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Autore: SylPms    23/12/2014    1 recensioni
Kaya è una normale diciassettenne di un normale, fin troppo, paesino dell'Inghilterra del Nord. Vivere senza i genitori è ben altro che una favola per lei, costantemente tormentata dal pensiero di essere una delusione per loro e per se stessa. Tutto però sta per cambiare e ogni sua certezza, perfino ciò che pensava di sapere su se stessa verrà messo in discussione. Sarà l'incontro-scontro con il tenebroso Demian Sinclair ad illuminare il passato oscuro che ignorava di avere e che sembra riemergere giorno dopo giorno, portando con sé orribili verità. Kaya è una Guardiana e questo comporterà dei sacrifici dolorosi che la metteranno a dura prova. A complicare il tutto, il ricordo di un amore millenario macchiato di sangue torna a tormentarla, sotto forma di un bellissimo viso angelico dall'anima nera.
Genere: Fantasy, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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note dell'autrice : salve a tutti! Volevo innanzitutto ringraziare tutti quelli che leggeranno la mia storia, se ci sarà mai qualcuno. Per me è molto importante perché ripongo davvero tante speranze nei personaggi e nella trama. Era da tanto che non mi sentivo così presa da un mio lavoro e credo valga la pena leggerlo. Ho assoluto bisogno dei vostri consigli, però, sia sulla trama che sullo stile. Non pensate minimamente di ferirmi con eventuali critiche negative perché so che ho molto da imparare e sono impaziente di farlo! Grazie mille ancora e buona lettura!


Capitolo I
Moorlake  era una cittadina cupa. Uno di quei posti in cui il sorge solo per modo di dire. Potevi vederlo sbucare da dietro le montagne al mattino, ma sembrava quasi un’illusione ottica perché i raggi non riuscivano mai a superare le cime appuntite dei monti e venivano risucchiati dalla coltre perenne di nuvole grigiastre che le sovrastavano. Eppure riusciva a trovare varie sfumature in quelle giornate apparentemente tutte uguali, che riuscivano a diventare soleggiate alle volte, anche se non c’era il sole.
Quella giornata per esempio, era una giornata soleggiata. Le nuvole si erano disposte in cielo a formare una struttura geometrica con alcune falle dalle quali, di tanto in tanto, riusciva a farsi spazio un raggio invisibile di sole. In giorni come quelli indossava il suo vestito più scuro, di modo da poter attirare egoisticamente a sé tutti i raggi che fossero arrivati a baciare la terra.
La punta leggermente arrotondata delle sue scarpe color testa di moro risplendevano con la tipica laccatura di una palla da bowling appena lucidata. All’ingresso infatti, accanto alla porta, sua madre aveva posizionato uno strumento che sarebbe stato facilmente scambiato con un arma di tortura, trovato al mercatino dell’antiquariato di Bowret, qualche miglio più a sud. Era un lucida scarpe di quelli che si trovavano nelle vecchie case dei rampolli che conservavano il titolo di una nobiltà ormai estinta ma che di tanto in tanto organizzavano balli in maschera per dare l’opportunità alle signore di coprirsi le gambe ma lasciare sempre in bella vista la scollatura.
Ricordava ancora quando l’avevano comprato e la finta espressione scioccata di suo padre che pur di non ammettere quanto fosse fantastico, storceva il naso e scuoteva la testa prendendosi gioco di loro.
Comunque avrebbe preferito di gran lunga vederlo atteggiarsi da superiore piuttosto che non vederlo per niente. E lo stesso valeva per sua madre, con la differenza che nel suo caso, vederla sarebbe stato possibile in un modo o nell’altro.
Infilò cinque biscotti allo zenzero nella tasca destra del suo cardigan e scosse vigorosamente la cuccia di Jacskon, il suo gatto, per evitare che fosse troppo sveglio la notte seguente.
