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Autore: Flamma    06/01/2015    0 recensioni
A tutti, almeno una volta nella vita, è capitato di rivivere un momento che ci sembrava fosse già accaduto, già visto e già fatto. Un dejaa vu, insomma. Ma cosa fareste se questo deja vu non si svolgesse solo in un preciso momento, ma in un'intera giornata? E se, addirittura, non fosse una sola, ma una serie di giornate uguali che si ripetono continuamente? All'inizio sembrerebbe inverosimile, strano, forse frutto del nostro cervello che ci sta giocando brutti scherzi. Ma cosa faresti se così non fosse? Sarebbe un incubo, vero? Fortunatamente a nessuno è mai capitato. Ad eccezione di Joel.
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nonostante si fosse appena svegliato, Joel faticava a tenere aperte le palpebre e prendeva conoscenza molto lentamente. Dapprima tutto davanti ai suoi occhi appariva come una leggera sfumatura di colori, poi iniziò a vedere, anche se ancora sfocato una stanza piena di macchinari, banchi da lavoro su cui erano appoggiati documenti e fogli sparsi, grandi computer e attrezzature ospedaliere, e alcuni uomini e donne vestiti con camici bianchi e lunghi che si spostavano continuamente da una parte all’altra della stanza. Joel sentì un piccolo brivido di freddo e solo allora concepì di trovarsi immerso nudo in una specie di vasca disposta verticalmente riempita di acqua gelida dal colore verdognolo fino al collo, e anche di aver attaccato al corpo e al naso dei tubicini che trasportavano chissà quali sostanze. Cercò di muoversi, ma inutilmente, poiché i suoi arti non rispondevano ai suoi comandi. Il vetro che lo teneva dentro quella vasca e che lo separava dall’esterno gli sembrava simile al vetro di un grande acquario, e lui si sentiva come un pesce in trappola.
Non molto distanti dalla vasca, un piccolo gruppo di uomini lavoravano al computer e prendevano nota su alcuni fogli, mentre altri discutevano tra loro tenendo in mano alcuni fascicoli. Joel riacquistò man mano anche l’udito e perciò potette udire alcune parole, prima ovattate, poi sempre più chiare. Un uomo abbastanza giovane faceva varie domande a un suo collega, più anziano, con la barba ispida, occhiali da vista sottili e con una leggera stempiatura sulla testa.
“Respirazione del soggetto?” chiedeva il primo.
“Regolare” rispondeva il secondo, guardando lo schermo del computer e digitando alcuni tasti.
“Attività celebrale?”
“Stabile”
“Funzioni cognitive?”
“Normali”
“Funzioni motorie?” l’uomo con gli occhiali fissò attentamente il computer prima di rispondere, poi volse lo sguardo verso Joel.
“Non funzionanti” fece scuotendo il capo con un’espressione scoraggiata.
“Dici che è ancora presto?” il ragazzo si avvicinò verso l’uomo che fissava negli occhi Joel.
“Sì, anche se siamo molto vicini. Ormai deve solo imparare a muoversi, ma non so precisamente quanto gli ci vorrà”.
Joel non sapeva chi fossero quei tizi, tantomeno come fosse finito lì dentro. Mosse le labbra nel tentativo di parlare, ma uscirono solamente deboli sospiri e sillabe sconnesse. L’uomo con il camice si avvicinò un po’ di più alla vasca e disse ad alta voce: “Riesci a sentirmi, Joel?”
Il ragazzo nella vasca tentò ancora di parlare e stavolta riuscì a dire qualche parola, anche se in modo fiacco.
“Dove sono? Chi siete voi?”
“Bene, riesci sia a sentire sia a parlare. Non devi temere nulla, non ti vogliamo fare del male. Ti stiamo aiutando e tra non molto ti lasceremo andare. Ora riposati” detto questo, l’uomo si accostò a un grande macchinario, composto da pulsanti, leve e piccole valvole. A Joel la situazione era ancora totalmente confusa e disordinata, si sentiva stanco e privo di forze. L’acqua all’interno della vasca iniziò a bollire e dai tubicini incominciò a scorrere una maggiore quantità d quella sostanza sconosciuta che Joel stava assimilando nel suo organismo. Le palpebre si facevano di nuovo pesanti, la vista si stava appannando e i rumori all’esterno si attenuavano sempre di più. Joel sentì che da lì a poco si sarebbe addormentato, ma ebbe la forza necessaria per attirare l’attenzione dell’uomo, che era impegnato nel premere tasti e abbassare leve vicino al macchinario.
“Chi sei tu?”
