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Autore: ginny1063    23/12/2014    3 recensioni
Per tradizione ormai il ventiquattro dicembre si passava a casa Roberts, e lei adorava tutto ciò. Era un modo per avere intorno a sé le persone che amava e non ne avrebbe più potuto fare a meno.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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A very merry Christmas and a happy New Year Let’s hope it’s a good one, without any fear.
And so this is Christmas I hope you have fun
The near and the dear one
The old and the young…
 
(J.Lennon, happy Xmas)
 
Buon Natale, Ginny.
 
 
 
21 DICEMBRE
 
Era buio. Non tirava un filo di vento. Era steso sulla terra, impolverato fino allo stomaco. Aspettava in silenzio. Aveva paura. Non che fosse la sua prima volta, ma aveva paura. A casa qualcuno lo stava aspettando. Il sergente Victor Galindez era in posizione. Gli arrivò un segnale. Puntò il suo fucile, respirò piano, si posizionò con calma, meticoloso. Non poteva sbagliare. Guardò una seconda volta nel mirino, prima di confermare.
– Bersaglio acquisito- dall’altra parte una voce chiese:
– Conferma bersaglio- e lui calmo, mantenendo bassi i battiti cardiaci, ripose l’occhio nel mirino e parlò:
– Confermato, bersaglio acquisito- dall’altra parte vi fu un attimo di silenzio. Tutto nel deserto pareva silenzioso. Gli arbusti stavano immobili, per metà ricoperti di sabbia. Victor poteva sentire la muta presenza dei suoi commilitoni. Tutto era silenzio. Anche le stelle pareva si fossero fermate, nessuna brillava come la notte precedente, o forse così pareva a quei quindici uomini che il ventuno di dicembre erano lontani da casa, concentrati. Gunny non pensava, almeno a lui sembrava così, il tempo non sembrava scorrere, imprigionato anche lui in un gelido deserto di emozioni. 
 – Procedere…- il segnale arrivò due secondi dopo, anni per i ragazzi appostati. Galindez premette il grilletto. Uno sparo riecheggiò, ma subito inghiottito dalla sabbia. Si mossero in fretta, dovevano finire il prima possibile. Victor si alzò, fece passare avanti due suoi compagni e insieme a loro si diresse verso la casa di uno dei più pericolosi terroristi, da tempo ricercati. Lui aveva il compito di uccidere il figlio del terrorista. Aveva aspettato che uscisse per fumare, poi lo aveva freddato. Irruppero in casa. Le guardie ancora spaesate dalla morte del giovane riuscirono a imbracciare le armi, ma erano disordinati. I marines americani si facevano strada. Galindez entrando in quell’abitazione si rese conto di quante vittime innocenti cadevano. Cosa portava la guerra: morte e dolore. Salì le scale, l’occhio nel mirino. Vide un suo compagno cadere a terra. Gli si avvicinò, era vivo; il giubbotto antiproiettile lo aveva salvato. Era al piano di sopra. Le porte spalancate gli consentivano una buona visuale. Si affacciò ad una di quelle giusto in tempo per rendersi conto che un uomo gli stava saltando addosso. Lo evitò, beccandosi però un proiettile a filo del braccio. Strinse i denti e riuscì a sconfiggerlo.
- Libero…- da tutto l’edificio poteva sentire le voci dei suoi amici. Comunicò al generale la riuscita della missione. Tornò sui suoi passi e si affrettò ad aiutare Sam, l’amico colpito.
- Ehi…-
- In tutte le missioni devono colpirmi… Non ho mica disegnato un bersaglio!- allungò una mano al compagno e lui si rialzò, notando la divisa di Victor.
- Gunny, stai sanguinando!-
- Tutto a posto, Sam, mi è capitato di peggio…-
- Andiamo, devi disinfettare…- si sorrisero a vicenda. Era finita, quel lungo mese di lontananza era finito, finalmente sarebbero tornati a casa.

