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Autore: Valerie Clark    20/12/2014    0 recensioni
''È vero, potremo anche non sentirci per giorni, settimane, mesi, ma, cazzo, ci sarà un momento, te lo prometto, in cui ti dirò che va tutto bene, e ti ringrazierò. Perché sarà anche grazie a te. ''
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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dodici novembre duemilaquattordici, dieci e trenta.
 
Non so che dire, come iniziare; ho solo voglia di parlarti, non so nemmeno di cosa di preciso.
In questo preciso istante, sono ventiquattr’ore che sono ‘rinchiusa’. Ventitré, più o meno, da quando ho letto il tuo messaggio. Settimane, mesi che chiedevo in giro tue notizie, che mi ripetevo nella mente ‘lasciala andare’, ‘sforzati di odiarla, almeno un pochino’. Cristo, sto davanti a questo computer da cinque minuti, e non sono riuscita a scrivere praticamente nulla, sempre interrotta dai singhiozzi.
Non lo so perché ti sto scrivendo, non so nemmeno come farti avere questa ‘lettera’ – la definirei meglio con ‘ammasso di pensieri e lacrime’. So solo che, da quando te ne sei andata, non so più dove andare a sbattere la testa. È assurdo come io, qui, mi stia abituando a tirare avanti senza sentire nessuno, e mi andrebbe pure bene, ma l’unica persona con cui vorrei parlare sei tu, la sola con cui non parlo da mesi.
Ieri, durante una delle attività, ho parlato con una sedia vuota, immaginando che ci fosse lui di fronte a me, che mi guardava con quegli occhi da cucciolo a cui non ho mai saputo dire di no, a cui, ancora oggi, non so rinunciare. Non ho immaginato te, troppo difficile. Per un attimo però, in silenzio, senza dirlo a nessuno, ci ho provato; era davvero come se, su quella sedia, fossi seduta tu, con i tuoi vestiti colorati, struccata, come se fossi appena sveglia, al naturale, e i capelli sciolti e arruffati. Ecco, è proprio da qui che vorrei partire ora, da me e te al naturale, spettinate, in disordine. Me e te che, al naturale, sembravamo la cosa più elaborata del mondo.
Sono tante le cose che mi accoltellano le viscere in questo momento, che vorrei dirti. Inizierei dai ‘mi dispiace’, dal chiederti scusa, per tutto. È un’altra delle cose a cui ho pensato ieri, durante l’attività, quando ti ho visto, che mi dispiace per come sono andate le cose, per come le ho fatte andare. Mi dispiace così tanto aver lasciato che il mio dolore spegnesse il tuo; mi dispiace per tutto quello che hai dovuto fare, vedere, sentire, mi dispiace per il coraggio che hai dovuto avere sempre, in ogni momento, mi dispiace di averti permesso di raccogliere la tua roba e andartene. Tra la tua roba, purtroppo per me, c’era anche un pezzo di me, ed è giusto così, era tuo, te l’eri meritato, ma ora io mi sento spezzata in due, con le viscere lacrimanti.
D’altronde sì, dico sempre che ho paura ad affezionarmi alle persone, ma, invece, il terrore non mi frena dal farlo alla fine. Probabilmente è colpa mia; do anima e corpo a qualcuno, e poi, quando questo mi tende timidamente una mano, io prendo tutto il braccio. Sono vorace d’amore forse, impazzisco per la fame d’amore, non lo so, succede sempre. Mi sento dannatamente in colpa per quello che ti ho fatto, e mi sento dannatamente male per quello che tu hai fatto a me. La cosa che più mi uccide è che non volevamo nemmeno farci male. Ci amavamo, io e te; ora? Non so rispondere sinceramente. Non qui, non in questo momento.
Vorrei tanto poter dire che sei per me esattamente quello che eri prima; non è così, ed è un’altra cosa per cui mi dispiace. Scusa, davvero. Vorrei poterlo dire, vorrei da morire, ma proprio non ci riesco. Dopo tutto quello che avevamo passato, dopo tutte le cose che ci siamo dette, dopo tutte le volte che abbiamo pianto, insieme, e che ci siamo consolate l’un l’altra, dopo tutte le volte che abbiamo riso insieme. Mi mancano da morire quei tempi, quelle sigarette nel bagno, quelle ore insieme, quell’isola, quei biscotti che ti costringevo a mangiare – dopo averli carbonizzati, s’intende – , quei servizi fotografici, quei trucchi, quei cioccolatini, quelle notti passate a fumare e ridere. Quelle birre, cristo! Ma non ce la faccio a ricostruire tutto questo, a rincollare i pezzi. È come quella stupida roba sul piatto che cade in terra e si rompe; gli puoi chiedere scusa tutte le volte che vuoi, tanto come prima non ci può tornare. È questo che rimane del nostro rapporto: i cocci rotti. E non abbiamo la colla per aggiustare il piatto, non ne abbiamo la forza. Magari, più in là, ce l’avremo pure, ma le crepe delle spaccature si vedranno, come errori che copriresti con il correttore. Ma lo sai cosa non può essere coperto con un correttore? Un tatuaggio, il ricordo di esso, il dolore provato. È una cicatrice. Indelebile. Ed io non ti porto tatuata solo sulla pelle, anche sul cuore, vicino a tutto l’amore che ho avuto, che ho per te. Era questo forse che volevo farti capire. ‘Che sfiga, proprio subito dopo aver fatto il tatuaggio!’, ‘E ora? Te ne penti?’. Me lo chiedono tutti, cazzo. La risposta è no, non me ne pento, non me ne pentirò mai probabilmente.
Forse, se ieri fossi stata abbastanza forte da immaginare di parlare con te, ti avrei detto che non ne ho, di colla, adesso, e potrei non averla mai, e se ce l’avrò si vedranno le crepe, e le crepe mi lacereranno il cuore tutti i giorni, non ti vorrei più vedere per il dolore provato, non sarebbe, anzi, è sicuro che non sarà mai come prima. Ma quel tatuaggio fa male ogni volta che cado, e mi da, ormai, la forza di rialzarmi. È vero, potremo anche non sentirci per giorni, settimane, mesi, ma, cazzo, ci sarà un momento, te lo prometto, in cui ti dirò che va tutto bene, e ti ringrazierò. Perché sarà anche grazie a te. 
   
 
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