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Autore: tortuga1    30/12/2014    0 recensioni
Gli uomini e le donne sono spesso lontani pur vivendo vicini, così tanto da avere difficoltà ad incontrarsi. Pensando a questo mi è venuta l'idea di SPLIT, una storia ambientata in un futuro possibile, nella quale uomini e donne sono stati separati per un esperimento che aveva il fine di salvare l'umanità dall'estinzione. Ma qualcosa non è andato per il verso giusto, e alla fine del viaggio uomini e donne non si sono più incontrati...
La storia comincia così, nella comunità di sole donne che ha colonizzato come previsto il pianeta Terra Due, e da secoli ormai ripete un rituale di clonazione.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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XVII.

Da vicino la nave madre è immensa, riempie completamente gli schermi, se ne vede solo una piccolissima parte che scorre lentamente. Ernesta ha stabilito il contatto con i sistemi automatici e ha avuto conferma che il supporto vitale è in funzione, manca solo la gravità artificiale che si ristabilirà dopo l’attracco. Il modulo scorre lungo la fiancata scabra di metallo e Paula pensa a quanta fatica sia costato un manufatto così grande e complesso, quante risorse sono state spese. Le ragazze sono rimaste stupitissime di vedere Sebastian, Giulia specialmente lo ha guardato in un modo che ha colpito Paula come un pugno. Anche lui le guarda tutte con troppo interesse, e all’improvviso Paula è diventata acutamente consapevole che ognuna di loro, dannazione, manda un odore diverso da quello delle altre. Eppure non ci aveva mai fatto caso, prima. Stringe una contro l’altra le mani guantate e respira profondamente per calmarsi, almeno hanno rimesso i caschi e l’odore molesto non si sente più. Sebastian le appoggia una mano sulle ginocchia, sorride dietro la visiera brunita. Sì, in fondo va tutto bene.
Guidato con sicurezza da Geneviève il modulo rallenta fino a fermarsi. Lungo il fianco grigio della nave si apre una fessura, una porta scorre lentamente e scopre un’apertura scura. Spinto dai getti di manovra il modulo entra nell’hangar e rimane sospeso a mezzo metro dal pavimento. La porta si chiude e nell’hangar si accendono le luci. Dagli schermi si vedono le paratie attraversate da condutture, e in fondo una porta stagna. Si sente un forte colpo che fa sobbalzare tutti.
-Cos’è stato!
-Geneviève, c’è pericolo?
-No, state tranquille… tranquilli. Il modulo si è appoggiato sul pavimento con le zampe magnetiche ed è partita la gravità artificiale.
-E ora?
-Ora dobbiamo scendere. Senti… Sebastian, c’è aria nell’hangar?
-Dovrebbe esserci. Però ci conviene togliere i caschi solo quando ne saremo sicuri. – slacciano le cinture e si accorgono di avere peso, non quanto a terra, ma abbastanza per muoversi bene. Sebastian precede il gruppo al portello e lo apre. Impacciati dalle tute scendono lentamente i due gradini e toccano il metallo lucido del pavimento. L’hangar è illuminato da forti lampade a luce bianca, le tubature e le nervature dello scafo risaltano crudamente. Sebastian va ad una tastiera incassata in una paratia e digita un codice, guarda per un attimo i dati mostrati da uno schermo e si gira verso il gruppo delle ragazze. – bene, l’aria c’è, niente veleni. Peccato per te, Paula, non c’è cianuro.
-Che vuol dire… – Giulia si avvicina incuriosita, slacciandosi il casco. Un mezzo giro e lo toglie. Compare il suo sorriso, che a Paula sembra pieno d’insidie. – cos’è questa storia del cianuro?
-Non ti riguarda! – Paula è scattata come una tagliola, e si pente subito, vedendo accentuarsi il sorriso di Giulia. – cioè, voglio dire, è uno scherzo fra noi…
-Capisco, voi due avete passato più tempo insieme, vero? Però adesso – si avvicina a Sebastian fino a sfiorarlo, e Paula sente di diventare rossa come il fuoco – adesso non devi tenertelo tutto per te, non sarebbe giusto…
-Io ti… – Paula fa un passo avanti ma fa uno sforzo per dominarsi. Le ragazze hanno tolto i caschi e li guardano incuriosite. – ti spiegherò qualche altra volta quello che penso. Ora dobbiamo lavorare, vero Sebastian?
