Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: pandamito    30/12/2014    3 recensioni
[CROSSOVER: RISE OF THE GUARDIANS / FROZEN]
Si guardò attorno, ma non vide nessuno. « Tu… puoi vedermi? » domandò, per sicurezza, puntandosi un dito contro il petto. Era scosso e si sentiva vulnerabile.
La bambina inclinò la testa, un po’ confusa. « Sì » rispose sincera, « perché non dovrei? »

Elsa è sola, sua madre sta per partorire e lei ha paura di non essere una buona sorella.
Poi un giorno qualcosa cambiò, Elsa ricevette dei poteri da qualcuno che le cambiò la vita, nel vero senso della parola. Nel bene e nel male, perché né Elsa né Jack potevano sapere che cosa avrebbero comportato; per quest'ultimo significava solo avere finalmente qualcuno in grado di vederlo.
Ma forse non sarebbe stato così per sempre.
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Elsa, Sorpresa
Note: Cross-over, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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 * Can you see me? *
 
– C H A P T E R  F I F T E E N –
 
 
Era buio. Nero. Non riusciva a vedere altro, non sapeva neanche se i suoi occhi fossero veramente aperti, ma sapeva che non aveva mai visto nient’altro se non quel colore. Qualcosa la circondava, ma non era solo quel manto scuro, era una corrente che la trasportava, una sensazione di freddo e bagnato che le penetrava nelle ossa, ma non sapeva riconoscere quelle sensazioni, né distinguerle da qualsiasi altra, perché non aveva conosciuto niente se non quella realtà che la circondava. Il suo mondo era sempre stato freddo e bagnato, così tanto che non sapeva cosa significassero quelle parole, non sapeva cosa fosse il caldo né l’asciutto, né riusciva ad avere una concezione di esse nella sua immaginazione.
Era immobile, non riusciva a muovere nulla, non sapeva neanche di esserne capace; ma aveva la consapevolezza che una forza che non riusciva a vedere la stesse trasportando verso l’alto. Forse era una corrente d’acqua che cercava di risalire pian piano in superficie, o forse era quella sfera grande e luminosa che l’attirava.
Sentì le palpebre tremare, la bocca dischiudersi e violentemente una luce l’accecò senza darle la possibilità di ripararsi. Ma i suoi occhi pian piano si abituarono, riuscendo a distinguere cosa avesse attirato la sua attenzione: di fronte a lei, in lontananza, oltre uno spesso muro semi-trasparente, vi era sfocato un grande globo di luce bianca che sembrava illuminare proprio nella sua direzione. Le trasmise un senso di protezione e tranquillità.
La sfera di luce si faceva sempre più grande… sempre più grande…
Il suo corpo fu a contatto con qualcosa di duro e spesso, una barriera che la separava da quella luce, ma che si frantumò in un istante. Il ghiaccio ora pareva una sottile lastra di vetro che si sgretolava velocemente.
Sentì il suo corpo sospeso in aria, che veniva ancora attratto verso il cielo.
Ora lo vedeva il cielo, somigliava al buio che l’aveva sempre circondata, lì nelle profondità di quelle acque, ma era cosparso da un manto di polvere luminosa che brillava attorno a quel globo.
Ecco, il solo osservarlo le suggerì il suo nome: Luna.
Era come una vecchia amica, qualcosa che le sembrava di conoscere da sempre, lei sapeva di conoscerla da sempre, ma non vi era nessun dettaglio concreto nella sua mente.
Ora però iniziava a conoscere cos’era l’aria fredda della notte che si abbatteva sui suoi vestiti, riusciva a capire la differenza fra acqua e aria, ma non si sentiva bagnata, era come se l’acqua non l’avesse neanche sfiorata, ma solo protetta, avvolta, mentre lei era rimasta asciutta al suo interno.
Non sentiva freddo, benché percepisse l’aria pungerle contro la pelle. Si sentiva bene, come se fosse abituata, come se fosse stata creata per quel freddo.
Sentì il ghiaccio duro sotto la sua schiena, ma non sapeva come ci era finita lì sdraiata sul ghiaccio, quando prima aveva sentito la chiara sensazione di essere sospesa nell’aria, immaginando che se avesse provato ad allungare una mano verso il cielo sarebbe riuscita a toccare la luna, che cantava, le sussurrava parole e mormorii nella mente.
