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Autore: Passero della Neve    29/12/2014    2 recensioni
“Quando avrò la maggiore età non potrai impedirmi di andare via da qui, e finalmente la smetterai col tormentarmi!”
E se l'uscita di scena trionfante venisse anticipata?
Nelle mani screpolate dal freddo stringevo caramelle alla menta, un filo di inquietudine e qualche moneta: tutto ciò che al momento mi apparteneva. Io ed il mio grammo di ottimismo continuammo a camminare verso il binario quattro con la convinzione che ce l'avrei fatta, che in un modo o nell'altro sarei riuscita a cavarmela. In caso contrario, mi restava la soddisfazione di aver varcato la soglia della casa degli orrori prima che sarebbe stato troppo tardi anche solo per respirare.

1976, i Sex Pistols e i Clash regnano sovrani sulla scena punk rock della signora Londra.
In prima fila c'è un insolito, dolce amaro triangolo che racconta la storia nella storia.
Diffuso ovunque e da secoli, il triangolo è da sempre presente nei libri, nei film, nelle canzoni, nelle poesie e persino nei fumetti fino alla nausea.
Il triangolo di "Che razza di storia è questa!" sarà forse noioso, ma mai banale.
Resta a voi giudicare.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Johnny Rotten, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Capitolo secondo 
 
LA RAGAZZA DELLA MOTO


Johnny’s pov:

Da quando Cook aveva preso parte ad una sanguinosa scazzottata alla seconda uscita dell’ultima metro, decidemmo che sarebbe stato meglio non farci vedere per un po' da quelle parti.
Stare seduto ai piedi di una fermata degli autobus, in attesa di un autobus che forse non sarebbe mai arrivato, non era una buona cosa per il mio umore nero. Il tempo sembrava essersi cristallizzato. E il mio culo anestetizzato stava per divenire esagonale. Con la schiena dolorante abbandonai quella posizione scomoda e tornai in piedi, poggiandomi con la spalla al palo della luce che minacciava di spegnersi. Che quartiere di merda.
– Cristo santo Jones, piantala! – sbottai spazientito, piantandomi nervoso le mani nelle tasche della giacca. – Ti ho già detto che non voglio parlare di donne, okay?
Steve cominciava davvero a farmi innervosire. Non faceva altro che farmi domande inutili riguardo un paio di puttanelle del Bromley: un quartiere popolato da topi di fogna che chiunque persona per bene non desidererebbe mai incrociare per strada.
– Andiamo Rotten, ma l'hai vista ieri al pub? Ti guardava come una cagna in calore! Proprio non capisco perché non le hai dato una passata.
Una cosa? Steve e i suoi modi di dire. 
 – Forse intendi "perché non le hai dato una botta" – lo corressi. – Cosa sarebbe una passata, non devo mica verniciarle la figa!
Cook sbuffò una risata mentre era intento ad accendersi uno dei suoi spliff scadenti, di cui a me faceva cagare anche solo l'odore. – Verniciarle la figa.. – ripeté poi, in preda ad uno dei soliti attacchi di ridarella, che fece sorridere anche me.  
Steve Jones e Paul Cook: un corpo e un'anima. Amici inseparabili, nonché vicini di casa. Jones, il corpo, schietto e perverso al contrario di Cook, l'anima, che seppur avesse pensieri poco casti preferiva tenerli per sé.
– Io una verniciata gliela darei anche subito – borbottò il primo. Non ho alcun dubbio a riguardo, Jones.
La tipa a cui sotto consiglio del mio amico patologicamente perverso dovevo dare una “passata” era Victoria Fitch, da molti soprannominata: “Vicki tanta roba”. Sotto quel chilo e mezzo di unguento che solitamente le ragazze amano spalmarsi sulla faccia non vi era una particolare bellezza, ma il suo particolare talento in altri campi era capace di compensare qualsiasi mancanza, persino quella dell’intelligenza ... No, forse su questo punto c'erano forti dubbi.
