NOTA:
me ne sono
dimenticata nelle precedenti fanfiction, ma è chiaro che
(purtroppo) Battle
Spirits e i suoi personaggi non mi appartengono, ma appartengono alla
Sunrise,
alla Bandai e a chi di diritto. Queste storie non sono state scritte
con alcun
scopo di lucro! Miei sono solo i personaggi minori inventati che ogni
tanto
appaiono qua e là (Kaoru, Hinata, Andrew, Elisabeth, ecc.) … detto questo,
BUONA LETTURA! ^-^
EPISODIO
1 – Le Farfalle di Gran RoRo
Capitolo 1
Hideto
sospirò
di sollievo e si sistemò il più comodamente
possibile sul proprio sedile.
Stentava ancora a credere di essere riuscito a trovare un posto
sull’aereo con
così poco preavviso. Era l’ultima volta che
partiva per un viaggio senza
chiedere prima agli altri se si volevano incontrare. Si sarebbe di
sicuro
risparmiato un bel po’ di problemi.
Non che fosse
andato molto lontano, in realtà. Erano ormai diversi mesi
che aveva promesso a
Benjamin Glynnhorn, conosciuto in uno dei suoi precedenti viaggi, di
tornare a
trovarlo. Quando si era accorto di avere un paio di settimane di tempo,
non ci
aveva pensato due volte ed era volato in Australia. E per fortuna che
lo aveva
fatto. Almeno, così, aveva potuto lasciare metà
delle cose a casa sua. Sarebbe
stato difficile passare il check-in con l’apriscatole, per
esempio. Ma su Ben
poteva contarci ogni volta.
Il ragazzo
chiuse gli occhi cercando di non pensare al terribile check-in che
aveva appena
superato. Trascinandosi lo zaino dietro, sbadigliando e quasi
addormentandosi
in piedi era stato costretto a restare in fila per quasi due ore. Per
fortuna
che si era immaginato un tranquillo rientro.
Ma capiva
perché Mai lo avesse fatto. Era ormai una tradizione, per
loro, riunirsi
nell’anniversario della scomparsa di Dan. Ed era colpa sua
se, tra i
preparativi e il viaggio, era riuscito a dimenticarsene. Per decidere
di andare
nel deserto australiano, poi! Certo non si sarebbe potuto portare
dietro un
computer…
Quando era
arrivato a casa di Ben, poche ore prima, si era reso conto della sua
terribile
dimenticanza ed era corso a guardare nelle email. Con sommo orrore
aveva visto
l’email di Mai: era datata ad una settimana prima. Si era
sentito terribilmente
in colpa. Sapeva che, in fondo in fondo, Mai aveva ancora bisogno della
vicinanza degli amici in quel giorno.
Racimolando
tutta la forza di volontà che aveva potuto trovare, aveva
risposto all’email,
aveva salutato l’amico ed era corso all’aeroporto.
Solo per scoprire che il
primo volo disponibile partiva a notte fonda. Ma non poteva rimandare,
altrimenti non sarebbe mai riuscito a tornare in tempo a Tokyo per il
primo
pomeriggio.
Rassegnatosi,
Hideto aveva comprato il biglietto e si era messo in fila. Ed, ora, era
finalmente seduto. Doveva cercare di dormire un po’ durante
il volo o sarebbe
crollato.
Quando
l’aereo
decollò, Hideto voltò lo sguardo verso il
finestrino. Il cielo era così
limpido. La luna illuminava le nuvole sottostanti e le stelle era
brillanti
come quelle che vedeva dal deserto australiano.
Ed
improvvisamente, il Guerriero Blu si rese conto di non essere affatto
stanco.
Con lo sguardo perso verso il cielo, il ragazzo lasciò la
sua mente vagare sui
tanti ricordi dei suoi amici. Un sorriso triste gli piegò le
labbra quando gli
tornò in mente un precedente viaggio in Australia. Si
trovava lì quando Kenzo
era sbucato dal nulla e lo aveva trascinato con sé nel
futuro.
Si ricordava
ancora come era stato sorpreso di sentire la voce del Guerriero
Verde… quel
pensiero gli portò in mente alcune strane sensazioni che
aveva provato nelle
precedenti settimane.
Per la maggior
parte del tempo, era stato da solo. Gli piaceva camminare nel silenzio,
esplorare e osservare ogni particolare del luogo in cui viaggiava.
Eppure,
quella volta, non si era sentito solo. Non che altre volte gli
succedesse, da
quella prima fuga per il mondo risalente al 2009 (quando restare a
Tokyo gli
era sembrato impossibile), aveva imparato ad amare la solitudine. In
quelle
settimane, invece, aveva avuto la strana e fastidiosa sensazione che ci
fosse
qualcuno con lui. E il fatto che, in realtà, non ci fosse
proprio nessuno, non aveva
migliorato la cosa.
Quello che
più
gli era sembrato strano, ad un certo punto, era l’impressione
di sentirsi
chiamare. Un paio di volte era stato quasi convinto di sentire qualcuno
chiamare distintamente il suo nome. Sia chiaro, aveva già
avuto un paio di
volte qualche vaga allucinazione per il caldo, ma mai quando era
all’ombra e
perfettamente assetato! Eppure aveva visto una sagoma,
nell’aria calda del
deserto. Era durato tutto solo un istante ed era quasi convinto di
essersi
immaginato ogni cosa.
Ma un dubbio
rimaneva. Aveva già provato quella sensazione. Anche se
erano passati tanti
anni se lo ricordava. Assurdamente era bastato questo per fargli
ridestare le
speranze. Poteva essere possibile che Magisa stesse cercando di
mettersi in
contatto con loro?
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Era tutto
così
strano. Quel luogo le sembrava allo stesso tempo sconosciuto e
familiare. Il
lungo corridoio sembrava proseguire all’infinito davanti a
lei, senza alcuna
porta o finestra. Ci fosse stato almeno un vetro, avrebbe potuto capire
dove si
trovava.
“Mai.”
La ragazza si
fermò di scatto, voltandosi a guardarsi alle spalle. Ma non
c’era nessuno.
Forse era stata solo una sua suggestione. Il silenzio era quasi
inquietante.
Però, aveva l’impressione che qualcuno la stesse
chiamando… era come se
sentisse di dover fare qualcosa, di dover riuscire a raggiungere
qualcuno. Ma
chi?
Mai riprese a
camminare. Prima o poi sarebbe arrivata da qualche parte no? Non voleva
credere
che fosse un corridoio infinito, anche se aveva l’impressione
di camminarvi da
ore… sempre se poteva contare sulla propria percezione del
tempo.
Improvvisamente
lo vide. C’era qualcuno davanti a lei, molti metri
più avanti. Stava camminando
anche lui, senza guardarsi indietro. Mai sentì il cuore
fermarsi per un istante.
Non poteva essere, ma lo avrebbe riconosciuto tra mille. Dan.
“Dan!”
Il ragazzo non
sembrò sentirla e Mai iniziò a correre. Ogni
passo sembrava allontanarla invece
che avvicinarla a lui. La paura iniziò a crescere dentro di
lei: lo avrebbe
perso un’altra volta? Un’altra volta
perché lei non era capace di fare
qualcosa?
