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Autore: ellephedre    10/11/2008    53 recensioni
Ambientato subito dopo la fine di Sailor Moon Stars, la quinta serie.
Al termine della battaglia non è stato tutto così semplice. Eppure, dopo la fine del dolore può esserci gioia, perché c'è vita. Per Usagi, per Mamoru. E per tutti gli altri.
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta serie, Dopo la fine
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- Questa storia fa parte della serie 'Oltre le stelle Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Oltre le stelle

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

Quinta parte - Accettarsi

Sentiva il sole del mattino sugli occhi. Sul viso, una piacevole brezza che entrava dalla finestra aperta. Udiva persino il cinguettio degli uccellini che salutavano il giorno-
«Usagi!!!»
Nonché l'urlo di sua madre. Aprì un occhio.
«È ora di svegliarsi, Usagi!»
Ora di svegliarsi.
Mamoru!
Allungò il braccio.
Ah già, non era più lì.
E lei non aveva nemmeno il pigiama addosso. Si mise seduta e con lo sguardo lo cercò attorno al letto; lo individuò e se lo infilò in fretta.
Ma che ore erano... le undici?!
«Usagii!»
«Sono sveglia, mamma!» urlò di rimando.
Si stiracchiò, aprendo la bocca in un grosso sbadiglio soddisfatto. Era tardi, ma almeno avevo dormito bene.
Udì dei graffi alla porta. Andò ad aprirla e trovò Luna fuori. La gatta entrò guardandosi intorno, circospetta.
«È andato via ieri notte.»
«Ah, bene. Tua madre stava scalpitando per venire a svegliarti. Ho cercato di trattenerla come ho potuto.»
Usagi si abbassò ad accarezzarle la schiena. «Grazie. Prometto che non ti metterò più in queste situazioni. È stata solo... la pazzia di una volta.»
Luna pensò che era una fortuna. Da gatta, l'unica cosa che poteva fare lei per distrarre la madre di Usagi era miagolare per farsi dare da mangiare. Non era molto, in termini di tempo.
Dal sorriso che aveva in faccia Usagi però, era chiaro che se la pazzia non si fosse ripetuta in camera sua, si sarebbe svolta sicuramenteo altrove.
Emise un sospiro rassegnato. Almeno Usagi era felice. «Allora io vado da Artemis.»
«Oh, è vero. Hai da farti perdonare il tradimento con Yaten.»
«Ma cosa dici?»
Usagi notò il rossore persino sotto il pelo scuro. «Scherzo. Ciao Luna.»
Mentre ancora ridacchiava, Luna uscì dalla finestra.
Sembrava che avesse preso a cuore la promessa che le aveva fatto la sera prima.
Usagi sapeva bene che non sarebbe stato facile per Luna: dirle cosa fare era stata una vera vocazione per la sua amica gatta. Quello stesso istinto era stato molto utile, in fondo. Tante volte Luna era stata la sua forza, il suo sostegno e la voce della ragione; ne aveva avuto un disperato bisogno, soprattutto agli inizi. Era da un po' però che aveva iniziato a trovare più pesanti di un tempo le critiche e i continui consigli, per quanto ben intenzionati. Gli insegnamenti di Luna dovevano aver dato i loro frutti però: ormai sapeva in anticipo cosa le avrebbe detto. Ed era d'accordo con i suoi punti di vista, in genere, motivo per cui non trovava più utile sentirseli ripetere in continuazione, come se non ci fosse altro modo per lei di arrivarci da sola.
Forse era stata un po' brusca la sera prima, ma era ancora convinta di aver fatto la cosa migliore: ora Luna avrebbe iniziato a trattarla da pari e a lungo andare sarebbero state più in armonia l'una con l'altra.
Si guardò distrattamente intorno e notò che la sua stanza era in disordine. Se la sera prima ci fosse stata più luce, persino Mamoru gliel'avrebbe fatto notare.
O forse no. Sorrise fra sé e sé.
Lui era un po' troppo preciso, da quel punto di vista... in fondo c'erano tante cose da fare nella vita. Non aveva molto senso continuare a riordinare quel che poi avrebbe nuovamente messo in disordine di lì a poco. Almeno, quella era la conclusione a cui era arrivata personalmente: l'ordine le piaceva, ma, le volte in cui si era prodigata per metterlo in pratica, aveva notato che inevitabilmente qualche ora dopo le cose erano tornate esattamente come prima.
Sbuffò.
Quasi sicuramente era un problema solo suo, però... era fatta così. Comunque negli ultimi giorni aveva avuto scusanti più che valide per pensare a qualcosa di diverso. Tuttavia, quella era giornata di pulizie casalinghe e a sua madre non sarebbe piaciuto per niente trovare la sua stanza in quello stato.
Si decise a mettere un po' a posto: voleva dimostrare di essere diventata anche lei un po' più adulta e responsabile.
Alla fine non si trattava che di qualche vestito sparso in giro, del letto di rifare e delle cose sulla scrivania da sistemare.
Si mise al lavoro di buona lena; aveva addosso aveva un certo buon umore. Quel primo pomeriggio doveva passare da Motoki. La notte prima Mamoru le aveva portato la lettera che aveva scritto per lui, secondo l'accordo fatto il giorno prima. Dopo lei sarebbe passata da lui e sarebbero usciti insieme da qualche parte, per godere insieme di un bell'appuntamento in piena regola. Un progetto che poteva mettere di buon umore una qualunque ragazza innamorata, anche se sospettava che fosse la sola idea di averlo di nuovo a portata di bacio a renderla felice.
Ridacchiò e iniziò a sistemare i vestiti che aveva buttato sopra una sedia. Scostando l'ultimo, trovò... la sua spilla. La spilla magica.
Fermò ogni movimento, rimase semplicemente a guardarla.
La prese in mano e si diresse sul letto, sdraiandovisi sopra. La alzò sopra il viso e la aprì.
Eccolo lì, il cristallo. Rosa scuro e lucente. Enorme, se paragonato a qualunque altro gioiello.
La fonte del suo potere.
Non le capitava spesso di osservarlo; le volte in cui si ritrovava ad aprire la spilla erano principalmente le volte in cui iniziava la trasformazione.
Il cristallo catturava ogni raggio di sole che entrava dalla finestra.
Lei lo mosse piano, osservando i giochi di luce che creava con la sua superficie.
Chissà cosa sarebbe accaduto se qualcun altro avesse mai visto quello che conteneva quel suo accessorio. Le venne da ridere: probabilmente avrebbero fatto a gara per comprarlo all'asta per chissà quanti miliardi di yen, senza nemmeno immaginare il potere che conteneva. Per fortuna, quello non era in vendita.
La spilla si apriva solo per lei o per persone che possedevano un certo grado di potenza. Aveva fatto una prova, una volta, con le amiche della scuola media che aveva frequentato. Nel caso fossero riuscite ad aprirla, era stata pronta a spiegare che all'interno c'era solo un ninnolo molto, molto luminoso. Ma loro non erano nemmeno riuscite ad alzare il coperchio e alla fine avevano creduto che fosse rotto.
Mamoru e le altre guerriere invece non avevano mai avuto problemi.
Tutti insieme avevano concluso che nemmeno eventuali nemici avrebbero incontrato difficoltà ad aprire la spilla.
Il Regno delle Tenebre e la Luna Nera avevano puntato proprio al cristallo d'argento, nella sua versione presente e futura, convinti di poterlo usare per i loro scopi.
Ma aprire la spilla era un conto, usare il potere del cristallo era tutt'altra cosa. Per quello era necessario una forza molto più grande, un potere che lei stessa era capace di richiamare solo in rare occasioni e sempre con grande dispendio di energie. Tuttavia, probabilmente sia Metallia che il grande Saggio erano stati abbastanza potenti da essere in grado di sfruttare quanto lei il potere del cristallo.
Eppure... il cristallo era lei. Parte di lei. Il suo potere era il proprio.
Fino a qualche giorno prima non aveva preso effettivamente consapevolezza di una questione importante: poteva fare uso del potere del cristallo anche senza il cristallo, no? Nelle battaglie più importanti lo faceva sempre, come se fosse una sua capacità innata.
Sarebbe dovuto essere sempre così.
Ricordò le volte in cui l'avevo dimenticato a casa ed era dovuta tornare di corsa a prenderlo. Era stato ai tempi delle sue prime trasformazioni.
O la volta in cui Kaolinite glielo aveva rubato, impedendole di fatto di trasformarsi. Rammentò l'impotenza, il pericolo corso da tutti, Mamoru compreso.
Quel potere che ora stringeva in una mano non avrebbe dovuto poterle venire sottratto sotto forma di un semplice oggetto.
Era una grave debolezza.
Non sapeva come, ma... doveva allenarsi. Doveva fare in modo di poter combattere senza portarselo continuamente appresso.
Sarebbe stato molto difficile probabilmente, ma ora...
Richiuse la spilla, portandosela al petto.
Ora le risultava insopportabile il pensiero di portarla con sé. Era come dichiarare implicitamente a se stessa che doveva sempre e in qualunque momento essere pronta per una battaglia. Non voleva più avere addosso quella sensazione, quella consapevolezza.
Almeno, non ora.
Per qualche altra settimana, come minimo.
Non ora.
Non riusciva a sopportare l'idea di dover di nuovo difendere la vita di Mamoru e delle sue amiche. Non poteva pensarli di nuovo in pericolo.
Rei aveva detto che non avrebbero avuto guai per almeno un altro paio di anni, ma poteva riferirsi a vere e proprie guerre di molti mesi, non a semplici battaglie, destinate a concludersi nel giro di pochi scontri o di uno scontro solo. Era già successo in passato.
Prese a ricordare quegli episodi.
E sospirò, alzandosi dal letto.
Quei pensieri la stavano deprimendo.
Appoggiò la spilla sul materasso.
Oggi non succederà nulla, si disse.
Nulla.
In fretta, terminò di sistemare il resto della stanza.
Infine uscì, guardandosi dietro di sé un'ultima volta.