Molto stupida, troppo spesso fastidiosa ma impeccabile nei servizi orali, Vicki era centosettanta centimetri circa di merce facile. Nulla di prezioso, una delle tante col telepass alle mutande residente nella parte peggiore del Bromley. Fan sfegatata dei Clash, un gruppetto di coglioncelli che giocavano a fare i super punk nei i locali di Londra Est. Vicki era sempre inchiodata alla sua band preferita, o meglio dire, era sempre pronta a farsi notare in tutti i modi (im)possibili dal bassista: Paul Simonon, un ragazzo del Brixton. Uno dei pochi ragazzacci di quella zona che aveva capito qualcosa della musica e che molto lontanamente avrebbe potuto anche essermi simpatico. Sebbene io non avessi un briciolo di esperienza nei rapporti tra l’universo femminile e quello maschile, avevo l’impressione che Simonon mostrasse l'atteggiamento di chi non ha nessuna intenzione di lasciare che Vicki prendesse possesso della sua mente, oltre che della zip dei pantaloni. Anche se la più ammaliante e disponibile di tutta la sua combriccola, sapevo anch’io quanto sapeva essere asfissiante quella ragazza dopo una scopata. Assurdo come non ne avesse mai abbastanza!
Vicki però non si lasciava di certo scoraggiare, custodiva la riserva, la spalla su cui piangere. Era solita offrire a me le sue grazie, ogni volta che bussavo alla finestra della sua camera in balia dell’astinenza. In questo modo, io riuscivo a rimediare una sveltina senza troppi fronzoli romantici, mentre lei riusciva ad assimilare i numerosi rifiuti da parte del suo amore inafferrabile. E a giudicare dalle performance contorsioniste che adoperava sul suo letto a baldacchino, era davvero una maestra nel soffocare i dispiaceri..
– Hai notato che quando non sfoghi diventi cattivo, Rotten? – La voce di Steve piombò tra i miei pensieri che stavano percorrendo un sentiero insolito. – Non basta urlare nel microfono, spesso ci vuole anche del sano sesso!
Quella mezza sega aveva più voglia di blaterare del solito. Storsi le labbra in una smorfia evitando una risposta. Infondo aveva pur sempre ragione. Ma quale parte del "non voglio di parlare di donne" non aveva capito? Desideravo solo mettere da parte le chiacchiere sciocche e pensare a nient’altro che alle prove della band, al testo da sistemare, e a sparami qualche birra al Crunchy Frog, un locale notturno che ultimamente frequentavamo spesso poiché non aveva regole troppo severe da farci sbattere fuori. Quella sera, prima di noi, suonavano i Generation X: un altro branco di pagliacci che a mio parare con le loro canzonette noiose non sarebbero andati molto lontano.
– Ti ammazzi di seghe e poi hai anche il coraggio di fare la predica a lui? Guarda che sei proprio forte! – intervenne Cook in mia difesa.
– Io non mi ammazzo di seghe.
– No? Hai un'intera collezione di riviste porno, amico. Presto tutti ti chiameranno "Steve Jones, il chitarrista ceco".
Steve ghignò, evidentemente entusiasta di quel soprannome che Cook gli aveva appena affibbiato e rubò la finta sigaretta dalle dita dell’amico.
– Per non parlare del fatto che hai l’uccello così rinsecchito che sembra un ramoscello secco – intervenni, divertito dal loro battibecco, con l’intenzione di ricambiare gli sfottò. Mentre la mia risata flebile veniva coperta da quella dei miei amici, lanciai il mozzicone della sigaretta in una pozzanghera a pochi metri da me e mi ritrovai a sollevare lo sguardo al cielo insolitamente limpido. L’osservai, scorgendo il luccichio debole di una stella. Aveva appena smesso di piovere, giusto in tempo per risparmiarmi una rottura di palle. Odiavo quando ero in strada e le nuvole d’un tratto decidevano di mettersi a piangere.
– Comunque se proprio ci tieni a saperlo, Vicki mi annoia – confessai senza troppo interesse. – E’ roba vecchia, e poi strilla troppo.
– Meglio così. Vorrà dire più carne per me.