“Sono il dottor Locke. Ma puoi chiamarmi David” girò una valvola e Joel sentì il suo corpo più leggero e rilassato, quindi si lasciò andare chiudendo gli occhi e cadendo in un sonno profondo, immerso nell’acqua gelida.
 
Il gracchiare dei gabbiani era la sua sveglia che preannunciava la solita giornata piena di lavori e impegni. Il sole stava appena albeggiando e uno dei suoi lievi raggi lambiva gli occhi di Joel, ancora socchiusi che scrutavano a destra e sinistra lo spazio dove si trovava. Cercò di ricordare il sogno fatto quella notte, ma in testa aveva solo qualche frammento sparso. Ricordava solo che nel sogno si trovava in una specie di ospedale e lui era immerso in una vasca, ma non ne era completamente sicuro. Ricordò anche quell’uomo con cui aveva parlato, ma non il volto e tantomeno il suo nome. Si mise seduto sul letto e guardò ogni angolo della sua stanza che gli sembrava tanto familiare quanto estraneo. Non ricordava nulla del giorno precedente, se non di essere andato al porto per il lavoro e in seguito essersi incontrato con Avril. Si affacciò alla finestra già aperta e i suoi occhi marroni come il tronco di un albero ammiravano il mare ancora piatto di prima mattina, il sole che sorgeva dai suoi abissi e i gabbiani che volavano in cielo. Solo quella vista infondeva a Joel una grande voglia di iniziare la giornata e così aprì l’armadio e prese di fretta una canotta e un pantaloncino, poi scese le scale di casa e andò in cucina. Preparò la colazione con caffè e una fetta di pane con marmellata come ogni mattina e si avviò verso l’uscita. Ma prima di aprire la porta, Joel si fermò e guardandosi attorno nell’atrio gli venne una specie di nostalgia. Non se lo seppe spiegare il perché, ma era propria nostalgia. Salì un attimo al piano di sopra ed entrò nella camera dei genitori, che stavano ancora dormendo. Joel restò a guardare in silenzio il padre e la madre, e avrebbe voluto abbracciarli istintivamente, ma non lo fece per non svegliarli. Chiuse la porta silenziosamente e uscì di casa per andare al porto.
Nonostante fossero ancora le sei, non c’era il solito freddo mattutino delle giornate invernali. Era il 28 Agosto e quella giornata sembrava a Joel la più calda di tutto il mese e anche come se fosse la prima giornata d’estate. Camminava per la grande strada che portava da casa sua al porto, la quale era costeggiata da diverse abitazioni, botteghe e negozi di alimenti molto colorati, costruiti in pietra e accostati l’uno vicino all’altro, mentre la strada era coperta da grandi pietre lisce. Conosceva quasi ogni persona del posto e a ogni negozio che apriva, salutava il proprietario con un’alzata di mano e un buongiorno che era ricambiato con un sorriso. Joel amava quella città, così calorosa e raggiante sia per gli abitanti del posto che per il luogo in sé, molto legato alla natura. Mentre viaggiava con la mente, senza accorgersi arrivò al porto.
Un uomo anziano e abbastanza robusto con la barba ricciuta trasportava reti, esche e quant’altro su una barca, salendo e scendendo di continuo fischiettando. Alla vista di Joel alzò una mano e gridò: “Buongiorno piccolo lupo di mare! Pronto per una grossa pesca?”
“Sicuro, Ben! Pescheremo così tanti pesci che ci servirà un’altra barca per poterli portare tutti” Joel prese gli ultimi due secchi pieni di vermi che erano rimasti sulla banchina e salì sulla barca, mentre Ben scioglieva i nodi che tenevano l’imbarcazione attraccata. Erano sempre i primi che partivano e, solo quando uscivano dal porto, vedevano qualche altro marinaio appena arrivato che iniziava a prepararsi per la pesca. Arrivati in mare aperto, iniziarono a gettare le reti a mare e pescare grandi quantità di pesci, tanto che tutta la prua ne fu ricoperta. Dopo presero due canne di pesca e aspettarono che qualche pesce grosso abboccasse. Joel guardava da lontano la sua Heartown, piccola città portuale e tranquilla dove gli abitanti vivevano grazie alla pesca così fruttuosa delle loro acque.
“Di un po’ Joel, che progetti hai?” chiese all’improvviso Ben, sovrastando lo sciabordare delle onde contro la barca.
“Progetti per cosa?”
“Per il tuo futuro. Non vorresti mica passare la tua vita qui sopra?”.
“Beh, tu lo hai fatto” gli ricordò il ragazzo.