Si alzò lentamente, guardandosi attorno: era al centro di quello che sembrava un lago ghiacciato. Tutto attorno non vi erano altro che alti e innevati sempreverdi. Nient’altro. Abbassò il capo, ma non vi era nessuna frattura nel ghiaccio, niente che facesse intendere che lei proveniva dal fondare di quella conca d’acqua e che fosse risalita infrangendosi contro la superficie di ghiaccio. Eppure aveva la consapevolezza di questo ricordo. Il suo primo ricordo.
Dalle narici risucchiò l’aria notturna, sentì il petto gonfiarsi, e poi soffiò via dalla bocca il profondo respiro che aveva inalato.
Aveva iniziato a vivere. Era nata.
Si specchiò nel ghiaccio e tutto ciò che vide fu una giovane ragazza dalla pelle chiara, i grandi occhi azzurri e i lunghi e lisci capelli bianchi.
Alzò di nuovo lo sguardo verso la luna e lentamente si mise in piedi, per poi osservare il suo corpo: indossava un lungo vestito bianco, di un tessuto sottile che pareva velo, la gonna era morbida e le scendeva fino a terra, coprendole i piedi scalzi, le maniche erano strette e quasi trasparenti, che le lasciavano scoperte le spalle e il corpetto brillava di riflessi color blu notte.
Si osservò, si studiò, muovendo le mani di fronte al suo viso e rigirandole, prendeva un lembo della gonna, lo alzava, e poi lo lasciava, guardandolo cadere giù di nuovo a coprirle completamente le gambe; si tastò i capelli, si passò le dita fra di essi e l’unica cosa che notò è che parevano bianchi come la neve che la circondava tutt’intorno.
Non sapeva dove si trovava. Non sapeva chi era. Non sapeva perché era nata.
Tutto ciò che poteva fare era alzare il capo e guardare la luna con un’espressione interrogativa, pretendendo che da un momento all’altro l’Uomo che viveva lassù rispondesse a tutti i suoi dubbi. Ma non l’aveva mai fatto con nessuno, non l’avrebbe fatto neanche con lei, solo che ancora non lo sapeva.
Tornò a guardarsi attorno, scrutare tra i sempreverdi qualche indizio inesistente. Avanzò lentamente, sia con timore che con curiosità. Si avvicinò alla corteccia di un albero, osservando gli strani lineamenti su di essa; così allungò una mano, accarezzando il legno e seguendo con le dita i disegni che la natura aveva creato su di esso con gli anni, ma dal tocco delle sue dita fuoriuscirono piccoli cristalli di neve che andarono a ghiacciarsi sul tronco.
La ragazza ritirò immediatamente la mano, spaventata. Restò qualche istante immobile, aspettando che accadesse qualcosa, ma niente. Si guardò ancora una volta attorno e poi si avvicinò di più a ciò che aveva fatto: sembrava ghiaccio, lo stesso che ricopriva il lago. Con un po’ di coraggio allungò nuovamente la mano e anche stavolta dal tocco delle sue dita sul tronco dell’albero si sprigionarono altri cristalli che andarono a ricoprire di ghiaccio la corteccia.
Il viso della ragazza si illuminò e vi si dipinse un primo grande sorriso d’eccitazione infantile. Il suo sguardo azzurrò guizzò su un altro albero e con uno slancio e una mano protesa si gettò a toccarlo e anche su quello nacque un sottile strato di ghiaccio che andava a espandersi. Poi fece la stessa cosa su un altro, un altro e un altro ancora.
La ragazza spalancò entrambe le braccia e iniziò a correre tra la foresta, toccando con le dita tutto ciò che incontrava, che subito veniva ricoperto da brina, neve e ghiaccio, mentre la risata cristallina della ragazza echeggiava nel bosco. E correva, correva, correva e rideva senza fermarsi, eccitata dal gioco che aveva scoperto, da ciò che era in grado di fare.
Non si fermò fino a quando non vide qualcosa di diverso: delle luci. Non come quella emanata dalla luna, non così chiara e pura. Erano luci… calde, fioche, gialle e rosse. Ora cominciava a scoprire i colori. Erano come se fossero sempre stati dentro di lei, come se stesse solo ricordando qualcosa che neanche sapeva di… di sapere. Era una sensazione strana, stava iniziando a conoscere un mondo che le sembrava già di aver visto.
Si arrestò, ipnotizzata da quei… fuochi, ecco. Avanzò lentamente, sempre col solito timore e con la solita curiosità.
Era un piccolo villaggio tra le montagne, fatto di povere case dai tetti di legno e varie candele erano sparse ad illuminarlo nella notte. Poche persone gironzolavano ancora fuori dai loro letti, chi sbrigava gli ultimi lavori prima di andarsi a godere una bella cena a base di zuppa calda, o bambini che correvano pieni di gioia e giocavano fra di loro prima che fosse troppo tardi e che le madri uscissero a richiamarli.