– Allora buon appetito, Jones – conclusi, prima di dare un calcio ad una bottiglia vuota gettata a terra da chissà quale incivile.  
Soddisfatto di aver appena messo a tacere la morbosa curiosità di quel chitarrista ficcanaso, scacciai dalla mente quei pensieri impuri su Victoria e i suoi orgasmi e salii sul quel bus che finalmente arrivò prima che potesse crescermi la barba.

– Questo è disturbo della quiete pubblica! – sbraitò l'uomo alla guida. – Fuori di qui sporchi teppisti o chiamo la polizia!
Come previsto, il conducente ci costrinse ad abbandonare l’autobus poche fermate prima della nostra destinazione. Tutta colpa di quell'idiota di Steve e dei suoi rutti da bisonte! Per quanto mi riguardava, l'autista poteva anche ficcarsela diritto nel deretano la quiete pubblica, perché adesso dovevamo farcela a piedi fino alla metro più vicina ed io non avevo nessuna voglia di camminare.
Da cinque minuti buoni ridevo come un coglione agli scherzi che Cook raccontava di aver combinato alle amiche di bridge di sua nonna, due sorelle nubili sulla settantina. Possedevano una villa nei quartieri alti della città, presso la quale ogni tanto ci recavamo per raschiare le foglie dal giardino, innaffiare le piante e lavoretti simili, in cambio di una misera manciata di sterline che a malapena ci bastavano per un toast e un pacchetto di sigarette. Che sfruttatrici!
Da quando mio padre mi aveva sbattuto fuori di casa, m’inventavo di tutto pur di riuscire a saldare i conti delle birre che mi scolavo, anche fare le pulizie. "Ti sembra il modo di presentarti a casa? Fuori di qui, fuori di qui sporco bastardo! E non ti azzardare a tornare!" Mi sembrava ancora di sentire la sua voce dura. Quel tono autoritario da padre padrone che era solito usare anche quando parlava a mia madre. Non riuscivo ancora a capacitarmi su cosa avessi fatto di tanto grave quella sera per essere stato trattato come un farabutto, un figlio ingrato. Ero solo tornato a casa dopo due giorni di totale assenza, con i capelli a spazzola tinti di verde! Adesso il verde era andato via lasciando spazio al mio rosso naturale. Come era andato via anche l'entusiasmo iniziale, quella sensazione che ti fa credere di essere diventato finalmente un adulto ora che si è finiti per strada a fare lo squatter, ora che si conosce cosa vuole dire essere un vero punk. Essere un vero punk vuol semplicemente dire essere un figlio di puttana, uno che ha fatto del marciapiede il suo regno. Un figlio maledetto di una patria giubilata dalla vergogna della monarchia, senza avvenire, e con la voglia di rompere il muso al suo caritatevole prossimo.
Usciti finalmente dalla metro, svoltai l'angolo dell'incrocio e la risata di Steve ai racconti di Cook sfumò via come polvere al vento insieme al mix dei miei pensieri. Ci voltammo tutti e tre a guardare contemporaneamente nello stesso punto: chiamasi sincronizzazione maschile.
– Chi diavolo è quella figa spaziale sulla moto di Tony J?
Tony James, un carciofo che senza vergogna si improvvisava musicista nei Generation X, aveva parcheggiato la sua motocicletta all'entrata del parcheggio del Crunchy Frog e una figa spaziale, come Steve la descriveva, era comodamente seduta sopra. Per ipotesi che l'aldilà esista, allora il paradiso doveva essere proprio davanti a me, su quel fottuto veicolo a due ruote.
Le luci dei lampioni e della strada mi furono d'aiuto per riuscire ad inquadrare due gambe affusolate perfettamente accavallate, un viso piccolo contornato da lunghi capelli castani che raccolti in una morbida treccia ricadevano oltre la spalla. E quella sigaretta, che teneva tra le dita come se non le appartenesse. Quella ragazza fu una novità, un volto nuovo a Rotherhithe. Né io né i miei amici l'avevamo mai vista prima d'ora nei dintorni pub, né da nessun altra parte. Ma ciò che vedevo era reale o solo un abbaglio? Un'allucinazione dovuta alla mia ormai quasi implacabile astinenza? Incredibile come ogni pensiero su Vicki, mio padre e la band fosse eclissato in un attimo.