Non poteva
permetterlo. Non di nuovo.
La ragazza
rallentò bruscamente nel momento in cui si rese conto che il
corridoio era
finito. Davanti a lei c’erano due porte. Dove era andato Dan?
Si guardò attorno
e si avvicinò lentamente alle due porte. E ora che cosa
significava tutto
quello?
Titubante,
provò ad aprire la porta a sinistra e si rese subito conto
che era chiusa. Fece
un passo indietro e per un attimo ebbe l’impressione di
vedere al suo posto un
varco luminoso, simile a quello che aveva attraversato per andare a
Gran RoRo.
L’impressione che qualcuno la stesse chiamando si fece
più forte. Il cuore
cominciò a battere più veloce. Che fosse Magisa?
Che cercasse di mettersi in
contatto con loro per farli tornare?
Mai
tornò alla
porta cercando di farla aprire. Sentiva che doveva farlo e ogni istante
che
passava l’ansia dentro di lei aumentava. Colpì la
porta con la mano.
“Guerriero
Viola.”
La ragazza si
afferrò con tutte le due mani alla maniglia, lacrime di
frustrazione le
iniziavano a riempire gli occhi. Se quella porta poteva portarla a Gran
RoRo,
doveva riuscire ad aprirla.
Improvvisamente
Mai si fermò, scostando bruscamente le mani dalla maniglia.
Solo in quel
momento si rese conto di aver paura, paura che quella porta fosse
ciò che
sperasse. In tutti quegli anni si era trovata spesso a sognare e temere
quella
possibilità: tornare a Gran RoRo non sarebbe stato come
tradire Dan? Era un
pensiero stupido, perché Dan sarebbe stato il primo a dire
loro di andare, di
combattere anche per lui.
Forse era lei
che non voleva tornare a Gran RoRo senza Dan. Forse perché
quei luoghi
l’avrebbe costretta definitivamente ad affrontare la
realtà: Dan non sarebbe
mai tornato e lei doveva andare avanti. Colpevole, si chiese se
l’amore per Dan
non stesse diventando solo una scusa per non soffrire
ancora… per non perdere
di nuovo qualcuno che amava.
“Sono
pronto.
Sarò io a premere il pulsante.”
Strani suoni,
quasi fasci di energia.
“Ci
siamo. Il
momento è arrivato.”
Mai
sgranò gli
occhi e si voltò verso la porta alla sua destra. Era
inspiegabilmente
socchiusa. Prima, ne era sicura, non lo era. Una strana luce rossastra
e
biancastra si rifletteva sulla parete lucida. Improvvisamente,
capì che cosa
c’era dall’altra parte. Voleva andarsene, ma
qualcosa la spingeva ad avanzare.
Con un gruppo in gola e il cuore che batteva all’impazzata,
la ragazza aprì la
porta e si ritrovò di nuovo lì.
Il duello
concluso. Il campo di battaglia infuocato. Scintille rosse e fumo.
“Quella
è la
rampa di lancio.”
Mai
ricordò
l’illusorio senso di gioia quando il duello era finito.
Quando tutto era
sembrato così facile. Le parole di Dan erano state una
pugnalata al cuore.
“Sì,
certo. Ho
capito. Non esiste un pulsante. Sono io un essere pulsante.”
Non poteva
riviverlo un’altra volta. La ragazza si
inginocchiò a terra, chiudendo gli
occhi e mettendosi le mani sulle orecchie.
Non voleva
rivedere lo sguardo sconvolto di Yus, le lacrime di Plym, la rabbia di
Clarky,
l’incredulità di Hideto.
“Basta…”
Sapeva che
nessuno l’avrebbe ascoltata. Come nessuno aveva ascoltato
quel giorno la sua
accorata richiesta che tutto quello finisse. Che Dan non dovesse
sacrificarsi.
Anche con gli
occhi chiusi vedeva davanti a sé il volto di Dan, quella sua
calma rassegnazione
che più l’aveva fatta soffrire. Perché
lui aveva accettato così facilmente di
dover morire?
Calde lacrime
cominciarono a rigarle le guance.
“Basta…”
Perché
doveva
riviverlo ancora?
“Non
si parlava
di un oggetto. Ma del cuore che pulsa.”
Ogni pensiero
si dissolse nella sua mente. Riusciva a vedere solo quelle scene,
mischiate ai
tanti ricordi di Dan. Il dolore che continuava a crescere come quel
giorno.
Era di nuovo
incapace di muoversi. Di nuovo immobile davanti alla fine.
Un vortice
luminoso, iridescente avvolse Dan. Lo vide, anche se aveva gli occhi
chiusi.
“Barone.
Ti
sono molto grato. È stato un duello avvincente.”
La
colibrì si
staccò, mentre Barone gridava. Non servì a niente
avere le mani sulle orecchie,
lo sentì comunque, forte come quel giorno.
E per quanto
non volesse vedere, non volesse sentire, Mai aprì gli occhi
pieni di lacrime e
alzò lo sguardo verso lo schermo. Ricordava cosa aveva
provato in quegli
istanti. Si rivide correre verso lo schermo, incapace di accettare che
non ci
fosse più niente da fare.
Risentì
le sue
urla di dolore. Una volta. “Dan!”
Disperazione.
Due volte. “Dan!”
Aveva capito
che era finito. Che non poteva più fare nulla per impedirlo.
Ci aveva provato,
ma aveva fallito. Aveva avuto ancora così tante cose da
dirgli. Ma non c’era
più tempo per nulla.
Tre volte.
“Noooo!!!”
E questa volta
gridò anche lei. Mentre risentiva il dolore, la
disperazione, l’amore che aveva
provato. Gridò anche lei.
Mentre Dan la
guardava dolcemente attraverso lo schermo. Gridò. Mentre una
lacrima scivolava
dal suo occhio, perdendosi verso l’alto
nell’iridescente spirale. Gridò. Mentre
si rendeva conto che quella lacrima voleva dirle che soffriva anche
lui, che
voleva farle capire che quel sacrificio l’aveva fatto anche
per lei. Per farle
capire quello che anche lui non aveva potuto dirle.
Gridò.
Basta.
Il volto di
Dan
venne avvolto da quella luce, dissolvendosi in un lampo
bianco…
Gridò.
“NOOOO!!!!”
Nel buio della
propria
stanza, Mai si alzò di scatto e si ritrovò seduta
sul letto. Le leggere coperte
estive erano aggrovigliate in fondo al materasso. Un tenue chiarore
filtrava
tra le tende, appena mosse da un soffio di vento che entrava dalla
finestra
socchiusa.
Era stato un
incubo. L’incubo che per intere notti l’aveva
tormentata nel primo periodo,
quello subito dopo il ritorno dal futuro. Era completamente sudata e,
portandosi una mano al viso, sentì le guance rigate di
lacrime. Era tanto tempo
che non riviveva quell’incubo in modo così reale.
