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Autore: wanderingheath    03/01/2015    5 recensioni
Jennifer, una problematica diciassettenne alternativa ed ermetica con una drammatica e dolorosa storia alle spalle, si è stancata di tutto e di tutti. Non prova più rispetto per alcuna regola, nemmeno se imposta da sua madre, l’unica persona appartenente al proprio passato che le è rimasta accanto.
L’unica fonte di gioia che restituisce un po’ di vitalità alla grigia esistenza di Jennifer è Tiffany Low, la ragazza dai corti capelli violacei e dagli occhi di un azzurro gelido, che allo stesso tempo le regala emozioni indescrivibili ed è capace di farla soffrire in modo atroce, portandola ad un abuso di alcool e droga.
Una sera, a seguito di un’overdose, Jennifer si ritrova morente in un buio vicolo lontano da casa, sola, inerme, indifesa e divorata da mille rimorsi. Vi sono persone che non ha più cercato, domande a cui non ha trovato una risposta, occasioni che ha miseramente sprecato e troppi momenti che ancora non ha vissuto.
Ma cosa accadrebbe se le fosse data una seconda possibilità? Cosa farebbe se si ritrovasse in un universo parallelo in cui nulla è come prima? Riscriverebbe la propria storia daccapo oppure commetterebbe gli stessi identici errori?
Genere: Drammatico, Fantasy, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
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~~Capitolo 1.

Aveva i piedi doloranti e il sudore le scorreva a rivoli sul volto, inondandole il body rosato che la soffocava.
I capelli lunghi e tinti di un blu intenso erano raccolti come sempre in uno chignon, ma qualche ciocca ribelle era riuscita a scappare alla tensione dell’elastico, andando ad appiccicarsi alle guance bagnate.
Odiava terribilmente quello sport e a dire la verità non lo considerava nemmeno un vero sport, ma solo una tortura che ormai andava avanti da troppo tempo.
Si era iscritta a quello stupido corso di danza classica quando aveva solo otto anni e l’aveva fatto unicamente perché sua madre insisteva a tutti i costi affinché facesse un qualche tipo di sport.
Aveva iniziato a detestare il ballo fin dalle prime lezioni in cui non si faceva altro che qualche piccolo esercizio di riscaldamento e stretching.
L’unica cosa che era in grado di rendere piacevole quell’ora e mezza di pura sofferenza era Karen, la sua storica migliore amica. Si conoscevano fin da piccole e avevano passato insieme i più bei momenti delle loro brevissime vite, a partire da semplici gite scolastiche fino a pranzi di Natale, quando Karen e la sua famiglia si autoinvitavano a casa sua.
Ma adesso che Karen non era più lì e lei non aveva nessuno con cui parlare, quelle ore di danza classica si riducevano ad una collezione di noiosi ed interminabili minuti che scorrevano con estrema lentezza.
Stava seriamente pensando di fregarsene una volta per tutte di quello che sua madre pensava del ballo e lasciare il corso, per guadagnare più tempo per se stessa, ma poi si sentiva come in colpa e preferiva tenersi tutto dentro, perché non voleva dare l’ennesimo dispiacere a sua madre.
- Jennifer, vuoi stare al passo?- la rimproverò la sua insegnante con la solita voce stridula.
Sentì tutti i nervi del collo tendersi come crode di violino, mentre si sforzava di sfoderare un mezzo sorriso e riprendeva a seguire la lezione controvoglia.