– Guardate un po’ Tony J che bel pezzo di fidanzata che ha trovato! – ironizzò Cook. Mi domandavo se Cook fosse nato ritardato o avesse subito un trauma infantile proprio come me e la mia meningite. Insomma, uno come Tony James non poteva davvero aver abbordato quella ragazza! L'unica cosa che sapeva fare quella specie di carciofo era guidare la sua bambina a due ruote, mandare qualcuno meno vigliacco di lui a pestare chi gliela rubasse per poi atteggiarsi a superuomo.
– Stronzate. Quello è più imbranato di Rotten per rimorchiare una tipa così – commentò Steve, che quel paragone poteva anche risparmiarselo. Che simpatia.  
Tenevo le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni, aspettando il momento giusto per attraversare la strada e quel silenzio che mantenevo da un bel pezzo iniziava ad essere insostenibile. Avrei voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma l’unico pensiero che il mio cervello riusciva a partorire era: “Adesso ti rubo e ti porto via con me, dove nessuno potrà mai trovarti.
– Se fossi in lui non la lascerei alla portata di tutti – convenne Cook.
– Davvero? E di quale gioiellino parli? – Steve ci fece ridere con quella domanda ironica. Alludeva al fatto che, pochi giorni prima, sulla sella di quel gioiellino c'erano lui e Cook a zigzagare tra King’s Road e la strada opposta rischiando di provocare uno tsunami di persone volanti. Soffiarono la moto a quel pallone gonfiato proprio dove l'aveva lasciata incustodita: ad un soffio dalla boutique di Malcom. Mentre tutti i teppisti cacasotto si limitavano a sognare una motocicletta del genere, io ed i miei compagni di avventura usufruivamo del bene senza permesso. Legittimamente significherebbe rubare, ma io preferivo un termine più appropriato: "prestito".  Io e quel gran bastardo di Sid ci piazzammo sotto l'uscio del negozio nel ruolo del palo, per assicurarci che quello non uscisse troppo presto a rovinare il divertimento. Sorrisi impercettibilmente a quel pensiero spassoso, poi tornai a catturare l’immagine della ragazza della moto come a voler stampare la sua fotografia nella mente. Per un attimo mi sentii impedito di camminare, come se tutti i sensi, tatto compreso, avessero subito un blackout momentaneo. Sempre meglio sentirsi un completo ebete incapace anche solo di camminare o proferire parola, piuttosto che esibire certe figure pessime come era solito fare Steve Jones. A volte sembrava quasi un cane con la bava.
– Hey sirena sullo scoglio, vuoi nuotare con me?! – Come immaginavo il cane non perse occasione: mentre eravamo in procinto di attraversare la strada cercò di attirare l'attenzione della sirena con quella domanda velata di malizia, nonché assurda e stupida. Infondo si sa, i complimenti urlati a squarciagola da lontano sono i più raffinati. Il richiamo del mio amico però si rivelò deludente: come risposta lei non ci degnò nemmeno di una parola. Eppure ero sicuro che il suo sguardo stesse vagando dalle nostre parti. Deluso ma divertito la ignorai, mentre attraversavo il parcheggio del locale con fare disinteressato.
Ammisi a me stesso di essere sorpreso dalla sua noncuranza. Qualsiasi ragazza sfacciata non avrebbe esitato a tuonarci contro una serie di insulti, invece lei rimase in silenzio. Ci guardò, e non articolò una sillaba, lasciandoci sguazzare nell’indifferenza più assoluta.
– Non ha sentito – bofonchiò Steve, con l'aria di chi una tipa così può solo che sognarla.
– Ha sentito benissimo, mi hai distrutto il timpano! – si lamentò Cook, grattandosi l'orecchio.
– Forse è straniera. Pensa se venisse dalla Bulgaria..
– Ma che cazzo Jones, ti sei fissato con le bulgare! Tanto non te la mollano nemmeno loro.