Lentamente tornò a
distendersi, cercando di rallentare il respiro affannato e allontanare
la morsa
di dolore e il senso di vuoto che le attanagliavano lo stomaco.
Non ricordava
come quel sogno potesse farle così male. Mai si
voltò sul fianco, affondando il
viso nel cuscino. Chiuse gli occhi, tentando di ritrovare la
serenità per
tornare a dormire. Pochi istanti le bastarono per capire la causa di
quell’incubo, proprio quella notte.
Era la notte
che la separava dal 30 agosto 2014. Il quarto anniversario del loro
ritorno dal
futuro e della scomparsa di Dan.
Ogni anno,
quel
giorno, era impossibile non pensare a quello che era successo. E una
vocina
dentro di lei le ripeteva che, in realtà, lei non avesse mai
realmente
accettato quello che era successo. Forse era vero, pensò
amaramente Mai. Anche
se tre anni prima, dopo quel torneo e il risveglio di Yuuki, era
riuscita a
fare i conti con quello che era successo, quell’incubo
tornava a perseguitarla
ogni anno in quel periodo.
Era quasi
l’ultimo ricordo del baratro di dolore in cui aveva rischiato
di sprofondare
dopo la loro avventura. Il solo fatto che per mesi non avesse
più fatto un
duello era indicativo.
Per lunghi
minuti rimase immobile, in attesa che, come ogni volta, le lacrime si
asciugassero
e i singhiozzi si spegnessero. Mentre un pensiero si formava lentamente
nella
mente, la ragazza si passò il dorso della mano sulle guance
e si risistemò i
capelli arruffati dietro le orecchie. Li aveva fatti ricrescere dopo il
giorno
in cui Dan era scomparso, un modo simbolico per riempire il vuoto che
le aveva
lasciato.
Mai
aggrottò la
fronte, finalmente afferrando il pensiero che le ronzava nella mente.
La prima
parte del sogno… era la prima volta che lo faceva. Anche se,
quella sensazione
di essere chiamata, l’aveva già provata. Era
iniziato tutto un paio di
settimane prima. L’impressione che qualcuno la stesse
chiamando, che voltandosi
avrebbe visto qualcuno osservarla. Ora che ci pensava, era anche per
quello che
aveva deciso di organizzare quella nuova rimpatriata con Hideto, Yuuki
e Kenzo.
In fondo in fondo, sperava che anche loro avessero provato qualcosa del
genere:
per non cominciare a temere di essere impazzita e per sperare che fosse
Magisa
a provare a mettersi in contatto con loro. Dopo sei anni, non aveva
ancora
perso la speranza.
Un’ombra
attraversò il suo sguardo, mentre si metteva a sedere. Non
appena si abituò
alla penombra, Mai rivolse gli occhi verso il comodino dove facevano
bella
vista due foto: quella con Dan e Clarky che aveva fatto nel futuro e
quella con
Yuuki, Hideto e Kenzo fatta pochi mesi prima. Sorrise tristemente: i
Maestri
della Luce finalmente riuniti…
E se
l’incubo
avesse ragione? Avrebbe esitato se le si fosse presentata la
possibilità di
andare di nuovo a Gran RoRo? Un fondo di verità
c’era. Ogni luogo lì le avrebbe
ricordato Dan. Tornarci l’avrebbe fatta soffrire moltissimo a
causa della
consapevolezza che Dan non sarebbe stato accanto a lei. Ma aveva fatto
anche
una promessa a tutti i suoi abitanti. Non poteva non andare.
Mai
sospirò.
Sarebbero stati veramente degli istanti sofferti. Non voleva neanche
soffermarsi sul pensiero che, tornare a Gran RoRo, sarebbe significato
trovare
due nuovi Guerrieri.
La ragazza
scosse la testa per scacciare quei pensieri e si rese conto solo in
quel
momento dell’ora: le 4:30.
Ormai
consapevole
che per quella notte non sarebbe più riuscita a dormire, la
ragazza si alzò e
si diresse verso la finestra che spalancò. L’aria
fresca del mattino entrò
nella stanza facendola rabbrividire. Lontano, verso est, si iniziava a
percepire, più che intravedere il vago chiarore che
preannunciava l’alba ancora
lontana. Il cielo era di un intenso azzurro cupo, privo di una luce
definita,
palpitante dell’imminente luce solare e orfano della luce
della stelle che
cominciavano a sbiadire.
Mai chiuse gli
occhi ed immaginò il mare, come doveva essere diverso dalle
ore del giorno,
affollato di bagnanti ed ombrelloni. Un vetro blu scuro mosso da
piccolissime
onde. Sorrise ed inspirò profondamente, riempiendosi i
polmoni dell’aria fresca
e riuscendo così a rasserenarsi completamente.
Quando un
altro
brivido le percorse la schiena su cui era appiccicata la maglietta
sudata per
il caldo e l’incubo, Mai decise di rientrare. Per qualche
istante, gli occhi
faticarono ad abituarsi all’oscurità della stanza,
ma presto la tenue luce le
fu sufficiente per orientarsi tra i mobili racchiusi tra quelle quattro
pareti.
Un’improvvisa
e
intensa ondata di malinconia le riempì il cuore e
così, senza pensarci due
volte, andò a sedersi alla scrivania dove accese il
computer. Quando la luce
azzurrina dello schermo illuminò il suo viso, Mai sorrise
vedendo la foto sul
suo desktop: lei e Kaoru durante la vacanza trascorsa in America il
Natale
precedente. Erano partiti, lei, Kaoru e Andrew, il giorno dopo di
Natale
festeggiato insieme agli altri a casa di Elisabeth.
Kaoru le
mancava. Anche la sorella faceva spola tra America e Giappone ogni
volta che
poteva, ormai la sua vita si stava radicando lì. Andrew,
fratello maggiore di
Clarky e suo fidanzato da quasi cinque anni, lavorava lì in
una base militare
dell’aeronautica mentre lei, completati gli studi, stava
cercando un lavoro.
Però,
i due
erano felici, in procinto o non di fare il fatidico passo, e questo le
bastava.
Era toccato a lei l’ingrato compito di comunicare ad Andrew
la decisione di
Clarky. Sapere che i due erano molto legati e il fatto che neppure lei
avesse
ancora superato quanto successo, non era stato d’aiuto. Come
non era stato
facile andare a parlare con la famiglia di Dan e spiegare ai due
genitori che
il figlio si era sacrificato per l’umanità di un
futuro lontano.
Quei due
incontri avevano spezzato la poca forza che era riuscita a racimolare
nelle
prime settimane. Tornata a casa era scoppiata a piangere. Poi,
lentamente,
aveva ricominciato a rialzarsi.
Una nuova
ondata di malinconia per quei momenti trascorsi a Gran RoRo con gli
amici tornò
a far concentrare Mai sul motivo per cui si era seduta davanti al
computer. Con
pochi clic, aprì i file che contenevano gli immensi archivi
del suo vecchio
blog, “Parole Violette”.
File in cui
erano custoditi anche alcuni dei suoi ricordi più belli. I
ricordi di Gran
RoRo.