«Buongiorno mamma!»
«Finalmente Usagi!»
«Era capace di dormire fino a domani.»
Shingo non la smetteva mai di prenderla in giro. Ne sorrise e si fermò, a pochi passi da tutti loro.
Quella che aveva davanti era una scena incredibilmente familiare. Sua madre ai fornelli. Suo fratello che la prendeva in giro. Suo padre con in mano il giornale, a tavola.
«Ma che hai?»
«Niente, Shingo.»
«Su, Usagi, vieni a mangiare.» Sua madre appoggiò sul tavolo un primo piatto di cibo.
«Ma... è già pronto il pranzo?»
«Tuo padre deve partire tra poco per fare un servizio e deve mangiare presto.»
Kenji Tsukino staccò gli occhi dalla lettura del quotidiano e annuì. «Sì, ho un servizio fotografico e un'intervista con un giovane politico. Un'ottima occasione per me.»
«Ho capito.» Usagi si sedette a tavola.
Vedendosi servire un piatto davanti, suo padre mise da parte il giornale. «Allora, Usagi, ieri hai fatto una gita. Dove sei andata?»
«Ahh...» Dove si poteva andare e tornare in un giorno? «A... Yokohama.»
Nei volti dei suoi genitori si dipinse la perplessità.
Già. Yokohama non distava neanche una cinquantina di chilometri da Tokyo.
Prese a ridere nervosamente. «Anche se è così vicina, non significa che la conosca bene. Ami ha organizzato un piccolo tour guidato delle principali attrazioni, giusto per un paio di giornate. Abbiamo camminato ed esplorato un po' la città, soprattutto.» Bella bugia.
Suo padre sembrò soddisfatto dalla risposta. «Giusto, non si finisce mai di conoscere bene un luogo. È stata un'ottima idea. La tua amica Ami è proprio una buona influenza per te.» Come padre, Kenji era proprio soddisfatto: Usagi aveva come amiche ragazze che sembravano tranquille e giudiziose. Nel tempo aveva apprezzato un certo cambiamento in sua figlia e sospettava che avesse avuto a che fare con la loro compagnia.
Ikuko finì di servire l'ultimo piatto e si sedette a sua volta a tavola.
Si augurono tutti buon appetito e iniziarono a mangiare.
«Mamoru non è venuto con voi?» chiese Ikuko.
Kenji vide la forchetta di Usagi cadere nel piatto.
«Cosa?»
Ecco, quel tipo invece non era certo una buona influenza. Non gliene importava nulla di quanto fosse intelligente, era semplicemente troppo grande per Usagi. Alla loro età, tre anni di differenza erano un'enormità.
«Non ha giornate libere?» continuò Ikuko.
«Mamoru?» Usagi si ritrovò solamente a ripetere quel nome, non sapendo cos'altro dire.
«... sì.»
Sua madre la stava guardando come se il cervello le fosse andato a male e Usagi cercò di adattarsi alla situazione, improvvisando. «È... andato a fare un viaggio.»
«Ah sì? Dove?»
«A... Kyushu?»
«Non ne sei sicura?»
«No. Voglio dire, sì. A Kyushu.»
«Che bello.»
Usagi rimase in attesa di ulteriori commenti, ma non ne arrivarono. «Torna domani, però» aggiunse. Non dovevano certo stupirsi di vederlo, uno di quei giorni.
Un viaggio! Kenji rimescolò il cibo nel piatto con una certa forza. Quel ragazzo aveva troppo denaro a disposizione. Aveva persino una macchina e un appartamento propri e nessun genitore a controllarlo. Non che fosse colpa sua e nturalmente a lui spiaceva per la sua situazione, almeno in generale. Tutto ciò però non faceva che renderlo troppo adulto per sua figlia.
Quantomeno aveva avuto l'impressione che fosse un bravo ragazzo: la piccola Chibiusa gli aveva spesso parlato di lui. Si era molto attaccata al fidanzato di Usagi, quindi, se non altro, Chiba doveva essere paziente con i bambini. Chibiusa aveva spesso insistito per unirsi ad Usagi le volte in cui usciva con lui e questo era stato un gran bene: con una bambina fra loro, difficilmente poteva succedere tra loro qualcosa che non doveva accadere.
Ora però Chibiusa era tornata dai suoi genitori e a Kenji non sfuggiva che, oggi più di un tempo, c'era il pericolo che sua figlia facesse qualcosa che non doveva fare. Fisicamente era ormai adulta, anche se mentalmente era ancora una ragazzina. Quel ragazzo poteva farsi venire strane idee e spingerla a cose per cui era pronto lui, ma non lei.
Forse lo stava giudicando peggio di quanto non meritasse, ma aveva visto fin troppi amici, quando era stato altrettanto giovane, comportarsi in modi che non aveva approvato allora e che certamente non approvava oggi. Non erano fatti che poteva ignorare, specie ora che si trattava di sua figlia.
Sospirò silenziosamente. Se solo fosse stato possibile separarli per qualche tempo: lontani, forse entrambi avrebbero capito che al mondo c'erano altre persone. Usagi magari si sarebbe invaghita di qualche altro ragazzo e avrebbe avuto una relazione meno impegnata, qualcosa di più adatto alla sua età. Così sarebbe stato tutto relativamente indolore.
Per un attimo gli sembrò strano che Chiba non si trovasse già lontano. Cercò di rifletterci, ma non riuscì a capire da dove gli fosse venuta quell'idea.
Lasciò perdere e si concentrò sul cibo che aveva davanti. Non aveva molto tempo prima di uscire.
Usagi allontanò gli occhi da suo padre e iniziò a mangiare anche lei.
Ogni volta che parlavano di Mamoru, suo padre assumeva un'espressione corrucciata. Sentir nominare Mamoru non era mai stato di suo gradimento.
Non le era sfuggito quanto fosse stato contento, quando aveva saputo che sarebbe partito per gli Stati Uniti.
E ora era chiaro che... non lo sapeva. Né lui, né sua madre né suo fratello, che non aveva trovato minimamente strano sentir nominare la vacanza che lei si era inventata sul momento. Eppure proprio Shingo l'aveva presa in giro, dicendo che le sarebbe toccato un anno da zitella, totalmente ignaro di quanto lei fosse stata male.
All'età che aveva e per quello che sapeva di lei e Mamoru, Usagi semplicemente non gliene aveva fatto una colpa.
... e così, per la sua famiglia, Mamoru non era mai andato negli Stati Uniti.
Continuò a mangiare in silenzio, chiedendosi se non avesse sistemato più di quello che aveva inizialmente pensato.
Doveva andare da Motoki per saperlo con certezza.
Sua madre parlò di nuovo. «Forse potresti invitarlo a cenare uno di questi giorni. Una sera in cui sia presente anche papà.»
Si udirono alcuni colpi di tosse. Suo padre si si stava battendo il petto.
«Non vedo perché» commentò lui. «Non c'è motivo per cui questo ragazzo ci debba incontrare entrambi così formalmente.»
Kenji sapeva che Ikuko lo aveva invitato a casa, in passato. Non aveva approvato l'accoglienza che sua moglie aveva dato in casa loro a Mamoru Chiba, ma almeno uno di loro due aveva incontrato e conosciuto il 'nemico'. Da parte sua, lui non aveva voluto in alcun modo far diventare quella relazione più seria, facendoselo persino presentare. Anche perché aveva pensato che quel rapporto potesse finire da un momento all'altro.
«Non ignorare la realtà. Sono quasi due anni che stanno insieme.»
Due anni? Detto così, sembrava tantissimo tempo. Era tantissimo tempo. Ma erano solo- «Sono ragazzini.»
Usagi sapeva riconoscere che sedici anni erano pochi per avere un fidanzato fisso, almeno in genere. Tuttavia, lei era tutt'altro che normale, anche se i suoi genitori non lo sapevano. Di questo non poteva far loro una colpa, ma non poteva nemmeno più lasciare che ignorassero ciò che era, almeno in parte. «So quello che faccio, papà. Ed è una storia seria.»
Suo padre assunse un'espressione stupita e terrorizzata. «È troppo presto perché tu dica una cosa simile.»
Usagi sospirò: non lo era affatto. «Per ora vorrei solo che lo conoscessi meglio. Tutto qui. Puoi farlo?»
Ikuko vide sua figlia guardare Kenji come già aveva guardato lei la mattina di un paio di giorni prima.
Era successo qualcosa. Non sapeva cosa, ma era successo qualcosa.
Voleva saperlo, perché nulla di quello che le veniva in mente poteva aver messo addosso alla sua bambina uno sguardo del genere. Per quanto riguardava ciò a cui non aveva pensato... l'universo delle sue paure era più vasto di quanto non desiderasse immaginare.
Ricordò all'improvviso che Usagi era stata molto triste negli ultimi mesi. Le era sembrata una cosa naturale eppure ora non sapeva spiegarsene il motivo. Come poteva non ricordarlo?
«Se ci tieni, va bene.»
Kenji capitolò davanti alla serietà dello sguardo di Usagi. Pensò che, se non altro, era ora che avesse modo di giudicare personalmente e a fondo quel ragazzo. Inoltre, c'erano sicuramente cose che doveva mettere in chiaro. Due anni. Scosse la testa e riprese a mangiare.
Ikuko scorse il sorriso dolce che Usagi rivolse prima a suo padre e poi a lei.
Era successo qualcosa, ma Usagi era ancora capace di sorridere così. Anche il giorno prima era tornata a casa felice e serena.
Le cose erano ancora a posto in fondo.
Anche se, da quel momento, voleva prestare più attenzione. E magari trovare il momento giusto per parlare con lei.
Per saperne di più sulla vita di sua figlia e non avere più, in futuro, l'impressione di parlare con un'estranea.