Fece un bel respiro profondo prima di uscire di casa perché sapeva che quel giorno non sarebbe stato come tutti gli altri. Aveva sempre pensato che i periodi di tempo convenzionali, i giorni, i mesi, gli anni non avessero alcun significato reale se non quello di permette agli uomini di dare più o meno valore alle loro esperienze, dal momento che era il valore a rendere una cosa migliore di un’altra. Aveva sempre pensato che non importava quanto tempo fosse passato, che ogni giorno avrebbe avuto lo stesso valore, ma puntualmente, ogni volta che questo giorno arrivava, sentiva lo stomaco contorcersi come a volerglielo ricordare, come se fosse necessario rivivere tutto nell’esatto ordine. La cosa ridicola era che nel momento in cui era successo, non aveva la più pallida idea di che ora o giorno fosse mentre adesso sembrava fosse scolpito dappertutto, su ogni tronco d’albero, al posto delle promesse d’amore dei giovani innamorati.
Non sapeva se fosse effettivamente un caso che si trattasse del giorno più soleggiato dell’anno, quello del suo compleanno e della morte di suo padre. Comunque non pensava fosse una punizione celeste per non permetterle di godersi quell’unico assaggio di tepore mattutino che le era concesso, quanto un modo per fuorviare la tristezza che avrebbe dato di default a quella data.
Comunque nessuno lo sapeva – o perlomeno ognuno era a conoscenza solo di uno dei due avvenimenti, così avrebbe evitato inutili piagnistei e sguardi più seccati che dispiaciuti, per via dell’impossibilità apparente di fare battute e mostrarsi allegri di fronte a lei.
Non ne vedeva il motivo e infatti, perfino il giorno del funerale di suo padre non aveva rinunciato ad ascoltare la musica ad un volume estremamente alto, mentre di sotto tutti cercavano di mantenere un tono di voce abbastanza basso da non sembrare troppo allegro.
L’unica persona a sapere di quella ricorrenza era la sua amica Inna.
 -Kaya! Verde bottiglia, attraente- le girò intorno osservando compiaciuta il colore cupo del vestito.
-Di questo passo ti abbronzerai entro fine giornata- ridacchiò e si mise in bocca l’ultimo pezzo della sua gelatina al lampone.
Il fatto che lo sapesse, comunque, non significava che le avrebbe riservato uno sguardo compassionevole. Forse era per questo che la cosa non le pesava particolarmente.
-Non ne ero molto convinta, ma volevo qualcosa di diverso- si passò una mano sulla gonna a costine che le sfiorava appena il ginocchio. -Comunque spero di no, sai quanto mi piaccia avere l’aria di un cadavere con il virus intestinale-
-La tua delicatezza mi lascia perplessa delle volte- scosse la testa appoggiandosi completamente all’armadietto di metallo -Mi chiedo come faccia un visetto così dolce a dire cose così schifose-
Kaya abbozzò un mezzo sorriso divertito e scrollò le spalle. -Ho un futuro brillante come anatomopatologo o sceneggiatrice di splatter-
-O come serial killer, che sarebbe un incrocio tra i due-
Conservò la chiave del suo armadietto in tasca e cercò di lasciare uno spazio libero per i suoi occhi mentre trasportava fino all’aula di storia tutti i volumi che doveva restituire alla biblioteca.
-Prima o poi andrò addosso a qualcuno e sarà sicuramente qualcuno di poco amichevole e comprensivo-
-O magari andrai addosso al ragazzo più affascinante della scuola e ci sarà un colpo di fulmine che manderà in corto circuito l’intero edificio- ridacchiò, saltellando di tanto in tanto consapevole che un’offerta di aiuto le avrebbe procurato un’occhiataccia non indifferente.
-Devi smetterla con queste fantasie sdolcinate- ribatté ancora incerta se fosse seria o meno -E poi in quanto a ragazzi affascinanti questa scuola non è molto fornita- sbuffò, come se davvero fosse interessata a qualcuno dei ragazzi della sua età, troppo impegnati con il proprio ego.
Forse non fece nemmeno in tempo a terminare la frase che un gemito soffocato le fece capire di essere decisamente andata a sbattere contro qualcuno. Lo spigolo del tomo immenso di chimica organica si era conficcato con estrema precisione nello spazio tra le costole del ragazzo che ancora non era riuscita ad identificare. Indietreggiò all’istante permettendogli di accasciarsi con dignità su se stesso e poggiò i libri a terra per assicurarsi che stesse bene.
-Oddio, scusami! Non riuscivo a vedere nulla- si morse il labbro, consapevole che comunque era stata colpa sua.
