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Autore: LyraWinter    31/12/2014    1 recensioni
[Storie inventate]
A casa sua nessuno sorrideva davvero il giorno di Natale. Erano tutti troppo impegnati ad apparire una delle famiglie più splendenti di tutta New York, per ricordarsi come si faceva. Non vi erano scherzi, battute o piccole gentilezze, attorno all'enorme tavolo in stile impero del salone dell'attico di Park Avenue. Non vi era nessuno che si passava le pietanze solo pinguini rigidi che le servivano, non vi erano nonni a cui tagliare le pietanze perché le mani ormai tremavano troppo, ridicoli cappelli da Babbo Natale indossati con disinvoltura, maglioni con le renne, sciarpe variopinte. E non vi era nemmeno una ragazza che lo fissava incantata come Cecily McDeer, a dirla tutta.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alle mie padelle, Veronica e Erica,

così padelle che assieme alla loro ciurma di disagiati

s'immaginano Ade e Ben a capo delle cheerleader.

A voi, che avete letto P e che vi state disperando per l'assenza di Duncan

nell'ultimo capitolo.

A Cri, che l'ha demolita già da un anno.

E infine, naturalmente, Gnagny e Em,

senza le quali questa storia non esisterebbe.



 


C'era una volta, tanto tempo fa, un Eugene Aderley scontroso e giovane.

C'era una volta Benjamin, che era ancora vivo e vegeto, e tutto il disagio dei McDeer.

C'erano una volta una coppia di pattinomuniti, che ci saranno di nuovo.

(spero)

 

C'era una volta, e forse c'è ancora, la magia del Natale.

E c'è Tai, in grado di risvegliarla, almeno per un po'.

Almeno per l'attimo di un racconto che sfugge al controllo della situazione

e svela quello che sarebbe successo se...

 

 

 

 

 

 

 

 

Lavorare la sera del ventiquattro dicembre sarebbe stato denigrante per chiunque.

 

Ma per un attore, Natale, significava pienone. Nei camerini, tutti i suoi colleghi, entusiasti per il calore dimostrato dal giovane pubblico, discutevano animatamente del pranzo del giorno dopo, di quanto le rispettive mogli e fidanzate fossero stressate dai preparativi, di quanto sarebbe stato difficile mettere a letto i bambini quella sera; un paio gli domandarono quali fossero i suoi programmi per l'indomani e lui rispose che sarebbe stato a casa di amici solo per non dover sopportare le loro facce stravolte all'idea che avrebbe passato il pranzo di Natale stravaccato sul divano a mangiare spaghetti di soia con pollo e verdure, bevendo birra e sciroppandosi una dopo l'altra le dieci puntate della seconda serie di The Games of throne.

-Esci con noi a bere qualcosa?- gli domandò timidamente Tess, una delle ballerine dell'ensamble, con gli occhi pieni di speranza.

Perché no, si era risposto: in fondo era carina, piacevole e sufficientemente persa di lui da accontentarsi di averlo per una notte soltanto, nel caso avesse voluto. E aveva appena detto che avrebbe trascorso l'indomani a casa dei suoi genitori, nel Surrey, quindi non avrebbe rischiato di rovinare i suoi piani di conquista dei Sette Regni con assurde pretese.

Quando aprì la porta dei camerini, una folata di vento pungente gli colpì il viso. La strada era interamente ricoperta di bianco: aveva cominciato a nevicare poco prima che entrasse in teatro per le ultime prove dello spettacolo e in poche ore un bianco manto uniforme aveva ricoperto le strade e le macchine.

Il marciapiede davanti alla stage door era deserto: la notte del ventiquattro dicembre non erano in molti a passeggiare per strada, anche una di norma affollata come Shaftesbury Avenue, figuriamoci in quanti si sarebbero avventurati nel freddo, in mezzo alla neve ancora non spalata che continuava a cadere incessante. Gli spettacoli nei teatri delle vicinanze sarebbero terminati più tardi del loro, quindi tutto il vicinato era immerso in una quiete irreale, in una dimensione ovattata, sporcata solo dal lieve rumore dei suoi passi sulla neve. Si guardò intorno, rapito dall'atmosfera che lo circondava: il centro di Londra era un luogo dai mille rumori, frenetico, chiassoso: non era abituato a viverlo così, muto, immobile, come se si fosse fermato anche lui ad ammirare i fiocchi che copiosi si depositavano a terra in mille e mille mulinelli candidi. Di fronte a lui, parzialmente coperta da una bicicletta abbandonata, una ragazza con il viso nascosto dal cappuccio della giacca a vento, stava poggiata al muro, reggendo un voluminoso sacchetto a tema natalizio. Per qualche istante si ritrovò a pensare con una stretta al cuore a chi stesse attendendo, così paziente e tenace nonostante il freddo e la neve. Alla sua destra, un uomo attendeva paziente che il piccolo barboncino che aveva appena depositato a terra facesse i suoi bisogni: accanto a lui, una bambina che doveva avere poco più che due anni, trotterellava eccitata nei suoi stivali di gomma a pois gialli nuovi fiammanti.