Un paio d'ore più tardi, Usagi suonò alla porta di Mamoru.
Lui le aprì la porta poco dopo.
«Sai che puoi usare le tue chiavi per entrare.»
Lei saltellò in casa, sorridendogli. «Non volevo essere sfacciata.» Appoggiò la borsa in un angolo e si tolse le scarpe, quindi si girò verso di lui e alzò la testa, tirando fuori la labbra. Come aveva previsto, Mamoru si sporse verso di lei per baciarla.
Lei lo incontrò a mezz'aria, stampandogli un bacio giocoso sulla bocca.
Lui sorrise apertamente.
Era da quando aveva preso la strada per arrivare a casa sua che Usagi si sentiva euforica. Dentro di sé l'aveva definita la 'sindrome della luna di miele': non erano certo sposati, ma era da molto poco che si erano conosciuti in una maniera più intima e questo sembrava averle messo addosso non solo un continuo buon umore ma anche un persistente desiderio di effusioni varie.
L'espressione di Mamoru le confermò che erano effetti tutt'altro che sgraditi, perciò diede loro libero sfogo e, ridendo, gli saltò in braccio, le gambe attorno alla vita e le braccia intorno al collo.
Si accorse dell'errore nell'istante stesso in cui dondolarono pericolosamente all'indietro.
«Ahhhh! Attento, attento!»
Mamoru indietreggiò di un paio di passi, stringendola; riuscì a ritrovare l'equilibrio solo inginocchiandosi. Scoppiò a ridere.
Scossa anche lei dalle risate, lo abbracciò felice.
«Grazie per avermi salvato» scherzò, dandogli un bacio sulla guancia.
Lui le sembrò momentaneamente sorpreso.
Quando lo sentì strofinare il naso contro il suo, lei riconobbe l'espressione di... tenerezza. In passato, l'aveva vista tante volte. Un tempo l'avrebbe definita più semplicemente un'espressione d'amore, ma ora era in grado di notare la differenza: erano tante le espressioni dell'amore. E ora lei le amava tutte.
Appoggiò la bocca su quella di lui e presto cercarne il sapore fu un bisogno impossibile da controllare. Col corpo si spinse in avanti, quasi inconsciamente.
Lui accolse il silenzioso invito e si sdraiò sulla schiena, portandola con sé.
Forse un giorno il contatto tra loro avrebbe smesso di sembrarle la cosa più incredibile che potesse esistere, ma in quel momento assaporò il calore contro di lei, il calore che nasceva dentro di lei, e sperò solo che non accadesse mai.
Strano quanto persino il pavimento potesse sembrare comodo, in quei momenti.
Le dita persero la presa sui capelli neri e si appoggiarono sulle piastrelle dure. Beh, lei stava sicuramente comoda, ma lui... Staccò le labbra dalle sue. Era ora di alzarsi.
Privato della sua bocca, Mamoru scese a baciarle prima le guance e poi il collo. «Già... forse non è il posto migliore per...»
Usagi non trattenne le risate sommesse, acuite dal fiato sul collo. Anche lui non riusciva a smettere!
Si allontanò del tutto, appoggiandosi sulle braccia tese; lo guardò con occhi divertiti. «Credo che tu abbia ragione.» Con un paio di rapidi balzi, era già in piedi che lo guardava dall'alto, girata dalla parte opposta.
Anche al contrario, l'espressione perplessa di lui era veramente buffa. «Non parlavo sul serio.»
«Troppo tardi» lo canzonò, ridendo anche della posizione da cui ancora non si era mosso.
Eppure, anche sdraiato e per terra, Mamoru riuscì ad assumere piano piano l'espressione di chi stava per colpire.
Ma che-?
«Carina la gonna.»
Lei richiuse le gambe in un unico scatto, rendendosi conto di averle avute spalancate quasi sopra la testa di lui. Si allontanò di un paio di passi, fumante.
Mamoru iniziò a ridere di gusto, rimettendosi in piedi.
Oh, non era possibile che proprio quando pensava di averla vinta... «Quelli come te hanno un nome, lo sai?»
«Davvero?»
Usagi annuì vigorosamente. «Hentai. Mamoru hentai.»
Lui non sembrò particolarmente colpito dall'epiteto. «Veramente eri tu che ti stavi mettendo in mostra.»
In mostra?!
«Sempre tu mi eri saltata addosso neanche cinque secondi prima. Adesso che ci penso... quelle come te hanno un nome, Usa.»
Di solito aveva un cuscino in mano, in questi casi.
«Se cerchi un cuscino, è dietro di te. Se vuoi, puoi provare a prenderlo.»
«Nessun problema.» Partì di scatto verso il divano.
Mamoru fece lo stesso e due metri dopo Usagi si sentì sollevare, mentre la caricava sulle spalle. «Cado, cado!» Rise sonoramente in mezzo alle grida.
Lui la appoggiò sul divano qualche istante dopo, seduta, ridendo e sistemandosi accanto a lei. Allargò naturalmente il braccio sullo schienale, permettendole di appoggiare la testa sulla sua spalla.
Le uscì un sospirò. «Sono andata da Motoki.»
«Io sono andato all'università.»
Usagi alzò gli occhi nella sua direzione. «Non sanno niente di una tua partenza, vero?»
Lui scosse la testa. «Mi è anche capitato di incontrare il professore che mi aveva presentato l'offerta di scambio. Oggi me l'ha proposta di nuovo.»
«Come
«Era come se non me l'avesse mai fatta.» Le sorrise. «Hai sistemato davvero molte cose.»
Un'altra conferma di quello che aveva già scoperto. «Anche per Motoki non eri mai partito. Sono andata a dargli la lettera, ma quando sono entrata nella sala giochi, la prima cosa che mi ha chiesto era se dovevo incontrarmi lì con te questo pomeriggio.»
«Quello che mi sembra strano è che... nella mia segreteria c'erano messaggi dell'università. E anche uno di Motoki.»
Usagi rimase in silenzio, a riflettere. «Forse non sono spariti perché tu invece dovevi sapere cosa era accaduto in questi mesi, anche se poi è stato tutto quanto cancellato. Ma... è solo un'ipotesi.» Sospirò. «È frustrante non riuscire a spiegare quello che ho fatto io stessa.»
Lui inclinò la testa di lato, appoggiandola sulla sua. «Non ti preoccupare.»
Usagi non poté far altro che annuire. «Com'è andata col tuo professore?»
«Quando ho rifiutato la proposta, ha passato minuti interi ad elencarmi a cosa stavo rinunciando. Alla fine sono stato costretto a dirgli che abbandonavo la facoltà. A quel punto mi ha chiesto una spiegazione.» Gli uscì un sospiro rassegnato. «Non avevo preparato qualcosa da dire e ho finito con l'inventare una scusa sul momento.» Si girò verso di lei, una mezza risata in volto. «Gli ho detto che stavo per sposarmi. Quando lui ha protestato ancora, gli ho detto che la mia ragazza era incinta. Solo allora si è arreso.»
Usagi ridacchiò divertita.
«So che era impossibile, ma per un momento ho desiderato potergli dire la verità. Aveva creduto in me, mi aveva sostenuto con quel progetto. Si sarebbe meritato qualcosa di diverso da una bugia.»
«Non è facile spiegare, vero?»
Dal tono che aveva usato, Mamoru capì che c'era altro dietro quelle poche parole. «No, non lo è. A chi hai dovuto spiegare?»
«Il problema è che non posso. Parlo dei miei genitori. Mi considerano ancora una ragazzina e per quello che sanno... è giusto. Ma... ecco, per fare un esempio mi piacerebbe poter dire loro che vorrei fare un viaggio da sola con te senza che questo crei problemi a nessuno. Ho nascosto per tanto tempo tutta una parte della mia vita, ma forse... solo ora sto iniziando a considerarlo un problema.»
Lui si limitò ad ascoltarla.
«Penso che la mamma abbia capito qualcosa. Un paio di volte mi sono comportata poco 'da me' a casa, in questi giorni. È una fortuna che non ci saranno battaglie per qualche tempo, almeno.»
Gli aveva parlato la sera prima del presentimento di Rei. Di quella che era più probabilmente una vera e propria previsione.
«Ah, ma c'è una cosa bella. La mamma ha suggerito che tu venissi a cena da noi, con mio padre presente. Finora si è sempre rifiutato di incontrarti come si deve, ma questa volta ho insistito.» Usagi notò l'immediato irrigidirsi nel corpo di lui e si mise dritta sul divano. «Non sarai mica nervoso?»
Mamoru fu sul punto di negarlo, a lei e a se stesso. Poi cambiò idea. «Un po'. Incontrandomi, tuo padre cercherà di capire chi sono e quali intenzioni ho verso di te. E... potrò fargli sapere la verità solo fino ad un certo punto. Non è il modo migliore per fare la sua conoscenza.» Scosse la testa. «Con tua madre è stato diverso, lei non mi ha mai visto come una minaccia per te. Tuo padre sì invece. Ricordi il mio primo incontro con lui?» Lo choc del padre di Usagi, le urla e la sua poco dignitosa ritirata, con la scusa del jogging, gli erano rimasti in testa. Decisamente, non uno dei suoi momenti migliori.