-Sì… – Sebastian distoglie lo sguardo dalla bocca di Giulia, ha il viso ancora acerbo e sembra più giovane di Paula, ma la bocca è diversa, le sue labbra… – è vero. Ora dobbiamo trovare la strada per l’alloggio delle donne. Quello degli uomini non è abitabile.
-E come faremo?
-Sì, come faremo? Io ho fame… – Giulia sorride ancora, sentendo lo sguardo di Sebastian incollato sul suo viso. E ora toglierà questa tuta che la rende simile a tutte le altre, gli mostrerà anche il resto.
-Non preoccuparti. Credo… sono sicuro che troveremo sia la strada che il cibo. Questo hangar era previsto per le emergenze, ed era accessibile a tutte e due le sezioni, ma questo lo sapevano solo in pochi.
-Che… vuoi dire? Che gli alloggi degli uomini e delle donne non erano sigillati?
-Proprio così. Però questa informazione non era condivisa. Era disponibile solo in caso di attivazione dei protocolli di emergenza.
-E tu come lo sai?
-Io… lo so e basta. Era una delle cose che dovevo sapere. Il vecchio… – Sebastian s’interrompe e arrossisce. Tutte quelle facce attente lo rendono nervoso. Le labbra di Giulia si stringono leggermente, poi lei si mordicchia l’angolo della bocca. Come lo fa bene… – il vecchio me lo ha detto. Il mio istruttore, il mio… doppio.
-E cos’altro sai, Sebastian? – la voce di Giulia si fa bassa e calda. Le ragazze stanno zitte a guardare, si sentono escluse. Geneviève spinge da parte Flavia e si para davanti a Sebastian, è ancora piccola di statura ma ha l’aria decisa.
-Basta chiacchierare! Se sai la strada indicacela. Sono stanca di stare qui impalata.
-Hai ragione… come ti chiami…
-Geneviève.
-Sì, Geneviève. Scusatemi tutte. – compone il suo codice personale sulla tastiera e aziona un meccanismo manuale di sblocco. – aiutatemi a tirare questa maniglia… – con gli sforzi congiunti di Paula e Giulia, finalmente riescono ad aprire il portello. Passano uno alla volta attraverso l’apertura e si ritrovano in un corridoio basso e stretto.
-Sembra un budello… ho paura ad entrarci.
-Zitta, Ernesta! – Giulia la spinge a forza ed entra per ultima. Si chiude il portello alle spalle, verifica che sia bloccato poi rifila una sculacciata all’amica che la precede. – lo fai apposta a fermarti, vero?
-Dove andiamo ora? – Paula è dietro Sebastian, contenta che Giulia sia rimasta indietro.
-Sempre dritto. Il corridoio porta direttamente agli alloggi.
-E poi?
-Poi vedremo. – cammina curvo, per non battere la testa. Sente la mano di Paula che cerca la sua, e la stringe. Camminano senza parlare per una decina di minuti, alla fine arrivano ad uno slargo dove si aprono due portelli perpendicolari al corridoio.
-Siamo arrivati?
-Sì, è qui. – le ragazze emergono dal corridoio, per ultime Ernesta, rossa in faccia e con gli occhi lucidi, e Giulia sempre sorridente e tranquilla.
-E ora?
-Dobbiamo stare attenti a non sbagliare. Se sbagliamo moriremo tutti. La sezione degli uomini è decompressa.
-Bum! – Geneviève guarda Sebastian da sotto in su, ma non è affatto intimidita. – lo sai benissimo che in questo caso la porta non si apre!
-Eh già. Scherzavo.
-Allora, qual è la porta?
-Quella di destra. Però non si apre facilmente. Devo utilizzare un codice segreto.
-È un altro scherzo…
-No, stavolta non scherzo. Per favore, Paula, coprimi voltandomi le spalle, il codice deve restare segreto, per ora.
-Come, non ce lo dici…
-No. Questa porta deve restare sempre chiusa. Ma… – impallidisce e si porta le mani alla testa. – accidenti, ho dimenticato una cosa…
-Cosa?
-Che è successo, Sebastian?