Il mattino dopo al campo faceva piuttosto caldo, non che normalmente si andasse sotto i ventisette, trenta gradi, considerando il deserto, ma quel giorno era particolarmente difficoltoso respirare. Galindez se ne stava sotto la tenda, osservando come il bianco della benda risaltasse sulla sua pelle abbronzata. Nelle dita si rigirava la catenina dei marines. Un sorriso gli sfuggì dalle labbra. Quante volte quella targhetta era stata motivo di sofferenze e quante volte invece aveva rappresentato la sua ancora di salvezza. Portando quella aveva dovuto vedere molti compagni cadere, aveva affrontato la morte, l’aveva vinta, era stato costretto a partire e a lasciarsi alle spalle amici e parenti, per quella targhetta aveva messo in gioco la sua vita, eppure, in momenti difficili, quelli che portano ad una perdita di rotta, quel pezzo di metallo aveva significato una roccia solida. Lui, Victor Galindez, era un marine, e i marines non si arrendevano mai, per questo aveva lottato e superato i molteplici ostacoli. Un raro soffio di vento gli fece alzare lo sguardo. Erano tutti in movimento. Le tende iniziavano ad essere smontate, le apparecchiature messe in sicurezza, sarebbero tornati a casa, sarebbe tornato a casa. Si alzò, lasciò rimbalzare la targhetta sul petto. Mentre osservava quel frenetico ordine intorno a sé si disse che con molta probabilità sarebbe stato a Washington in tre giorni. Puntuale per la Vigilia di Natale. Annuì soddisfatto e si diresse, felice, verso il suo accampamento; aveva ancora il borsone da preparare e non poteva arrivare con il bagaglio in disordine, altrimenti chi l’avrebbe più sentita. Sorrise di nuovo quella mattina, pensando che anche lui avrebbe passato il Natale in famiglia. Era fortunato, a casa qualcuno lo stava aspettando.

 
22 DICEMBRE


La neve scendeva così fitta e da così tanto tempo che  Harriet faticava a distinguere il vialetto di casa dal giardino, bianchi entrambi, a causa della nevicata notturna. Si fregò le mani, appoggiandole sul calorifero sotto la finestra. Erano le sei, stava iniziando un’altra lunghissima giornata. Il tè si stava scaldando, i biscotti per AJ erano pronti. Si strinse nella sua vestaglia, prese carta e penna ed iniziò a fare mente locale su tutta la marea di cose che avrebbe dovuto fare per il giorno di Natale. Sicuramente avrebbe dovuto pensare alla cena. Per tradizione ormai il ventiquattro dicembre si passava a casa Roberts, e lei adorava tutto ciò. Era un modo per avere intorno a sé le persone che amava e non ne avrebbe più potuto fare a meno. Si alzò giusto un attimo per versarsi da bere, poi riprese a scrivere, frenetica.
Cinque minuti dopo, Bud fece la sua comparsa, sbadigliando vistosamente.
- Buongiorno tesoro…- le disse dandole un bacio.
- Buongiorno Bud, ti ho preparato il caffè…- suo marito prese la caraffa e si sedette difronte a lei, osservandola scarabocchiare sul taccuino.
- Lista di Natale?-
- Sì… ho paura di essermi dimenticata qualcosa…-
- Harriet, rilassati, sarà tutto perfetto, come sempre-
- Come fai ad esserne sicuro?-
- Perché ci penserai tu, amore. Ora fai colazione che oggi in ufficio ci sarà il finimondo. Il colonnello sarà in aula e Dio solo sa quanto sia irritabile in questo periodo, specialmente dopo una giornata in tribunale. Harm è a Washington con l’ammiraglio, almeno non avremo un capo imbufalito in giro per il JAG…-
- Credo sia tu quello che si deve rilassare, che cosa ti avranno mai fatto Harm e Mac…- disse con fare innocente Harriet, ripensando all’ultima settimana.
- Lo fai apposta, lo so, ti conosco…- le rispose guardandola da sopra la tazza, mentre un sorso di caffè nero gli risvegliava i neuroni. Nei giorni precedenti Harm e Sarah avevano messo a dura prova la pazienza di tutto lo staff. Una volta erano rimasti chiusi in ascensore e li avevano sentiti discutere e litigare per non si sa quale motivo fino a che non erano riusciti a far ripartire l’aggeggio. Un giorno invece il colonnello aveva accidentalmente rovesciato il caffè su alcune carte, relative ad un caso del comandante e da lì era iniziata una discussione che se non fosse intervenuto lui, Bud Roberts, a placarla, sarebbe potuta sfociare nella terza guerra mondiale. Ieri invece andavano d’amore e d’accordo, come se nulla fosse successo. Scosse la testa, finendo ciò che aveva in tazza. Sgranocchiò un biscotto, beccandosi così un’occhiataccia di Harriet.
- Sono per tuo figlio…-
- Lui ne ha sei…-
- Bud!-
- Va bene, mi arrendo, vado a lavarmi, ti aspetto di sopra…- lei annuì e sbuffando si lasciò cadere sullo schienale. Mise da parte il block notes e finì di fare colazione. Qualche minuto dopo stava salendo le scale per andare in camera, quando si fermò ad osservare il suo albero di Natale. Era bello, era un bellissimo albero. Aveva così tante palline rosse, oro e alcune decorate che si mischiavano perfettamente con le lucine che giravano attorno all’abete. Sorrise pensando all’inizio del mese, quando insieme a suo figlio aveva aperto gli scatoloni con i decori natalizi e ascoltando canzoni in tema si erano messi a decorare casa. AJ le passava le palline e lei le disponeva sull’albero. Ogni pallina le faceva ricordare un momento diverso dell’anno e molte volte era un ricordo felice. Sorrise quasi con gli occhi un po’ lucidi. Annuì, ringraziando mentalmente per i momenti belli che le erano concessi e tornando nel mondo reale iniziò la sua routine.