-Allora, andiamo? Sto morendo di fame!-

Dietro di lui, i suoi colleghi erano usciti in massa dalla stage door, rompendo la quiete con il loro chiacchiericcio concitato. Sospirò profondamente sfiorando con le dita la piccola montagna di neve depositata sul paletto che divideva il marciapiede dalla carreggiata, sorrise alla bambina che lo fissava dal basso, intimorita dalla sua altezza, dal suo viso serio o probabilmente dal trucco che nonostante il detergente miracoloso di Tess non era riuscito a rimuovere completamente, poi lanciò un'ultima occhiata alla ragazza incappucciata, e seguì il resto del gruppo, addentrandosi nelle stradine di Soho.

 

***

 

Il viso di Tess era buffo, gli metteva allegria e un'insana voglia di sorridere. La ragazza se ne stava in piedi al centro del locale affollato, con il boccale di birra semipieno sollevato, muovendosi a ritmo di musica, fissandolo intensamente. Aveva la netta percezione che sarebbe stata disposta a fare qualunque cosa, se glielo avesse chiesto. Qualcosa di ancora più stupido che mettersi a ballare All I want for Christmas is you per fargli capire che la sua idea di notte di Natale non prevedeva innocenti tradizioni come lasciare viveri per le renne di Babbo Natale in cambio dei regali.

-Sei gay?

-C..cosa? sussultò sorpreso, assorto com'era nei suoi pensieri.

Minnie, la Trilli nel suo spettacolo, incrociò il suo boccale di birra con il suo, prendendo posto accanto a lui.

-Accontentala, per favore, prima che si appenda un cartello in testa con su scritto "scopami".- Lo pregò accennando con il capo a Tess. -A meno che tu non sia gay. Nel caso sappi che c'é un moretto niente male che ti sta mangiando con gli occhi da quando siamo entrati nel locale. Dannato, fammi capire qual é il tuo segreto.

-Non sono fidanzato.- le rispose Ade sorridendo sinceramente.

-Capisco...quindi devo dedurne che c'é qualcuno...O qualcuna?

 

Stai tornando a New York, non é vero?

-Ade, sapevamo che sarebbe successo prima o poi...

Gli aveva sfiorato le labbra, prima di sparire, inghiottita dal buio di quella notte di fine ottobre. Lo aveva lasciato solo, in piedi in mezzo a una spiaggia fredda e deserta: tutto ciò che gli era rimasto in bocca era il sapore dell'aria umida e salmastra, là dove avrebbe desiderato trovare il calore del suo viso e il profumo della sua pelle scaldata dal sole.


-Non c'é nessuno.

-E allora non vedo quale sia il problema.

Il problema é che non é Tai. Sarebbe bastato ammetterlo per scrollarsi di dosso quel senso di colpa che provava alla sola idea di avvicinarsi a Tess e darle ciò che più desiderava. Sarebbe bastato essere onesti, per provare a lasciarsi alle spalle quell'assurda esperienza e continuare a vivere, come aveva fatto sino a quel momento.

-Ade, senza offesa, ma sono quasi due mesi che fai parte della nostra compagnia. Arrivi, provi, sei gentile con tutti quanto basta, ma te ne stai sempre sulle tue. I primi giorni mi incutevi quasi timore, poi mi sono detta che forse sei solo timido. Passiamo le giornate insieme e hai pure cominciato a uscire con noi. Eppure nessuno di noi é riuscito a conoscerti davvero. Tess ti sta offrendo un'occasione di uscire dal ruolo di principe del ghiaccio che ti sei guadagnato e ti sta offrendo una mano...fra le altre cose insomma...

Era vero. Da quando era tornato da Roma non si era fermato un istante: quasi miracolosamente aveva incontrato Jimmy Dale, una vecchia conoscenza dei tempi in cui ancora lavorava in città, con Ben. Gli aveva detto che nella compagnia in cui suonava, dovevano sostituire il personaggio principale, Peter Pan, che aveva avuto la brillante idea di scivolare da un' impalcatura su cui stavano montando la scenografia, rompendosi tibia e perone in un sol colpo. É uno spettacolo principalmente per bambini e famiglie, ma la produzione é importante. É un inizio, Aderley.

Aveva accettato, buttandosi nel lavoro a testa bassa, senza lasciarsi un minuto libero per pensare. Giorno dopo giorno, si era fatto benvolere da tutti, per i suoi modi educati, la sua posatezza, la sua riservatezza. Eppure non si era mai lasciato andare, non aveva stretto davvero amicizia con nessuno. Non voleva che nessuno entrasse a stravolgere nuovamente i fragili meccanismi della sua vita. O, forse, non era semplicemente pronto a sostituire chi, inaspettatamente, era sopraggiunta a rimetterli in moto. Eppure...Natale da soli faceva davvero schifo, lo aveva sempre pensato. E Tess se ne stava lì, con il suo viso buffo carico di speranza e gli stava offrendo una scappatoia: uno notte per non pensare, una notte per essere solo un ventinovenne come tutti. Una notte per non restare solo.