-Che… – si sente stupido, con gli occhi di tutte addosso, e deve ammettere di aver commesso un errore grave. – devo tornare indietro a chiudere il portello dell’hangar. Può essere pericoloso lasciarlo aperto…
-Ah, allora puoi stare tranquillo. L’ho chiuso io. – Giulia sorride ancora e i suoi occhi brillano nella penombra.
-Sei sicura di averlo fatto? Si è bloccato?
-Sicura. Al cento per cento.
-Gra… grazie per averlo fatto. Ci hai risparmiato venti minuti.
-Lieta di essere utile. E ora che facciamo, ci giriamo dall’altra parte mentre tu digiti il codice?
-Non occorre, basta Paula a coprirmi. – Paula sospirando gli volta le spalle, e guarda con insistenza Giulia, questa stronza comincia a non andarle giù nemmeno un po’. Sebastian armeggia con la piastra di riconoscimento e con la tastiera, lo sente agitarsi e si chiede se anche questa volta deve leccare la piastra. Finalmente si sente uno scatto metallico.
-Si è… aperta?
-Sì. Dai, entrate. Benvenute a bordo. – in confronto al corridoio la sezione abitativa sembra quasi lussuosa, con le pareti dipinte in colori tenui e gli schermi che mostrano paesaggi della Terra di com’era una volta. Sebastian si guarda intorno incuriosito, tutto qui gli giunge del tutto nuovo, per fortuna le istruzioni del vecchio erano dettagliate e le due sezioni, questo lo sa, sono sostanzialmente analoghe.
-È… bello, qui… a parte l’odore di chiuso. – Paula arriccia il naso, l’aria è vecchia di centinaia di anni e sa di lubrificanti.
-Passerà, speriamo. Il sistema di supporto vitale si è riacceso da poche ore.
-Dov’è la cucina? Ho fame. – Giulia si dirige verso una parete apparentemente piena, e all’improvviso si apre una porta scorrevole. – Forte! Ehi, venite, ho voglia di vedere cosa c’è qua dentro. Ah! Guardate cosa ho trovato!
-Cosa… – Sebastian e Paula la seguono, a breve distanza arrivano le altre. Giulia ha trovato una stanza ampia, adatta per molte più persone, con tavoli di un gradevole colore verde tenero e poltroncine imbottite. Alle pareti grandi schermi che simulano una foresta, le foglie di migliaia di faggi agitate dal vento. Sembrano vere vetrate aperte sul mondo che non c’è più.
-Bene, credo di avere scoperto la… sala da pranzo. Ora basta trovare da mangiare. – Giulia guarda compiaciuta le facce stupite dei suoi compagni, poi va ad un lato della sala dove c’è un dispenser che Sebastian riconosce, è uguale a quello della sezione d’isolamento. Però questo…


Soli nella stanza del medico, che era stata della prima Ester, Paula e Sebastian sono sdraiati sulla cuccetta imbottita, è troppo piccola per due ma non ci fanno caso. Paula gioca con i capelli di Sebastian, felice di averlo finalmente tutto per sé. Il dispenser era vuoto, naturalmente, ma avevano trovato lo stesso le razioni d’emergenza, verdure e cereali prodotti nella serra e liofilizzati. Vitamine in tavolette e acqua bevibile dai rubinetti, dopo aver fatto scorrere quella rimasta nei tubi, congelata durante il lungo sonno della nave e poi tornata liquida ma puzzolente di plastica. Una dieta monotona ma equilibrata, sufficiente per un paio d’anni, più o meno quello che contano di restare sulla nave.
-Ricordati quello che ti ho detto. È importante. Ora che sai davvero tutto potrai fare anche da sola...
-Non voglio… non voglio nemmeno pensarci.
-È necessario invece. Devi tenerti sempre pronta.
-Ma io…
-Non discutere, nessuno di noi ha scelto veramente di fare quello che sta facendo, siamo stati presi di peso e lanciati in questo gioco. Gli altri hanno già scelto per noi.
-Mi fa rabbia! Non potere mai sentirsi liberi!
-Passerà. Anche questo passerà. La libertà dovrà tornare, per quelli che verranno dopo. Ma noi forse non la vedremo.
-Parli come un vecchio! Come il maledetto vecchio che ti ha riempito la testa di stupidaggini! Anche noi siamo liberi!
-No, noi… – s’interrompe, bussano alla porta. Paula infila in fretta la tuta e apre solo uno spiraglio.