Stava tornando a casa, le mani affondate nei soliti blue jeans sgualciti a vita bassa, la testa incassata tra le spalle, i capelli zuppi raccolti in una coda scomposta, il cappuccio della felpa rossa tirato su a coprirle le orecchie dal gelido vento novembrino, quando ricevette una chiamata sul cellulare da una delle ragazze che facevano parte del suo piccolo gruppo di amici.
Impiegò solo qualche secondo a leggere il numero sul display del telefono, per poi rispondere in tutta fretta con il cuore che le batteva a mille.
La voce calda, suadente e familiare di Tiffany Low le risuonò piacevolmente nelle orecchie:- Jenny! Che stai facendo di bello a quest’ora?-.
Tiffany era una delle ragazze più belle della scuola e la maggior parte delle persone la guardava con un sentimento di ammirazione misto a soggezione, senza contare la ridotta cerchia di gente che la squadrava dall’alto in basso, disgustata dall’idea che fosse lesbica.
Jennifer aveva sempre provato dei sentimenti contrastanti per quella ragazza dai corti capelli violacei e i grandi occhi ghiacciati, che si aggirava per il cortile scolastico puntualmente con una sigaretta accesa tra le labbra ed improbabili capi di vestiario indosso.
Se c’era una cosa che le restituiva vitalità era la frizzante ed eccentrica Tiffany Low con i suoi sguardi ammiccanti, la voce seducente, le proposte innovative e a volte inusuali, le lunghe unghie tinte di colori sfolgoranti ed il viso coperto di piercings.
Quando si erano incontrate per la prima volta, Jennifer aveva sentito il proprio cuore fare una capriola e tornare con difficoltà al suo posto; poi con il passare del tempo, aveva iniziato a desiderarla come qualcosa di più di una semplice amica, nonostante Tiffany fosse l’unica persona appartenente al genere femminile che lei trovasse davvero attraente. L’unico ostacolo che s frapponeva ad una loro ipotetica relazione romantica e che rendeva insignificanti tutte le premurose attenzioni, le confessioni e gli sguardi complici che Tiffany le dedicava, era Chloe Justice, la ragazza di Tiffany.
- Non ho programmi a dire il vero- rispose Jenny, rincasando in fretta:- Qualche idea, Tiff?-.
- Speravo che me lo chiedessi- trillò l’altra nel telefono:- Danno una festa stasera al molo e non voglio assolutamente mancare-.
- Al molo?- ripeté interdetta, gettando a terra svogliatamente il proprio borsone da danza.
- Al molo- confermò Tiffany, senza riuscire a contenere l’emozione:- Il padre di un amico di Paul dà una festa sul proprio yacht privato e ha deciso di invitare parecchia gente. Dicono che ci sia un rinfresco molto gustoso e hanno la vasca idromassaggio da qualche parte. Ti prego, dimmi che verrai, Jennifer-.
Quella voce implorante le fece affiorare alla mente tante immagini, ma prima tra tutte l’espressione da cucciolo indifeso assunta dai grandi occhi chiari di Tiffany quando la ragazza doveva ottenere qualcosa.
Jennifer si mordicchiò il labbro inferiore, facendo la sostenuta per chissà quale ragione, visto che moriva dalla voglia di vedere la propria amica e passare con lei un’intera serata al molo.
- Non saprei…chi altro c’è?-.
- Sicuramente io, Chloe, Paul e Tony-.
- I fantastici quattro- commentò Jennifer, amareggiata dalla notizia della presenza della partner di Tiffany:- Ci penso un attimo e poi ti faccio sapere-.
Il tono di Tiffany Low mutò radicalmente e da supplice divenne seduttrice:- Non sono vietati gli alcolici-.
Jennifer rifletté per qualche istante su quelle parole, poi, abbassando il tono della voce, bisbigliò:- Qualcuno porta per caso della roba?-.
- Certo!- replicò Tiffany quasi assordandola:- E’ una festa, Jenny e ci viene anche Tony. Dove c’è Tony, ci sono quintali di roba-.
- Potevi dirlo subito!- sbottò l’altra, scoppiando a ridere ed accentando dunque l’invito, senza ulteriori indugi.
Non fece in tempo a concludere la conversazione che si ritrovò sua madre davanti, i piedi ben piantati a terra, le braccia incrociate sul petto ed un’espressione di pura disapprovazione dipinta sul viso.
Jennifer si portò una mano sul cuore e fece finta di ansimare:- Mamma, mi hai spaventata-.
- Smettila di fare sceneggiate, Jennifer- la rimproverò la donna con un tono tagliente.
La diciassettenne sollevò lo sguardo da terra e fissò i propri occhi chiari in quelli verdi di sua madre, da cui aveva ereditato solo i lunghi capelli neri, che ormai erano completamente tinti di blu.
Il loro rapporto non era più quello di un tempo. Non potevano certo conservare quella stretta relazione che avevano quando Jennifer aveva otto anni, non solo perché ormai lei era cresciuta e sua madre si era inasprita, ma anche perché ormai non c’era più nulla che le tenesse veramente unite se non la convivenza sotto uno stesso tetto e il legame di sangue.
Eppure Jennifer sarebbe stata in grado di riconoscere quell’espressione accigliata anche in mezzo ad una folla di perfetti sconosciuti. Così decise di arrivare subito al sodo.
- Cosa c’è che non va?-.
- Dimmelo tu, ragazzina- ribatté sua madre, mentre l’atmosfera si faceva sempre più tesa.
Non poteva sopportare quello sprezzante nomignolo, né quell’aria di finto disprezzo che si era dipinta sul viso per l’occasione. Adesso voleva far passare la linea dell’adulta responsabile e premurosa che si preoccupa per la sua figlia scapestrata. Adesso. Adesso non serviva più a nulla.
- Non chiamarmi ragazzina-.
- Perché stamattina non sei andata a scuola?-.
Quella domanda non la colse minimamente alla sprovvista: era certa che i professori avrebbero avvertito la famiglia della sua assenza e già si era preparata la classica scusa della malattia.
- Non mi sentivo bene. Avevo qualche filo di febbre-.
 La donna inarcò un sopracciglio folto e scuro con aria quasi sarcastica:- Ma davvero? Ti è scomparsa improvvisamente per andare a fare i comodi tuoi stasera?-.
- A me non piace fare danza classica, mamma- rispose Jennifer, determinata a non dargliela vinta:- Ci sono andata solo per non saltare le lezioni e rimanere al passo-.
- Però delle lezioni scolastiche non te ne importa nulla, vero?-.
La ragazza decise che la conversazione era terminata. Non aveva intenzione di rovinarsi la festa al molo in compagnia di Tiffany a causa delle insensate prediche di una madre che da sempre si era curata solo del proprio dolore, senza mai domandarsi perché sua figlia si fosse chiusa in se stessa, perché avesse smesso di prendere buoni voti a scuola, perché avesse iniziato a fumare, bere e fare uso di droghe anche pesanti.
La verità era che a Mary Young non interessava cosa facesse sua figlia e queste improvvise crisi derivavano solo dal peso delle responsabilità di cui mai si era fatta carico.
- Dove stai andando?- chiese, seguendo la figlia per le scale fino al piano di sopra.
- In bagno. Vado a farmi una doccia e mi cambio-.
- Stasera non esci, signorina, hai capito? Mi hai capita?!-.
La voce di Mary Young divenne più acuta, tentò di ingrossarsi e diventare minacciosa, ma a Jennifer non fece né caldo né freddo. Le sbatté la porta in faccia, senza temerne le conseguenze.
Ormai non le importava più di nulla. Suo padre se n’era andato via di casa da troppo tempo e sua madre era inesistente. Lei non era altro che una diciassettenne frustrata e in quel momento voleva solo andare alla festa al molo, bere fino ad annegare il lume della propria ragione nell’alcool e sprofondare nella vasca idromassaggio di cui si era parlato al telefono.
Niente pensieri, niente responsabilità, niente preoccupazioni, niente ricordi. Niente.

 

   
 
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