Estate del
2008. Sorridendo, tornò a rimmergersi nelle foto,
illudendosi per qualche
istante di essere di nuovo lì. Dove era cambiata e maturata,
dove aveva
scoperto una nuova e bellissima famiglia. Quell’esperienza
fantastica e unica
era paragonabile solo a quella nel futuro. Anche nel destino che
avevano subito
i Maestri della Luce.
Erano stati in
sette a Gran RoRo, comprendendo anche Kajitsu, la Maestra del Nucleo
Progenitore. Lentamente, poi, erano stati separati. Prima la dolce e
coraggiosa
Principessa Farfalla, poi il suo Dan. E infine Clarky, di cui non aveva
più
notizie da allora.
Erano rimasti
solo in quattro. Hideto si era iscritto a medicina e in ogni momento
possibile
continuava i suoi viaggi per il mondo. Kenzo continuava i propri studi
e
sognava di diventare un giorno un grande scienziato. Yuuki,
risvegliatosi dal
coma tre anni prima, continuava a vivere in un mondo in cui, in poche
parole,
era creduto morto.
Anche loro si
erano separati un po’. Erano stati tutti d’accordo
che fosse la scelta
migliore. Ognuno doveva riprendere il filo della propria vita, seguire
la
propria strada. Ma nonostante tutto avevano cercato di tenersi in
contatto il
più possibile, di incontrarsi ogni volta che potevano.
Non era stato
facile. Lei alle prese con gli studi di ingegneria informatica, Kenzo
che
studiava per quattro persone, Hideto che, quando lo immaginavi
all’università,
era invece chissà dove in qualche sperduto angolo del mondo.
L’avevano
fatto
anche per paura di essere di nuovo attaccati. Anche se, in quei tre
anni, non
era successo. Ma forse solo perché la loro lenta azione non
veniva ritenuta
pericolosa.
Mai
sospirò e
dopo un attimo distolse lo sguardo dal computer, stiracchiandosi le
braccia.
Ormai la luce inondava la camera e presto anche i suoi genitori si
sarebbero
svegliati. Tanto valeva andarsi a fare una doccia per cancellare ogni
traccia
di quella notte passata in parte in bianco. Non voleva preoccuparli,
non dopo
che in quegli anni erano riusciti a recuperare il rapporto compromesso
dalla
loro battaglia. Avevano cercato di capirla, supportarla come prima non
avevano
fatto. L’unica frizione ancora tra loro era la ferma
convinzione che aveva
manifestato loro: se Gran RoRo avesse avuto di nuovo bisogno di loro,
lei
sarebbe tornata. Mai sorrise. Era incredibile come solo un sogno
bastasse per
instillare dei dubbi.
Mai
sbadigliò
e, prima di andare in bagno, controllò se c’era
qualche nuovo messaggio nella
casella di posta. Erano giorni che aspettava la risposta di Hideto.
Quando
organizzavano un incontro, il se e quando il Guerriero Blu sarebbe
stato a
Tokyo erano l’incognita maggiore. Ogni tanto lo accusava di
passare più tempo
in giro per il
mondo invece che in
un’aula universitaria.
Incrociò
le
dita e
aprì la casella. La sua pazienza
sembrò essere premiata perché, finalmente,
trovò l’email di Hideto. Ora il
piccolo gruppo di Maestri della Luce era finalmente al completo.
“Scusa
se non
ti ho risposto prima. Non ti preoccupare, domani (o oggi, dipende
quando leggi
l’email) sarò a Tokyo.
A presto,
Hideto.”
Tipico.
Chissà
in quale parte del mondo si trovava e quanti fusi orari avrebbe dovuto
attraversare… una volta era stato così stanco da
crollare sul divano della casa
di Kenzo. Appena lo aveva conosciuto, non avrebbe mai pensato che lui
avrebbe
avuto una vita così vagabonda.
A quel punto,
Mai si alzò per farsi la tanto agognata doccia. Recuperando
accappatoio e
vestiti, la ragazza organizzò mentalmente la giornata fino
al primo pomeriggio
in cui si sarebbe incontrata con gli altri.
Primo, avrebbe
controllato il blog che aveva aperto due anni prima. Nulla ai livelli
di Parole
Violette, ma qualcosa di più discreto che le permetteva di
comunicare con
quella minoranza che aveva continuato a pensare con la propria testa,
nonostante i giornali.
Poi, poteva
andare qualche ora in spiaggia. Magari accettando finalmente
l’invito di un
paio di sue amiche di corso. Per studiare ci sarebbe stato tempo il
giorno
successivo.
Il pensiero
della amiche del corso, costrinse la sua mente a soffermarsi su un
altro dubbio
instillato dall’incubo. In realtà era un dubbio
che le affiorava alla mente
ogni volta che smetteva di uscire con un ragazzo dopo il secondo
appuntamento,
per quanto piacevole e divertenti fossero stati. Non voleva che la
speranza di
rivedere Dan e l’amore che provava ancora per lui
diventassero solo una scusa
per non soffrire.
Devi
seriamente
pensarci, si ammonì guardando il proprio volto riflesso
nello specchio. Per
quanto fosse convinta che fosse proprio quello il volto della vera Mai
Shinomiya, la vera Guerriero Viola, c’erano ancora alcune
cose che doveva
affrontare.
Come smettere
di rimpiangere il fatto di non aver avuto prima il coraggio di rivelare
i
propri sentimenti a Dan. Ormai il passato era passato (o futuro nel suo
caso,
pensò sorridendo), doveva andare avanti. E soprattutto non
usare l’amore di Dan
come una scusa.
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La luce del
sole che sorgeva illuminava il cielo di colori soffusi.
Un’atmosfera di pace
avvolgeva ogni cosa, soprattutto lì, in quel luogo. La
patria del silenzio, un
luogo lontano dai rumori della città che lentamente si
risvegliava.
I vialetti
erano completamenti deserti. Nessuno veniva lì, nel
cimitero, a quell’ora. O
meglio, quasi nessuno.
L’anziano
custode, ormai, lo conosceva. Era diventata una consuetudine, puntuale
ogni
mattina, appena il sole sorgeva e l’uomo andava ad aprire il
cancello. Arrivava
alle prime luci dell’alba e scompariva prima che un qualche
altro visitatore
arrivasse. Negli anni, aveva imparato a conoscere la sua presenza
silenziosa.
Si salutavano con un cenno del capo e poi lui andava vicino
all’unica lapide
sempre piena di fiori.
L’anziano
custode alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo, verso
il punto lontano
dove sapeva che sarebbe riuscito a scorgerlo. Ed infatti era
lì, inginocchiato
come ogni giorno. Era quasi commovente vedere
l’assiduità e la costanza con cui
veniva a trovare la persona cara che era lì seppellita.
Sorrise
tristemente e tornò a posare lo sguardo sulle scritte nere
della pagina,
riconcedendo di nuovo una riservatezza totale al dolore del ragazzo,
avente il
pieno diritto di essere solo con chi amava. Consapevole che, come altre
mattine, la solitudine del ragazzo sarebbe presto stata timidamente
interrotta.
