire in mente la chiacchierata avuta con Luke. Anche lui…Anche lui si era creato attorno un muro d’indifferenza, ma era ancora qui. Ancora vivo.

«Siamo simili, allora. Quale sentimento ti mantiene qui?» La voce mi uscì più acida di come avevo immaginato, però volevo sapere la sua risposta. Volevo sapere il sentimento che l’aveva salvato.

«Solo l’odio.» La voce era incrinata e gli occhi cupi e tetri. Fu in quel momento che mi resi conto di come lo avevo distrutto. Distrutto in tanti pezzi. Lui aveva sperato, probabilmente, aveva sperato in un mio ritorno a Mystic Falls…Un ritorno mai avvenuto. E si sa che dopo un po’ le speranze diminuiscono, fino ad azzerarsi completamente.

«Solo odio e un pizzico di speranza, bimba.» Ripeté, lasciandomi bruscamente il polso e andandosene via dal salotto.
Stronzo era, stronzo è rimasto. Forse è peggiorato.
 

«Dove vai, sorellina?» La voce di Stefan inondò la stanza potente come sempre. Per un momento mi sentii a Mystic Falls. Stefan che usciva e veniva dalla mia stanza, gli urli, le litigate per il bagno…La situazione che c’era un tempo in America si è trasferita qui, a Londra. E non sapevo neanche il vero motivo.
Perché io non credevo alla scusa del una rimpatriata in famiglia di Stefan. O almeno ci credevo parzialmente: avevo creduto a Stef, dopo anni voleva rincontrarsi con la madre…però Damon no. Non riuscivo a credere alla scusa della mancanza.

Damon non era né tipo da cose sdolcinate, né esprimeva al massimo i suoi sentimenti.
Dopo l’amorevole chiacchierata con Damon, me ne ero andata in stanza e ho iniziato a studiare per distrarmi. O almeno ci avevo provato, fin quando non mi ero ritrovata Stefan in camera che mi stringeva a sé felice come una Pasqua.

«Dio siete entrambi qui!» Avevo detto sconcertata. Proprio per questo la cosa mi puzzava parecchio. Sia Damon che Stefan avevano fatto un viaggio oltreoceano lasciando papà da solo? Non riuscivo a crederci.

«Sei ancora sorpresa?» Mi chiese Stefan sedendosi sul letto e osservandomi mentre mi preparavo per stasera. Gli avrei chiesto di venire con me, ma scartai subito l’idea per due motivi. Primo motivo: non c’era posto per lui sulla moto. E secondo – più importante – non volevo che venisse in quel posto, sapevo che avrebbe iniziato con i suoi discorsi razionali e che avrebbe riferito tutto a mamma.

E ora non volevo proprio avere guai.

«Diciamo che sono senza parole.» Commentai non guardandolo neanche. Mi stavo sistemando gli orecchini e aspettavo una sua risposta.
«Mamma non mi ha detto niente.» Continuai girandomi verso di lui e sfoggiando uno dei miei sorrisi falsi migliori. Stefan mi guardò stranito per pochi secondi, pensava che sapessi del loro arrivo? Oh no. No. Era stata una sorpresa. Una vera sorpresa.

«Be’…Ho fatto un giro veloce per Londra con lei, Damon è rimasto a casa…Voi due…Ecco…» La sua pelle chiara si colorì leggermente e non riuscii a non trattenere una risatina. Anche se non c’era più un ‘noi’, era sempre imbarazzante parlarne con qualcun altro di questo segreto.

«Stef sto bene. Non mi vedi? Sono felice, ho dei buoni amici, una magnifica università, ho ritrovato una madre…» Oddio, ma quante cazzate stavo sparando in quel momento? Ne stavo dicendo una peggio dell’altra.
Non ho dei veri e propri amici, se vogliamo scartare Luke. Non sto affatto bene. Dell’Università non me ne poteva fregare niente in quel momento. Però sì, almeno avevo recuperato i rapporti con mia madre!

«E un fidanzato?» Tentò Stefan. Lo sapevo che doveva chiedermelo. Sbuffai e non risposi. Non volevo parlargli di come sfruttavo i miei sentimenti per le persone.