-Che vuoi, a quest’ora… – Adele ha l’aria eccitata e finge di non vedere la faccia contrariata di Paula.
-Notizie da Terra due! Ci chiamano!
-E tu come…
-È il mio lavoro. Prima di dormire ho guardato la mia postazione. Le macchine che avevo solo immaginato, ma le sapevo usare, Stephy ha impiegato anni ad insegnarmelo.
-E loro…
-Sì, è lei, Stephy che sta usando la radio del modulo di atterraggio. C’è un’emergenza, hanno bisogno di noi.
-E noi come…
-Vieni. Venite tutti e due. – gira le spalle e si allontana rapidamente. Sebastian si veste in fretta con una tuta di ricambio che era stata di Ester, larga e corta. Deve fare una spedizione nella sezione degli uomini per prendere indumenti più adatti, e specialmente le scarpe. Segue Paula camminando a piedi nudi sul pavimento gelido, fino alla cabina di pilotaggio. Adele è seduta al suo posto e manovra con sicurezza i comandi. Sullo schermo compare Miko.
-Tu! Che vuoi tu da noi! Ormai non ci puoi fare più niente! – Paula parla con rabbia, ma s’interrompe bruscamente. Miko sta piangendo. – ma che ti succede…
-Lei… lei si è addormentata e non si sveglia più. Sta… morendo.
-Chi, lei?
-Sarah. Io. Se morirà, cosa succederà? Non è giusto…
-E io cosa dovrei fare? Un miracolo? E poi – la guarda con disprezzo, assaporando la vendetta, è dolce la vendetta – tu e lei, mala razza, non avete saputo fare altro che legarmi, picchiarmi e maltrattarmi! Sarah mi aveva presa di nuovo, e chissà cos’altro mi avrebbe fatto! Sei pazza se pensi che ti aiuterò!
-Lei non ha colpa, la colpa è tutta mia…
-Non m’importa più niente di voi, hai capito? Noi siamo lontani, il vostro fucile non arriva fin qui. – ride senza piacere, ma deve recitare la parte fino in fondo. – Adele, chiudi la comunicazione.
-No! – la voce di Sebastian è calma e decisa. – Miko, portala subito nella sezione medica. Memorizza questo codice di emergenza che ti aprirà tutte le porte.
-Che vuoi fare! Sei pazzo! – Paula si rivolta contro di lui come se volesse picchiarlo. Le ragazze li guardano stupite, solo Giulia ha incollato in faccia un mezzo sorriso. Sebastian continua a parlare con calma e detta il lungo codice.
-Quando arrivi mettila sul tavolo operatorio. Lì dentro c’è uno schermo come questo. Devi seguire le mie istruzioni.
-Tu… l’aiuterai?
-Sì. – Miko esce dal campo, sostituita da Francesca, che tiene Rina strettamente abbracciata.
-Senti, Paula! Devo dirti…
-Anche tu! Pensi che non ho dimenticato, eh? Voi volevate far fallire la missione…
-No! Aspetta! Non è come pensi… noi facevamo quello… che facevamo per ubbidire alle direttive. Solo per questo. Noi… credevamo che era giusto, che eravate voi a sbagliare.
-Ah sì? E ora come mai avete cambiato idea? Perché vi siamo sfuggiti?
-Emily ha parlato, ci ha raccontato. E anche le altre, quelle della… squadra segreta. Ci hanno convinte, va bene? Abbiamo capito che eravamo noi a sbagliare. Non ci saranno più violenze tra di noi, ci aiuteremo a vicenda, hai capito?
-Non ti credo! È un trucco per…
-Francesca, lascia parlare me. – nello schermo compare Emily. – Paula, è vero. Siamo tutte d’accordo, adesso. Fate quello che dovete fare e poi tornate qui. Noi vi aspettiamo. – altre voci si uniscono a quella di Emily, si vede che sono tutte riunite lì, nella cabina del modulo di atterraggio.
-Io… – Paula sente di esitare, e fa uno sforzo per rimanere fredda e sprezzante. – io non dimentico, capito? E ora non me ne importa niente di quella… carogna. Se muore è meglio, in futuro qualcuno non piangerà per colpa sua.
-Eccomi! – la faccia tesa di Miko sostituisce Francesca sullo schermo, sullo sfondo si vede il lettino operatorio con sopra distesa Sarah. Sebastian si siede accanto ad Adele e alza gli occhi verso di Paula.