Ed era proprio
come aveva immaginato il custode. Yuuki, come ogni mattina, era
inginocchiato
davanti alla lapide marmorea su cui era incastonata la foto di Kajitsu.
Un
mazzo di rose fresche era posato accanto ai fiori dei giorni precedenti.
Lentamente
alzò
la mano per sfiorare la foto, ma appena l’ebbe accarezzata,
la scostò
bruscamente. Il ragazzo si alzò in piedi, continuando a
fissare la lapide.
Seguitando a guardare il volto sorridente della sua amata sorella.
Un rumore di
passi lo fece voltare alla sua destra. Il suo sguardo
incrociò quello di una ragazza
ferma in piedi a pochi metri di distanza, sorridente. Rimasero in
silenzio per
lunghi minuti, poi fu lei la prima a parlare.
“Non
volevo
disturbarti. Fai pure con comodo. Non ho nessuna fretta.”
Yuuki
sospirò,
accennando un sorriso, ben consapevole che niente, che lui avesse
potuto dire,
avrebbe convinto la ragazza davanti a lui.
“Non
c’era
bisogno che tu venissi, Elisabeth. Sarei tornato a piedi come sono
venuto.”
L’interpellata
sorrise e scosse la testa. “Non è un problema per
me. Mi fa piacere.”
Il ragazzo
annuì in silenzio e tornò a voltarsi verso la
lapide, subito imitato dalla
ragazza. Non che sperasse veramente che la ragazza un giorno si
arrendesse, ma
lui continuava a persistere. Nei lunghi minuti in cui rimasero
così, ciascuno
immerso nei propri pensieri, Elisabeth si ritrovò a pensare
ancora una volta
all’enorme enigma che Yuuki Momose costituiva per lei. Negli
anni erano
diventati amici, ma lei non era mai riuscita a capirlo veramente. Le
sembrava
tanto uno di quei personaggi tristi e coraggiosi di cui erano piene le
favole,
sia quelle giapponesi che quelle occidentali che sua madre le
raccontava da
bambina. O quei personaggi tormentati che aveva letto negli anni
successivi in
molti romanzi europei. Allo stesso tempo triste e fiero, forte e
fragile,
gentile e misterioso.
Ad un certo
punto, aveva creduto di provare qualcosa per lui, di considerarlo
più di un
fratello acquisito. Per un po’ di tempo aveva sperato che lui
avrebbe
ricambiato, ma le era bastato poco per capire che il cuore
dell’ex-Guerriero
Bianco era racchiuso da una barriera più invalicabile di
quelle che creava con
le sue carte. Una barriera che né lei, né forse
nessun’altra, avrebbe mai
potuto superare. Quella consapevolezza non aveva intaccato la loro
amicizia,
sopravvissuta al suo breve infatuamento, ma le aveva posto una domanda
a cui
non aveva mai trovato risposta: era una barriera creata per non
soffrire
ancora? O per impedire che il mondo esterno intaccasse qualcosa che vi
era
custodito?
Aveva sperato
che un giorno si sarebbe aperto con lei e ciò che le avrebbe
raccontato del suo
passato l’avrebbe aiutata a capire. Le aveva parlato
vagamente della sua
difficile infanzia, della sua vita a Gran RoRo e soprattutto le aveva
parlato
delle avventure vissute da lui e dai Maestri della Luce. Kajitsu, in un
certo
senso, era presente in ogni sua parola, anche quando non la nominava.
Vedeva
ancora nelle iridi ambrate di Yuuki il rimorso e il senso di colpa per
non
averla salvata. Sempre presente come la sofferenza per non poter
più fare nulla
per la battaglia di Gran RoRo e la verità. Ma vedeva anche
una timida luce nel
suo sguardo ogni volta che la nominava.
Sentiva sempre
che c’era qualcosa di importante che le taceva, un tassello
del suo passato che
non le avrebbe mai rivelato. Quando stava accanto a lui, nonostante
fosse
vicino a lei, lo sentiva stranamente distante.
Come in
quell’istante, chiuso nel suo mondo di ricordi. Quasi
estraneo al mondo in cui,
nonostante tutto, continuava a vivere. Eppure sapeva che Yuuki aveva un
profondo ed incrollabile desiderio di non lasciarsi andare.
Un improvviso
desiderio di sapere la colse e, sull’onda di quei pensieri,
si voltò verso di
lui.
“Yuuki,
posso
farti una domanda?”
Il ragazzo la
guardò per un istante prima di annuire. Elisabeth prese un
profondo respiro per
racimolare tutto il tempo possibile per scegliere bene le parole. Non
era la
prima volta che succedeva. I primi tempi aveva insistito che lui si
sfogasse.
Ogni volta, però, l’aveva ringraziata facendole
capire che era qualcosa che doveva
affrontare da solo.
“Perché
non
vuoi che le persone ti aiutino a superare i tuoi sensi di
colpa?”
Yuuki la
guardò
sorpreso per qualche istante, mentre Elisabeth continuava a fissarlo un
po’
preoccupata e un po’ imbarazzata per avergli rivolto una
domanda così personale
in modo tanto brusco. Senza contare che, magari, avrebbe potuto pensare
che una
domanda simile dopo tre anni che si conoscevano fosse un po’
stupida.
Il Guerriero
Bianco si ritrovò a sorridere nel constatare quanto tenesse
a lui quella ragazza,
entrata nella sua vita così all’improvviso e negli
anni diventata quasi una
sorella per lui. Era anche grazie a lei, oltre che ai Maestri della
Luce, se
era riuscito a superare il primo periodo dopo il risveglio dal coma. Ma
il
senso di colpa era qualcosa che non avrebbe mai potuto abbandonarlo,
soprattutto a causa della vita separata dal resto del mondo in cui era
costretto a vivere. Il problema era che aveva fin troppo tempo per
restare da
solo con i propri pensieri. Yuuki tornò a voltarsi verso la
lapide. Dopo tutto
quello che aveva fatto per lui, le doveva almeno una risposta.
“Io
e Kajitsu
abbiamo sempre dovuto lottare, fin da quando siamo nati.”
Elisabeth
annuì
lentamente. Le aveva già vagamente parlato di
ciò, ma ogni volta le dispiaceva
pensare a due bambini soli contro il mondo.
“Questo
mondo
ci aveva emarginato a causa dei nostri poteri… siamo sempre
stati soli.
Crescendo abbiamo quasi sempre potuto contare solo l’uno
sull’altra. Credevamo
che Gran RoRo sarebbe potuta essere per noi la casa che non avevamo mai
avuto.
Ci siamo illusi per tanto tempo che fosse così, fingendo di
non sapere che
avremmo dovuto affrontare di nuovo il nostro destino.”
Yuuki, a quel
punto, posò un’ultima volta lo sguardo sulla
lapide per poi incamminarsi
attraverso i vialetti deserti. Elisabeth lo affiancò, in
attesa che continuasse
a parlare. Sentiva quanto difficile fosse per lui. Probabilmente
parlarne, era
come rivivere tutto quello.