Mi guardai allo specchio. Niente di troppo esagerato, altrimenti non sarei riuscita a fare niente lì.
Pantaloni neri a vita alta da dentro una semplice maglia con scollatura a cuore e ai piedi i miei comodi stivali di cuoio neri.
Afferrai il cellulare che infilai nel giubbotto e diedi un’ultima occhiata.

«Non mi hai ancora risposto.» Mi fece notare Stefan che si alzò dal letto venendomi incontro. «Se non mi vuoi dire niente, forse c’è veramente qualcuno.» Canzonò con la vocina da bambino che a volte metteva su.

«Elena, Luke è qui!» Mi chiamò mamma. In questi periodi era sempre protettiva, più del solito. E sapere che uscivo con un ragazzo come lui, la tranquillizzava parecchio.
Stefan mise su un espressione divertita.

«Non vedo l’ora di conoscere questo Luke.» Mi prese in giro uscendo dalla camera. Dio Santo, perché ora doveva farmi fare una di quelle figure di merda galattiche di fronte uno dei pochi – se non l’unico – amico che mi ero fatta qui?

«Els, pronta?» La voce del ragazzo mi arrivò alle orecchie e mi sorrise non appena mi vide.
«Els?» Chiese Stefan con lo sguardo divertito. «Ops, non mi sono presentato. Sono Stefan, fratello di Elena.» Gli porse la mano che il mio amico afferrò con incertezza. Io da dietro a Stefan cercavo di fargli capire che non era lui il fratello con cui avevo un brutto rapporto, ma tutte le speranze erano inutili.

«Luke, migliore amico di tua sorella.» Commentò ironico. Sospirai non appena sentii il suo tono di voce. Niente tracce di ironia, sarcasmo o odio mal celato. Meglio così.

Stefan per poco non scoppiò a ridere.
«Migliore amico? Seriamente? Trattala bene.» Si raccomandò lasciandomi un bacio sulla guancia e avviandosi verso la cucina dove c’era anche mamma.
«Ma’ io vado via con Lukey.» Le urlai trascinandolo via di lì a forza.
Usciti di casa vidi la faccia di Luke contorcersi in una smorfia più che divertita.
«Tuo fratello pensa che sia etero?» Chiese. «Cosa più sconvolgente: pensa che io sia il tuo ragazzo?» Scoppiò a ridere e lo seguii a ruota. Con una risata sincera.
La moto di Luke era parcheggiata proprio di fronte casa. Strano a dirsi ma nonostante la guidasse con una certa maestria non aveva mai voluto partecipare a nessuna delle gare che i miei ‘amici’ organizzavano.

«Non credo sia lui il fratello odiato, eh?» Mi provocò divertito, porgendomi il casco che infilai.
«E’ uscito prima di me. E’ un coglione, fidati.» Gli dissi. Luke ingranò e partì.
«Sai dove devi andare.» Gli sussurrai all’orecchio stringendomi dietro di lui e godendomi il passaggio. Londra di sera era uno spettacolo e a volte mi piaceva
rimanere a fissare il cielo o a guardare un punto non definito intorno a me.

Il vento mi spostava i capelli, mentre giravamo verso sinistra pronti per addentrarci nelle parti meno…raccomandate – se volevamo chiamarle così – di quella città tanto bella quanto pericolosa di sera. Ma ormai non avevo più paura, non era mai successo niente.
A volte bastava mostrare sicurezza per uscire vivi da situazioni che sembravano improponibili. Luke si fermò e improvvisò un parcheggio alla bella e buona.

«Madame…» Disse ridendo scendendo dalla moto e porgendomi la mano da bravo gentiluomo. «Se devo essere il tuo finto fidanzato, almeno interpreto bene la parte.» Commentò con un ghigno malizioso in volto. Scesi dalla motocicletta e mi avviai con Luke all’entrata della pista.
«Sei ancora in tempo per andartene.» Gli sussurrai all’orecchio.

«Els, non me ne andrò da qui senza te.» Replicò sicuro. Scossi la testa arresa ed entrai dentro con il mio amico al seguito.
Lo trascinai vicino ai miei…amici di cui pochi erano rimasti veramente sobri.

