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Autore: _Marlena_    04/01/2015    1 recensioni
«Vuoi che ti lasci qualcosa da parte, per quando farai ritorno?» sussurrò, sentendosi sempre più osservato.
«Va bene» disse il semidio, poi gli strinse forte il viso, facendogli male, mentre lasciava un bacio prepotente su quelle morbide labbra.
[...]
Il ragazzo si sedette in disparte, lontano dal chiasso. Si passò un dito sulle labbra appena baciate, sentendo ancora il sapore di Eracle.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Era una calda sera d’estate. Erano in viaggio già da alcune settimane e le riserve d’acqua stavano ormai finendo, quindi decisero di fermarsi per un rifornimento.
L’equipaggio aveva attraccato la nave in un porto, presso la foce del fiume Kios, in Misia, ed era stato invitato a un banchetto dalla popolazione locale. Gente semplice, che viveva di quello che il mare offriva.
L’arrivo degli Argonauti fu accolto con gioia dal quel popolo, che non vedeva spesso degli stranieri.
Erano entrati tutti nella locanda, dove si sarebbe svolta la cena.
Ila stava parlando con un ragazzo del posto, chiedendogli cosa facesse per vivere, quando vide con la coda dell’occhio che Eracle stava uscendo dalla porta sul retro. Si allontanò dal suo ospite con una scusa banale e uscì fuori anche lui, seguendo l’uomo.
«Eracle» lo chiamò, avvicinandosi.
L’uomo si voltò.
Era massiccio, forte, con dei lunghi capelli marroni, una barba dello stesso colore e gli occhi scuri, come due pozzi. Aveva in mano un grosso coltello.
«Ila» rispose mentre si avvicinava, fissando l’arma alla cintura, «che ci fai qui fuori?»
«Ti ho visto uscire. Non hai intenzione di partecipare al banchetto?» il ragazzo abbassò il capo, nascondendo gli occhi con i capelli che gli ricadevano sulla fronte.
Eracle gli faceva quell’effetto, era sempre stato così, dal giorno in cui gli aveva ucciso il padre davanti agli occhi e lo aveva portato via con lui.
L’eroe gli prese il mento con l’indice e gli fece alzare il viso, mentre con il pollice gli accarezzava la guancia, liscia come quella di un neonato.
«Semplicemente, non ho voglia di partecipare al banchetto. Ho altro da fare» rispose Eracle, guardando insistentemente Ila negli occhi.
Il ragazzo annuì, arrossendo sotto il tocco di quelle mani ruvide, che tanto avevano combattuto, impugnato spade ed ucciso persone, ma che sapevano essere anche dolci e delicate.
«Vuoi che ti lasci qualcosa da parte, per quando farai ritorno?» sussurrò, sentendosi sempre più osservato.
«Va bene» disse il semidio, poi gli strinse forte il viso, facendogli male, mentre lasciava un bacio prepotente su quelle morbide labbra.
«A dopo» e sparì lungo il sentiero che si inoltrava in una selva lì vicino.
Ila resto fermo, seguendo quella sagoma scura finché non sparì dalla sua vista, poi tornò dentro.
Il banchetto era già iniziato. C’erano ragazze che servivano ai tavoli, fiumi di vino che venivano versati nelle coppe di tutti i commensali.
Il ragazzo si sedette in disparte, lontano dal chiasso. Si passò un dito sulle labbra appena baciate, sentendo ancora il sapore di Eracle. Prese qualcosa dal vassoio appoggiato sul tavolo davanti a lui, ma non aveva molto appetito, così incominciò a preparare un piatto, con le pietanze più prelibate, da lasciare all’eroe. Poi prese una brocca di bronzo e si diresse verso l’uscita, mentre ormai il banchetto era terminato e molti suoi compagni, ormai ubriachi, salivano le scale seguiti da varie ragazze del posto, per andare nelle camere messe a disposizione.
Ila uscì e prese lo stesso sentiero percorso da Eracle, cercando una fonte d’acqua fresca nelle vicinanze.
Faceva caldo, così si passò una mano fra i capelli biondi che gli si erano attaccati sul viso per il sudore. Aveva gli occhi verdi, un viso delicato, ma si stava già sviluppando e tra poco sarebbe diventato un uomo anche lui, come i suoi compagni e come Eracle.