“Successe
tutto
in un attimo. Eravamo nel Giardino delle Rose e, un attimo dopo,
davanti al
nostro peggior nemico. Avrei voluto dare il tempo a Kajitsu di
scappare, di
fare in modo che almeno lei si mettesse al sicuro insieme agli altri.
Il Re del
Mondo Altrove me lo impedì e lei non mi volle lasciare
indietro.”
Yuuki si
fermò,
la mascella contratta. La ragazza gli posò una mano sul
braccio per fargli
sentire la sua vicinanza. Avrebbe voluto fare di più, ma non
sapeva cosa. Non
le aveva mai parlato, in quei tre anni, di quello che era successo in
quei
pochi minuti.
“Usò
tutti i
suoi poteri, indifferente a qualsiasi rischio… ma era solo
quello che voleva
lui. E quando lei cadde tra le mie braccia, capii che avevamo perso.
Anche se
non lo volevo ammettere, stavo per perderla e non riuscivo a
sopportarlo.
L’unico scopo della mia vita era stato proteggerla, vederla
felice. E ho
fallito. Liberarla dal Nucleo Progenitore ha preteso un costo che io
non sarei
mai voluto essere costretto a pagare.”
Il ragazzo si
voltò e il suo sguardo cercò tra tutte quelle
lapide la sorella. Elisabeth
avrebbe voluto dire qualcosa, ma Yuuki riprese a parlare prima che
potesse
farlo.
“La
stringevo a
me, illudendomi che sarebbe bastato per farla restare con me. Non
volevo
perderla di nuovo, ma dovetti farlo. Rimasi impotente a vederla
dissolversi
davanti ai miei occhi.”
Yuuki
deglutì e
proseguì, con amara rassegnazione.
“Kajitsu
aveva
sempre solo desiderato vivere una vita normale. Io non sono stato in
grado di
aiutarla. Non ho neppure ripristinato il suo nome. È per
questo che nessuno può
aiutarmi a superare i miei rimorsi. Non potrò mai perdonarmi
per quanto è
successo.”
La durezza di
quelle parole, fece capire ad Elisabeth quanto era stata stupida ed
egoista.
Per il suo desiderio di sapere, non si era resa conto di quanto fragile
fosse
l’equilibrio tra Yuuki e il suo dolore. Quella domanda era
solo servita a
minare tutto quello che lui aveva fatto in quei tre anni. Come poteva
immaginare una ferita ancora così fresca dopo tutto quel
tempo?
“Yuuki,
basta…
ti prego.”
Il ragazzo
sembrò riprendere consapevolezza della presenza
dell’amica accanto a lui e si
voltò verso di lei che con gli occhi lucidi lo fissava
colpevole.
“Scusami,
sono
stata una stupida. Non avrei dovuto chiederti niente.”
Il Guerriero
Bianco scosse la testa. “Non è colpa
tua.”
Elisabeth
annuì
poco convinta. “Non erano affari che mi riguardavano.
Però so che Kajitsu non
avrebbe mai voluto che tu vivessi nei sensi di colpa. Sono certa che
lei non ti
incolperebbe mai di quanto successo, neanche se fosse veramente colpa
tua.”
Yuuki non
rispose e tornò a pensare al sogno che aveva avuto poco
prima di risvegliarsi
dal coma. Kajitsu avrebbe avuto qualcosa da recriminargli, il fatto di
non
riuscire ancora, dopo tre anni, a staccarsi dal senso di colpa. Come si
era
liberato, allora, di ciò che gli impediva di risvegliarsi.
“Lei
ti voleva
bene Yuuki. Hai mai pensato che anche lei avrebbe voluto vederti
felice?”
Il ragazzo la
guardò per qualche istante. Elisabeth gli stava ricordando
qualcosa che già gli
altri Maestri della Luce avevano cercato di dirgli. Qualcosa che molto
spesso
il dolore gli impediva di vedere. Kajitsu non voleva che si arrendesse
e lui
non poteva farlo o non sarebbe più stato degno di lei.
“Grazie.”
Elisabeth, a
quella parola, tornò a sorridere. Decisa a tirar su di
morale anche lui, lo
prese a braccetto e si incamminò con lui verso il cancello.
“Forza
torniamo
a casa. Facciamo colazione e poi voglio sfidarti a Battle Spirits!
Sento che
questa volta riuscirò finalmente a sconfiggerti!”
Yuuki sorrise,
grato a quella ragazza che lo spronava come un tempo aveva fatto Dan.
Era la
speranza di rivederla, un giorno, che in quegli anni gli aveva impedito
di
soccombere al dolore. Ora sapeva che cosa fare, quando avrebbe rivisto
gli
altri quel pomeriggio. Doveva raccontare loro come Kajitsu lo avesse
aiutato a
risvegliarsi dal coma.
E doveva
raccontare loro le strane sensazioni provate nei mesi precedenti,
successivi al
loro ultimo incontro. Ora che aveva parlato con Elisabeth, sentiva che
non
erano solo sue illusioni…
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Il primo pensiero coerente
che Hideto riuscì a
formulare era che qualcuno gli stava delicatamente scuotendo la spalla.
Poi si
accorse di non sentire più il rumore dei motori e neppure il
chiacchiericcio
degli altri passeggeri. Hideto aprì quindi gli occhi
lentamente, rendendosi
finalmente conto che, nonostante la prima impressione che aveva avuto
dopo il
decollo, alla fine era crollato dal sonno. Confusi sprazzi di sogno si
mescolarono ai ricordi del viaggio e ai pensieri della sera prima.
Stava
camminando per il deserto dell’Australia in una zona che
conosceva molto bene.
Si fermò vicino ad una roccia e si tolse con il dorso della
mano il sudore
dalla fronte. Improvvisamente un strana sensazione lo avvolse e si
voltò di
scatto. Una voce lo stava chiamando.
“Hideto.”
Ma non
c’era
nessuno. Stava per riprendere il cammino quando, a diversi metri da
lui, l’aria
vibrò e dopo un istante uno strano bagliore
sembrò squarciarla. Con gli occhi
sgranati, Hideto vide materializzarsi dietro quello squarcio il
paesaggio di
Gran RoRo. Non si sarebbe mai potuto sbagliare.
“Guerriero
Blu.”
“Mi
scusi,
l’aereo è atterrato. Deve scendere,
signore.”
Hideto si
riscosse, lasciando ricadere la memoria del sogno nel fondo della sua
mente.
Quando si voltò, vide il volto di una hostess. La ragazza
gli stava sorridendo.
“L’aereo…”
Il ragazzo
annuì, avendo ormai colto in pieno ciò che
l’hostess voleva dirgli. “Sì,
scusi.”
Si
slacciò la
cintura e percorse velocemente il corridoio fino alla porta di imbarco
dove
un’altra hostess lo aspettava sorridente. Era uno degli
ultimi ad uscire.
Hideto si fece velocemente largò tra la folla fino al luogo
dove si dovette
fermare in attesa dello zaino.
Solo allora
tornò a ripensare allo strano sogno. Che cosa significava?