Le voci dei miei amici facevano da sottofondo ai miei pensieri più nascosti.
Quell'atteggiamento snob e malfidente mi incuriosii a tal punto che per un attimo fui anche tentato di fare dietrofront, saltare in sella a quella fottuta motocicletta e tentare di conoscerla. Chissà se sarebbe scappata via, forse turbata dalla mia faccia poco raccomandabile. Cambiai idea, e diedi la colpa alla mia ruvida timidezza. Ma orgoglioso com’ero, alla fine mi convinsi che avevo altre cose molto più importanti a cui pensare, e al momento nessuna ragazza era inserita nella lista delle mie priorità.
Non vi era alcuna musica provenire dal pub, fortunatamente. I Generation X avevano appena terminato la loro penosa performance alla quale fui felice di non aver assistito. Adesso potevamo finalmente provare anche noi, portando un altro po’ di casino molto più originale. Speravo solo che quello svitato di Glen Matlock si fosse presentato come previsto.
Non ero certo che quella fosse davvero la ragazza di Tony James, o una di quelle cretine che gli gironzolavano intorno, ma se era seduta sulla sella della sua motocicletta con quel perdente doveva pur averci a che fare. Mi lasciai la curiosità alla spalle, gettai sull’asfalto il mozzicone dell’ennesima sigaretta ed oltrepassai la soglia del Crunchy Frog.


Alex's pov:

Avevo chiesto l’ora circa trentasette volte alle persone che diffidenti mi passavano accanto. A quanto pare le lancette pigre non avevano gran fretta di correre.
Annoiata, frugai all’interno della borsa alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarmi ad ammazzare il tempo. Nascosta sotto un paio di magliette aggrovigliate e ad un grosso elastico per capelli di cui non ricordavo l’esistenza, vi trovai una rivista dalla prima pagina mancante. L’avevo fregata circa un mese prima dalla sala d’attesa della dottoressa Freeland, una psicologa specializzata nei problemi legati all'adolescenza, presso la quale la scuola mi consigliò di recarmi quando ne sentivo il bisogno.
Pagina otto: la posta del cuore di Kelly. Argomento interessante quando non si possiede niente di più costruttivo da fare.
La comoda motocicletta sulla quale ancora sedevo a modi panchina, traballò improvvisamente provocandomi un sussulto. Feci in tempo ad aggrapparmi al paletto in acciaio della sella prima che potessi perdere l’equilibrio e ritrovarmi schiantata sulla strada. Qualcuno con la voglia di scherzare aveva deciso di sganciare il cavalletto senza nessun avvertimento, rischiando quasi di arrecarmi l’inizio di un infarto.
Due ampie spalle magre si presentarono davanti ai miei occhi quando mi voltai a guardare verso il manubrio. Dubitai fortemente che il tipo non avesse notato la mia presenza prima di prendere posto sulla sella anteriore, a meno che non fosse cieco. Cosa molto improbabile di fronte al fatto che, per un dato ovvio, i non vedenti non posseggono la capacità di guidare. Quel modo rozzo di invitarmi a scendere dalla moto non lo trovai affatto carino. Avrei preferito di gran lunga essere stata rimproverata per essermi seduta senza permesso, piuttosto che essere ignorata in un modo così poco educato. Evidentemente quell’individuo vendeva care le parole. Che fosse un tipo poco pratico nei rapporti civili? – Ma che modi! Mi hai spaventato.