Lei non sembrava della sua stessa opinione. «È stato tanto tempo fa. A me piacerebbe solo che ti conoscesse, in modo che possa fidarsi di te un po' di più. Non mi piace l'idea di fare ogni cosa le cose alle loro spalle, ora che vorrò vederti più spesso.»
Dargli modo di fidarsi maggiormente di lui?
Mamoru non era certo che il risultato sarebbe stato quello. Avrebbe dovuto passare metà del tempo a cercare di non tradirsi, tentando di stare attento a non dire qualcosa di troppo o persino a non guardare Usagi troppo a lungo. Era abbastanza convinto che chiunque li avesse visti assieme avrebbe finito col notare quanto era profondo il loro rapporto. In tutti i sensi. A maggior ragione, lo avrebbe capito una persona che di proposito avesse cercato indizi in merito, come poteva essere un padre.
Mamoru ne sapeva molto poco, ma preoccuparsi per Chibiusa gli aveva dato una certa idea del grado di apprensione che poteva provare Kenji Tsukino. Ad esempio, sapeva che lui stesso avrebbe ucciso con le sue mani il folle che avesse mai osato avventurarsi in camera di sua figlia sotto il suo stesso tetto, se mai fosse venuto a sapere una cosa del genere.... eppure era stato proprio lui a comportarsi così, la sera prima.
Si ritrovò con sentimenti contrastanti: da una parte non riusciva a pentirsi di essere andato da Usagi; dall'altra, all'improvviso, non gli sembrò un gesto particolarmente rispettoso nei confronti dei genitori di lei. Sperò di non farselo leggere negli occhi quando li avrebbe incontrati: non era mai stato bravo a mentire su certe faccende personali. Era stato un vero fallimento persino col suo stesso professore.
La voce di Usagi lo distolse dai suoi pensieri. «Allora verrai?»
«Certo.»
Lei gli sorrise e si appoggiò ancora meglio contro il suo fianco. «Sai, ieri sera mi sarebbe piaciuto rimanere tranquillamente addormentati... dopo. Una prossima volta è meglio lasciar stare la mia stanza. Ma... mi è piaciuto molto che tu sia venuto ieri sera. Grazie.»
Grazie per quello che avevano fatto? Gli venne da ridere. «Direi che è stato... un piacere.»
Usagi rise anche lei a denti stretti, poi lo colpì piano al petto. «Senti, perché non ci sdraiamo un po' adesso? Guarda.»
Si appoggiò lungo il divano, di fianco, il viso rivolto verso lo schienale e le gambe su quelle di lui, ancora seduto; poi si avvicinò ancora di più al bordo, di lato, probabilmente per testare se ci stavano in due.
«Sembra un po' stretto.»
Lei divenne pensierosa e controllò di nuovo la propria posizione.
Gli uscì un sorriso. «Ma proprio per questo comodo, da un altro punto di vista. Va bene.» Si allungò anche lui sul divano, sistemandosi tra lei e lo schienale, su un fianco.
Usagi scoprì di avere abbastanza posto per riuscire a sdraiarsi sulla schiena e, felice, sistemò la testa nell'incavo del collo di Mamoru, appoggiandosi su un suo braccio.
Poco dopo sentì la mano di lui scendere piano sul petto.
Iniziò a provare quel desiderio che ormai ben conosceva, prima di accorgersi che le dita si erano fermate proprio in mezzo ai suoi seni. Lì diedero un paio di colpetti leggeri.
«La tua spilla... non l'hai avuta indosso in questi giorni. »
Ecco una cosa di cui avrebbe preferito non parlare.
Senza saperlo, lui continuò. «Ci ho pensato e... sei riuscita ugualmente ad usare il tuo potere senza ricorrere al cristallo, anche se in modo minimo. Forse esiste la possibilità che un giorno tu possa arrivare a trasformarti anche senza averlo con te.»
Come?
«Pensavo che magari potrei aiutarti. Ad allenarti intendo, se pensi di avere bisogno di qualcuno contro cui combattere... Cos'hai?»
Si mise a ridere come una sciocca e lo abbracciò forte.
«Cosa c'è?»
«È che... è la stessa cosa che ho pensato questa mattina. La trasformazione senza il cristallo, voglio dire. E pensavo che volessi chiedermi perché non l'avevo con me oggi.»
«Non è nella tua borsa?»
Usagi negò col capo e lui rimase in silenzio, visibilmente sorpreso.
Oh. Lui aveva creduto che lei avesse comunque il cristallo a portata di mano, anche se non su di sé.
Usagi si irrigidì: Mamoru non avrebbe approvato. Avrebbe avuto ragione, ma non-
«Ho capito.»
«È solo che-»
«Usa, lo so. Però... tra qualche giorno ricomincia a portarlo. Nemmeno io posso immaginarti in pericolo.» Le mise un braccio intorno alla vita e appoggiò il viso sui suoi capelli.
Lei chiuse gli occhi, meravigliandosi di come ogni tanto la sua anima lo riconoscesse come la propria parte mancante, esattamente come se lo stesse incontrando per la prima volta. Si lasciò cullare dall'intensità di quella sensazione, totalizzante ma portatrice di una infinita calma.
In quel momento era dove niente e nessuno le avrebbe fatto del male, con l'altra parte di sé.
La mente si sgombrò e iniziò a vagare sul nulla della tranquillità.
A lato, vedeva la tenda del balcone sollevarsi da terra, la luce del giorno tanto più forte là fuori, rispetto all'interno della stanza.
Sentiva aria, sulle gambe, sul viso... appena. L'orlo della gonna si muoveva piano, cullato dal vento.
I capelli della frangia si spostavano, accarezzandole la fronte.
Rimase ferma, con lo sguardo fisso a notare tutto e niente.
In pace.
Percepiva anche il calore del corpo di Mamoru. Il suo respiro sui capelli. E, in quel silenzio, come portato dal vento, quel suono...
Si concentrò, appoggiando meglio la testa sul suo petto. Lo sentiva appena, ma era proprio il battito del cuore di lui.
Gli angoli della bocca si spostarono
all'insù con infinita ma inesorabile lentezza, mentre la assalivano i ricordi di innumerevoli momenti.
Quel battito lo avrebbe sentito tante volte, in futuro, ma lo aveva fissato nella mente già da tempo, testimone di una vicinanza conquistata e riconosciuta come necessaria. La prima volta, la ricordava ancora distintamente, lo aveva udito con sorpresa all'orecchio, la testa appoggiata contro il petto di Tuxedo Kamen, mentre lui la allontanava da un nemico.
La volta che ricordava come più cara, lo aveva udito con la testa affondata tra le sue braccia, mentre lui la stringeva dopo aver ricordato il loro passato, quando per la prima volta davanti a loro c'era stato un vero futuro da vivere insieme.
Erano talmente tante le occasioni in cui quel suono l'aveva cullata, rassicurata.
Era un battito lento e portatore di calore la cui vicinanza le era mancata come l'aria stessa, nei mesi appena trascorsi.
Chiuse gli occhi, volendo solamente... sentire.
Nel successivo istante, vide senza vedere. Sopra di lei il cielo era scuro, immenso. Stelle brillanti, dal numero infinito. E sempre in alto, su un lato, c'era uno strano astro, quasi del tutto blu, enorme. Meraviglioso. Lei aveva le braccia nude, addosso un vestito quasi impalpabile, leggero. Rimaneva sempre quel battito, all'orecchio. Alzando lo sguardo incontrò gli stessi occhi, lo stesso viso, lo stesso sentimento. Dalle labbra che quasi la toccavano udì un nome diverso, ma sempre, sempre il proprio.
Sbatté le palpebre e fu di nuovo tutto come prima.
Serenity.
Il primo vero ricordo della sua vita passata, vissuto e non raccontato.
Era stata Serenity. Con Endymion.
Aveva sempre saputo di essere stata Serenity, ma erano state davvero una cosa sola nei momenti di pericolo e in quelli solamente.
Mentre ora... si era ritrovata come Usagi, sulla Luna, con Mamoru.
Tutto quello che aveva provato chissà quante centinaia di migliaia di anni prima continuava ad essere identico a ciò che provava adesso, grazie a quell'unica costante.
Con altri nomi, con altre vite, quel rapporto tra anime per loro era sempre uguale.
Si erano persi e poi ritrovati, in un altro tempo e in un altro pianeta.
E ora erano Usagi e Mamoru, sulla Terra.
E ugualmente erano Serenity ed Endymion, sdraiati su un divano, tranquillamente vicini, come avevano sempre desiderato.
Insieme.
Dopo guerre e tragedie, secoli dopo, erano ancora lì.
Quello che aveva in quel momento sarebbe stato suo per sempre, qualunque cosa fosse successa in futuro.
«Credo che si metterà a piovere più tardi» commentò Mamoru, sentendo aumentare la forza dell'aria che entrava dalla finestra e vedendo diminuire la luce del sole.
Usagi alzò lo sguardo su di lui. «Non ha importanza. Ti amo.»
«Come?»
«Ti amo.» Si abbandonò al calore del suo abbraccio.
«Dalla pioggia alla dichiarazione mi è sfuggito un passaggio.» Mamoru si mise a ridere. «Ma ti amo anche io.»