«Dolcezza, chi ti sei portata oggi? Non pensavo fosse posto per te, Luke.» Commentò Kai con quel suo sguardo psicopatico. Luke sudava freddo ma io non mi facevo problemi a rispondere, tantomeno a quello stronzo.
«Non rompere le palle, Kai.» Lo avvertii. Ero venuta solo per passare quel giorno maledetto che sembrava non passare più, non per litigare. Tantomeno volevo litigare con un decerebrato come lui. «Me ne vado, non ho voglia di stare a sentire le tue cazzate.» Continuai, facendo un passo indietro.
Inaspettatamente qualcuno mi prese il polso e alzai lo sguardo sul mio amico. Cosa stava facendo?

«Non dargli conto. Andiamo a divertirci, Els.» Commentò guardandomi negli occhi e ignorando completamente Kai. Sorrisi vittoriosa e lo condussi lontano da quell’energumeno che non aveva più ribattuto.

Come sempre, c’erano già molti ragazzi con la moto pronti a partire e ovviamente alcolici a volontà. Afferrai una birra e me la portai alle labbra sotto lo sguardo vigile di Luke.
Gliene porsi una che rifiutò gentilmente.
«Sono venuto per aiutarti, visto la tua specialità nel metterti nei casini.» Mi ricordò ridendo. «E uno di noi deve essere sobrio, quel qualcuno sono io.» Continuò ancora. Distolsi l’attenzione pochi minuti, osservandomi intorno.

Mi girai nuovamente verso il mio amico, solo quando mi strappò di mano la bottiglia di birra. Alzai un sopraciglio. Doveva comandare su tutto? Cercare di controllarmi?

«Non ti vieto di bere, ti vieto di andare in moto da ubriaca.» Disse chiaramente, portandosi alle labbra la birra e bevendone un po’.
Ehm…Non era lui quello che doveva rimanere sobrio?

«Un sorso non mi farà male, tesoro.» Ammiccò per poi lasciare la birra sul tavolino degli alcolico. Sorprendentemente decisi di seguire il suo consiglio. Fin’ora non avevo mai – e intendevo MAI – guidato da ubriaca, non avevo intenzione di fare stronzate proprio oggi.

«Cosa fate di solito qui?» Intervenne Luke sventolandomi una mano di fronte al volto per farmi riprendere. A volte mi perdevo nei miei pensieri. Avevo lo sguardo perso e la mente era altrove, immaginando altre cose o persone.

«Di solito, mh? Affoghiamo la tristezza nell’alcool, la noia con del buon sano sfogo a letto e per gli oppressi ci sono le gare clandestine.» Gli spiegai.
Affogare la tristezza e il dolore dell’alcool non aiutava affatto. Ci avevo provato all’inizio, ma era inutile. Completamente. Il giorno dopo avevi una sbronza da smaltire e il dolore amplificato. In una parola? Una vera e propria merda e spreco di alcool.

Alla fine optavo quasi sempre per l’ultima opzione. Mi piaceva – stranamente – gareggiare e in quei due anni ero riuscita a imparare a cavalcare una moto senza mettere a rischio la mia vita.

Quando ero sul sellino della moto e sfrecciavo sul terriccio, sentivo le preoccupazioni scivolare e mi sentiva viva. Sentivo la forza bruciare e alimentarsi, fin’ora quella forza non era stata più alimentata…Ora mi sentivo già fomentata.
L’arrivo di Damon mi aveva destabilizzato, non quanto l’arrivo dei fratelli Salvatore in genere e basta.

«Interessante, Els.» Commentò Luke con una scrollata di spalle. Stavo per replicare quando un’idiota mi venne addosso con la sua birra.
«Che cazzo vuoi stare più attento?» Ringhiai. La mia maglia era quasi andata. Per fortuna si era macchiata meno di quanto potessi immaginare.
Lo sconosciuto ghignò divertito e mi resi conto che quello non era uno sconosciuto.
«Anche tu qui, bimba?» Chiese irritato. Ancora quel sopranome. Odiavo i sopranomi, in particolar modo se usati da lui.

