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Autore: Giulia____    03/01/2015    6 recensioni
Non farai parte della compagnia, Gimli. Sei troppo giovane, non saresti in grado di sopravvivere a una missione del genere. Non abbiamo bisogno di te.
Le ultime parole che il padre gli aveva rivolto prima di abbandonare la sala riecheggiavano pesantemente nella sua testa. Scagliò con violenza il grosso elmo verso la parete e si sedette a terra, deluso e amareggiato come mai prima d’ora.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gimli
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Oltre il mare



Far and beyond the stars there's a place where all the love,
 all the goodness we could have still resides.
But we choose life away from the light

(What did you do in the war, Dad? – Sonata Arctica)

 
 
Era l’anno 2941 della Terza Era.
Erano passati molti anni dalla distruzione della città di Dale e dalla conquista di Erebor da parte del drago Smaug. All’interno delle enormi caverne che si trovavano al di sotto dei monti di Ered Lindon, un giovane nano di appena sessantadue anni discuteva animatamente con il padre, brandendo, nella foga, l’ascia che teneva in mano. Gimli, così si chiamava il giovane nano, indossava una splendente armatura di ferro e un cinturone che aveva realizzato con le sue stesse mani, che si chiudeva con una fibbia argentata in mithril. L’elmo che indossava era decisamente troppo grande per lui e i capelli ancora troppo corti e poco folti non contribuivano a renderlo stabile sulla sua testa. Il padre stava per partire per quella che era la missione più importante della sua vita, che avrebbe portato tutto il popolo ad avere una dimora, a riconquistare Erebor e il tesoro all’interno della Montagna Solitaria. Il giovane nano voleva disperatamente partire insieme al padre e alla compagnia: sapeva di essere in grado di combattere e di potere aiutare nell’impresa. Voleva vedere con i suoi occhi il drago che aveva sottratto al suo popolo la propria casa. Per troppo tempo aveva sentito raccontare quella storia e, adesso, voleva essere ricordato come uno dei membri dell’eroica compagnia che avrebbe portato il popolo alla vittoria. Tuttavia, il padre Glóin non era dello stesso parere e al termine di un’accesa discussione se ne andò dall’ampio salone, lasciando il figlio immobile a fissare il portone dal quale egli uscì.

Non farai parte della compagnia, Gimli. Sei troppo giovane, non saresti in grado di sopravvivere a una missione del genere. Non abbiamo bisogno di te.

Le ultime parole che il padre gli aveva rivolto prima di abbandonare la sala riecheggiavano pesantemente nella sua testa. Scagliò con violenza il grosso elmo verso la parete e si sedette a terra, deluso e amareggiato come mai prima d’ora.

Mahal era la madre di Gimli e, come tutte le donne dei Nani, aveva ben pochi tratti femminili. Gli Uomini pensavano, infatti, che nella razza dei Nani non esistessero le donne, ma che essi nascessero dalle buche che scavano nelle montagne. Mahal era l’esempio che questa diceria era assolutamente falsa. Più piccola di statura rispetto al figlio, aveva gli stessi capelli ramati e crespi, due profondi occhi castani e una folta peluria ramata che le ricopriva le guance e il mento. Vestita come tutti i nani, si differenziava dal marito e dal figlio per una grande particolarità: era gentile.
Mahal si avvicinò al figlio, seduto per terra con la schiena appoggiata alla parete rocciosa del grande salone dove aveva appena discusso con il padre. Stringeva nella mano destra l’ascia con cui era pronto a partire, ammirandola con malinconia. Ricordava il grande impegno che egli aveva impiegato nella costruzione di quell’arma, forse ancora troppo lunga per lui, ma con la lama realizzata alla perfezione e incisa con grande talento e cura.

Ero pronto a partire. Avrei finalmente visto le meraviglie di Erebor, avrei aiutato a uccidere il drago e a riconquistare ciò che ci appartiene! Volevo vivere la mia avventura, madre!

Mahal guardò il figlio negli occhi lucidi e vi vide tristezza e delusione. Vide la rassegnazione. Il figlio non voleva passare tutta la sua vita nelle caverne di Ered Lindon. Voleva vivere, voleva uscire da quelle caverne. Per anni si era allenato al combattimento con l’aiuto dei cugini ed era sempre stato affascinato dai racconti sulle vaste distese di boschi e praterie, sulle grandi città di Minas Tirith e le grandi fortezze di Helm. Suo figlio, un giorno, sarebbe diventato qualcuno. Il suo grande talento nel combattimento e nella lavorazione del metallo gli avrebbero permesso di diventare uno dei nani più famosi e apprezzati di tutto il regno. Tuttavia, non era questo il giorno. Per lui non era ancora giunto il momento di abbandonare le fredde caverne dove vivevano.