Nel buio del solaio entrava solo la luce della luna.
Dopo il temporale del primo pomeriggio, le nuvole si erano rapidamente dissolte.
Non c'era polvere dove lei appoggiava le mani. Sua madre doveva aver pulito da poco; credeva ancora che la nipotina Chibiusa fosse tornata a stare dai suoi genitori.
Finendo di salire le scale, Usagi si alzò in piedi: non rischiava più di sbattere la testa contro il soffito.
Si diresse verso la luce della piccola finestra. Accanto c'erano un lettino, un comodino e una scrivania.
Il piccolo letto... Sorrise. Era proprio da bambina. Minuto e con sopra le coperte decorate con buffi animali.
Vi si sedette sopra. E vi si sdraiò, raggomitolandosi per starci tutta.
Chibiusa le mancava.
Nei mesi passati, in assenza di Mamoru, era stato quasi lacerante il bisogno che aveva sentito di averla accanto. Senza di lei e senza Mamoru, era stato come vivere con un cuore incompleto, una metà persa in un colpo solo. Per tanto tempo erano stati in tre e, all'improvviso, era rimasta solo lei.
Eppure aveva sempre saputo che Chibiusa stava bene. Anzi, che stava persino là, in quel futuro dove lei e Mamoru erano insieme e felici. Quel pensiero l'aveva confortata: vi aveva fatto ricorso più volte, per togliersi di dosso la tristezza che l'aveva oppressa.
Da quando Mamoru era tornato, aveva smesso di pensarci, ma, da poco, era nato in lei un pensiero sfuggevole: quanto sarebbe stato bello poter uscire di nuovo tutti e tre insieme. Solo dopo si era ricordata che Chibiusa non c'era.
Certo, era cosciente che sarebbe potuta tornare da un momento all'altro, ma oramai erano quattro mesi che non lei non si faceva vedere. Nei precedenti viaggi era passato molto meno tempo tra una visita e l'altra. Certo, se fosse arrivata anche solo un mese prima...
Ebbe in testa l'immagine di Chibiusa che spariva nel vuoto, il seme di stella rubato.
Di scatto, si mise seduta sul letto.
No, per fortuna non era stata lì.
Sospirò e scosse la testa.
Nonostante tutta la felicità di quei giorni, quelle immagini ci avrebbero messo qualche tempo ad abbandonarla del tutto.
L'unica cosa da fare era concentrarsi su quanto di bello la circondava. Ricordi, sensazioni.
Lo sguardo le cadde sulla scrivania.
Sorrise.
Se Chibiusa fosse tornata, probabilmente non avrebbero più litigato per l'attenzione di Mamoru, come una volta.
In fondo, la bella lampada incantata di cui Chibiusa le aveva parlato, aveva nascosto più segreti di quanti lei avesse immaginato.
E in quella battaglia, anche grazie a quel ragazzo dai capelli argento, Chibiusa era cresciuta.
Ricordò lo sguardo perso nel vuoto che aveva visto spesso nel piccolo viso di lei, così simile al suo. Il primo amore.
Già, Chibiusa era cresciuta da quando era arrivata lì per la prima volta, in quel giorno lontano, nel parco, armata di una pistola giocattolo.
Una bambina che cresceva.
Ogni tanto si era domandata come mai la futura se stessa continuasse a mandarla nel presente.
Non pensava fosse indolore vivere lontani dalla propria figlia, perdersi quei momenti in cui piano piano lei diventava grande.
Allo stesso tempo, capiva la necessità di farla allenare, di farla diventare una guerriera abile. In un mondo futuro, di pace, questo non sarebbe stato possibile.
E poi la se stessa futura avrebbe saputo che-
Gli occhi le si spalancarono.
La se stessa futura avrebbe saputo che Chibiusa li avrebbe aiutati a sconfiggere Nehellenia, con l'aiuto di Pegasus.
Avrebbe saputo che contro il Faraone 90 Chibiusa sarebbe stata fondamentale per Hotaru e che da questo sarebbere dipese le sorti delle battaglia.
Avrebbe anche saputo che... Trattenne il respiro.
Non c'era stato alcun bisogno di Chibiusa contro Galaxia. Ecco perché non era tornata.
C'è una buona notizia. Ho percepito anche che non avremmo battaglie per almeno un paio d'anni.
Nella mente le risuonarono le parole di Rei.
Niente battaglie per i due anni che sarebbero venuti.
Niente Chibiusa.
Scosse la testa.
Forse stava esagerando. Magari Chibiusa sarebbe tornata in visita. Forse non a lungo, ma almeno in visita.
Lo sperò tanto. Semplicemente, senza di lei le cose non erano più come prima.
Portò le ginocchia al petto e appoggiò lì la testa, guardando la luna fuori dalla finestra, ormai non più piena.
Cercando di rilassarsi, chiuse gli occhi.
All'improvviso, dietro di sé udì un insieme di rumori... magici.
Quando si girò, una luce intensa le accecò la vista.
Un tonfo. «Ahi!»
E una voce femminile. Che lei non riconosceva.
Balzò in piedi sul pavimento e assunse una posizione di difesa.
Non aveva la spilla. Era di sotto.
Ironico che le paure di quella mattina si dovessero concretizzare con tanta velocità.
Maledizione.
Prima che potesse pensare ad altro, nella parte del solaio non illuminata dalla luce si mosse una figura.
Il suo stesso corpo impediva alla già poca luce presente di arrivare a coprire quell'angolo della stanza, perciò si spostò appena e riuscì a vedere meglio.
La figura ora era in piedi. Sembrava una ragazza. In una posa... inoffensiva.
Era comunque un'estranea dentro casa sua, perciò non si fidò. «Chi sei?»
Le sembrò di sentire una breve risata dalla sconosciuta. La vide avanzare a passi lenti verso la luce.
Si preparò ad attaccare, pensando a come fare per riuscire a spostarla dal proprio cammino e correre rapidamente di sotto.
Fermò ogni movimento quando vide la faccia della ragazza.
La propria faccia.
Ma che-?
Un nemico?
Un'illusione?
Mille idee le attraversarono la testa e la sconosciuta parve capirlo.
Si fermò e andò a toccarsi i capelli, portandoli sotto la luce. Parlò per la prima volta. «Non capisci?»
I capelli della ragazza non erano biondi. Per via della poco luce all'inizio non capì bene, ma poi... rosa. E i codini non erano rotondi, ma coni rovesciati e alti.
Non era possibile.
Non- «Chibiusa?»
Ebbe come l'impressione che fosse stata la sua voce a giungere a quella conclusione, ben prima della sua testa.
La ragazza le sorrise dolcemente.
Nella curva di quelle labbra Usagi riconobbe il sorriso di Mamoru, quel particolare che solo lei aveva notato, nel tempo.
Nel viso della ragazza brillarono gli stessi occhi marroni della bambina che lei aveva amato.
«Chibiusa?» ripeté, avvicinandosi.
Un cenno della testa confermò le sue parole. «Anche se nessuno mi chiama più così.»
«Chibiusa?»
«Sì, Usagi. Sono Chibiusa. O Usagi. Sono Usagi.»
Usagi alzò una mano per toccarle il viso e non ci furono né proteste né movimenti.
Si stupì nel venire a contatto con la pelle fresca, nonostante ogni altra prova che aveva avuto.
Era vera.
E grande. Alta quanto lei e all'incirca con la sua stessa età.
Vestita come una principessa.
«Ma...»
«Sediamoci Usagi. Ti spiego.»
Usagi si lasciò prendere la mano, facendosi condurre verso il letto. Ancora una volta, nel gesto tranquillo e deciso, la nuova Chibiusa le ricordò Mamoru.
Anche da seduta, Usagi continuò a guardarle il viso, memorizzando le fattezze ormai adulte. Erano le sue, ma, allo stesso tempo, erano proprio quelle di Chibiusa.
«Sei... »
«Cresciuta» finì Chibiusa.
Usagi annuì.
«Sì» le confermò lei, poi fece una pausa, come se stesse cercando le parole giuste.
Chibiusa cresciuta. Per quale motivo doveva tornare indietro da grande? Forse... «C'è qualche problema, un nuovo nemico?»
«No no, sta tranquilla. Nessun nemico.» Vi fu sorpresa per la conclusione a cui era arrivata.
Usagi si tranquillizzò. «Ma allora perché...»
«Aspetta. Aspetta un attimo.» Chibiusa rimase a contemplarla per qualche istante; poi, all'improvviso,
le gettò le braccia al collo. «Mi sei mancata tantissimo, Usagi.»
Nel profumo dei suoi capelli Usagi riconobbe l'odore di Chibiusa. Un po' cambiato, più maturo, ma sempre quello stesso odore.
La abbracciò forte e sorrise di gioia: ecco, in quell'abbraccio improvviso riconosceva molto di se stessa. «Anche tu, Chibiusa. Mi sei mancata da morire.»
Si staccarono.