La bocca della ragazza si allargò in un ampio sorriso pieno di felicità. Era la prima volta che vedeva un villaggio, la prima volta che vedeva delle persone o dei bambini coi loro giochi e le loro risa, ma le piaceva, le piaceva molto. Subito capì che sarebbe voluta rimanere lì, in quel momento, per sempre.
Presa da un nuovo coraggio e da quel nuovo sentimento di gioia, si addentrò nel villaggio con passo sicuro, sorridendo ai passanti, che però sembravano tutti presi dai propri lavori.
Sventolò la mano qua e là per salutare i paesani, ma nessuno rispondeva al gesto. L’albina però non si perse d’animo, continuò a guardarsi attorno e a sorridere, estasiata.
«Ciao!» esclamò a un gruppo di bambini intenti a correre nella sua direzione, desiderosa di partecipare al loro gioco.
Ma fu un attimo e l’uno dopo l’altro quei bambini andarono a sbattere contro di lei, ma non la urtarono, la trapassarono, come se non esistesse, come se non fosse lì. Le passarono attraverso e la ragazza provò una strana sensazione di vuoto, come un brivido che la scosse da capo a piedi.
Le smorzò il respiro e si portò immediatamente una mano al petto, pensando di morire. Sgranò gli occhi per lo spavento e indietreggiò, lanciando occhiate tutt’attorno. La gente camminava e invece di urtarla la attraversava.
Aveva paura, continuò a indietreggiare, non volendo essere toccata, non volendo provare di nuovo quell’orribile sensazione.
Diede le spalle al villaggio e prese di nuovo a correre, stavolta presa dal terrore, tornando indietro nella foresta e attraversandola, non ridendo più, senza divertirsi ogni volta che toccava un albero e ghiacciandolo. No. Correva solamente per allontanarsi il più possibile da lì.
Quando di nuovo spuntò nello spiazzo dove vi era il lago, decise di arrestarsi, buttandosi a terra sulle ginocchia e posando una mano sul cuore, cercando di calmarsi. Prese dei profondi respiri, ma la sensazione di vuoto che aveva provato non voleva accennare ad andarsene. Si afferrò la testa fra le mani e la scosse violentemente, trattenendosi dal gridare e cercando di ricacciare indietro le lacrime che premevano per uscire.
Si tappò le orecchie e per qualche istante si concentrò solamente sul silenzio, come quello che ricordava che l’aveva avvolta quando era nata. Solo buio e silenzio.
Prese di nuovo un bel respiro e lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi, calmandosi.
Improvvisamente, il rumore di passi leggeri fece scattare la testa della fanciulla nella direzione da cui provenivano.
Vi era un ragazzo tra gli alberi: era alto e mingherlino, il volto appuntito, le orecchie un po’ a sventola, la pelle chiara e i piccoli occhi azzurri; indossava dei pantaloni stracciati marroni, una felpa blu piena di brina e aveva dei corti capelli bianchi sbarazzini, mentre in una mano reggeva un lungo bastone ricurvo di legno e nell’altra quello che sembrava un vecchio mantello ripiegato.
E la fissava. La fissava in un modo che la ragazza sembrava ricordare. Nostalgico.
Il ragazzo avanzò tranquillamente e quando la fanciulla si rese conto che stava venendo proprio verso di lei, si ritirò velocemente indietro, arrancando, spaventata all’idea che anche lui potesse attraversarla.
Subito l’albino alzò le mani, le protese in avanti coi palmi aperti e si arrestò, intimandole di calmarsi, che non avrebbe osato avvicinarsi ancora. «Va tutto bene» disse e pareva un’affermazione più che una domanda, sembrava volerla rassicurare.
A quelle parole, la ragazza strabuzzò gli occhi, incredula. Il ragazzo le aveva parlato. Il ragazzo sembrava… accorgersi della sua esistenza.
«Tu… puoi vedermi?» mormorò incerta, puntando i grandi occhi azzurri in quelli più piccoli e altrettanto chiari di lui.
Il giovane accennò un sorriso nell’angolo della bocca. Un’altra cosa che le sembrava di ricordare. «Sì» rispose sincero, per poi aggiungere, ricordando il loro primo vero incontro: «perché non dovrei?»
La fanciulla alzò le spalle, confusa. «Sei il primo a potermi vedere» confessò.