Era appena entrata in ufficio e già le sembrava di impazzire. Gli uomini erano persone abbastanza disorganizzate, avevano bisogno di un continuo controllo, ma gli uomini in divisa specialmente se avvocati lo erano dieci volte tanto, pensò Jennifer, mentre per la centesima volta sistemava delle pratiche mal archiviate.
Sembrava che il tempo non passasse mai. Correva da una scrivania a un'altra, aggiornava l'agenda dell'ammiraglio, rispondeva alle chiamate in entrata, inoltrava richieste per i singoli uffici, eppure tutte le volte che gettava l'occhio su un orologio erano passati solo dieci minuti. Alle undici e mezza decise di porre fine alla sua corsa. Si chiuse in cucina, massaggiandosi delicatamente le tempie, nella speranza di allontanare il senso di nausea.
- Tutto bene Jen?- sobbalzò, sorpresa dalla voce preveniente dall'angolo della credenza.
- Harriet, scusami non mi ero accorta che ci fossi anche tu-
- La cucina è il posto migliore per nascondersi e trovare un po' di pace... -
- Sempre che il comandante e il colonnello non vi siano rinchiusi dentro!-
Harriet ridacchiò, versando un'altra tazza di tè per la giovane donna. Stando attenta a non scottarsi le passò la tazza.
- Grazie... -
- Come ti senti? Non sembri molto in forma... -
- Sto bene, devo stare bene. Questo ufficio pare stia cadendo a pezzi. L'ammiraglio e Rabb sono via, il colonnello è in aula... Sto sistemando pratiche da questa mattina alle otto...- Jennifer era veramente distrutta. Si lasciò cadere all'indietro, appoggiandosi al bancone.
- Hai bisogno per la cena?-
- No, tranquilla, in casa Roberts è tutto pronto!- le due donne stavano parlando quando il suono dell'ascensore le riportò alla realtà. Si guardarono a vicenda, capendosi al volo. Qualche secondo dopo a conferma delle loro paure la voce di Mac arrivò forte e chiara.
- Com’è possibile che tu sia dovuto partire... Sulla Seahawk ... Harm avevi promesso che ci saresti stato...-
Le due donne uscirono e si diressero veloci alle loro scrivanie. Sarah con la valigetta in una mano e il telefono bloccato tra la spalla e l'orecchio lasciò un fascicolo da Harriet, prima di continuare irritata la conversazione.
Il tenente Roberts guardò le carte: Sarah Mackenzie aveva perso la causa. Alzò gli occhi al cielo. Sarebbe stata una giornata decisamente lunga.
23 DICEMBRE