-Tranquilla, hai mancato il polmone- disse, con la voce ancora un po’ smorzata.
Quando si rimise in posizione eretta fu sorpresa di non trovare una faccia familiare. Eppure era una scuola molto piccola ed era raro non accorgersi di un nuovo studente. Ed effettivamente lui non era per niente nuovo.
-Sicuro di stare bene? Vuoi che ti accompagni in infermeria? -
Lo sentì ridacchiare e nel farlo le mostrò i denti perfettamente bianchi ma adorabilmente accavallati. Si chiedeva come facesse a non avere la più pallida idea di chi fosse. Certo non era quel tipo di ragazzo al centro dell’attenzione per la sua bellezza sconvolgente, ma aveva un tipo di fascino che di certo sarebbe stato riconosciuto all’unanimità. Aveva i capelli nerissimi, come le piume morbide di un corvo, e la pelle diafana, macchiata di tanto in tanto da qualche neo regolare. I ricci gli cadevano lungo il viso smussando l’angolo duro della sua mascella e la lieve presenza di una barba incolta forse lo faceva sembrare più grande della sua età. Non sembrava il tipico studente della Harthwood, né membro di un qualsiasi team sportivo. Effettivamente non aveva visto mai nessuno, in quella scuola, indossare un paio di mocassini, né sapere cosa fossero. Comunque la cosa che più la impressionò furono i suoi occhi, quando si sollevarono per guardarla. Avevano il colore delle tenebre, neri e profondi, così scuri da non poterci leggere niente dentro oppure qualsiasi cosa. A stento riuscì a scorgere la pupilla piccolissima che apriva uno squarcio di luce al centro.
-Tranquilla, Kaya- le sorrise, lasciandola perplessa -Sono un po’ di fretta, ma se dovessi avere una crisi respiratoria ti penserò- strizzò appena l’occhio destro e si dileguò in un tempo brevissimo, sebbene non stesse correndo.
-E quello chi diavolo era?-
Lo stupore di Inna aveva perfettamente esternato ciò che si stava agitando nell’animo di Kaya. Oltre al fatto che l’aspetto di quel ragazzo l’aveva lasciata a corto di parole, il fatto che conoscesse il suo nome l’aveva definitivamente finita. Ciò significava che anche lei avrebbe dovuto conoscere il suo, dal momento che non era una di quelle reginette conosciute da tutti.
Quando abbassò lo sguardo notò una tessera bianca sul pavimento che bastò a rispondere a tutte le sue domande e forse a crearne altre cento.
La foto era sfocata ma comunque bisognava sforzarsi davvero tanto per ricondurla all’effettivo proprietario. Doveva essere stata scattata qualche anno prima ed effettivamente molti facevano così e per la scarsa voglia di rinnovare le fotografie si utilizzavano quelle dei tredici anni.
-Demian Sinclair- sussurrò tra sé e sé ma abbastanza forte perché Inna lo sentisse.
-Stai scherzando, spero! Quello mangiava la terra fino a qualche anno fa- assunse un’espressione più schifata che sorpresa.
Kaya roteò gli occhi e la guardò con aria di rimprovero -Sono passati dieci anni!-
-Si, ma faceva comunque schifo! Una volta giurai di averlo visto mangiare anche un verme insieme alla terra-
Kaya si rigirò la tessera tra le mani, pensando che il ragazzo affascinante che si trovava davanti a lei fino a qualche minuto prima, era lo stesso bambino imbranato con la maglia sempre sporca di fango e cioccolato. Non doveva essere particolarmente sorpresa comunque, dal momento che anche lei sapeva di essere profondamente cambiata nel giro di pochi anni. Certo si sentiva un po’ in imbarazzo ad aver pensato al piccolo Demian in un modo vagamente romantico. Si voltò un’altra volta, come se ormai potesse ancora vederlo e seguì con gli occhi la traiettoria che aveva percorso. Aveva lasciato dietro di sé una scia di miele e zucchero filato che non aveva l’idea di essere uno di quei profumi costosi dai nomi esotici, ma il profumo naturale della sua pelle piuttosto.
-Ma non aveva una cotta per te da piccolo?- ridacchiò Inna, alquanto divertita da quella situazione.