Chibiusa continuò a guardarla con aria commossa e le sembrò che deglutisse un groppo alla gola. «Secondo quello che ha detto Puu, qui non sono passati più di quattro mesi da quando sono venuta l'ultima volta.»
Già.
«Per me... sono passati anni da quando sono sono stata in questo tempo.» Un sospiro. «Usagi... questa sarà l'ultima volta che ci vedremo, prima che io nasca.»
Per Usagi fu come una pugnalata al cuore. Anche se, nel vederla grande, in un angolo della sua mente lo aveva già capito. Chiese lo stesso, stupidamente. «Non- Non tornerai come...»
«No, non tornerò da bambina qui.»
Usagi rimase in silenzio, ogni parola dimenticata. Se avesse cercato di parlare, probabilmente avrebbe solo pianto.
Chibiusa continuò. «L'ultima volta che sono venuta in questo tempo è stato durante l'ultima battaglia contro Nehellenia. Vi avevo promesso che sarei tornata. Volevo tornare, ma la mamma non me l'ha permesso.»
Lei stessa le aveva proibito di tornare?
«La mamma mi ha raccontato solo recentemente in modo preciso cosa è accaduto in questi mesi, in questo tempo. Anni fa non l'avrei mai detto, tanto ero arrabbiata con lei, ma... è stato meglio che io non sia stata qui. Era pericoloso e sarei stata... d'intralcio.»
«No!» Si affrettò a smentirla. «È vero, sarebbe stato molto pericoloso per te, ma... non hai idea di quanto tu mi sia mancata in questi mesi. Se tu fossi stata qui, io credo che forse sarei stata meno male, che forse...» Sospirò e mosse la testa da un lato all'altro. «Saprai di cosa sto parlando. Ma anche così, no, per il tuo bene è stato meglio che tu non sia stata presente. Ma non perché saresti stata d'intralcio.»
Chibiusa le appoggiò una mano su una spalla. «Grazie. Sì, so cosa è successo con Mamoru. Dev'essere stato difficile... a dir poco.»
Usagi non poté far altro che annuire.
«Ma è passata, Usagi. Ora siete felici.»
Chibiusa che le faceva forza. Lo aveva fatto già da piccolina, ma ora...
«Sai, mi sembra così strano parlarti così, mentre sono grande. È... diverso.»
Usagi le mostrò un sorriso. «Stavo pensando la stessa cosa.»
Chibiusa ridacchiò, tirando fuori la lingua con fare sbarazzino. «Ci somigliamo di carattere anche dopo tanti anni.»
«Sì.» Con una mano, Usagi le accarezzò il viso. «Mi somigli davvero molto.»
«È vero, lo dicono tutti.» Il tono sembrava quasi... soddisfatto.
«Tutti chi?»
«La mamma, il papà, le altre guerriere e... beh, le persone.
» Sorrise, quasi come se nascondesse un segreto. «Le persone su cui regniamo. Dicono che somiglio sempre più ad una vera regina.»
«Col nostro aspetto?» Usagi era incredula.
Chibiusa scoppiò a ridere, piano. «Sì. Non mi ero mai accorta di quanto fosse assurdo.»
«E... tu stai bene, nel futuro?»
Chibiusa tornò lentamente seria e guardò nel vuoto, come se avesse la mente in un mondo lontano. «Sì, sto molto bene. Ho delle amiche ora, care amiche. E... sento di aver trovato il mio posto. A casa mia. È un traguardo, se ci pensi.» Sorrise e poi si voltò verso di lei, guardandola negli occhi. «Usagi, il mio apprendistato era finito. Dentro di me avevo imparato ad essere una guerriera. E nella battaglia che stavi per combattere tu non c'era più bisogno di me.»
E per questo non era tornata. Come aveva sospettato. «Chibiusa, nonostante quello che dicevo a volte, tu per me non eri un peso, eri come...»
«Una sorellina?»
Usagi si ritrovò ad annuire, sorpresa.
«Me l'ha detto la mamma. Anche tu eri come una sorella per me, Usagi. Ma... tu hai solo sedici anni. E una sorella che è anche tua figlia non è proprio la cosa migliore.»
Usagi fu sul punto di protestare, ma Chibiusa la interruppe. «So che mi volevi bene, ma ora che sono grande come te credo di riuscire a capire meglio perché ti facevo arrabbiare tanto spesso. Per la verità, non so nemmeno come reagirei se capitasse a me di dover vivere con la mia futura figlia intorno.» Le sorrise ma allo stesso tempo assunse un'espressione più grave. «Mamma ha detto che non c'è nessun problema a parlartene, ora. Dice che tu e Mamoru sapete quanto tempo manca più o meno prima che... il presente incontri il futuro.»
«Sì.»
«Non sono poi così tanti anni, Usagi. È giusto che tu sia solo una ragazza ora. Che tu stia sola con Mamoru, che tu cresca per diventare quello che sarai in futuro. Non chiedermi se ci saranno altre battaglie prima di allora, questo non posso dirtelo.»
Usagi si sentì prendere le mani fra quelle di lei.
«Avrai una vita intera per stare con me. Crescendo, ho rivisto un po' più di te nella mamma. Mi ha detto che è questo il periodo a partire dal quale tu... inizierai a diventare lei. Sai, quando stavo qui non facevo che chiedermi come tu potessi essere la mia mamma, che quando voleva invece riusciva a essere così elegante e seria.» La osservò attentamente. «Mi è stato detto anche che l'hai deciso da poco.»
Usagi annuì ancora una volta.
«Vedi? Sono cambiate così tante cose in questi mesi per te. L'Usagi che conoscevo io non avrebbe mai preso una decisione del genere.»
L'Usagi che conosceva lei era stata così sicura che la piccola Chibiusa sarebbe stata ancora a lungo una costante della sua vita...
«Io e te staremo ancora insieme, perciò non essere triste.» Chibiusa le strinse più forte le mani e aspettò che lei alzasse lo sguardo per continuare. «Ho già parlato con le ragazze e con Mamoru, tu eri l'ultima che volevo salutare, prima di lasciare questo tempo.» La abbracciò. «Ti voglio bene, Usagi. La prossima volta che ci rivedremo, avrò la vista sfocata e non sarò più lunga di cinquanta centimetri.»
Nonostante le lacrime che ormai le stavano cadendo dagli occhi, Usagi trovò il modo di ridere.
Chibiusa le diede un bacio sulla guancia e, quando si allontanò, Usagi vide che stava piangendo anche lei, pur cercando di trattenersi.
«Ricordati che quando tornerò dall'altra parte, ci sarai proprio tu ad aspettarmi. Sto solo tornando da te.»
Usagi non riuscì a lasciarle le dita.
Chibiusa si passò l'altra mano sulle guance, asciugandole. Inspirò profondamente e la guardò dritta negli occhi, serena. «Allora... arrivederci, mamma.»
E sparì, in un bagliore di luci.
La Chibiusa dei suoi anni adolescenziali se ne andò così, in una notte d'estate.
Usagi non si mosse, sentendo ancora la sua mano tra le proprie.
Si trovava sul lettino dove tante volte Chibiusa aveva dormito.
Ancora prima, nel proprio letto, aveva spesso sentito il respiro della bambina che dormiva beata, per poi calciarla nel mezzo della notte.
Le mille scocciature, le mani con cui tirava la giacca di Mamoru per farsi prendere in braccio, le battute intelligenti, le liti per prendere il pezzo di torta più grande, le battaglie da Sailor ChibiMoon, la sua testardaggine, il suo coraggio...
Usagi sentì un vuoto dentro, all'altezza del petto.
Si strinse il torso con entrambe le braccia, per non crollare. Respirò e tentò di dare aria al corpo intero.
Infine, ricordò.
Chibiusa sarebbe tornata alla vita proprio da dentro di lei. Sarebbe nata da lei e Mamoru.
Lei l'avrebbe stretta di nuovo un giorno, piccolina, pronta a darle tutto il suo amore.
L'avrebbe vista crescere, l'avrebbe educata, amata e poi... l'avrebbe lasciata sola per affrontare una battaglia. E allora quella sua bambina sarebbe tornata nel passato, dove sarebbe andata tante altre volte, dopo. Le sarebbe mancata anche allora ma un giorno, finalmente, sarebbe rimasta a casa, con lei.
Con lei, sua madre, e con Mamoru, suo padre.
Per vivere insieme ancora, prima che diventasse grande come l'aveva appena vista e cominciasse a costruire una propria vita, un proprio destino.
A quel punto pianse davvero, e furono lacrime di gioia e tristezza.
Sì, Chibiusa era tornata dove doveva stare, con l'altra se stessa, quella di cui era davvero figlia in ogni senso.
Chibiusa, la piccola Usagi.
Si asciugò le lacrime e fece un profondo respiro.
Sua figlia.
Avrebbe avuto una figlia.
Avrebbero avuto una figlia.
Non era affatto la fine.
Tutto doveva solo ancora iniziare.