«Vengo qui da un po’.» Commentai inacidita alzando lo sguardo. Incontrai gli occhi di Damon, sempre la stessa vena calcolatrice e malefica che aveva anche oggi pomeriggio.
«E lui chi è?» Povero ed innocente, Luke. Non aveva idea di chi avesse di fronte. Ma io sì. E sapevo che nei suoi occhi non c’era più una sola traccia del Damon di anni fa, c’era un nuovo Damon.

Un Damon più stronzo e calcolatore del previsto. Pronto a scavarti dentro, più acido e maligno di come lo ricordavo.
«Non usare questo tono con me.» Grugnì il corvino con tono superiore.

«Non usare tu questo tono con lui.» Replicai, anticipando Luke che aveva – forse – iniziato a capire quanto fosse complicata quella situazione.
«Dio, tu sei suo fratello?» Fece il biondo fissando sia me che lui. Damon fece un mezzo inchino, quasi onorato di essere stato riconosciuto da qualcun altro.
«Sì.» Rispondemmo contemporaneamente con due tono completamenti differenti. Io avevo un tono raschiato, infastidito…Lui, lui si divertiva e basta.
«Luke mi accompagni a controllare la moto? Devo vedere se è apposto.» Dissi indifferente verso il mio amico. Con la coda dell’occhio, osservai il corvino con la birra in mano che mi fissava normale.

Il biondo mi fissò incerto. Non aveva capito le mie intenzioni e a dir la verità non avevo neanche io capito quali erano. Perché avevo deciso di ‘rivelare’, da subito a Damon, che gareggiavo quella sera?
«Certo, Els-» Non fece neanche in tempo a finire la frase, Damon mi prese il polso violentemente e si rivolse verso Luke.

«Lasciaci in pace, devo parlare con lei.» Commentò apatico. Senza un filo di emozione. Ma non era quello che mi infastidì di più, no, mi dava alla testa quel lei. Pronunciato con uno sforzo immane, come se pronunciare il mio nome vero potesse fargli male.

«Sei proprio bipolare.» Sussurrai più a me stessa che a lui. «Luke, vai. Ti raggiungo.» Gli dissi. Quest’ultimo non era certo, mi fissava incerto…Aspettava una mia parola di dissenso e mi avrebbe trascinato fuori da quella pista, lo sentivo.

«Non ti è chiaro? Ha detto che puoi andare.» Intervenne Damon fissandolo in cagnesco. «Sono…il fratello.» Mi venne la pelle d’oca. Il fratello, per lui era una maledizione essere mio fratello, mio consanguineo.
«Cosa vuoi? Non ho tempo da sprecare con te.» Buttai acida, anche se in realtà non volevo essere così dura. A dirla tutta, non avevo idea che il suo cambiamento fosse stato così radicale.
«Vuoi gareggiare?» Mi chiese con un ghigno più che divertito in volto. Eppure quel ghigno nascondeva una leggera preoccupazione, lo sentivo.
«Preoccupato Salvatore?» Lo sfottei. Per un momento mi venne in mente di proporgli se volesse gareggiare contro di me, però scartai quell’idea improbabile e assurda.

«Sai che giorno è oggi?» Usò un tono quasi canzonatorio. Che giorno era oggi? Inizialmente non riuscii a collegare. Perché mi chiedeva che giorno era oggi? A che scopo?

«Un giorno come un altro, credo.» Risposi scocciata, incrociando le braccia sotto il seno guardandolo di sbieco. L’aria fu spezzata da una risata cattiva, gutturale che uscì fuori dalle labbra di Damon con una fluidità impressionante.

«No, bimba.» Replicò con una luce perversa ad illuminargli gli occhi. «Oggi è il giorno in cui hai ucciso Matt.» Disse cattivo.
Persi il respiro.
Quelle parole furono un pugno allo stomaco.
Come quando stavi facendo un bel sogno e d’improvviso ti svegliavi con quella sensazione fastidiosa addosso.
Come quando in una fredda giornata d’inverno, scoppiava un temporale ghiacciato.
Come quando abbracciavi una persona e poi quella stessa persona ti accoltellava senza pietà.
Come se l’ossigeno venisse a mancare per pochi minuti.

