My
Soldier
«Allora,
Dalan, Brandon ci ha parlato della vita
di un soldato nella base militare. Tu hai voglia di raccontarci
com’è, invece,
la vita di coloro che aspettano il ritorno del proprio compagno?
Com’è vivere
senza avere più notizie del proprio partner?»
Becca
Huntow, una delle più famose giornaliste americane, si
sposta sull’altro
bracciolo della sua poltrona bordeaux e mi fissa con i suoi grandi
occhi
azzurri. La mano di Brandon, avvinghiata alla mia, stringe un
po’ troppo la
presa, come se volesse assorbire il dolore che provoca la domanda.
Pochi
comprendono cosa si provi in situazioni come queste, ma la gente deve
sapere,
deve capire cosa significhi essere un soldato o il suo compagno. Ecco
perché
ricambio la stretta di Brandon e inizio a raccontare.
«Be’,
ecco... io posso
parlare solo delle mie esperienze, perché credo che ognuno
di noi viva questa
cosa in modo differente. Per me è molto stancante: dopo che
Brandon è partito, dormire
diventa solo più... un ricordo fastidioso. La sera vai a
letto, ti infili sotto
le coperte e fissi il soffitto. Magari chiudi gli occhi, ma non dormi.
Ti
riposi, svuoti il cervello e scolleghi la spina, ma non dormi
più. La tua vita
si fa improvvisamente monotona e ripetitiva: casa, lavoro, casa. Casa,
lavoro,
casa. E da capo, ancora e ancora. È noioso, certo, ma
è anche un modo per non
pensare a cosa sta accadendo, per non cominciare a domandarti:
“Cosa starà
facendo? Starà bene? Avrà qualche
problema?”
Ma
nonostante provi a non pensarci, a convincerti che vada tutto bene, in
un
angolino remoto della tua coscienza è già partito
il countdown per il suo ritorno
a casa. Ogni giorno la paura di non riaverlo più indietro,
di ricevere solo più
una medaglietta di metallo e un pezzo di stoffa si fa sempre
più grande. È una
sensazione orribile, che ti opprime il cuore finché non ti
sembra di sentirlo
scoppiare. Ma poi, all’improvviso, la paura cambia:
è il momento in cui non
manca più nessun giorno, più nessuna fottutissima
croce sul calendario. Solo
ventiquattro penosissime ore. E allora cominci a pensare: “E
se non ci dovesse
essere? E se qualcuno venisse da me e mi stringesse una spalla,
scuotendo la
testa? Cosa farò io? Cosa rimarrà della mia
vita?”
Vedi,
quelle ventiquattro ore sembrano non finire mai, ma allo stesso tempo
passano
velocissime. E ne manca solo più una. Qui inizia il conto
alla rovescia dei
minuti: pensi a talmente tante cose insieme che non ne capisci neppure
una;
quella sensazione orribile che prima ti opprimeva il cuore, ora invade
tutto il
tuo corpo e tu non riesci più a stare fermo. Ovviamente il
pullman su cui
stanno tornando dall’aeroporto è in ritardo. Ma
alla fine, quando finalmente lo
vedi, non mancano più giorni, non mancano più ore
e neppure minuti. Solo pochissimi
metri di distanza, che elimini passo dopo passo, falcata dopo falcata.
Ed
eccolo lì. È fra le tue braccia. Ti stringe a
sé, ti tiene in braccio e piange
con te. Ti accarezza la testa, ti sussurra che ti ama e quel peso che
sentivi
sul cuore non c’è
più».
«A cosa pensi quando succede, Dalan?» Becca ha gli
occhi umidi, la voce esce leggermente roca mentre pone la domanda.
Ma
la mia risposta arriva sicura. «A due cose: la prima
è che lui è davvero lì con
me. Lo sento sotto le dita, sulla pelle, e non è uno di quei
miraggi che
intravedo in metropolitana o al supermercato. Lui è davvero
lì. Ed è vivo. La
seconda cosa che penso è che finalmente portò
tornare a dormire come si deve. Niente
più lacrime sul cuscino, niente più solchi nel
pavimento alle due del mattino.
Ho di nuovo qualcuno da stringere, un petto su cui poggiare la testa e
riposare, un viso da vedere prima di chiudere gli occhi. Alla fine,
interrompendo questo fiume di ragionamenti, Brandon mi bacia e io non
penso più
a nulla. Sorrido... e basta». Quando finisco di parlare mi
accorgo di non
essere riuscito a trattenermi. Sto piangendo, e la mano di Brandon che
trema mi
basta per capire che lo sta facendo anche lui. Una lacrima è
caduta sul vestito
verde smeraldo di Becca, che però la ignora e nasconde la
bocca dietro una
mano. Uno strano silenzio cala nello studio televisivo, ma non
è fastidioso,
anzi. Sembra quasi che il tempo si sia fermato.
Piango io.
Piange Brandon.
Piange Becca.
Piange
gran parte del pubblico nello studio televisivo e piange persino uno
dei
cameraman. Dietro le quinte una truccatrice ha la fronte poggiata sulla
spalla
di un collega, un parrucchiere forse, che la abbraccia e nasconde la
testa fra
i suoi lunghi ricci. Le loro schiene sono scosse da violenti
singhiozzi. Per
quanto questo momento possa essere colmo di tristezza e di dolore, io
sorrido.
Sorrido a Brandon e lui sorride a me.
Perché forse non tutti avranno capito
cosa significhi essere un soldato o il suo compagno, ma da adesso tutti
sapranno che a lottare si è sempre in due.
Alloraaaaa....
che dire? Chi ha letto la
presentazione del mio profilo sa che ho un fetish per i soldati,
poliziotti e
tutti coloro che indossano la divisa (ottantenni esclusi,
però). Ho ammirato
davvero molto il gesto di questi due ragazzi (Dalan Wells e Brandon
Morgan)
perciò ho deciso di render loro omaggio con questa cosina...
Lasciate
un commentino, se vi va, e mi farete mooolto happy! <3