Rientrò in casa dopo l'ennesima giornata passata in aula. Il giorno dopo sarebbe stata la Vigilia di Natale e sarebbe tornata al lavoro senza poter salutare i suoi amici: Harriet l'avrebbe vista solo la sera, Bud sarebbe stato fuori tutto il giorno e Harm era riuscito a farsi spedire su una portaerei due giorni prima delle vacanze. Pensando ciò lasciò cadere pesantemente la valigetta ai piedi del letto. Si tolse la divisa e dopo averla accuratamente appesa si buttò sul morbido materasso. Era stanca. Forse più che stanca nervosa. Non si era riposata un attimo e in quest'ultimo periodo sia lei che Harm erano stati piuttosto aggressivi nei confronti l'uno dell'altra. Si girò sul lato. Qualche secondo dopo il telefono squillò.
- Colonnello Mackenzie... -
- Ciao, Mac... -
- Harm, tutto bene?-
- Sì, ho appena finito di sistemare le mie cose, tra poco vado a cena...-
- Bene-
- Sei ancora arrabbiata?-
- Chiedimelo quando torni il ventisette...-
- Mac, non ho chiesto io di passare il Natale qui, senza di voi, lontano da te...-
- Non hai neanche rifiutato-
- Che cosa vuoi che faccia? Vuoi che prenda il primo volo?-
- No, hai già fatto abbastanza guai l'ultima volta che hai cercato di tornare... -
- Cercavo di tornare in tempo per il tuo matrimonio!-
Sarah stava trattenendo le lacrime. Non voleva litigare con Harm. Non voleva. Quando però il giorno prima l'aveva chiamata dicendo che sarebbe stato via per Natale era crollata. Voleva dirgli tante cose, forse prima fra tutti quello che provava per lui. Suo nipote non faceva altro che chiedere dello zio Harm e lei avrebbe dovuto dirgli che non ci sarebbe potuto essere.
- Sarah sei ancora in linea?-
- Sei il solito egoista... -
- Mac che cosa ci posso fare? Non è una mia decisione... - il colonnello però aveva già chiuso la chiamata, ancora una volta aveva detto l'esatto contrario di quello che pensava.


Era sdraiato nel suo letto, sempre che quel buco si potesse chiamare tale. Aveva sentito Mac, avevano litigato. Era il 23 dicembre e lui si trovava bloccato su una portaerei. Il mare era più mosso del solito, non che a lui desse particolarmente fastidio, ma non aveva voglia di avere complicazioni a bordo. Si sentiva solo. Forse più che solo rassegnato. Aveva progettato di passare il Natale con i suoi amici, con Sarah. Aveva pensato molto agli ultimi mesi, aveva addirittura trovato il coraggio di dirle ciò che provava per lei, ma Chegwidden lo aveva mandato sulla Seahawk. Sarebbe rientrato il ventisette e sarebbe stato tutto come prima. Non ci sarebbe stata l'atmosfera frenetica dell'attesa, non ci sarebbero stati vischi sopra le porte, non ci sarebbe stato più un motivo per essere romantici. Sarebbe ripresa la solita routine. Un movimento di prua fece ondeggiare non poco la base acquatica della Marina. Guardò l'orologio, le tre di notte. Scosse la testa pensando che non sarebbe mai riuscito a dormire. S’infilò un maglione pesante, prese calze e scarpe e uscì. Salì qualche scalinata di ferro, ascoltando il rumore ritmico e freddo dei suoi passi. Girò un paio di volte lungo il corridoio e quasi in automatico si ritrovò sul ponte. Non c'erano Tomcat pronti al decollo. Solo qualche addetto che controllava la pista e il perimetro di atterraggio. Si appoggiò alla balaustra, stringendo forte le mani fino a far diventare bianche le nocche.
C'era molto vento. Inspirò a fondo l'odore di mare che stranamente sembrava isolato dall'odore del combustibile che spesso si percepiva sul ponte.
La portaerei sembrava una bolla d'aria. Un nucleo isolato. Si sentiva isolato, voleva tornare a casa. Quando rilassò le mani il sangue riprese a circolare rapidamente, facendogli percepire una sensazione di caldo.
" Sei il solito egoista..."
" Mac che cosa ci posso fare? Non è una mia decisione... "
Autonomamente il suo cervello aveva ripescato la conversazione telefonica di qualche ora prima. Si era arrabbiato, si era arrabbiata. Aveva cercato di spiegare a Mac che non era stata una sua decisione finire lì, ma la donna sembrava non voler neppure ascoltarlo. Si fermò un attimo a riflettere, e solo in quel momento diede una lettura diversa alle parole di Sarah. Gli era parsa una reazione troppo esagerata. Forse più che arrabbiata era triste, triste perché lui non ci sarebbe stato. Sentì l'allarme del cambio di ronda, decise che per essere le tre e mezza di mattina aveva pensato a sufficienza. Rientrò e si chiuse la porta alle spalle.

