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Autore: Merkelig    02/01/2015    2 recensioni
Dopoguerra. Due fratelli dagli occhi di smeraldo. Due angeli dalle ali d'acciaio.
Una storia di apocalissi, rivelazione e redenzione.
Terza classificata al contest "La sfida dei dieci (contest a pacchetti)" indetto da Releeshahn sul forum di Efp.
Genere: Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo IV
Finalmente liberi
 
 
La grande sala è immersa nella penombra. La luce accecante al centro si è ora spenta.
Il silenzio è tale da stordire.
Aladiah apre lentamente gli occhi. Il suo sguardo si ferma sul pugno chiuso e su ciò che di frantumato c’è sotto le sue dita.
Uno specchio. Un enorme specchio rotondo, tanto grande da toccare il basso basamento marmoreo da ogni lato, che rifletteva ogni raggio del sole che lì andava a cadere creando l’illusione di un’unica, gigantesca, fiaccola di luce.
L’angelo alza cauto gli occhi.
Un omino, basso e stempiato, lo guarda dall’alto verso il basso con espressione terrorizzata. Trema tanto che il piccolo paio d’occhiali che porta sulla punta del naso traballa pericolosamente.
L’angelo si alza in piedi lentamente. Osserva sgomento, dall’alto dei suoi due metri e passa, il minuscolo ometto al centro di tutti quei vetri rotti. L’ometto, con le mani tremanti, si toglie una strana cuffia nera dalla testa e un apparecchietto che portava appeso al collo e li posa a terra.
- Tu…tu hai rovinato tutto. – farfuglia. – Andava bene, era perfetto, e ora…
- Che cosa andava bene? – domanda stranito l’angelo. Sentendo che il suo tono di voce è più simile al disorientato che al furioso, l’omino sembra prendere coraggio.
- Che cosa, mi domandi? Tutto! Tutto stava andando bene! Stavo adempiendo alla mia missione! E ora tu hai mandato a monte ogni cosa!
- Quale missione? – indaga l’angelo, sempre più inquieto. Ma l’omino non lo ascolta più, troppo preso a farfugliare tra sé e sé.
- È la mia missione, la mia missione… dopo che li ho raccolti, riparati… io, io l’ ho fatto…sono stato io…- dice camminando nervosamente in tondo, all’interno del piccolo spazio circolare.
- Aspetta… - Aladiah fa un passo avanti e afferra l’omino per le spalle, forse più bruscamente di quanto avesse voluto – Tu ci hai fatto questo? – inclina le spalle con uno scatto nervoso per mostrare le ali – Tu ci hai fatti così?
- Ma cosa ho fatto poi? – l’omino è troppo infuriato per spaventarsi del piglio aggressivo dell’angelo e si libera dalla sua stretta con uno scatto irritato – io vi ho riparati! Vi ho raccolti, quando nessuno vi voleva più, quando dei porci miscredenti vi hanno tirato a forza giù dal cielo e vi hanno abbandonati sulla terra a morire! Vi ho curati, vi ho riparati…era la mia missione, la missione che mi è stata affidata da Dio…finire ciò che lui ha iniziato portando l’Apocalisse… purificare il mondo da ogni singolo essere umano perché esso potesse rinascere! – nello sguardo dell’uomo brilla la follia – Ero solo un misero ingegnere aerospaziale prima di tutto questo…ma quando vi ho trovato ho capito chi fossi davvero e quale fosse il mio compito…tutto mi fu chiaro. Compresi che ogni scelta nella mia vita era stata presa per adempiere ad uno scopo. Completare l’opera di Dio…
L’omino pronuncia frasi sconnesse a bassa voce, con sguardo quasi febbricitante.
L’angelo lo guarda per un momento lunghissimo.
Poi gli volta le spalle e, lentamente, facendosi strada attraverso i suoi fratelli che stanno convergendo minacciosi e silenti verso l’omino, raggiunge la terrazza.
Si affaccia al parapetto per sentire la frescura delle dolci raffiche di vento che spirano a quell’altezza.
Si sente…inspiegabilmente vuoto.
Non ha ottenuto alcuna risposta.
Non sa chi è.
Non sa da dove venga.
Non sa perché sia in quel luogo.
La sua realtà è stata capovolta, ma curiosamente questo non lo sconvolge. Piuttosto lo lascia alquanto impassibile.
Si rende conto che la sua indifferenza è sbagliata. Dovrebbe provare sgomento, collera, disperazione, angoscia, vergogna.
Il fatto è che anche la presa di coscienza della sua mancanza di interessamento lo lascia indifferente.
Una presenza conosciuta lo raggiunge silenziosa.
- Cosa faremo adesso, Jophiel? – chiede all’amico.
L’interpellato sospira a bocca chiusa.
- Credo ci toccherà ricostruire ciò che abbiamo distrutto.
- Come? – Aladiah sa che il compito sarà immenso e molto gravoso. Ci sono tante cose da aggiustare, tanti torti da riparare, tante cose da capire ancora.
- Non lo so. – Jophiel si stringe nelle spalle – ma sai una cosa? I tuoi sogni…ora succede a molti, anche a me, da quando hai infranto lo specchio. È come se cominciassi a riscoprire chi fossi. Magari, scoprendo chi siamo stati, possiamo capire quello che dobbiamo fare, non credi? Serve solo avere fede, Aladiah.
Pronunciata l’ultima frase l’angelo ammutolisce. Sono parole nuove, che non ricorda di aver mai pronunciato prima. Non comprende appieno il loro significato. Ma hanno un sapore così familiare…
Aladiah sorride silenzioso.
- C’è molto da fare. - sentenzia a mezza voce.
Il compagno lo scruta per qualche momento.
- Tu non resterai, vero?
Il giovane annuisce con un sorriso obliquo, guardando verso l’orizzonte.
- Prima c’è una cosa che devo fare.
L’altro sospira brevemente.
Aladiah osserva l’amico a lungo, come se fosse l’ultima volta che lo vede e volesse portare via con sé il suo ricordo. Poi si avvicina alla terrazza e fa per spiccare il volo. All’ultimo momento un pensiero improvviso lo trattiene.
- Jophiel…
L’interpellato gli rivolge la sua attenzione.  
- Ci sono due ragazzi… una ragazza bruna, di nome Serafina. E un bambino, con gli occhi verdi e le lentiggini. Si chiama Giona.
L’angelo dopo un momento annuisce. – Ho capito.
Aladiah gli sorride brevemente e si lascia cadere di sotto, le ali spiegate, una corrente gentile pronta a sorreggerlo.
 