-Solo perché mi mandò un biglietto di San Valentino in seconda elementare- scrollò le spalle un po’ sorpresa di ricordare ancora quel bigliettino. L’aveva tagliato a forma di cuore umano, non il solito cuore a due cupole e a quei tempi l’aveva trovato orrendo e aveva pensato che fosse davvero un incapace con le forbici. Ricordava anche quando prendeva voti bassi per i suoi disegni in cui la luna appariva bianca anziché gialla, come insegnavano tutte le maestre.
Inna le prese la tessera dalle mani e la guardò con un sorriso malizioso. -Beh, dovrai restituirgliela- fece spallucce e gliela tese.
-La lascerò all’ufficio degli oggetti smarriti-
-Non pensarci neanche! Non capisci? E’ un’opportunità per parlargli di nuovo!-
-E perché dovrei volerlo?- sbuffò, incapace di controllare l’angolo destro della sua bocca che si stava alzando in un sorrisetto compiaciuto.
Lo trovava carino ma non per questo avrebbe iniziato a fantasticare su di lui. Non l’aveva mai fatto con nessun ragazzo, nemmeno con Leonardo di Caprio di Titanic e forse per questo che delle volte si sentiva una sociopatica. Pensava fosse un comportamento da idioti e comunque non sapeva cosa avrebbe potuto dirgli a parte restituirgli la tessera e far tornare tutto come prima.
-E smettila di fare la regina di ghiaccio- le diede una gomitata e si chinò per prendere metà dei suoi libri, prima che si scontrasse contro qualcun altro. -A me sembra proprio un regalo di compleanno- sorrise e la guardò di sottecchi, aspettandosi una spallata o un’occhiataccia.
Tuttavia Kaya non poté fare a meno di sorridere. Scosse la testa lasciandosi scappare una risata divertita e recuperò il resto dei libri prima di far tardi per la lezione del professor Politch.
 
Aveva passato tutta l’ora dedicata alla rivoluzione russa a rigirarsi tra le mani la tessera di Demian rischiando di smussarne gli angoli, per quanto insistentemente se la passava tra un dito e un altro. Non l’aveva lasciata all’ufficio degli oggetti smarriti, alla fine. Per quanto non condividesse la filosofia ottimista di Inna, per una volta voleva provare a darle retta e pensare che forse certe cose accadono per un motivo preciso.
Sbuffò una risata tra sé e sé quasi vergognandosi di pensare cose simili, dal momento che non faceva altro che prendere in giro i fanatici del destino e della predestinazione.
Quando varcò il cancello dell’immenso giardino che aveva davanti si chiese se anche quella non fosse una specie di fanatismo o credenza campata in aria. Era ormai il sesto anno consecutivo che puntualmente, quel giorno, faceva la stessa cosa. Non ne conosceva esattamente il motivo, ma in un certo senso la faceva sentire a posto con se stessa.
 
Ehrlich Gray.
N. 12-06-1932 M. 28.10.1990


Non aveva idea di chi fosse quell’uomo. Aveva provato a fare qualche ricerca ma risultava difficile carpire informazioni dal web riguardo a persone morte prima di interessarsi ai social network. Tutto ciò che poteva immaginare era che fosse un marito devoto e un nonno molto amato. Non aveva mai trovato fiori secchi o finti, per evitarsi la seccatura di andare a cambiarli, sulla sua tomba. Non aveva però avuto la fortuna di trovare mai nessuno dei suoi familiari e forse era meglio così o avrebbe potuto suscitare un certo scetticismo. Attraverso alcuni registri ai quali aveva avuto accesso in modo inaspettato e al sito locale di necrologi era riuscita a risalire a lui. Si trovava nello stesso ospedale, qualche piano più in alto, il giorno che era nata e salvo qualche approssimazione, in quell’esatto momento stava morendo.
Non sapeva perché le fosse venuta voglia di cercarlo, forse perché delle volte sentiva di occupare un posto ingiustamente. Sentiva di aver preso il suo posto o che lui avesse deciso di lasciarglielo. In ogni caso era come se fosse in debito con il signor Gray, ormai solo Ehrlich dopo tutti quegli anni.