Terminò con un unico sorso il calice di birra, poi lo posò e si alzò lentamente, avvicinandosi a Tess. Alle sue spalle, Minnie, esultò di gioia, battendo lievemente le mani.

Fu in quel momento che quella stupida canzone natalizia cessò e la musica cambiò d'improvviso mentre il ritmo di una batteria invase il locale.

Poi, a seguire, il basso di Barry Wallace, sempre più forte e fino a che l'urlo di John Lawler non riempì l'ambiente.

-Oh mio Dio, io adoro questa canzone!!- Tess si buttò in avanti, afferrandolo per una mano, trascinandolo con sé nel ritmo della danza.

Chelsea Dagger.

Ade imprecò a mezza voce, anche se fortunatamente le sue parole vennero soffocate dal caos che regnava nel locale. Con tutte le canzoni commuoventi al mondo, la sua crisi di coscienza doveva sopraggiungere sulle note di una dei pezzi più carichi e meno romantici della storia musicale degli ultimi dieci anni. Forse, si diceva mentre senza trasporto si muoveva assieme a Tess, sarebbe stato preferibile All I want for Christmas is you, con tanto di patetico viaggio mentale che prevedeva lui e una folle corsa contro il tempo in aeroporto, per saltare sul primo volo che gli avrebbe permesso di raggiungere Tai.

Eppure...eppure non poteva fare a meno di sentirsi estraniato e totalmente assente poiché era quella la canzone che racchiudeva in sé alcuni fra i momenti in cui si era sentito davvero tranquillo, libero da quell'angoscia che non lo abbandonava mai, spingendolo a condurre un'esistenza ai margini della normalità e della serenità che rendevano più sopportabili le vite delle persone accanto a lui.

 

 

Natale 2006

Tutto, quel Natale, era cominciato sotto un cattivo auspicio, a partire dal pesante litigio con sua madre, l'irreprensibile Maureen Aderley, a seguito del quale aveva deciso che non si sarebbe riunito con la sua famiglia ad Aspen per Natale. Lui, Ben e Dwight si erano diplomati a Cambridge durante l'estate e si erano da poco trasferiti a Londra, con grande disapprovazione di sua mamma che, per la prima volta nella sua vita, dimostrava di volere suo figlio vicino. La realtà era che sperava che le sue conoscenze lo aiutassero a farsi strada a Broadway: il nome degli Aderley era sulla bocca di tutti a New York, ma a in Inghilterra il suo primogenito non era altro che un neodiplomato come altri mille, con un bel visino a fargli da biglietto da visita. Ed era esattamente questo il motivo per cui Ade aveva scartato a priori l'idea di tornare a casa una volta terminati gli studi, facendo montare sua madre su tutte le furie: non poteva sopportare l'idea di tornare a casa e fingersi il ragazzo irreprensibile e serio di cui i suoi genitori sembravano stimarsi nelle occasioni ufficiali. Lo avevano sempre esibito come un fiore all'occhiello, gli Aderley: a scuola aveva sempre vantato voti eccellenti, così come all'Università e loro non smettevano mai di sottolinearlo con chiunque, mettendolo in mostra come se fosse un Purosangue di rara bellezza. Alla fine avevano accettato anche l' Accademia di Arti Drammatiche, trovando il modo di volgere a proprio favore la presenza di un artista in famiglia: in fondo, se lui fosse seriamente riuscito a farsi un nome, questo non avrebbe che potuto giovare all'immagine della famiglia. Il che, pensava Ade, dimostrava quanto lui e sua sorella non fossero visti come altro che due fra gli innumerevoli tesori che la famiglia poteva vantare. Ma, anno dopo anno, sentiva di corrispondere sempre meno all'immagine che i suoi genitori volevano dare di lui: cosa c'entrava quel modello di perfezione con il ragazzo che andava a letto ogni giorno più tardi, preda dello stordimento dell'alcol e delle droghe che animavano le feste di chi, come lui, credeva di avere il mondo ai suoi piedi?

E così si era lentamente allontanato, innalzando fra di loro un muro che li aveva resi giorno dopo giorno estranei. Quale motivo avevano dei totali sconosciuti, si domandava, per trascorrere le feste insieme? Gli era bastato ignorare le ventisette chiamate della madre e avvallare una scusa con sua sorella Scarlett, sebbene fosse consapevole di averle spezzato il cuore. Come lui, anche Scarlett era stata spedita sin da bambina in Inghilterra a studiare e considerava il fratello l'unico appiglio rimastole in quel paese dall'altra parte dell'Oceano. Suo padre aveva fatto la voce grossa per il tempo di una telefonata, ma si era ben presto scordato della faccenda, assorbito da chissà quale affare o da quale torneo di tennis con gli amici. E così si era ritrovato libero, come mai prima di allora. Charlotte, la sua fidanzata avrebbe trascorso le vacanze in Francia, dai nonni materni, mentre Ben sarebbe rientrato negli States dalla famiglia: la sua prospettiva, dunque, non rimaneva che quella di trascorrere i giorni di festa abbruttendosi in casa, accumulando cartoni di cibo take away e bottiglie di birra e dando fondo all'intera collezione di DVD di Ben.