– Oh mi dispiace.. la prossima volta ti avviserò in anticipo, così sarai preparata. – Fu una voce calda a parlare, quasi trascinata, con un non so che di magnetico. Non una di quelle rauche e sgradevoli degne di un rude motociclista. Ad ogni modo, qualunque suono avesse avuto quella voce non era rilevante, perché quel tono sarcastico non mi piacque per niente, specialmente se quello spiritoso non si era nemmeno degnato di voltarsi a guardarmi in faccia. Cestinai una risposta. Senza troppe cerimonie abbandonai la motocicletta con un piccolo salto e, guidata da qualcosa che somigliava lontanamente all'irritazione, mi spostai più in là sedendomi sul piccolo muretto sottostante al cancello scolorito del parcheggio. Da quella prospettiva potei ben vedere la figura del giovane e il profilo del suo viso:
capelli molto corti, biondo cenere, pettinati verso l’alto secondo nessun ordine preciso. Labbra carnose, magro e slanciato. Aveva gli occhi grandi dal taglio allungato, di un colore che non riuscii a definire per via del buio. Oserei dire due diamanti luccicanti, con delle venature di un tono più scuro qua e là. Semmai avessi dovuto descrivere quegli occhi con una metafora, sarebbe stata Mare in tempesta. Quel mare agitato dove le onde implacabili sono un mix di tonalità azzurro sfumato che incastrandosi tra loro non si lasciano cogliere. Un po’ blu, un po’ grigie, e un po’ tanto indecifrabili.
Da quale vortice immaginario saltava fuori quel ragazzo dalla giacca borchiata? Dopo una lastra alla mia silhouette distolse lo sguardo impassibile da me e si guardò intorno con attenzione, come a voler accertarsi se stesse passando inosservato o meno. Occupato a gustarsi la sua sigaretta appena accesa, incrociò al petto le braccia esili e il fumo grigio che sbuffò diritto davanti a sé si disperse nell’aria fredda. A quanto pare non aveva ancora intenzione di partire.
– Stai aspettando la tua ragazza? – domandai, più per non fare la figura del pesce muto che per la curiosità.
– No, non ho la ragazza – rispose svogliatamente.
– E non hai nemmeno l'aria di un motociclista – commentai, nonostante lui si mostrasse poco interessato alla mia presenza. – Solitamente i motociclisti sono grassi e hanno la barba.
…ma che idiozia vado a dire! Accidenti a me e alla mia mania di blaterare cose inutili quando mi ritrovavo incastrata in una nuvola d’imbarazzo.
– Io invece sono un gran figo, vero? – chiese lui distratto. Si ostinava a guardare spesso verso l’uscita del locale, con lo sguardo vago di chi è in attesa di qualcuno che da un momento all’altro sarebbe arrivato.
– E anche molto presuntuoso – aggiunsi a quella domanda retorica. Ricevetti un sorriso sbilenco in risposta che si spense quando, chinandosi in avanti, lo sconosciuto prese a smanettare col motorino d’avviamento della moto, tenendo saldo tra le labbra il filtro della sigaretta.
– Se hai perso le chiavi dovresti cercare un meccanico – gli suggerii consapevole di risultare un’impicciona.
– Porca troia, tu parli troppo – soffiò seccato, usando un tono lento. Nel tentativo di colmare il mio imbarazzo mascherato di curiosità lo avevo fatto esasperare. – Questa meraviglia non è mia, la prendo in prestito.
Ebbi l’impressione che il bel biondino fosse il tipo che in genere non rispetti le regole, figuriamoci quelle della strada! E che fosse allergico al linguaggio verbale: lo intuivo dal breve silenzio che lasciava scorrere prima di rispondere a qualsiasi domanda, dalla lentezza con cui parlava che lo faceva sembrare pigro ed annoiato.
Mi morsi il labbro, ingoiai la lingua e riaprii distrattamente la mia rivista. Trascorsero brevi istanti di silenzio, che io colmai leggendo per tre volte di seguito la stessa riga senza capirne il significato, e quando di sottecchi vidi quel ragazzo guardarmi di nuovo con quel sorrisino impertinente capii che forse la mia curiosità non gli dispiacesse più di tanto.
– Prestito o no, a me sembra che tu stia rubando – commentai come se stessi parlando tra me, cercando nel contempo di non perdere la concentrazione dalla pagina otto. Ma come si può restare concentrati in una situazione simile? Come previsto, dell'altro silenzio mi fu dato in risposta.
Mi domandavo se stesse solo tentando di spaventarmi per il semplice gusto di farlo, o se le sue intenzioni erano proprio quelle di scappare via con una motocicletta che non fosse di sua proprietà. In proposito, il mio intuito sempre impeccabile mi suggerì di eliminare la prima ipotesi.