Così, ogni anno il giorno del suo compleanno, andava a trovarlo per cercare di porre rimedio al loro mancato incontro. Si passò delicatamente una mano dietro l’orecchio ed estrasse i petali sgualciti di una viola dai suoi capelli intrecciati. La posò con cura ai piedi della tomba, dietro a tutti gli altri, affinché non si vedesse e rimase seduta sui talloni a fissare la foto ingiallita.
-Credi sia stato un buon affare?- sospirò -Io credo di no-
Non aveva mai desiderato togliersi la vita eppure non poteva dire di avere validi motivi per esserne entusiasta. Sentiva di sprecare il tempo che qualcun altro avrebbe saputo usare meglio, invece di crogiolarsi nella spietata routine che la divorava ogni giorno. Cercava di prendersi cura al meglio di Jackson e della sua piantina, che comunque aveva rischiato di morire più volte di quelle che poteva contare, giusto per convincersi che la sua esistenza era necessaria o perlomeno utile a qualcun altro.
Non si sentiva un tassello fondamentale dell’umanità. Non credeva sentisse molto per esserlo ma semplicemente si vedeva come un tasto stonato nella perfezione frammentata che era l’universo.
Erano mesi che l’eco della porta sbattuta dal vento era l’unica cosa a darle il benvenuto al ritorno da scuola. Avrebbe potuto tardare ogni sera perché nessuno, alla fine, l’avrebbe rimproverata. Non era esattamente l’esperienza fantastica che poteva sembrare.
Si passò velocemente due dita sullo zigomo arrotondato, prima che questo potesse inumidirsi per via della lacrima fugace che era riuscita a sfuggire al suo controllo.
-Avrei voluto sapere come fare, come hai fatto tu con me-
Appoggiò i gomiti sulle cosce, sentendo i polpacci andare in fiamme per la posizione sospesa che ormai manteneva da troppo. -Come si fa a scambiare la propria vita con quella di qualcun altro?-
Sembrò davvero aspettarsi una risposta ma ormai, anche se l’avesse ricevuta, sarebbe stato inutile. Aveva provato più volte a rintracciare la bambina nata lo stesso giorno e alla stessa ora in cui era stato dichiarato il decesso di suo padre, ma qualcosa la bloccava inspiegabilmente. Probabilmente non sarebbe riuscita a non guardarla con uno sguardo pieno di rabbia, come se le avesse deliberatamente portato via suo padre.
Sapeva benissimo che non era così, ma delle volte voleva pensare che ci fosse un reale motivo dietro alla sua morte perché credere alla casualità non riusciva a farla andare avanti. Credere che ci potesse essere qualcosa di così spietato come il caso non le avrebbe dato la forza di svegliarsi la mattina.
Ma forse la sua teoria non era del tutto sbagliata. Forse era davvero così che le cose mantenevano il loro equilibrio, lasciando andare più di quanto ricevono. Quante vite consumate per crearne una?
Si sollevò quando ormai sentiva le sue ginocchia esauste. Tirò su con il naso e si morse il labbro talmente forte da percepire il sapore metallico del sangue sporcarle i denti perlacei.
-Mi dispiace di deprimerti con i miei piagnistei, Ehrlich- scosse la testa sorridendo appena -Non dovrei sprecare così questo giorno, non voglio sembrarti un’ingrata-
Si coprì il dorso della mano con la manica del suo cardigan sgualcito e la passò delicatamente sulla superficie convessa nella quale era racchiusa la sua fotografia.
Lo guardò un’ultima volta e gli voltò le spalle, pensando che forse avrebbe dovuto smettere. Di anno in anno la prendeva peggio, considerato quanto odiasse lasciare che le emozioni prendessero il sopravvento.
Una leggera brezza si sollevò scompigliandole i capelli e portò fino alle sue narici un odore dolciastro ma allo stesso tempo pungente che non seppe identificare inizialmente.
Si voltò, per capire se potesse intuire da dove arrivasse ma pensava di conoscere quel posto alla perfezione ormai. Più si concentrava, però, e più quell’odore diventava intenso e attraente.
Si voltò ancora e ancora finché non scorse in lontananza qualcosa che giurò non essere lì prima di allora. Un immenso albero di gelso si erigeva al centro di un vasto prato perfettamente corto e rigoglioso. La brezza ne faceva ondeggiare le foglie e l’odore di more le fu improvvisamente più nitido.