-Vieni a Chicago, dalla mia famiglia,- gli aveva proposto infine l'amico.

Aveva accettato solo perché il cibo del ristorante cinese sotto il nuovo appartamento faceva davvero schifo e perché, in fondo, aveva già visto tre volte ognuno dei titoli che Ben esponeva con tanto orgoglio.

Da quello che aveva sempre saputo, i McDeer, non avevano mai corrisposto all'immagine che ci si sarebbe fatta di un simile clan: i due gemelli Philip e Frank avevano preso strade completamente diverse, ma quello che li accomunava era la fama di ribelli che li contraddistingueva sin dal loro arrivo a New York. Solo dopo molto tempo Ade si sarebbe reso conto di quanto questa caratteristica dei padri fosse passata ai rispettivi figli.

Philip aveva sposato Erin Core, unica erede dell'immenso impero che era la Demeter, la diretta concorrente dell'azienda di proprietà della famiglia di sua madre, ma tutti sapevano quanto il loro matrimonio fosse una facciata: lei era sposata al suo lavoro, Philip aveva giurato eterna devozione ai suoi cavalli, alla tenuta fra i laghi e le foreste del Québec e a sua figlia Taigete.

Frank, al contrario, non aveva nemmeno tentato di cercare qualcuno adatto al suo lignaggio: si era innamorato di una sua compagna del College, figlia di un professore di liceo di Chicago e di un' insegnante di danza e con lei aveva messo su famiglia, lontano dai fasti e dalla mondanità di New York, dove aveva studiato. Aveva sì lasciato che Benjamin e i suoi fratelli avevano frequentassero a New York le scuole migliori del paese con la cugina Taigete, ma Frank si era sempre rifiutato di vivere come ci si sarebbe aspettato da chi, come lui e il fratello aveva ereditato una fortuna dal valore quasi inestimabile, preferendo gli affetti di una vita ordinaria allo sfarzo dell'élite statunitense.

Ben gli aveva riferito che i suoi genitori vivevano in un sobborgo cittadino, quelli con le case dai prati verdi e i muri intonacati di bianco che caratterizzano tutti i quartieri borghesi delle città americane. A pochi passi da loro, si trovavano la casa dei suoi nonni e nella strada parallela quella dei suoi zii.

-Siamo una famiglia ordinaria, forse un po' chiassosa, ma vedrai che ti troverai bene.- gli aveva garantito.

E così era stato: la madre di Ben lo aveva accolto, riservandogli le stesse attenzioni che aveva prestato al figlio. -Come siete magri, ragazzi. Ma mangiate anche, fra uno spettacolo e l'altro? E tu, Eugene, avresti bisogno di un barbiere, guarda come ti si arricciano i capelli sulla nuca! Avete fatto buon viaggio? Avete fame?-

Tutto era semplice, tutto era ordinario, tutto era vero in quella casa, dall'albero decorato con vecchie palline dietro ognuna delle quali vi era una storia che il nonno di Ben gli aveva raccontato, al tacchino preparato dalla zia di Ben, ai semplici pacchetti, ai sorrisi che la gente si rivolgeva.

A casa sua nessuno sorrideva davvero il giorno di Natale. Erano tutti troppo impegnati ad apparire una delle famiglie più splendenti di tutta New York, per ricordarsi come si faceva. Non vi erano scherzi, battute o piccole gentilezze, attorno all'enorme tavolo in stile impero del salone dell'attico di Park Avenue. Non vi era nessuno che si passava le pietanze solo pinguini rigidi che le servivano, non vi erano nonni a cui tagliare le pietanze perché le mani ormai tremavano troppo, ridicoli cappelli da Babbo Natale indossati con disinvoltura, maglioni con le renne, sciarpe variopinte. E non vi era nemmeno una ragazza che lo fissava incantata come Cecily McDeer, a dirla tutta.

-Guai a te se ti azzardi a mettere gli occhi su mia sorella.- Lo aveva minacciato Ben mentre la fissava sovrappensiero.

-Lascialo fare, Benjamin!- lo aveva redarguito sua nonna Maud, colpendolo lievemente con il grembiule che stringeva in mano. -Magari é la volta buona che porta a casa qualcuno di sexy. Sembrano tutti dei poppanti che hanno dimenticato il sedere a casa, quei bambocci che mi fa conoscere...il tuo amico invece ha un bell'impianto.

-Nonna!-

-Che c'è? Vuoi forse negare che abbia un di dietro in grado di risvegliare anche i miei ormoni morti e sepolti dai tempi dei dinosauri?