«Lo so» rispose lui, consapevole.
Si avvicinò di nuovo e stavolta la ragazza non sembrò volerlo allontanare; si mise in ginocchio e avvicinò il viso al suo, presentandosi: «Sono Jack Frost, lo spirito dell’inverno.»
La ragazza aggrottò le sopracciglia, ancora più confusa. «Come, prego?»
Jack ridacchiò, divertito da come quella scena di tanti anni fa ora stesse di nuovo prendendo vita sotto i suoi occhi. «Sono uno spirito. Siamo due spiriti» precisò, «ecco perché nessuno ci vede. Sono colui che porta l’inverno, crea il ghiaccio e la neve.»
La giovane chiuse gli occhi per qualche istante e si portò una mano a reggere la testa, che sembrava scoppiarle. «Io… io non capisco.»
«Lo so» mormorò comprensivo lui. Attese qualche istante, non volendo spaventarla ancor di più. «Ma riesci a fare questo, giusto?» Con un fluido movimento di mano creò un piccolo coniglio di neve, che prese a saltellare in aria attorno a lei, finendo per dissolversi nel nulla così come era nato, mentre i fiocchi di cristallo dei suoi resti scendevano lentamente a toccare il suolo.
La ragazza rimase incantata a fissare quell’animale di neve, estasiata. I suoi occhi azzurri incontrarono nuovamente quelli di Jack, stavolta rivolgendogli ammirazione, meraviglia, curiosità, stupore. «Credo di sì» rispose in fine.
Jack accennò un piccolo sorriso gentile. «Bene. L’Uomo nella Luna ti ha detto il tuo nome?»
La fanciulla alzò lo sguardo e lo rivolse verso la sfera perfetta e luminosa che irradiava la foresta. «Sì» affermò, rendendosi conto solo in quel momento che l’aveva effettivamente fatto quando era nata. «Elsa. Il mio nome è Elsa.»
«Bene, Elsa» disse Jack, sorridendole. Si alzò in piedi e le tese una mano. Elsa la fissò, facendo vagare il suo sguardo da essa al volto del ragazzo. Le era così familiare, un’altra di quelle sensazioni che non sapeva spiegarsi.
Allungò la mano, titubante, ma poi le sue dita sfiorarono quelle del ragazzo e si strinsero attorno alla sua mano, palmo contro palmo, sentendo come se quel contatto fosse… giusto.
Jack la tirò su e in uno slancio Elsa fu tra le sue braccia, in piedi, una mano sul petto piatto di lui, l’altra andò a stringersi attorno al bastone che reggeva il ragazzo dai capelli bianchi come i suoi. La mano libera di lui andò ad accarezzarle la schiena, facendola rabbrividire, o forse no, quasi come se le stesse trasmettendo… calore, qualcosa che non pensava di poter provare in mezzo a quel gelo che le sembrava così naturale. I suoi occhi azzurri erano immersi in quelli di lui, nessuno dei due sembrava intenzionato a distogliere lo sguardo e i loro respiri si infrangevano e mescolavano, condensandosi nell’aria.
Poi, all'improvviso, il ragazzo sfilò il mantello marrone e logoro che aveva appeso al braccio e con esso circondò le spalle della ragazza.
La giovane si strinse nelle spalle. Quel caloro inusuale le piaceva. Le sue goto si imporporarono leggermente e le sue iridi continuarono a fissare quelle dell'altro. «Noi ci conosciamo?» chiese piano, con timore.
Jack si soffermò a guardare come l’Uomo nella Luna l’aveva riportata indietro da lui, esprimendo il suo desiderio: rendendola giovane e eterna, proprio come lui, schiarendo i suoi capelli e rendendoli lo stesso colore della neve. Gli era mancato stringerla fra le sue braccia, averla vicino al proprio corpo, o anche solo parlarle e ascoltare il suono della sua voce, gli era mancato avere quei grandi occhi azzurri solo per lui.
«Sì» ammise, sfiorandole una guancia con la punta delle dita.
A quel tocco Elsa ebbe un fremito, ma subito dopo chiuse gli occhi, abbandonandosi a quel contatto ancora troppo familiare. Li Riaprì e li puntò nuovamente in quelli di Jack. «Ma io non ricordo nulla.»