Perché
all’improvviso sentiva quella strana sensazione di trepidante
attesa? Chi era
che lo stava chiamando? E perché?
Non credeva
certo fosse un caso. Per settimane aveva avuto la sensazione di essere
chiamato. E ora quel sogno. Poteva significare che finalmente avevano
una
possibilità di tornare a Gran RoRo?
Il ragazzo
allungò il braccio per afferrare lo zaino e poi si
bloccò. Ma se i Maestri
della Luce servivano di nuovo a Gran RoRo…. significava che
ci sarebbero dovuto
essere un nuovo Guerriero Rosso e un nuovo Guerriero Giallo. Supponendo
che
tutti loro non fossero stati “sostituiti” (come
spiegare altrimenti il sogno e
il resto?), Dan e Clarky non era più lì con loro.
Non ci voleva
pensare. Non che fosse andato subito d’accordo con i due,
questo era vero. Ma
con il passare degli anni erano diventati grandi amici. Non riusciva ad
immaginare altre due persone prendere il loro posto.
“Potrebbe
sbrigarsi? Non è l’unico che deve ritirare il
bagaglio!”
La voce
irritata dell’altro viaggiatore, riscosse Hideto dai suoi
pensieri. Il ragazzo
prese lo zaino e si allontanò verso le porte
dell’aeroporto, senza badare
ulteriormente all’occhiataccia che l’uomo gli aveva
lanciato.
Mentre
attraversava le porte scorrevoli dell’edificio e si ritrovava
nel confusionario
via vai di persone che entravano e uscivano dall’aeroporto,
Hideto si rese
conto di essere grato a Mai di non aver rinunciato alla loro tradizione
neppure
quell’anno.
Se
c’era una
possibilità di capire qualcosa sulle cose strane che gli
erano successe in
quelle settimane e quella notte, loro insieme ci sarebbero riusciti. E
se anche
gli altri avevano avuto le stesse impressioni o fatto lo stesso sogno,
significava che Gran RoRo e Magisa stavano veramente cercando di
mettersi in
contatto con loro.
Hideto,
finalmente riabituato alla luce intensa del giorno e al caldo (che fino
a quel
momento non aveva percepito per via dell’aria condizionata),
si avviò verso la
fermata dell’autobus. Mancavano ancora un paio
d’ore al loro incontro. Se era
fortunato riusciva a fare in tempo a tornare a casa per farsi una
doccia e
cambiarsi. Magari faceva anche un duello con suo nonno. Ormai gli anni
si
facevano sentire e l’anziano passava la maggior parte del suo
tempo a rimirare
il giardino e crogiolarsi nella propria tranquillità. Ma non
rinunciava mai ad
un duello con lui.
Hideto
sorrise.
Era felice di aver recuperato il rapporto con la propria famiglia. Era
stato
difficile, soprattutto con la sua drastica decisione. Scappare di casa
per
girare il mondo non era una decisione facile da accettare per due
genitori. Ma
piano piano erano riusciti a capire il perché della sua
scelta e da quel
momento non si erano più opposti al suo desiderio di
esplorare ogni parte del
pianeta. Erano stati orgogliosi di vedere come il proprio figlio fosse
diventato indipendente e sicuro di sé.
Quello che,
però, gli aveva resi ancora più orgogliosi era
stata la sua decisione di
iscriversi alla facoltà di medicina. Era felice che,
nonostante tutto, chi
aveva tramato contro di loro non fosse riuscito a strappare loro tutti
gli
affetti.
Se solo anche
Dan e Clarky, e la piccola Kajitsu, fossero stati con loro tutto
sarebbe stato
perfetto. E il fatto che la loro rinnovata battaglia non stesse dando i
frutti
sperati (conseguenza non troppo inattesa, data la loro scelta di non
affrontare
di petto la situazione come l’ultima volta) non sarebbe stato
tanto difficile
da accettare.
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Kenzo fissava
i
libri davanti a lui senza vederli. Ogni tanto spostava lo sguardo verso
il
computer acceso, giusto per sembrare impegnato. Ma non riusciva a
concentrarsi.
Continuava a ripetersi che era colpa del caldo, ma sapeva che non era
così.
Il ragazzino
alzò lo sguardo e guardò il gruppetto di compagni
di classe con cui si era
incontrato per preparare la ricerca che era stata loro affidata.
Decisamente
gli altri non erano distratti come lui. Kenzo si mosse sulla sedia
frustrato:
avrebbe voluto colpirsi con un libro in testa.
Ma come faceva
a concentrarsi sulla ricerca, quando la sua mente continuava ad
arrovellarsi
sulle inspiegabili sensazioni che aveva provato nelle settimane
precedenti? E
non aiutava il fatto che, l’unica soluzione razionale che
fosse riuscito a dare,
presupponesse che Magisa stesse cercando di farli tornare a Gran RoRo.
Faticava
a crederci, si era quasi convinto che le sue fossero soltanto
suggestioni…
almeno fino a quella notte.
Aveva fatto il
sogno più strano che si rammentasse. Quando si era
svegliato, gli era sembrato
strano non trovarsi a Gran RoRo. Non ricordava molto del sogno: una
voce che lo
chiamava più volte con il proprio nome e il titolo di
Guerriero Verde,
l’impressione che da qualche parte attorno a lui ci fosse il
varco per Gran
RoRo.
La cosa
più
strana di tutta quella vicenda era che tutto era iniziato solo da poche
settimane. Così all’improvviso. Aveva pensato
più volte di parlarne con gli
altri, ma poi aveva deciso di voler fare prima chiarezza da solo. Senza
ottenere nessun risultato.
Kenzo prese la
penna
che aveva posato sul quaderno e iniziò a giocherellarci.
Poteva essere che Gran
RoRo fosse di nuovo in pericolo?
Sembrava
così
strano dopo così pochi anni, ma di sicuro non era
perché finalmente l’umanità
aveva smesso di temere gli abitanti del Mondo Altrove. Come era
possibile che
Magisa non si fosse accorta subito di un pericolo così
vicino? Non riusciva a
dare una spiegazione razionale.
E chi avrebbe
preso il posto dei due Maestri della Luce mancanti? Non riusciva a
vedere
qualcuno al posto di Dan e Clarky. Sostituire i due sarebbe stato un
peso che
non avrebbe mai voluto avere di persona. Il legame tra i Maestri della
Luce era
molto forte, nonostante tutto. I due nuovi non avrebbero certo avuto
vita
facile: avrebbero rischiato di essere sempre paragonati ai loro due
amici.
Ma erano
possibilità a cui non voleva pensare. Dan e Clarky erano il
Guerriero Rosso e
il Guerriero Giallo. Punto. O venivano sostituiti tutti (un
po’ come Julian
Fines) o non veniva sostituto nessuno. Ma se anche Magisa avesse potuto
aprire
un varco per il futuro, Clarky sarebbe tornato lasciando la vita che si
era
costruito lì? E come avrebbe potuto riportare da loro Dan?