-Per favore. Vai nella sezione medica e prendi il terminale operatorio. Dobbiamo collegarlo all’unità principale di comunicazione.
-Vai a prendertelo da solo! – Paula gli volta le spalle e corre via per il corridoio.
-Vado io. – senza aspettare risposta Giulia si avvia con sicurezza verso la sezione medica, Sebastian si concentra sulle immagini interne di Sarah che il sistema di ripresa gli sta inviando automaticamente. Non ha nessuna lesione al busto e agli arti, e ora… eccolo! Un ematoma epidurale, a sinistra. Grande, la pressione endocranica aumenta.
-Miko, mi senti?
-Sì, sono qui.
-Allora segui le mie istruzioni. Per prima cosa devi tagliare a zero i capelli di Sarah. Apri l’armadietto in fondo, troverai un rasoio elettrico. Febbrilmente Miko taglia i capelli della ragazza, eliminandoli con un aspiratore. La testa nuda sembra quella di una bambola, da un lato il grosso livido sanguinante.
-E ora?
-Ora devi spennellarle il cranio con il disinfettante. Lo trovi in una bottiglia rossa. Sì, quella. Versalo in una bacinella e usa le garze sterili. Brava, così, tutto il cranio deve essere colorato.
-E ora?
-Ora… – Sebastian alza gli occhi e incontra quelli di Paula, pieni di lacrime. Gli porge il terminale con malagrazia. – Paula! Sono felice che tu…
-Lascia stare. Ma tu, tu te la senti di farlo? Io non l’ho fatto mai, un intervento così.
-Come no! Lo hai fatto di sicuro chissà quante volte, Ester ci teneva moltissimo! È un intervento salvavita, il più semplice di tutti!
-Non l’ho fatto mai… per davvero. In simulazione sì, ma è diverso, sai che se sbagli non succede niente…
-Forse è così per te. Ma io ricordo un certo mostro con i tentacoli roventi… – Paula arrossisce e abbozza un mezzo sorriso – che mi ha messo alla prova con centinaia di questi interventi facendomi credere che erano tutti veri. Io lo facevo sul serio. E ora lo rifarò. – collega il cavo del terminale e prova a muovere i bracci meccanici. – Bene, ora bisogna stabilizzare i suoi sistemi.
-Sebastian! – la voce di Adele è concitata – Sebastian, hai solo quindici minuti per provarci!
-Perché…
-L’orbita, non è geostazionaria. Perderemo il contatto fra… ventuno minuti, e fra quindici le comunicazioni diventeranno inaffidabili.
-E poi quando ce l’avremo di nuovo?
-Fra due ore.
-Maledizione! Fra due ore è troppo tardi! – manovra freneticamente il terminale e fa partire la sequenza automatica per il supporto vitale. Le microsonde penetrano nelle vene di Sarah e cominciano a perfonderla con soluzioni stabilizzanti e miorilassanti, una biocannula penetra nelle sue vie respiratorie e comincia a ventilarla artificialmente. – devo provarci subito.
-Falla vivere. – Sebastian non risponde a Miko e si concentra sull’intervento, è il più semplice e banale, basta praticare un foro di trapano nella calotta cranica per far uscire il sangue a pressione, e poi chiudere l’arteria lesionata con una microsonda. Il campo operatorio, ingrandito dallo schermo, è uguale a cento altri, le sue mani si muovono con sicurezza mentre i minuti passano lenti. Nessuno parla, solo Paula guarda con attenzione i movimenti standardizzati e inevitabili, che conosce esattamente come lui. E poi finalmente il sangue esce zampillando, e subito l’emorragia viene arrestata da un sottile raggio laser.
-Miko!
-Sono qui. Come sta?
-Sta bene, ma fra un paio di minuti perderemo il contatto. Non aver paura e non fare niente. Lascia Sarah dov’è, attaccata alle macchine, hai capito? Continuerà a dormire, ma non preoccuparti, l’intervento è riuscito. Resta con lei, e ricordati di non toccare niente. Fra due ore ristabiliremo la comunicazione. Sei sicura di aver capito?
-Sì, ho capito… – l’immagine di Miko oscilla e sparisce, sostituita dal logo della missione.
  
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