– Hey Simonon, Tony James ha smesso di suonare da un pezzo. Fossi te farei in fretta. 
Quel vocione sconosciuto apparteneva ad un tizio barbuto, con gli occhi e la fronte nascosti sotto un berretto verde bottiglia. Accompagnato da una leggera scia di sbornia e una risata sgranata, ci passò accanto dopo esser uscito dal Crunchy Frog. Il ragazzo non rivolse nemmeno uno sguardo all'uomo che indifferente si allontanò, riservandogli lo stesso silenzio che aveva in serbo per me. Spostai lo sguardo sul motorino d’avviamento della moto, osservando scettica quelle mani di chi sa quel che fa. Il motore raschiò per un istante quando si accese, poi si fece limpido.
– Simonon? – Che nome insolito.
– Sì, è il mio cognome. Ma tu puoi chiamarmi Paul – si presentò lui, usando un tono di voce più alto da sovrastare il rombo del motore che stava scaldando. Facciamo che non ti chiamo affatto, pensai mentre mi voltavo a guardare da un’altra parte. Il suo sguardo magnetico era caduto su di me proprio nell’istante in cui stavo fissando il suo volto, e deviarlo fu l’unica cosa che l’impulso mi innestò.
– Allora, signorina.. che non ha un nome – parlò prima di portarsi di nuovo la sigaretta alle labbra. Cos’è, d’un tratto gli era venuta la voglia di conversare? Se credeva che mi sarei presentata ad un delinquente come lui, magari anche con una calorosa stretta di mano, si sbagliava di grosso. Non mi sembrava il caso di stringere allegramente amicizia come nulla fosse. – ..se hai finito con le domande, che ne diresti di fare un giro con me?
Come faceva a mantenere un comportamento così tranquillo e rilassato? Stava per rubare una maledetta motocicletta sotto i miei occhi, non una pagnotta al mercato! 
– Non hai paura che mi metta ad urlare? – raggiai la sua domanda, ma qualcosa nel suo sorriso furbo mi fece capire che fosse profondamente convinto che io non avrei mai urlato “a ladro!”, e questo mi irritò.
– Scappa con me! – insistette, vagamente serio. Anche lui aveva raggirato la mia domanda.
– Neanche per idea – mi mostrai placida, come se il mio rifiuto fosse naturale.
– Giuro che non sono uno stupratore! – protestò allora, sollevando le mani in segno d’innocenza. Stava diventando anche troppo spiritoso per i miei gusti. Arresa, roteai gli occhi verso l'alto come a voler ricevere una risposta dal cielo sul perché proprio a me doveva capitare un guaio simile, e decisa ad allontanarmi da quel tipo folle presi a camminare molto lentamente, come se stessi facendo una passeggiata. In fondo dove sarei potuta andare? Ero finita in quell'incontro solo perché stavo aspettando Stephanie che terminasse il suo turno al locale.
Riposi nella sacca della borsa la rivista che fino a quel momento mi era stata di grande aiuto per mostrarmi disinteressata alla situazione, e quando sollevai di nuovo lo sguardo trovai quel Simonon a fissarmi mentre, accelerando a tratti, mi seguiva. – Mi prenderanno a calci in bocca se non mi sbrigo, lo sai?
Cosa vuoi che me ne importi!, pensai acida. 
– Cosa c'è, non ti piacciono le moto? – cercò di convincermi.
– Non mi piaci tu, è differente.  
Vidi la sua espressione mutare improvvisamente divenendo quasi sbuffa: mi stava a guardare con le labbra contratte in una piccola smorfia, e le sopracciglia sollevate mettevano in risalto gli occhi grandi. Per caso stava attendendo una risposta che già avevo dato?
L'ampio parcheggio colmo di biciclette e automobili ci divideva da un ragazzo dai capelli scuri come la pece. Questo correva come un pazzo e sembrava proprio di volerci raggiungere. Che fosse quel James, il proprietario della motocicletta? In tal caso, avrebbe preso Paul a calci in bocca se non se la fosse svignata immediatamente. Mentre io invece avevo buone probabilità di finire sotto interrogatorio alla polizia. A quel pensiero rabbrividii, desiderando che la terra si aprisse magicamente e mi tirasse a sé.  