Camminava nel parco, in pieno pomeriggio.
Era una giornata come le altre, eppure nuova.
Andava dalla ragazza che amava, con la consapevolezza che non avrebbe più rivisto quella bambina che aveva tanto amato.
Parte di lui, parte di lei.
Ma sarebbe tornata, in futuro, in una forma diversa e lui sapeva che, inverosimilmente, l'avrebbe amata ancora di più.
Tornò a guardarsi intorno.
Coppie che passeggiavano, gente che leggeva, cani coi loro padroni, bambini che correvano.
Vita. Uno scorcio di esistenza quotidiana.
La loro non era mai stata una vita normale.
Eppure, qualche tempo, avrebbero vissuto completamente la quotidianità tanto comune ad altri.
Li aspettavano anni di pace.
Ed erano già iniziati.
Mamoru sorrise apertamente e iniziò a correre.

Era sdraiata sull'erba, nel parco, gli occhi al cielo.
Sotto di lei, un manto erboso. Intorno a lei, quell'odore di terra che aveva sempre trovato così piacevole, così vivo.
Usagi girò la testa di lato. La mano era appoggiata sulla distesa verde.
Osservò la brezza del vento muovere delicatamente i fili d'erba, come in una danza. Ne accarezzò uno, dalla radice fino alla punta. Contro le sue dita, danzò. Lei ricambiò la sua armonia con un sorriso dell'anima.
Alzò nuovamente lo sguardo.
Il sole le accecava la vista, fonte di vita.
In un lato del cielo, timida, sbiadita, stava la Luna. Era ancora presto per iniziare a illuminare la notte.
Luna.
Era stata casa, un tempo.
Forse, col passare dei mesi, degli anni, avrebbe ricordato sempre di più.
Ora vedeva solo quel cielo scuro e immenso di quell'unico ricordo, con a lato... la Terra.
Lei l'aveva guardata da lassù, in un'epoca lontana.
E ora viveva proprio lì, proprio qui.
Questa, ora, era casa.
Un tempo era stata una principessa della Luna, erede del potere di quel pianeta.
Ora...
Affondò la mano nella terreno.
Ora era un'abitante della Terra.
Sarebbe stata la sua regina.
Quella Terra che aveva a lungo sognato da lontano ora era parte di lei, totalmente parte di lei.
La amava.
Ed era lì che avrebbe costruito un futuro.
«A cosa stai pensando, lì sdraiata?»
Sorrise allo sguardo felice sopra il suo. «A questo mondo.»
Gli tese una mano.
«Vieni anche tu.»
Lui prese la mano offerta e si sdraiò accanto a lei.