Aveva riso sinceramente. Ricordava di averle fatto un piccolo inchino e di averle offerto il braccio, per poi seguirla mentre accennava due passi di danza al ritmo delle canzoni di Frank Sinatra che accompagnavano la serata dal vecchio giradischi.

Il pomeriggio poi, il padre di Ben, aveva regalato a tutti i biglietti per la partita di hockey. L'evento, da quel che aveva potuto capire Ade, veniva atteso ogni anno con la stessa trepidazione che si può leggere negli occhi di un bambino la sera prima del Natale: cadeva infatti in quel giorno il "derby", o perlomeno, quello che i McDeer consideravano tale, fra i Chicago Blackhawks, la squadra sostenuta con trasporto dalla frangia femminile, e i Montréal Canadiens di cui la famiglia McDeer, originaria del Québec, era tifosa da generazioni.

Era stato così che si era ritrovato al centro fra Ben e sua sorella Cecy, talmente impegnati a rivolgersi insulti sempre più originali e coloriti, da perdersi la metà del gioco. Lui, per parte sua, non aveva mai amato l'hockey: suo padre l'aveva iniziato al tennis, allo sci alla corsa e a qualsiasi sport individuale, nel quale le sue capacità potessero eccellere incontrastate. Ma questo, ovviamente, non aveva il coraggio di rivelarlo ad alcuno di quegli esaltati che lo circondavano, saltellando e urlando come dei pazzi, con le mani ricoperte da enormi guantoni colorati e magliette delle rispettive squadre.

Eppure vi era qualcosa nell'eleganza e nell'armonia che i giocatori mostravano nonostante le imbottiture, la violenza e la durezza del gioco, che lo incantava. Quei ragazzi, rinchiusi nello spazio angusto del campo da gioco, si trasformavano: divenivano come un corpo che si muoveva all'unisono, pur mantenendo ognuno il suo gioco e la sua individualità.

E ben presto si era ritrovato a invidiare la libertà di cui davano prova, nonostante tutti i riflettori fossero puntati su di loro e ognuna delle ventimila teste presenti fosse concentrata a studiare ogni loro singolo movimento: non vi era poi molta differenza fra quei giocatori e chi, come lui o Ben, calcava le scene. Erano tutti fenomeni da baraccone, attori che compiacevano i desideri di un pubblico che li idealizzava, li idolatrava, finendo per identificarli esclusivamente con il ruolo che interpretavano. Eppure...eppure non aveva mai visto nulla di più vero dell'intesa fra alcuni di loro, della facilità con cui quei ragazzi riuscivano a comunicare le loro intenzioni attraverso uno sguardo, un piccolo gesto, una pacca.

-Ade, vuoi stare concentrato?! Nevskij ci sta facendo a pezzi!-

-Chi?

Cecy roteò gli occhi con aria di sufficienza. -Sergej Nevskij! é il più eclettico e talentuoso dei Montréal Canadiens!

-Stasera lui e Weiss sembrano un unico corpo e una sola mente!- aggiunse saltellando Ben, ruggendo d'approvazione al quarto goal mandato a segno dalla sua squadra.

Alla fine, i canadesi avevano asfaltato la squadra di casa, come era stato prevedibile sin dall'inizio: Ade ne capiva davvero poco di quello sport, ma la superiorità dei primi, quella sera, avrebbe potuto riconoscerla anche un bambino in fasce. Ben accanto a lui, continuava a saltare senza ritegno, sostenendo commosso che i suoi ragazzi gli avevano fatto il più bel regalo natalizio che potesse desiderare, mentre Cecy, accanto a lui, aveva cominciato a sovrastare gli urletti del fratello, degni della peggiore delle fangirl di Justin Bieber, con la sua voce acuta, sostenendo che gli arbitri fossero venduti, il campo fosse malmesso e i giocatori avversarsi dei farabutti, sempre e comunque.

Erano tornati a casa continuando discutendo della partita, litigando e mettendo in dubbio ogni fischio, ogni goal, ogni fallo. Dopo pochi minuti Ade si era estraniato dalla conversazione, ritrovandosi a canticchiare sovrappensiero mentre fuori dal finestrino le immagini dei sobborghi di Chicago, immersa nel buio, gli sfilavano davanti agli occhi.

-E va bene, Ade. Te lo dico io prima che Cecy impazzisca. Smettila di cantare Chelsea Dagger se non vuoi vedere la tua bella testolina servita su un piatto d'argento come portata principale del pasto di domani.

-Che c'é di male?

-Sei suonato? É la canzone con cui i quei perdenti dei Blackhawks festeggiano ogni goal segnato. Canticchiarla significa ricordarle che stasera sono riusciti a infilare un solo dischetto contro cinque nostri, nella loro por...ouch!

Cecy lo aveva colpito con una decisamente poco delicata pacca sulla nuca, troncando il suo discorso, prima di rivolgersi a lui: -E sappi che la prossima sarà per te, se non la smetti di cantare!