Il bosco era fitto, pieno di alberi e arbusti, ma il sentiero era ben visibile, illuminato dalla luna piena di quella sera.
Ila si voltò all’improvviso, aveva sentito il suono di una risata.
Si guardò intorno, ma non riuscì a vedere nulla, oltre a dei gufi appollaiati su dei rami, che lo osservavano.
Ancora una risata, però la voce sembrava diversa.
Il ragazzo allora si incamminò verso quelle voci, era sempre stato curioso e voleva sapere di chi fossero.
Mano a mano che si inoltrava nel bosco, sentiva in modo chiaro i suoni di quelle risa e dell’acqua che cadeva.
Forse aveva trovato la fonte che gli serviva.
Si fermò quando capì che era arrivato.
Davanti a sé aveva un cespuglio, così si accovacciò e cercò di guardare oltre senza farsi vedere.
Era arrivato in una piccola radura, al cui centro era posta una polla d’acqua e dietro c’era una sorgente.
Gli sembrava che ci fossero delle donne, ma guardando attentamente, capì che erano ninfe che cantavano. Stavano celebrando un rito alla loro dea, Artemide.
Il ragazzo abbassò subito la testa e chiuse gli occhi. Sapeva bene quello che succedeva a chi vedeva la dea, nel caso si stesse facendo il bagno in quella sorgente, e non aveva la minima voglia di esser tramutato in cerbiatto.
Poi all’improvviso tutte le voci sparirono e Ila rimase solo con il rumore tenue dell’acqua e dei gufi, che ogni tanto si facevano sentire.
Allora alzò la testa e aprì gli occhi e vedendo che non c’era più nessuno nella radura, vi entrò dentro.
Si avvicinò alla piccola riva e si inginocchiò per riempire la brocca, quando delle lievi increspature al centro della polla lo fecero alzare.
Lentamente, dal centro dell’acqua, una ninfa emerse.
Aveva la pelle azzurra e gli occhi blu come l’acqua, mentre i capelli erano verdi, come le alghe.
Era una ninfa dell’acqua.
Lo fissava, prima con sguardo curioso, poi dagli occhi passò a guardargli le labbra, mordendosi le sue. La ninfa lo voleva, lo desiderava tutto per sé, lo trovava bellissimo, così si avvicinò a lui e gli afferrò un braccio.
Ila era terrorizzato, non sapeva cosa fare, si sentiva catturato.
Cercò di allontanarsi, di liberarsi e di fuggire via, ma più tentava di andarsene, più la presa della ninfa diventava forte e sicura, finché con uno strattone deciso, lo tirò dentro l’acqua.
Il ragazzo fece cadere la brocca, ma prima di scomparire nelle profondità, riuscì a lanciare un urlo, chiedendo aiuto.
Quando l’acqua tornò piatta e calma, irruppe nella radura un uomo.
Aveva la spada sguainata e si guardava intorno. Aveva sentito l’urlo di Ila ed era corso in suo aiuto.
Notò un piccolo bagliore vicino all’acqua, così si avvicinò e raccolse la brocca di bronzo in mano.
Polifemo si guardò intorno, cercando Ila, ma non riusciva a vederlo, così iniziò a correre, chiamandolo a gran voce, finché, dopo alcuni minuti, non sentì il rumore delle foglie calpestate.
L’uomo si fermò, pensando che fosse il ragazzo, ma tenendo ancora la spada pronta per l’uso.
Dalla foresta invece uscì Eracle, che appena si accorse della presenza del suo compagno, lo salutò.
Ma l’uomo si rattristì nel vedere l’amico e gli disse all’istante che aveva sentito le urla di Ila e aveva trovato una brocca abbandonata vicino una sorgente d’acqua.
Eracle strinse le nocche delle mani finché la pelle non diventò bianca.
Iniziò a sudare freddo.
Qualcuno aveva rapito Ila.
Che fossero degli uomini o delle belve, lui li avrebbe trovati.
E sarebbero tutti morti.
Cominciò a urlare il nome del ragazzo, correndo più in fretta che poteva, cercandolo dietro ogni albero o pietra che incontrava lungo il cammino, sradicando e lanciando via tutto ciò che ostacolava il suo cammino.
All’improvviso si fermò, cadendo sulle ginocchia, e con la voce possente squarciò il cielo, urlando per l’ultima volta il nome di Ila.
  
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