 
24 DICEMBRE


Il motore del C130 si spense e lui ed i compagni, recuperati i propri zaini, scesero uno dopo l'altro. Il sole illuminava la base, rimbalzando sulla neve quasi ghiacciata. L'aria era fredda, c'era una calma quasi innaturale, tutto sembrava ovattato. Victor Galindez era tornato a casa. Recuperò il suo borsone. Salutò i compagni, uno per uno. Si avviò verso l'autobus. Tra quattro ore l'avrebbe riabbracciata.


Era seduto in ufficio, sulla sua poltrona comoda. Dava le spalle alla porta, voleva godersi la neve scendere e quel momento di calma surreale. Il caminetto era acceso, Jennifer aveva già provveduto. Appoggiò le mani sul suo ginocchio, sollevato a causa delle gambe incrociate. Un po' di neve cadde dalla cornice alta della finestra, obbligandolo a risvegliarsi dai suoi pensieri. Buttò uno sguardo oltre i vetri e, alzandosi, si avvicinò alla finestra. Il parcheggio era quasi deserto. Tre, quattro macchine al massimo. Vide il colonnello esibire il cartellino, stringere la mano ad una collega che con molta probabilità le aveva fatto gli auguri di Natale e poi proseguire verso l'entrata principale. Ritornò indietro, sedendosi di nuovo sulla sedia del capo. Quella sera sarebbe andato a cena dai Roberts, per la Vigilia.
All'inizio l'invito di Harriet gli era sembrato quasi fuori luogo: un ammiraglio che passa il Natale con i suoi sottoposti. Il Natale si passa in famiglia! Eppure quelle persone erano la sua famiglia, si erano fatte strada facendolo arrabbiare, esasperandolo, facendolo preoccupare, eppure erano state capaci di diventare una parte importante della sua vita. Come ogni anno, in quel periodo prendeva in considerazione l'idea di ritirarsi, in fondo aveva già una certa età e non avrebbe neanche voluto privare suoi giovani e validi collaboratori di una posizione ambita come la sua. Ogni anno pensava se andarsene definitivamente dal JAG e concedersi della buona e rilassante pesca tutte le mattine, ma per una ragione o  per un'altra finiva per rinunciarci, ritrovandosi a casa di Harriet a mangiare tra amici.
Riportò la mente alla realtà, prese una penna e iniziò a firmare documenti e scartoffie, come spesso apostrofava quei fogli che giorno dopo giorno si moltiplicavano sul tavolo. Si fermò dopo qualche minuto. Pensò che il Natale andasse festeggiato in famiglia, con tutta la famiglia.
- Jennifer... - disse premendo il tasto sul telefono.
- Sì, signore?-
- Collegami con il capitano Ingalls-