Sbiancai e mi portai una mano alla testa.

«’Fanculo, Damon.» Dissi fra i denti con la voce ridotta ad un udibile sussurro. Probabilmente, nessuno si era accorto di questa litigata ma io me la sarei ricordata tutta la vita.
Perché quello è stato il giorno in cui Damon, sangue del mio sangue, mi ha accusato di essere un’assassina. E non c’era cosa peggiore al mondo che sentirsi dire questo da lui, perché con lui avevo condiviso gran parte del mio dolore.

Lui sapeva che tasti toccare, come e quando.
E ora mi chiedevo «Perché me l’hai ricordato?» Chiesi ancora, avvicinandomi a lui in modo alquanto pericoloso. Ero tentata di tirargli uno schiaffo e nessuno me l’avrebbe impedito.

«Perché voglio avvertirti. Morire lo stesso giorno del tuo amico, ouch…» Commentò divertito. Mi sorprendeva la cattiveria con cui parlava. Quello non era mio fratello, non era la persona che conoscevo. Era solo uno spietato calcolatore pronto ad attaccarti.

«Perché sei ritornato? Perché non te ne ritorni a Mystic Falls? Mi faresti un piacere.» Dissi riducendo gli occhi a due piccole fessure.

«Niente che tu debba sapere, per ora…» Disse giocherellando con il giubbotto di pelle. Mi superò con una spallata e ammiccò leggermente, lasciandomi lì con quel groppo in gola insopportabile.
«Forse una cosa posso dirtela…» Mi girai di spalle, vedendolo a qualche metro da me. «Mi piace ricordare i tuoi sbagli, mi fa sentire giusto.» Se ne andò.
Il cuore batteva all’impazzata, avevo gli occhi sbarrati e la bocca semi aperta. No. NO. NO. Afferrai la prima cosa che mi capitò sotto tiro e la gettai a terra, incazzata.

Non doveva nominare Matt, non doveva. Quindi perché? Perché colpirmi e affondarmi, senza un briciolo…di pietà? Compassione?
Osservai la bottiglia di vetro frantumata a terra e mi avviai verso le moto, pronta per salire a bordo. Sentivo già da lontano la voce di Luke provare a sovrastare quella di Kai.

«Elena…Manca una mezz’ora abbondante, perché non ti bevi qualcosa eh?» Mi propose quest’ultimo cambiando argomento non appena mi vide arrivare.
«Faccio un giro, Kai.» Gli comunicai, sfilandogli di mano il casco e indossandolo. Lo lasciai aperto e presi la moto per il manubrio spingendola avanti.
«Un giro?» Si fermò osservando il mio volto che probabilmente parlava da solo. Si notava che ero arrabbiata e veramente in quel momento volevo solo urlare come un’ossessa maledicendomi per aver mosso quello sterzo in quel momento.

«Piano, Gilbert. Il terreno slitta un po’.» Si raccomandò dopo. Luke strabuzzò gli occhi e rivolse un’occhiata truce al moro.
«Cosa? La lasci andare? Oh, andiamo è entrata in modalità ora-ammazzo-tutti!» Commentò il biondo. Voleva risultare simpatico? Perché stava fallendo miseramente.

«So quello che faccio. Un giro solo.» Commentai salendo sulla moto. Sgommai leggermente e le uniche parole che sentii furono tranquillo, è una ragazza in gamba.
Sarò in gamba, ma ora mi sentivo…Boh, non trovavo una parola per descrivermi. Questa giornata era veramente partita troppo bene, tutto stava andando per il meglio, avevo pregato per Matt…Poi tutto era andato a rotoli, incominciando con l’arrivo  di Damon per finire con le sue parole velenose.
Quelle parole erano arrivate nel profondo e mi aveva stretto il cuore in una morsa d’acciaio.