Ricordava cosa
Clarky aveva detto loro dopo lo scontro, era fermamente convinto che la
presenza del Nucleo Progenitore fosse un segno che Dan fosse ancora
vivo da
qualche parte. Lui, però, non sapeva che cosa credere.
Una parte di
lui voleva crederci, ma l’altra parte (quella più
scientifica e razionale) gli
impediva di sperare in qualcosa di cui non avevano la minima prova.
Anche se a
Gran RoRo ne aveva viste di cose incredibili, ben oltre la scienza
conosciuta
da loro. Bastava solo pensare al Nucleo Progenitore… o al
sistema dei nuclei ad
esso collegato.
Tornare a Gran
RoRo avrebbe potuto dare risposta anche a quelle loro domande. Ma aveva
anche
paura di ricevere una risposta. Scoprire che Dan non sarebbe potuto
tornare,
per esempio, non avrebbe spezzato soltanto Mai.
Però
doveva
parlarne con loro quel pomeriggio. Magari erano solo sensazioni sue e
si
sarebbe potuto mettere il cuore in pace. Se anche gli altri avevano
avuto gli
stessi sogni… beh, quella era un’altra storia.
Come poteva
tirare fuori quel discorso? Ragazzi,
sapete, per un qualche strano motivo sono convinto che Magisa stia
cercando di
mettersi in contatto con noi… o con me almeno. Voi che dite?
Kenzo
sospirò e
cercò per l’ennesima volta di indirizzare i propri
pensieri verso la ricerca.
Rimase per alcuni lunghi minuti a fissare i vari articoli e libri da
cui stava
raccogliendo il materiale, ma la sua mente non voleva in alcun modo
collaborare.
Ma come gli
era
venuta in mente l’idea di accettare di incontrarsi con i
compagni di classe
proprio quella mattina? Poteva solo sperare che il tempo passasse in
fretta.
Dovevano incontrarsi nel primo pomeriggio e per quello aveva deciso di
passare
la mattinata e pranzare con gli amici. Avevano già mangiato
e ora si erano rimessi
a lavorare…
Improvvisamente
Kenzo alzò lo sguardo sull’orologio e si rese
conto di un piccolo e
insignificante dettaglio. Il tempo era passato molto più
velocemente di quanto
avesse previsto. E doveva anche riportare a casa tutti i libri e i
quaderni!
Come avrebbe fatto a trovarsi neanche un’ora dopo
all’appuntamento?!?
Il ragazzino
si
alzò di scatto e iniziò a raccattare alla meglio
tutto il suo materiale,
cercando di ricordare quali libri gli amici gli avevano chiesto di
lasciare
loro.
“Scusate
ragazzi,
mi sono completamente dimenticato dell’ora… sono
già in ritardo per un ritrovo
con dei miei amici!”
Gli altri tre
lo guardarono per qualche istante perplessi dal suo comportamento e poi
annuirono e lo salutarono.
Kenzo si mise
in spalla lo zaino riempito in modo quasi casuale con il suo materiale
e corse
fuori dall’aula in cui si erano riuniti. Proprio con quel
caldo doveva
dimenticarsi di guardare l’orologio!
E per fortuna
che aveva detto ai genitori di non preoccuparsi, che non
c’era bisogno che mandassero
nessuno ad accompagnarlo! Con il senno di poi avrebbe fatto meglio ad
accettare. Lui non era una persona particolarmente sportiva. Doveva
solo
sperare che l’autobus non arrivasse in anticipo o in
ritardo… anche prendendo
tutte le coincidenze sarebbe stato un miracolo arrivare in tempo. Forse
era
meglio ripiegare sulla metropolitana: incrociando le dita ci sarebbe
stato un
treno che potesse prendere per arrivare nella zona di casa sua. Poi
poteva
lasciare lo zaino a Shizuko e correre a prendere l’autobus
per andare alla
spiaggia vicino alla quale aveva deciso di incontrarsi.
Ci poteva
riuscire, bastava solo avere tanta ma tanta fortuna. L’unico
lato positivo di
quella corsa era che, finalmente, ora non si stava più
arrovellando su i se e i
ma delle strane sensazioni e del sogno. Sarebbe tornato a pensarci una
volta
riunito con gli altri. E, magari, insieme sarebbero riusciti a dare una
spiegazione.
Salve
a tutti! ^-^ Rieccoci di nuovo qui, finalmente
con il primo episodio della nuova avventura dei Maestri della Luce.
Sì, lo so
questo capitolo è molto statico ma si deve iniziare piano
no? Questo capitolo
funge un po’ da introduzione. Tengo comunque a scusarmi per
avervi fatto di
nuovo attendere così tanto… e non perdo tempo a
voler indicare questa o
quest’altra scusante. Vi chiedo scusa e basta.
Inoltre,
prima di ogni cosa una piccola premessa.
Come avrete capito la storia inizia nel 2014, ovvero 6 anni dopo
“Dan il
Guerriero Rosso”, 4 anni dopo la fine di
“Brave” e 3 anni da quanto raccontato
nell’EPISODIO 0. Quindi, giusto per avere un quadro preciso
vi do le età dei
nostri Maestri della Luce: MAI 20 anni, HIDETO
19 anni, KENZO
15 anni e YUUKI 23 anni. Voi
direte… mamma mia, che grandi! ^-^ Beh,
non potevamo per sempre tenere piccoli i nostri eroi… (e poi
odio quegli anime
dove i personaggi non crescono o se lo fanno non sembra neppure un
po’) …
soprattutto nell’ipotesi di legami un po’
più solidi e stabili dei nostri cari
Maestri della Luce. E comunque in generale per proseguire sulla
maturità già
mostrata in Brave (senza esagerare… le storie di questa
serie saranno sempre rating
verde o al massimo giallo). Spero di riuscire a mostrare al meglio
questa loro
nuova “maturità”: fatemi sapere che ne
pensate.
Detto
questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto:
aspetto i vostri commenti. Ringrazio fin da subito chi
leggerà e chi, se vorrà,
recensirà.
Ricordo
ovviamente che queste serie sono frutto di
una collaborazione tra me (idee e stesura) e mio fratello (idee e
duelli).
Vi
do quindi appuntamento al prossimo capitolo… eh,
sì da oggi in poi dentro agli episodi niente più
anticipazioni! XD Non voglio
certo rubare la scena a chi nell’ultimo capitolo vi
darà le anticipazioni… beh,
solo per questa volta, una cosa ve la dico: nel prossimo capitolo il
VARCO di
Gran RoRo tornerà ad aprirsi! ^-^
Uno
per tutti e tutti per uno,
Hikari/D’Artagnan
P.S.
voglio fare
un piccolo gioco con voi. Si sa, nelle due serie televisive il primo
duello sul
vero campo di battaglia era fatto da Dan. Questa volta Dan,
però, non c’è… chi
secondo voi sarà il fortunato ad affrontare questo tipo di
duello per primo? Si
accettano scommesse e tenete in considerazione che può
essere chiunque ma proprio
chiunque! XD
Non
so se lo leggerete oggi, ma in ogni caso io e
mio fratello vogliamo…
Augurarvi
un felice e sereno Natale!