- Mamma, vieni qua?-
- Tesoro, devo finire di preparare da mangiare. Tra poco arrivano ospiti-
- Ci saranno anche la zia Sarah e lo zio Harm, mamma?-
- AJ... -
- Ci saranno anche Jennifer e l'ammiraglio?-
- AJ! Vai a giocare in camera tua, ti chiamo appena arriva qualcuno...-
Suo figlio sgattaiolò al piano di sopra e lei mise nella tortiera la sua torta al limone. Mancavano ancora due ore, ma per la sua tabella di marcia era in super ritardo. Pulì il tavolo, dove un po' di farina era rimasta. Controllò che la cena nel forno stesse cuocendo a dovere. Dopo aver appurato ciò, si spostò in sala, chiudendo la luce, per rimanere solo con la fiamma del caminetto. Bud era ancora sotto la doccia, rientrato da poco dall'ufficio. Si prese un momento per sé. Si sedette sul divano e osservò il suo albero. In poco tempo rimase incantata guardando le lucine cambiare, dal rosso si passava al giallo, dal giallo al verde, dal verde al blu e così via, alternando tempi e combinazioni diversi. Guardò verso la tavola, già apparecchiata. I bicchieri, nella penombra della sala, davano al tutto un'aria più solenne. Si lasciò abbracciare dalla copertina di AJ, che come sempre suo figlio dimenticava ovunque. Pensò al capitano, prigioniero della Seahawk, sperò che anche lui potesse passare delle belle feste. Certo, l'Ammiraglio poteva aspettare qualche giorno, ma evidentemente l'indagine richiedeva un intervento immediato.
Nevicava tanto. Non le dispiaceva vedere tutto coperto di bianco. In un certo senso la rilassava tutto ciò. Sentì il timer suonare, fece un bel respiro e piegando con cura il plaid blu, andò ad ultimare la cena.


Stava chiudendosi la zip del vestito, azione piuttosto scomoda, considerando che la cerniera partiva esattamente dal centro della schiena. Dopo diversi tentativi riuscì ad afferrarla, sistemandosi l'abito. Non le mancava molto, era quasi pronta, doveva mettersi un po' di matita e un filo di rossetto, poi sarebbe potuta uscire di casa.
Stava chiudendo l'armadio dal quale aveva appena preso il soprabito quando il campanello di casa suonò.
- Arrivo... - il rumore dei suoi tacchi la fece sorridere, non aveva mai avuto una gran voglia di portarli, eppure quella sera, qualcosa le aveva detto di provare. Appoggiò la giacca sullo schienale del divano e si avviò verso l'ingresso.
- Eccomi... - si fermò un secondo, cercando di non piangere, si fermò un secondo sperando di non doversi svegliare.
- Sono a casa, tesoro... - Jennifer abbracciò di slancio suo marito, non sperava più in un miracolo del genere. Victor la strinse forte, era a casa.
- Perché non mi hai avvertito, ti sarei venuta a prendere alla base, come stai, sarai stanco, vuoi riposare?-
- Jen, calmati, va tutto bene, sono arrivato qualche ora fa. Dovevo salutare una persona, sono a casa, non parto più te lo prometto... -
- Mi sei mancato così tanto, due mesi senza avere tue notizie. È stato un periodo bruttissimo, non ti aspettavo per Natale. Mi sei mancato...- La donna lo abbracciò di nuovo, non riuscendo a staccarsi da lui. Da quando si erano sposati, a settembre di quell'anno, non avevamo avuto che poche settimane per stare insieme, poi lui era dovuto partire e per lei erano incominciati i giorni senza luce e le notti troppo buie.
Ora però suo marito era a casa, ora suo marito la stava abbracciando.
- Forza, preparati, Harriet ci aspetta... -
- Agli ordini, signora... -