Era andato a dormire con il sorriso sulle labbra, con le note dei The Fratellis che gli risuonavano in testa, nonostante il divieto categorico di Cecy e Ben. Era stata una buona giornata il che, date le aspettative, era stato sorprendente, oltre che bello. Non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione di aver vissuto, per la prima volta nella sua vita, un Natale come quello che chiunque si sarebbe immaginato: famiglia, feste, affetti. Ma, cosa che più lo stupiva, per la prima volta dopo lungo tempo, si era sentito libero, come quei giocatori che avevano catturato così tanto la sua attenzione: libero di essere un ventitreenne come ogni altro, libero di sorridere, di farsi trasportare dall'entusiasmo. Libero di lasciarsi andare e non essere più l'erede perfetto degli Aderley, ma nemmeno il giovane che stava prendendo una scelta sbagliata dopo l'altra, mandando giorno dopo giorno all'aria la sua vita. Per la prima volta si era sentito, semplicemente, Eugene e questo era stato più inaspettato e piacevole di qualunque regalo avrebbe mai potuto ricevere.

Prima di addormentarsi, Cecy, come da copione, aveva bussato alla porta della sua stanza. Gli aveva domandato scusa per la poca cortesia che gli aveva riservato in macchina ed era rimasta a chiacchierare sulla soglia, fino a che non gli era apparso chiaro quanto forte fosse il suo desiderio di entrare e fermarsi per la notte. Ricordava di aver soppesato a lungo i pro e i contro della situazione, prima di trovare il coraggio di dirle che non voleva tradire la sua ragazza, specialmente non con la sorella del suo migliore amico.

Solo in quel momento si rendeva conto quanto si somigliassero Cecy e Tai. Le due ragazze erano simili in tutto, se non fosse stato per il fatto che Cecy era una fata dei boschi, educata e posata, mentre la cugina una selvaggia dalla lingua tagliente. Avevano lo stesso atteggiamento giocoso nei confronti della vita, la stessa freschezza, la stessa spensieratezza dinnanzi alla quale non poteva che rimanere incantato.

Ma, più di tutto, parevano condividere la medesima, bruttissima abitudine, di lasciare le situazioni incompiute: Cecy infatti al suo rifiuto aveva annuito delusa, mordendosi le labbra sicuramente per reprimere la stizza e la tristezza, poi sfacciata, lo aveva fissato negli occhi, si era alzata sulle punte dei piedi scalzi e gli aveva lasciato un bacio frettoloso, sparendo nel buio del corridoio prima che lui si rendesse anche solo conto di quello che era successo.

 

-Tess...vuoi scusarmi un attimo?

Scappò fuori coperto dalla sola, leggera Tshirt, senza premurarsi di recuperare nemmeno il maglione con cui coprirsi, sentendo che l'aria cominciava a mancargli dentro il locale. Si fermò in mezzo alla strada, respirando profondamente, nel tentativo di calmarsi. Fu allora che d'improvviso, si ricordò della ragazza ferma all'angolo di Rupert Street. Cominciò a correre a perdifiato lungo Old Compton Street, rischiando di scivolare sulla neve fresca, senza fermarsi se non prima di avere raggiunto la stage door del teatro: sudato e con il fiato corto, si era poggiato alle ginocchia, cercandola disperatamente.

Ma la ragazza non c'era. Chissà se era mai stata davvero lì o era solo frutto di una sua stupida fantasia.

Estrasse il cellulare dalla tasca, compose il numero di Tai e rimase in ascolto del messaggio vocale che gli diceva che il cliente contattato non era al momento raggiungibile.

 

Risponde la segreteria telefonica di Taigete Core McDeer. Al momento non posso rispondere, ma se volete lasciare un messaggio, mi premurerò di ricontattarvi al più presto.


-Tai, sono io, Ade.- Rimase a lungo immobile, senza sapere bene cosa dire. La realtà era che non sapeva nemmeno da dove partire, a raccontarle tutto, ma nemmeno capiva se sarebbe stato giusto farlo. Alla fine, dopo aver esitato a lungo, sospirò profondamente e disse solo: -Buon Natale, Tai.

Che stupido ingenuo che era stato. A quell'ora, con ogni probabilità, Tai si stava preparando per la cena di famiglia. Se la immaginava sola davanti allo specchio, a sbuffare per le assurde pretese della madre, che la voleva perfetta, il giorno della Vigilia più che mai. Poteva quasi vederla, vestirsi controvoglia, lamentandosi senza sosta. Eppure, nonostante tutto, sapeva che stava sorridendo, allegra. Perché era Natale e lei era sicuramente il tipo da trasformarsi in un malefico elfo al sopraggiungere di dicembre e perché quel branco di idioti di Glee dallo stereo a tutto volume, avrebbero cantato le loro stupide canzoncine natalizie, contagiandola con le loro voci zuccherose e perfette. E perché...perché era fatta così e non poteva essere diversamente.