«Lo so» si lasciò sfuggire l’altro. Ma non c’era malinconia nella voce, solo pura e sincera comprensione. Elsa attese che aggiungesse qualcosa e lui fece tornare nuovamente la sua mano a stringere il fianco dell’amata. «E pian piano ti racconterò tutto, te lo prometto. Ma ci sono alcune cose che dobbiamo fare prima» sussurrò, controllando i propri impulsi per non azzerare le distanze fra di loro, per non stringere la ragazza più a lui e premere le sue labbra su quelle di lei, assaporandole di nuovo dopo anni in cui era rimasto con solo il ricordo di esse ancorato dentro di sé.
Elsa sbatté le palpebre, curiosa, non capendo cosa l’altro volesse dire. «Che cosa?»
Jack sorrise, un sorriso divertito e pieno di sorprese, come quelli che era solito rivolgerle. Prese la mano di lei nella sua, facendo intrecciare le proprie dita, mentre le altre erano ancora salde sul bastone. Si avvicinò più al suo viso, sussurrandole direttamente nell’orecchio: «Ti piacerebbe imparare a cavalcare i venti?»
Quando si allontanò leggermente, un ampio sorriso era stampato sulle labbra della giovane, percorsa da un fremito di eccitazione e meraviglia. «Sì.»
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
PANDABITCH.
"Ommiodio ma cos'è successo? Mito ha aggiornato il giorno dopo? Di nuovo?"  Ehm... sì, di nuovo. Perché? Perché mi sono messa proprio sotto a scrivere e posso partecipare agli Oscar EFPiani! Ringraziamo Ivola quindi che mi ha convinto a partecipare, anche se poi lei alla fine ha rinunciato perché è la persona più brutta del mondo. 
Invece di "Pandabitch" dovrei scriverci tipo "Ivolsbitch" alle note autore, tanto oramai parlo solo di lei e alla gente non frega nulla.
Ma dettagli. Passiamo alle cose importanti: la verità è che quando ho pensato alla storia, agli inizi dei tempi, quindi tipo un anno fa, tipo alla fine di Gennaio 2014, la storia sarebbe dovuta finire con la morte di Elsa e basta perché sono una persona veramente orribile. Poi, però, tipo quando sono arrivata a metà fanfiction, mi è venuta un'idea. Sicuramente l'idea l'avrò avuta andando al cesso, che tanto lo sappiamo che le idee migliori vengono lì. E quindi è stato come un lampo #theflash e mi è venuta in mente questa cosa, l'ho detta a Ivola, lei ha approvato e quindi eccoci qua alla vera fine, quella proprio vera vera vera tipo epilogo. 
Quindi sì: dopo tutto il casino che hanno dovuto affrontare e il super angst e fluff e angst, alla fine l'Uomo nella Luna decide di far diventare anche Elsa uno spirito dell'inverno, in modo che possa stare per sempre assieme a Jack che, avendola conosciuta nella sua vita precedente, le può raccontare chi è realmente senza dover patire tutto quello che ha patito lui prima di sapere chi fosse. (????) Non ho voglia di rileggere se ho scritto bene, vi dico la verità. Però... però sì, è una cosa bellissima, io li amo, basta, staranno per sempre insieme e fine.
Che poi possono figliare. Perché nei libri de Le 5 leggende Pitch aveva una moglie e pure una figlia...........
Ah, inoltre vorrei ribadire che Elsa prima era bionda... ma poi quando è rinata i suoi capelli sono diventati bianchi come quelli di Jack.
E... e... io non ho nient'altro da dire, penso, a parte che ho finalmente concluso questa storia e che ora potrò dedicarmi agli altri tremila progetti che ho in mente, che dovrei studiare per gli esami, dovrei capire un po' cosa voglio fare e le solite cose......
Però vorrei ringraziarvi tutti dal profondo del cuore, voi che mi avete seguito fino alla fine neanche fossi Harry Potter (?) e che quindi un merito speciale va a tutti voi che avete continuato a leggere la fanfiction e che sicuramente al capitolo precedente mi volevate morta. Grazie. Grazie e ancora grazie.
Ah, sì, il banner nuovo è un regalo(?) per la fine della storia e anche perché è come se fosse un "nuovo inizio", quindi il vecchio banner non mi sembrava più appropriato, perché è come se iniziasse una nuova storia.
Se volete seguite i miei aggiornamenti o fangirlare e piangere con me, potete mettere mi piace alla mia pagina facebook, seguirmi su twitter, o su tumblr, o sul mio secondo tumblr, e se vi piacciono The Maze Runner e i Libri dell'Inizio, ho pagine facebook pure per loro due. 
Comunque, seriamente, devo ripassarmi i numeri in inglese che ho i vuoti di memoria. Bao.
 
Baci e panda, Mito.
   
 
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