Il vento sferzava sui capelli che si erano spostati dal volto, la velocità era impressionante. La moto slittava perfettamente sul terriccio.
Sterzai leggermente prendendo la curva alla larga, continuando per la pista e ignorando le sue parole. Aumentai ancora la velocità e l’adrenalina era alle stelle. La sensazione di libertà che mi invase quando la moto si alzò da terra di una manciata di centimetri da terra non potevo descriverla.
Era un’emozione eccitante, ma al contempo terrificante. Non sapevi cosa poteva succederti e mi piaceva, mi piaceva non sapere cosa stessi facendo in quel momento.

Volevo vivere il minuto, quel minuto fatale che non sai che è il tuo ultimo minuto. Era un po’ come l’ultimo giorno di vita di una persona, io non sapevo se quello era l’ultimo giorno della mia vita…Perciò dovevo impiegarla al massimo e vivere fino alla fine ogni più piccolo sentimento che provavo.
Quando, però, le ruote dalla moto toccarono l’asfalto tra tante persone che c’erano…Io mi concentrai su di lui. Con le mani in tasca e lo sguardo di sfida, mi fissava con un ghigno cattivo e con gli occhi illuminati.

Oggi è il giorno in cui hai ucciso Matt. Quelle parole mi arrivarono forte e chiaro, ricordai l’ultimo minuto fatale di Matt e le parole di Damon fredde come il ghiaccio.

Mi ricordai degli occhi vispi del mio amico che mi squadravano sempre con interesse, i capelli biondi in perenne disordine e il carattere insopportabile.
E io Ho ucciso tutto questo. Pensai distogliendo momentaneamente lo sguardo dalla pista.
Senza rendermene conto la moto slittò più del dovuto sulla terra, così tenni stretto il manubrio tra le mani e cercai di frenare producendo uno stridio alle mie orecchie fastidioso.

«Elena!» Sentii qualcuno chiamarmi, ma io non davo retta né a Luke né a Kai…Né a chiunque altro stesse cercando di parlarmi e mi stesse dicendo di scendere da quella fottuta moto per salvarmi la pelle.
Ora mi stavo concentrando solo su una cosa: vivere quell’istante e vivere quel sentimento incredibilmente eccitante e alquanto pauroso.

Alla fine, la moto s’inchiodò a terra duramente.

Il cuore batteva più forte di prima. Le ruote della moto imbrattate di terriccio e le scarpe nuove imbrattate di fanghiglia. I capelli erano disordinati e appiccicati al casco. Il mio colorito era diventato probabilmente biancastro. Ma non m’importava niente, non ora.
Ora ero solo occupata ad affogare nel dolore. Ad affogare negli occhi blu di Damon che per un mezzo secondo mi ricordarono quelli di Matt.
Quegli occhi che erano chiusi da due anni a questa parte.

Intorno a me c’erano diversi ragazzi, certi avevano iniziato persino ad applaudire per la mia manovra improvvisata…Kai e Luke mi guardarono in due modi completamente differente: il primo era incuriosito, il secondo preoccupato. Veramente preoccupato.

«Parla, Elena.» M’incoraggiò Kai con il suo tono di voce profondo e temperato come al solito.
Ma le sue parole arrivarono alle mie orecchie in modo lontano e sfocato, tutto era veramente troppo lontano da me.
Mi sfilai il casco da testa e lo gettai a terra, mi sedetti sulla moto prendendomi la testa tra le mani. Le braccia e le gambe iniziarono a formicolare e una consapevolezza si fece strada in me.

Una brutta consapevolezza.
Un leggero fastidio al petto iniziò ad aumentare e il sudore mi imperlava la fronte. Mi sentivo soffocata da tutte quelle persone che mi stava attorno, mi sentivo soffocata da tutti quei paia di occhi.

«Mi manca…aria…» Boccheggiai, provando ad aggrapparmi alla moto. No. No. Non dovevo cadere nel panico, ma ormai era tutto inutile.
Il fastidio all’altezza del petto aumentava insieme al formicolio.

«Cosa ti succede?» La voce di Kai mi arrivò forte e chiara alle orecchie ma non riuscivo ad interagire con lui. Sentivo solo l’aria venir meno, scossi la testa e scesi dalla moto.
Non potevo camminare, le gambe non riuscivano a reggermi.