Paul mostrò un sorriso obliquo di chi è convinto di passarla liscia, lo sguardo fisso oltre la mia spalla, il pugno della mano stretto saldamente intorno all'acceleratore.
– Avanti, fa presto! – mi incitò quando si accorse che quel ragazzo aveva velocizzato la corsa.
In quel momento ebbi una gran voglia di eclissare dal pianeta terra. Senza perdere altro tempo e spinta forse dalla paura di diventare la sola vittima dell’uragano James, mi aggrappai con le mani alle spalle di Paul intanto che lui scaldava il motore, e il rumore di esso riusciva solo ad alimentare il mio senso di disagio. Sollevai una gamba, e molto velocemente saltai in sella al veicolo. Un millesimo di secondo prima che le mie natiche potessero toccare il tessuto in pelle della sella, Paul gettò la sigaretta ormai finita al bordo del marciapiede con un gesto brusco, mollò il freno ed io in preda allo spavento mi aggrappai al suo busto magro.
– Simonon sei morto! Scendi dalla mia cazzo di moto! – strillò il poveretto alle nostre spalle mentre ancora correva. Ma non ci raggiunse. Lo vidi fermarsi al margine del primo incrocio maledicendo anche il cielo.

Sulla mia faccia doveva sicuramente esserci stampata l’espressione di chi sta per morire dal terrore. Quella di Paul invece, che potetti notare dando una sbirciata allo specchietto, sembrava quasi felice. Somigliava ad un bambino pestifero divertito alla vista del suo insegnante ruzzolare giù per una rampa di scale.
– NON COSI' VELOCE! Ti prego! – urlai a squarciagola, con gli occhi fissi sulla strada e il cuore palpitante in gola. 
Chissà quale sarebbe stata la scelta più sensata da fare: se accettare di scappare con un pericolo ambulante, o lasciare che la furia di James si ritorcesse contro di me. In ogni caso quel ladro di motociclette stava mettendo in serio pericolo la mia sicurezza, guidando come un dissennato tra le strade trafficate della città. Ero frustrata, arrabbiata con me stessa per aver lasciato che quel folle mi tirasse nei suoi giochetti da fuori legge. Più di ogni altra cosa però, ero terrorizzata da quella velocità che stava mantenendo. Attaccata alla sua schiena come una ventosa, avevo la guancia schiacciata contro la pelle del suo chiodo, ma per nessun motivo al mondo avrei allentato la stretta prima della fine della corsa.





Note finali

Prima premessa: Sono consapevole del fatto che qualcuno potrebbe scandalizzarsi leggendo termini un po’ nudi e crudi presenti in questo capitolo - e sicuramente nei seguenti - ma vi assicuro che certi maschi ragionano e si esprimono proprio in questo modo! (Se non peggio.) E poi non dimenticate che qui stiamo parlando dei Sex Pistols e amici, ragazzacci di strada, mica "quelle robe mosce" come direbbe Rotten! xD 
Il rating della storia è rosso, per cui chi non gradisce un certo linguaggio è comunque avvisato in partenza.
Seconda premessa: La parte in cui Rotten spiega cosa vuole dire essere un vero punk è scritta nello stile sottolineato perché è una sua stessa citazione, presa proprio da un'intervista non tanto vecchia che potete trovare da qualche parte sul web.

Detto questo, cosa ne pensate del secondo capitolo? Vi annoia? Vi incuriosisce? Vi aspettavate diversamente? Fa schifo?
Si accettano anche insulti, purché siano since.... no, non è vero, sono permalosa e vi segnalo. Ma basta scrivere sciocchezze adesso, mi piacerebbe tanto leggere una recensione così lunga che inizia qui e finisce in Giappone. Ma tanto non accadrà mai perché al momento nessuno mi defecherà.

Alla prossima! :)
Ninfea in mare


 
   
 
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