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Autore: Filippo739    20/12/2014    0 recensioni
Era il tempo dei primi anni delle superiori quando io e il mio amico aspettavamo l'autobus. Prima che arrivasse il nostro ne passavano tanti fuori servizio, e un po' per ridere è nata la battuta di prenderne uno, un giorno, per vedere questo tanto famoso paesello di Fuori Servizio.
Oggi, dopo due anni che ho cambiato istituto e non vedo più colui che ha riempito le mie attese del doposcuola, rivedere un autobus senza destinazione mi ha fatto nascere un moto di nostalgia che ha dato vita a quanto segue.
Già che ci sono, qualcuno sa che ora è?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quel giorno il sole gocciolava lento.
Valerio aveva un ombrello di carta vetrata, cosicché i raggi potessero oltrepassarlo e abbronzarlo un poco. Era sempre pallido smorto e magrolino, la faccia pareva un chicco di caffè con gli occhiali a mandorla.
Io non avevo niente e mi beccavo tutto quanto il cielo avesse da offrirmi. Mia mamma mi ha insegnato a chiedere mai ma ad accettare sempre, e poi ho sempre amato la nebbia.
«Quando arriva l'autobus?» Chiesi. Non ho mai avuto un orologio, li ho sempre odiati. Con quel loro atteggiamento da presuntuosi, di quelli che sanno sempre cosa dire, si prendono pure il permesso di dirti cosa fare e quando, senza magari pensare che tu abbia altri progetti. Te lo impongono prepotentemente tic dopo tac; odiosi. Mi domando ancora oggi come facciano ad avere così tanti polsi sostenitori.
«Fra tre mezzi e un quarto.» Mi disse lui.
Non mancava tanto, allora.
Le auto passavano senza salutare, di fretta. Anche loro dovevano avere un orologio. A volte le persone sono così stupide.
Ma l'autobus non veniva. C'erano macchine blu e camion grandi, ma nessun autobus. Forse l'autista non aveva un orologio, in tal caso era scusato: aveva sicuramente qualcosa di più importante da fare che il suo lavoro.
Poi alla fine ne sbucò uno dallo smog: era proprio un autobus, non c'erano dubbi. Uno splendido esemplare di autobus nel mezzo della propria routine quotidiana, risalente quel lieve dislivello e apparendo millimetro dopo millimetro da sotto un ponte.
Maestoso.
La scritta in arancio ci mostrava la destinazione chiaro e tondo con i suoi caratteri squadrati.
Valerio alzò il braccio, prenotandolo, e l'autobus si fermò a lato della strada. Salì subito, Valerio: non aveva intenzione di prendere un altro raggio in più: lui odiava prendere il sole. Io invece non lo prendo mai a prescindere: mai stato amante dell'astronomia.
Feci per salire anch'io, ma mi fermai al primo scalino. Non mi sono mai fidato delle scritte sugli autobus, ho sempre preferito chiedere informazioni all'autista.
«Scusi?» Avanzai a voce tenue.
Mi riservò uno sguardo spento, ma andai avanti lo stesso «Questo va a Fuori Servizio?»
Era ovvio che ci andasse. Lo sapeva Valerio, c'era scritto e lo sapevo pure io. Ma volevo esserne certo certo.
Scesi, lasciando Valerio da solo.
Non mi andava di prendere quell'autobus, non mi convinceva appieno.
L'autobus se ne andò portandomi via il mio amico. Sapevo che non l'avrei rivisto tanto facilmente. Forse un giorno, o una settimana, chissà.
Mi misi comodo in attesa di un altro bus. Prima o poi ne sarebbe venuto un altro, era certo. Di autobus che vanno a Fuori Servizio ce ne sono tanti, tantissimi.
Ci siamo sempre domandati dove andassero tutti, e pure che tipo di posto fosse, io e Valerio.
Lui l'ha scoperto prima, io lo farò un po' dopo.
Dopo anni non l'ho scoperto ancora, ma non per colpa mia: ho sempre qualcosa di meglio da fare, e poi non ho mai avuto un orologio.

   
 
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