 
 

 
 
 
La chiesetta è ancora come l’ ha lasciata. Le panche rovesciate, gli spiragli di luce polverosa che attraversano obliqui la navata, la grande croce di legno pesante che emerge per metà dalla penombra. Il quadro dai colori brillanti ammicca muto da un angolo.
Aladiah supera i robusti battenti della porta e va a sedersi silenziosamente su una panca ancora in piedi.
Con un sospiro si appoggia allo schienale ligneo. Il suo sguardo vaga per le raffigurazioni sbiadite sulle pareti e raggiunge il soffitto. Tanti putti alati lo guardano con i sorrisi screpolati dall’erosione del tempo e i colori ormai sbiaditi.
L’angelo, con la testa riversa sullo schienale della panca, porta una mano al petto.
Sente un grande vuoto dentro di sé.
Fuori da sé ci sono solo confusione e caos.
Poi il suo sguardo si incaglia su una minuscola porzione di affresco, quasi invisibile nella penombra.
Un cielo stellato.
E Aladiah capisce.
Se non ci sono risposte per lui sulla Terra, vorrà dire che le andrà a cercare altrove.
Forse troverà qualcuno che saprà dirgli chi sia.
Che saprà spiegargli il senso di tutto.
Che potrà donargli ali con le piume bianche come quelle di una colomba. Ali leggere come una nuvola.
Ali soffici, accoglienti e vaporose.
Vive.
 
 
 
 
Fine
  
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