Abbassò il telefono, battendo i denti dal freddo, incamminandosi lentamente verso il pub.

-Tu devi essere suonato! Stai cercando di morire prima dei trent'anni per assideramento?

Ade si bloccò all'udire quella voce indignata. Sorrise fra sé e sé nel riconoscerla e si voltò lentamente.

Tai era lì. Avvolta in un cappotto scuro fradicio di neve, il cappuccio calato sulla testa, e un pesante berretto di lana che le copriva il viso. Se ne stava in mezzo alla strada, con un grosso sacchetto con le decorazioni natalizie in mano, fissandolo con uno sguardo severo, ma il sorriso dipinto sulle labbra.

-Sono molto delusa da te Peter,- gli domandò alludendo evidentemente al ruolo che interpretava nello spettacolo da poco conclusosi. -Niente pantacalze verdi?

Ade sorrise impercettibilmente avvicinandosi a lei. -Non in borghese.

-Peccato,- gli rispose delusa. -Trovo che donassero particolarmente alle tue gambe da giraffa.

-Che cosa ci fai qui, Tai?

-Non é evidente?- Gli domandò sventolandogli sotto il naso il voluminoso pacchetto dal fiocco rosso. -Che poi non si dica che non prendo sul serio il mio ruolo di elfo di Babbo Natale. Sapevo che ti saresti ridotto da solo, ad ammazzarti di birra e serie tv, testone che non sei altro. Mi ha piacevolmente sorpresa vederti mettere il naso fuori di casa e uscire con altre persone, anche se non sono altrettanto sicura di essere così tanto contenta di aver visto quella biondina scodinzolarti dietro...

-Tess..lei..é solo una collega...

-Che per poco non si appendeva un cartello al collo con scritto "buono valido per una scopata o due" al collo.

-Come facevi a sapere che ero tornato qui?

-Quando ti ho visto ignorarmi, ho pensato che fossi o molto stronzo o molto tonto. Visto che, quando si tratta di te propendo sempre per la seconda, ti ho seguito e mi sono piazzata nel tavolo più vicino alla vetrina del wine bar di fronte al pub dove eri entrato. Speravo solo di non venire a recitare questa scena davanti a una persona completamente ubriaca. Ho avuto fortuna.

-Senti...possiamo entrare? disse accennando alla porta del teatro, ancora socchiusa. -sto congelando.

-Tieni. Non ho fatto tutta questa strada per vederti ignorare il mio regalo.- Tai gli spinse il sacchetto in mano, rimanendo a osservarlo mentre lo scartava perplesso. -Oh, grazie Tai! Come sei stata carina...anch'io ho una cosina per te...

Ade la fissò con aria di sufficienza. -Fammi capire. Arrivi qui, mi segui come una stalker. Rovini i miei piani di conquista obbligandomi a congelare in mezzo a una tormenta e ti lamenti pure?

Tai cominciò a ridere, quasi imbarazzata. Era chiaro che quel momento la mettesse a disagio almeno quanto lui: dopo quasi due mesi trascorsi dall'istante in cui l'aveva lasciato solo sulla spiaggia, era arrivato il momento, per loro, di concludere quella questione insoluta.

-Io...passeggiavo per Brooklyn, Ade, fra le bancarelle dei mercatini del weekend. Non mi sono mai soffermata a guardare quelle di musica, ma da quando sono tornata a New York, mi sono accorta di soffermarmi più del dovuto davanti a ogni negozio, o banchetto che sia. Persino la collezione di dischi di mio padre rappresenta un'attrattiva che non avevo mai considerato prima. E mentre lo faccio...mi sembra quasi di sentire i tuoi commenti. E il tono con cui, con infinita pazienza, cerchi di spiegarmi il motivo per cui Jim Morrison é famoso, oltre che per una tomba al Père Lachaise dove tutti vanno a piangere la sua scomparsa. Sto diventando brava, sai? Ormai non ho più dubbi su chi sia a cantare, se Iggy Pop o Lou Reed. Non illuderti, continuo a pensare che You can't always get what you want, sia più bella nella versione di Glee, però sto imparando. Perché...perché ogni volta che lo faccio, mi sembra di sentirti più vicino. E così, quando nel cesto delle offerte, ho trovato questo quarantacinque giri, non ho potuto fare a meno di comprarlo, sperando di riuscire a dartelo, un giorno o l'altro. Poi alla fine non sono nemmeno riuscita ad aspettare. Che razza di elfo di Babbo Natale é uno che lascia un pacchetto ad impolverarsi in casa, mese dopo mese?

Ade le sorrise incuriosito, cominciando a scartare il pacchetto.