FINE



Note del Luglio 2010:
Questa fanfic appartiene alla saga di 'Oltre le stelle'. Il sequel diretto è 'Oltre le stelle - scene' e prosegue poi con storie dedicate ad Ami e Rei e agli altri personaggi in due one-shot e una raccolta di one-shot, fino ad arrivare al sequel di 'Oltre le stelle', 'Verso l'alba', una fanfiction in cui sto cercando di costruire una sorta di proseguimento vero e proprio di Sailor Moon e dare attenzione anche a tutte le altre guerriere (Makoto e Minako in primis, ma anche le Outer Senshi e alcuni nuovi personaggi di mia creazione), nonché naturalmente a Usagi e Mamoru. Vi sono storie d'amore, momenti drammatici, combattimenti e situazioni comiche, tutto cercando di rimanere sempre IC.
Ringrazio le 84 persone che hanno messo 'Oltre le stelle' tra i preferiti e tutti coloro che hanno recensito questa storia. Per me sentire cosa pensate (critiche o complimenti che siano) è sempre un enorme e grandissimo piacere.
ellephedre

NdA originali: Un po' mi sono commossa.
La fine della mia prima storia a capitoli.
Questa forse è stata la parte più difficile da scrivere; molte scene non le avevo già avute in mente, come in precedenza. Ma, con pazienza, mi sono venute mentre scrivevo e sono soddisfatta del risultato finale.
Spero che il finale vi sia piaciuto.
Grazie a tutti coloro che hanno seguito questa storia.
Grazie alle ventotto persone che l'hanno inserita tra i preferiti. Grazie per averla voluta tenere sempre d'occhio. A chi di voi non ha mai lasciato un commento, chiederei solo un paio di parole, perchè è sempre bello sapere cosa ha attirato la vostra attenzione.
Un grazie particolare a tutti coloro che mi hanno lasciato un commento. È stato sinceramente una gioia leggere ciò che pensavate. Mi avete fatta ridere, mi avete reso fiera del mio lavoro, mi avete dato persino idee per scrivere :)
Mi riferisco alla breve one-shot che ho scritto già per metà in risposta alle domande 'Mamoru verrà mai a sapere cosa ha detto Usagi alle sue amiche? Le amiche si tradiranno?'
Sarà un pezzo divertente (spero almeno di riuscire a rendere bene il divertimento). Non si adattava come tono al finale di questa fanfic, però ho voluto scriverne comunque.
Lo pubblicherò fra non molto, ma solo dopo la one-shot su Rei, un'idea che mi ha molto preso. Anche quella fanfic sarà comunque collegabile all'universo di 'Oltre le stelle' (ovvero, la Usagi che troverete lì sarà proprio questa Usagi, più o meno due anni dopo; la sua però sarà giusto una breve apparizione).
Ancora non ho deciso se continuare questa saga, anche se ho diverse idee (al momento l'idea che prende corpo nella mia mente è di scrivere cosa inizia a succedere due o tre anni dopo la fine di questa storia), ma se metterò per iscritto tutto ciò, non si tratterà di un progetto piccolo, per cui probabilmente non lo pubblicherò in tempi brevi.

Un paio di note:
- 'hentai' per chi non lo sapesse è un termine giapponese che indica tutto ciò che è 'pervertito'. Si potrebbe tradurre sia così che con 'maniaco'.
- Kyushu è l'isola più meridionale dell'arcipelago giapponese. È considerata un buon luogo di villeggiatura per quel che poco che so, anche per via del clima caldo.
- Yokohama è davvero molto vicina a Tokyo. Date le dimensioni delle due città, sono di fatto considerate un unico grosso conglomerato urbano a livello di densità abitativa

Ah, a luciadom che mi chiedeva di inserire un carattere più grande: un trucco che funziona è quello di allargare i caratteri della pagina tramite il browser; si può adattare i testi alla dimensione preferita se si fa così.

Salutandovi, volevo consigliarvi, nel caso vi sia piaciuta la mia storia, di leggere le storie che ho messo fra i preferiti. Meritano.
Grazie di aver letto e spero di sentirvi in una recensione.

Ciao a tutti
ellephedre

   
 
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