«Ha un attacco di panico, Dio!» Urlò Luke. Non…non dovevano entrare anche loro nel panico. Stavo soffocando.
«Luke, aiutami, sto soffocando…» Rantolai. Avevo paura, una paura sproporzionata per quello che quella sera poteva succedermi. Mi incolpavo di ciò che era successo e mi sentivo un’idiota…perché ero sollevata, ero sollevata di essere ancora viva. E per un solo secondo, ringraziai qualcuno lassù per avermi fatto vivere.

«Ha una sensazione di asfissia.» Disse Luke. «Non statele tutti addosso!» Urlò. Tra la gente che mi osservava curiosa notai due occhi azzurri come il mare.
«Devi farla stendere.» Intervenne la sua voce ferma.

«E tu cosa ne sai?» Non potevo rispondere, non potevo parlare. Ora volevo solo ritornare a respirare regolarmente.
«Sai da cosa sono causati questi attacchi di panico, eh?» Chiese con voce piatta. «No? Bene, io lo so.» Grugnì infastidito.
Damon si avvicinò a me e mi fece cenno di stendermi a terra. Non replicai, mi stesi a terra ma niente. L’asfissia continuava a perseguitarmi, mentre il formicolio alle gambe erano spariti.

«E’ tutto un circolo vizioso.» Commentò. «Devi solo non farti prendere dall’ansia. Ricorda, cosa stavi facendo prima di avere questo attacco?» Mi chiese.
Iniziai a controllare lentamente il respiro.

«Un giro…in moto…» Dissi tra un respiro e l’altro.

«Dove ti trovi?» Continuò. Cosa mi stava facendo? Iniziai a rifletterci sopra e iniziai a calmarmi.

«Alla vecchia pista…di…motocross…» Ansimai, mentre continuavo a tenere gli occhi chiusi.

«Conta. Conta e pensa che passerà.» Mi ordinò. Scossi la testa. Non ce la potevo fare, dovevo combattere il mio panico. Non dovevo farmi annientare in questo modo.

«Non serve a un cazzo fare così!» Ringhiò, vicino a me. Luke mi prese per mano e incastrò i suoi occhi verde scuro con i miei color cioccolato.

«Ascoltalo, Els. Fallo per me.» Mi strinse la mano e rivolsi la mia attenzione solo ed esclusivamente su Damon.
«Uno…Due…Tre…» E così iniziai a contare, contare fino a quando il mio respiro non si fece più calmo. Fin quando tutto ciò che mi circondava aveva iniziato a riprendere una vera e propria forma.

«Continua a contare e convivi con il tuo attacco di panico, prima o poi passerà.» La voce di Damon era chiara e limpida. E per un solo minuto pensai che fosse realmente preoccupato, ma il viso tradì le mie aspettative.
Era calmo e composto, non gliene fregava nulla né di me né di come stavo. Sul suo viso non c’era un filo di preoccupazione, anzi manteneva la sua aria da stronzo.

Odio, solo odio. Pensai.

«Trentadue…» Continuai a contare.
Pochi altri numeri e tutto intorno a me iniziò a riacquistare una forma, un colore, un viso. La sensazione di soffocamento era sparita.
Ora sentivo solo un grosso cerchio intorno alla testa.

«Dio, ti è passato.» Sospirò Luke. Lui sì che era preoccupato e anche Kai lo era, glielo si leggeva in volto. Mi misi a sedere e mi guardai attorno. Tante persone erano intorno a me ed erano sconvolti, altri erano consapevoli di ciò che mi era successo e altri ancora…non se ne fregavano proprio niente.
Tra tutti i volti preoccupati, ne incontrai uno. Uno solo in lontananza.

«Come ha fatto a calmarmi?» Sussurrai a me stessa. Quel ragazzo era cambiato, cambiato come me.
Le sue parole erano state lame fredde che giocavano nella mia carne, ma avevo capito il suo gioco.
Era un gioco perverso e divertente per me. Voleva distruggermi e poi curarmi.
Ma non ne sarei uscita perdente, voleva giocare a chi si faceva più male?
Apriamo i giochi.
 