-Ma...la realtà é che mi manchi, Ade. Me ne sono resa conto solo quando ho stretto fra le mani quel disco dalla copertina rovinata. Non mi manchi solo quando passo davanti a un negozio di musica, o quando maneggio il giradischi di mio padre. E smettila immediatamente di fare quella faccia, ti giuro che ogni volta che lo accendo mi inchino tre volte, gli giro attorno, recito come una litania tutti i grandi nomi del rock e faccio qualunque altra idiozia riteniate necessaria voi sacerdoti del Sacro Tempio della Musica in terra.

In quel momento Ade terminò di scartare il pacchetto. Sulla copertina gialla, lievemente scolorita, una pin up lo fissava, con le gambe sollevate in una posa indiscutibilmente sexy.

 

I was bold she was over the worst of it. Gave me gear thank you dear bring your sister over here.
Let her dance with me just for the hell of it.

 

-Mi manchi in ogni piccola cosa, Ade. Quando faccio colazione la mattina e non c'é nessuno che taglia con precisione certosina tutta la crosta dal pane tostato, quando guido da sola e sento la tua voce che mi redarguisce ogni volta che faccio una cazzata, quando passeggio per Broadway e non posso fare a meno di domandarmi che fine tu abbia fatto. Bell'interpretazione, a proposito, infilzare pirati e volare su vascelli fatati é decisamente il ruolo che fa per te.

Chelsea Dagger.

Ade abbassò lo sguardo, senza trovare le parole per risponderle. Un groppo alla gola gli impediva di parlare anche se, forse, non era rimasto più nulla di cui discutere. Le tolse la cuffia, passandole le dita fra la frangia scarmigliata, per poi scendere a percorrere il profilo del suo viso: non gli sembrava reale che, dopo tutto quello che era successo fra loro, Tai fosse davvero lì, incastrata in un angusto corridoio, con il viso arrossato dal freddo, la punta del naso ghiacciata e gli occhi incerti, fissi su di lui, in attesa di una sua risposta.

D'improvviso realizzò che se c'era un momento per chiudere il discorso lasciato aperto a Taormina mesi prima, quello era il momento. Lasciò che la mano scivolasse dietro al collo e la tirò leggermente a sé, riprendendosi quello che pensava gli spettasse di diritto ormai da tempo.

E, finalmente, si sentì nuovamente libero, come la notte di Capo Tenaro, come il giorno in cui avevano passeggiato per le strade di Taormina come due turisti qualunque e lui si era reso conto per la di non desiderare assolutamente che quel viaggio si concludesse con il ritrovamento di Ben. Come quella notte di Natale, di tanti anni prima, in cui per la prima volta aveva capito cosa significasse l'affetto di una famiglia, il peso di un sorriso, di un gesto, di una stupida tradizione.

-Buon Natale, Tai.

 

 

 

 

Note a piè di pagina

 

Per chi non conoscesse l'imbecille cronico protagonista di questa vicenda, trattasi di Eugene "Ade" Aderley, uno dei personaggi di Persefone, la storia a sei mani che sto scrivendo con Emily Alexandre e Agnes Dayle. Per chi invece lo avrebbe riconosciuto, avrà riconosciuto nella prima parte, una porzione dell'Atto VI. La realtà è che questa novella è stata scritta molto tempo prima del capitolo, lo scorso Natale, come regalo a Veronica SidRevo e Sam Vega, le quali sono così padelle da immaginarsi Ade e Ben fan dell'hockey. é una favola di Natale, e come chi segue la storia si sarà reso conto, prende una strada un pochino diversa da quella di Persefone. Prendetela come un piccolo sogno fatto all'ombra dell'albero di Natale. O come un AU. O come un picco di glicemia post prandiale (i pranzi, di preciso, sono stati quattro, quindi ne ho accumulati di zuccheri in eccesso).

Il titolo della storia nasce dalla canzone che ho ascoltato in loop scrivendola, The First Noel (che qui potete trovare cantata da Oliver Tompsett -quello che nella mia testa ha la faccia di Ade- assieme a Silent Night https://www.youtube.com/watch?v=PAKdD0kmVc0). Il riferimento ai giocatori (inventati) dei Canadiens Sergej Nevskij e Sean Weiss, invece, è dovuto a qualcosa che spero leggerete prima che presto, perchè ne vale davvero tanto tanto tanto tanto la pena. Non voglio dirvi di più, perchè merita la sorpresa.

 

Altre cose da dire credo non ce ne siano per cui non mi rimane che augurarvi buon anno, nella speranza di avervi rallegrato un pochino con questa storia e ringraziarvi di essere arrivati fin qui. Grazie di essere passati, se siete nuovi, grazie di esservi imbarcati nuovamente, se siete miei lettori. Vi auguro un 2015 pieno di serenità.

 

Un abbraccio, Lyra.

 

PS: Se non la conoscete e siete interessati, questo è il link a Persefone http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2175891

PPS: Se volete restare con me e tenervi aggiornati, questo è il link del mio gruppo, Sing and write for the wind, fear not for tomorrow, mi fa sempre moltissimo piacere accogliere i lettori! A me, invece, mi trovate qui!

PPS: ANCORA AUGURIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!

 

   
 
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