Parcheggiò nel vialetto a fianco, voleva prendersi qualche minuto per pensare. Voleva avere qualche minuto di pace. Si strinse nel cappotto premendo bene il cappello sulla testa, sperando di trattenere il calore più a lungo. Chiuse la macchina, infilando velocemente le mani in tasca. I fiocchi di neve si fermavano sulle sue guance sciogliendosi all'istante, causandogli però dei piccoli brividi di freddo. S’incamminò verso la casa di Bud, sperando di non essere ancora un'altra volta in ritardo. Almeno oggi aveva una scusa più che valida, non pilotava lui l'aereo che lo aveva riportato sulla terra ferma. Sorrise pensando alla faccia che avrebbe fatto Mac. Subito dopo però cambiò espressione: e se si fosse arrabbiata. Una Mac arrabbiata era l'ultima cosa che avrebbe voluto vedere specialmente il 24 di dicembre. Arrivò sotto il portico. Dentro si sentivano le voci dei presenti. Riconobbe il piccolo AJ che tormentava la zia Sarah. Sentì Harriet, urlare che la cena era quasi pronta, sentì addirittura Victor, che lui credeva essere ancora oltre confine. Respirò forte, facendo uscire una nuvola di fumo. Alzò la mano e suonò. Le voci cessarono, qualcuno si stava avvicinando alla porta. Stranamente il suo cuore prese a battere più del dovuto.
- Harm!- Harriet gli si era gettata addosso, abbracciandolo e trascinandolo in casa al caldo, come aveva subito aggiunto la padrona di casa.
- Comandante, non ci speravamo più... -
- Lo so, scusami Bud, ma sono atterrato in questo momento... -
- Giusto in tempo. Coraggio, sedetevi, si mangia!-
- Zio Haaaaarm... - il piccolo biondo, sentendo il nome dello zio si era precipitato alla porta, saltando in braccio al suo padrino.
- Ehi, ometto come stai?-
- Beeeenissimo, stavo giocando con zia Sarah...-
- Ma che brava zia, e adesso dov'è?-
- Sono qui, Harm...- il comandante si voltò, trovandosi Mac appoggiata alla finestra vicino alla porta.
- AJ, vai a tavola, ti raggiungiamo subito...- il diavoletto scese dalle braccia di Harm e corse a sedersi al suo posto. I due avvocati si fissarono un istante, senza sapere che cosa dirsi.
- Gli sei mancato, non faceva che chiedere di te... -
- Più che della sua bellissima zia?- Sarah appoggiò la testa al vetro, chiudendo gli occhi e sorridendo piano.
- Sempre il solito adulatore... - gli disse a bassa voce.
- Sarah... -
- Prima che tu possa dire altro, mi devo scusare, sono stata cattiva con te e senza motivo, non pensavo tutto quello che ti ho detto per telefono, mi mancavi Harm, e, certo non è una giustificazione, ma non sapevo che cosa fare. Tu. Io. Il Natale. Sembra tutto così diverso...-
- Forse siamo noi ad essere diversi...- il comandante le si avvicinò. Mac stava per indietreggiare, ma non lo fece. Qualcosa le diceva che quello era esattamente il luogo in cui si sarebbe dovuta trovare. A pochi centimetri da Harm.
- Se ti proponessi una sfida, proveresti ad affrontarla?-
- Dipende... -
- Da cosa?- le chiese ormai a un soffio dal suo viso.
- Se sarai al mio fianco... - sorrisero entrambi, prima di baciarsi.
Si separarono poco dopo, avrebbero avuto il tempo per recuperare i momenti passati. Si abbracciarono ancora, prima di andare in sala da pranzo, dove Bud stava intrattenendo gli ospiti.


Rimase ancora un istante sotto la neve, dalla finestra del soggiorno poteva vederli tutti, i Roberts che allegri ridevano insieme al loro bambino, Jen e Victor che solo pochi mesi prima si erano sposati e Harm e Mac, che aveva intravisto all'ingresso.
Sorrise pensando a quella cena di Natale, quante cose sarebbero cambiate. Chissà dove sarebbe stato la prossima Vigilia. Camminò più in fretta per non perdersi il discorso del padrone di casa. Camminò più in fretta perché il Natale andava passato in famiglia.
  
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