 
 
 
 
 
 
A/N:
Dopo una settimana, i’m back. Ammetto che forse dopo aver letto questo capitolo penserete quante canne si è fumate questa tipa prima di scrivere questo…’capitolo’?  E invece io vi assicuro che l’ho scritto con tutti i buoni propositi di questo mondo, cè se è uscito così deprimente è perché nella mia testolina doveva essere così. Okay…lasciate perdere queste stupidaggini, perché ne ho dette veramente troppe XD.
Volevate e aspettavate il bell’incontro di Elena e Damon…Beh ecco la rimpatriata, ed è una vera e propria rimpatriata visto che c’è pure Steffy *0* Tralasciando ciò, quante di voi amano Lukey? Io lo adoro a quel ragazzo, un amico proprio perfetto.
E quante di voi shippano già Lai (Okay questo nome fa proprio cacare ma non mi veniva in mente niente .-.)? Io sì. Proprio come inizio a shippare Woobrev! *-* Non ho lo più pallida idea di cosa questo c’entri ora, ma ve lo chiedo ugualmente: quante di voi – come me – vedono bene la Doobrev con lo psicopatico alia Chris Wood?
Chiusa questa parentesi tra ship, continuo con il capitolo. Anzi, no prima chiedo: vi piace il banner? *0* Ringrazio la mia migliore amica per sopportarmi e farmi da film maker/bannerista (?)/sopportatrice (?) qualsiasi stupidaggine la mia mente partorisca. <3
Ora giuro non vi farò perdere altro tempo:
Il nostro Damon sembra piuttosto nervosetto eh. Mi piace troppo. Lui con tutto questo buon sano odio! (Tranquille non sono del tutto suonata) Elena anche lei sembra aver capito che il corvino non è più come prima.
Giusto per farvi capire: se prima era il Damon della quinta stagione, cioè un Damon perso per Elena (perso in modo bizzarro nella mia storia XD) ora è come se ci trovassimo nella seconda stagione alle prese con Katherine!
Wow, spero che abbiate capito qualcosa perché io faccio fatica a capire ciò che ho scritto XD
Comunque, vediamo la nostra Elena piuttosto sicura di sé anche se sembra avere dei cedimenti durante il suo quasi – incidente in moto.
Damon è stato proprio crudele. Almeno se qualcuno venisse da me e mi dicesse che in quel giorno ho ucciso il mio migliore amico, minimo (come minimo) la bottiglia gliel’avrei spaccata in testa altro che in terra come fa la nostra protagonista :)
Quella frase sta a indicare proprio come è cambiato il corvino. Prima non avrebbe mai fatto una cosa del genere, anzi prima le ripeteva sempre che non era colpa sua. Immaginate cosa possa essergli successo in due anni :’) :’(
Sono veramente cattiva muhaahmuhahmuhaha!
E tutto ciò si conclude con un attacco di panico. Tutto ciò che ho scritto è assolutamente vero, non ho inventato niente! Almeno questi dovrebbero essere i sintomi per un attacco di panico causato da qualcosa che tormenta una persona. Questi attacchi potrebbero causare anche depressione e come Damon ha fatto con Elena è solo uno dei tanti metodi per provare a “gestirli”. Spero che non vi abbiano…non so…infastidito? Boh, non ho idea! :)
Se qualcosa non vi convince, magari il linguaggio forte che la storia ha preso o qualsiasi cosa che secondo voi abbia trattato con un po’ troppa leggerezza mi fareste un grandissimo favore e me lo direste? Così proverò a migliorare ;)
Chiuso con il capitolo, ringrazio mille/cento volte le sei ragazze che mi hanno lasciato la loro opinione: Bea_01, NikkiSomerhalder, PrincessOfDarkness90, BunnyDelena, MySecretGarden e ValyDeleNian.
Concludo ringraziando le 21 (la mia faccia quando ho visto quel numero -à *-*) che hanno inserito la storia tra le preferite, le 22 (stessa faccia *-*) che l’hanno inserita tra le seguite e le 4 che l’hanno inserita nelle ricordate.
Siete le migliori :) <3 Vi amo!
Alla prossima, belle! Ci sentiamo alle recensioni.
Non ti scordar di me.
  
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