Era stata tante volte in quel posto, forse troppe per essere un cimitero, ma era sicura di non averlo mai visto e non perché non fosse stata attenta, perché una cosa come quella era difficile da non notare.
Raccolse lo zaino da terra e si fece strada tra le varie lapidi incastrate nel terreno fino a raggiungere il recinto che lo circondava, impedendone l’ingresso. Notò comunque che il cancelletto era aperto e ondeggiava appena per via del vento. Da quella distanza riusciva adesso a vedere che alle spalle dell’albero si erigeva una di quelle cappelle private raggruppare nel lato est del cimitero. Era diversa dalle altre, però. Non ostentava ricchezza, né era particolarmente definita. Era fatta di pietra e aveva la forma di una cupola non troppo alta, senza nemmeno un crocifisso sulla sua sommità. Non riusciva a leggere il nome, probabilmente coperto dalla folta chioma dell’albero e sebbene non conoscesse più della metà delle persone sepolte in quel posto, la curiosità la stava divorando. Avrebbe voluto vedere che faccia aveva la persona che aveva deciso di isolarsi così tanto dagli altri perfino nella morte. Non era nemmeno certa che si potesse fare una cosa del genere. Nella morte non c’erano privilegiati.
Doveva trattarsi sicuramente di qualche personaggio importante o influente e comunque non dovevano tenerci particolarmente, dal momento che il lucchetto del cancello era completamente in frantumi per via della ruggine. La vegetazione però era rigogliosa, ma poteva facilmente attribuirlo alla pioggia costante che di solito cadeva imperterrita anche per settimane intere.
Con una mano spinse appena il cancelletto rovinato e il cigolio dei cardini invase l’intero cimitero, deserto a quell’ora.
Sobbalzò dallo spavento quando sentì una mano vigorosa stringerle con forza il polso con l’intento di fermarla.
-Non si può entrare qui- disse con voce profonda e graffiata.
Un uomo abbastanza robusto e dall’espressione severa – probabilmente lo sarebbe stata in qualsiasi situazione, la allontanò bruscamente dal cancelletto.
-Mi scusi, il cancello era aperto- si giustificò non sapendo nemmeno fosse effettivamente vietato fare visita ai morti -Non avevo mai notato questo posto-
L’espressione dell’uomo passò da severa a corrucciata nel giro di qualche secondo e in quell’esatto momento lasciò la presa. -Impossibile- si accertò personalmente che l’affermazione di Kaya fosse vera e se ne rimase a fissare il lucchetto distrutto sconvolto.
-Dovrò farlo riparare- spostò lo sguardo verso il grande gelso e poi verso di lei.
-Chi è sepolto lì dentro?- indicò la cappella di pietra alle spalle dell’albero.
-Un uomo molto tempo fa- fu tutto ciò che le disse e non lo trovò molto utile.
-Dev’essere una persona importante per avere uno spazio così bello tutto per sé- scrollò le spalle - E poi posso giurare di non averlo mai visto, da quanto è qui?-
-Da sempre- la liquidò bruscamente e si pose tra lei e la recinzione come per farle distogliere lo sguardo.
-Farò aggiustare il lucchetto, così ti sarà chiaro che non si può entrare qui-
Kaya storse le labbra, irritata dal comportamento del guardiano e sbirciò un’ultima volta oltre le sue palle larghe. Si chiedeva come mai non aveva visto nemmeno lui in tutto quel tempo e perché se la fosse presa così tanto. Non aveva intenzione di trafugare la tomba e in ogni caso non credeva ci fosse qualcosa di davvero prezioso al suo interno. Si rigirò sui talloni e si lasciò quel posto alle spalle, dicendosi che per una volta la sua curiosità sarebbe dovuta soccombere insoddisfatta.


note dell'autrice2: per non influenzarvi fin da subito non ve l'ho detto ma per questi primi personaggi che avete incontrato, come aspetto fisico, mi sono ispirata a Kaya Scodelario, per Kaya, Inna Fisun per Inna ( che originale, wow ahahah ) e Ben Barnes per Demian! Fatemi sapere a chi li assocereste voi, invece, magari mi convincete! Un bacio! 
  
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