Ero pronto.

Mahal si avvicinò, si sedette per terra a fianco al nano e come lui si mise a fissare il muro davanti a sé. Seguì con lo sguardo una piccola goccia d’umidità che lentamente scendeva nella fredda parete, sino a fermarsi in una piccola pozzanghera che si stava formando alla base di essa e parlò.

“Lontano e oltre le stelle c’è un luogo dove tutto l’amore, tutta la bontà che potremmo avere ancora risiede, ma abbiamo scelto una vita lontana dalla luce. Un giorno avrai modo di andare e di combattere per quello in cui credi. Avrai modo di vedere tanti posti e tanti popoli, avrai modo di vivere le tue avventure e di aiutarci ad avere nuovamente la nostra dimora. Sei un ragazzo speciale, Gimli. Forse non è oggi il giorno, forse non seguirai tuo padre alla conquista di Erebor, ma, credimi, c’è molto da fare. Molte avventure da vivere, molte battaglie da combattere, molte città da costruire e tu, figlio mio, farai tutto questo”.

Gimli non dimenticò mai quelle parole.


*******

 
Era il giorno 120 della Quarta Era. Erano passati esattamente duecento anni da quando, deluso e amareggiato, aveva visto il padre e alcuni dei suoi amici più cari partire alla conquista di Erebor. Gimli aveva ormai duecentosessantadue anni; sua madre era morta da tempo, così come suo padre.
Egli, ormai anziano, aveva i capelli bianchi mossi dalla brezza marina. Al suo fianco vi era Legolas, colui che era diventato con il tempo il suo più grande amico. Insieme avevano combattuto quella che fu chiamata la Guerra dell’Anello, avevano visto il loro caro amico Aragorn salire al trono e avevano visitato tanti posti nella Terra di Mezzo.

Adesso, Aragorn era morto e Arwen, che aveva scelto una vita mortale pur di stare al fianco dell’uomo che amava più di se stessa, l’aveva seguito. Legolas aveva continuato a vivere accanto al padre Thranduil a Bosco Atro, mentre Gimli era diventato il Signore delle Caverne Scintillanti e le opere del suo popolo, che sempre più migliorava nell’arte della metallurgia, erano conosciute in tutto il regno. Ciò di cui egli andava più fiero era l’aver contribuito alla ricostruzione dei cancelli di Minas Tirith, con grande orgoglio da parte di tutto il suo popolo. Erano cancelli enormi, altri circa cinque metri, dove delle venature argentate andavano ad alternarsi al metallo nero usato per costruirli. Tra le varie decorazioni nanesche, vi erano dei disegni elfici e dei disegni degli uomini di Dúnedain, che lo stesso Gimli aveva voluto inserire affinché il legame tra lui e i suoi due cari amici potesse rimanere nel tempo ed essere visibile a chiunque.

L’elfo e il nano due navigavano lungo il fiume Anduin. L’elfo remava e dai suoi occhi azzurri traspariva tutta la stanchezza degli anni, la tristezza per la morte degli amici più cari, ma anche la curiosità di vedere il mare e il desiderio di arrivare al luogo dove avrebbe passato il resto della sua vita. Ad aspettarli, tra tutti, ci sarebbe stata Galadriel.
Gimli non aveva dimenticato il sentimento di ammirazione che si era impossessato di lui, appena l’aveva vista anni prima. Non aveva mai dimenticato l’incredibile bellezza e la straordinaria potenza di quell’elfa. Si diceva che lei era la più potente tra gli Eldar e Gimli non stentava a credervi. Era pronto a raggiungerla, superando il mare e inseguendo le stelle.
Avrebbe raggiunto il luogo pieno d’amore di cui la madre gli aveva parlato quando era ancora un ragazzo. Avrebbe voluto sua madre accanto a sé, per dirle che, anche se non l’aveva capito prima, lei aveva ragione, che anche lui la sua avventura l’aveva finalmente vissuta e che era grato al destino per avergli regalato una vita così piena ed emozionante. Avrebbe voluto dirle che non scelse una vita lontana dalla luce.
Lui la luce l’aveva finalmente trovata e ora stava attraversando il mare per raggiungerla con gli occhi pieni di speranza, la mente colma di ricordi e il cuore che scoppiava di emozioni.
 
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La storia si è classificata terza al contest “Da ieri a oggi” indetto da Stareem sul forum di EFP.
Ho preso spunto da momenti poco conosciuti, ma raccontati da Tolkien nelle appendici de Il Signore degli Anelli, mentre il personaggio di Mahal è inventato da me.
Spero che la storia vi sia piaciuta, mi farebbe piacere ricevere i vostri commenti.
Namaste,
Giulia____

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