“Sì, ma se potessi tornare indietro nel tempo, direi al me stesso giovane ‘hey tu! Non prendere mai la stupida decisione di fare il marinaio nella tua vita’. Non che sia triste, amo il mare e tutto il resto, ma mi sento solo. Non mi sono mai sposato e non ho figli. Se non avessi scelto questo lavoro, magari adesso starei facendo colazione con la mia famiglia” Ben guardava il mare con sguardo perso. I suoi occhi azzurri facevano da specchio al suo stato d’animo, mentre il vento gli muoveva il cappello sopra la testa.
“Non so cosa farò nel futuro. Non ci ho mai pensato, vivo il presente” dichiarò Joel. Era vero, lui non aveva mai fatto progetti nemmeno per il giorno dopo, come se esistesse solo il presente delle giornate che viveva.
“Da una parte fai bene, ma quello che sto cercando di dirti è di non accontentarti del minimo indispensabile. Punta a qualcosa di grande, che ti renda soddisfatto e felice. Nella vita hai una sola esca per pescare la felicità” la canna da pesca di Ben iniziò ad agitarsi e il vecchio marinaio la prese in tempo prima che finisse in mare, trascinata dal pesce che aveva abboccato.
“Guarda qui! Deve essere davvero un pesce bello grosso!” urlò entusiasta. Cercò con tutte le forze di prenderlo, ma il pesce era davvero tenace e dava filo da torcere all’uomo. Joel volle aiutare Ben, ma egli rifiutò il suo aiuto perché deciso a volerlo pescare da solo. Il pesce però riuscì a scappare e Ben un po’ amareggiato lo vide nuotare verso il largo.
“E’ questo che intendo, Joel” riprese il marinaio “quei pesci che abbiamo pescato volevano nuotare in queste acque, si sono accontentati, mentre quel pesce che è appena scappato no. Lui sognava di nuotare al largo, verso l’oceano. Tu devi essere proprio come quel pesce: punta all’oceano, perché per quanto possa essere pericoloso e sconosciuto, è anche l’unico posto dove puoi davvero raggiungere la libertà, lontano da una soddisfazione illusoria” Ben guardò negli occhi Joel che aveva sentito attentamente ogni parola del vecchio. Poi gli fece un sorriso e gli diede una pacca dietro la schiena al ragazzo e lo incitò ad accendere i motori, così da tornare al porto.
“Stasera grande grigliata di pesce!” gridò Ben sventolando per aria il cappello e posizionandosi al timone, facendo rotta verso il porto.
La pescheria del padre di Joel si trovava vicino al porto, dove c’era il mercato principale di Heartown. Come ogni mattina c’era un grande via vai di persone, che compravano le varie merci che i venditori esponevano, dai prodotti alimentari come frutta e verdura a quelli usati da decorazione per le case come vasi di ceramica, tende e tappeti lavorati a mano. L’odore del cibo fresco, del sudore delle persone che camminavano strette l’una all’altra e della brezza marina si fondevano per creare una fragranza che Joel respirava a pieni polmoni e che gli rammentava i giorni spensierati della sua infanzia, a quando correva con i suoi amici facendo a gara a chi arrivava prima dall’altra parte del mercato. Quindici anni dopo Joel non correva più liberamente, ma portava secchi pieni di pesce fresco al padre Rick, che stava già lavorando alla pescheria aiutato dalla moglie Lisa.
“Ciao Joel. Vedo che avete fatto una bella pesca stamattina tu e Ben” Rick si avvicinò al figlio e lo aiutò a svuotare i secchi e separare i diversi tipi di pesci “Lisa! Occupati tu della signora Cecilia” aggiunse poi. La madre di Joel uscì dalla pescheria e si occupò di una signora bassa e anziana, che ringraziò Lisa per la sua disponibilità e gentilezza.
Joel restò alla pescheria per aiutare i genitori che quella giornata avevano molti clienti e due mani in più li avrebbero fatto molto comodo. Sentì dentro di sé una piacevole sensazione nel vedere la sua famiglia così unita e solare quella giornata, tanto che mentre si occupava dei clienti e prendeva le loro ordinazioni, guardava di sfuggita ora Rick e ora Lisa, sorridenti ed energici. Quella scena di una famiglia perfetta lo riscaldò il cuore, ma non seppe spiegarsi il perché. Non era la prima volta che lavorava con i suoi: dopo essere andato a pesca, si dirigeva di corsa verso la pescheria e si tratteneva lì. Quella volta era diverso, almeno così gli sembrava. Avvertiva un’atmosfera più vivace e tranquilla, che quasi lo commosse.
“Hey figliolo, tutto bene? Sei particolarmente allegro stamattina. E’ successo qualcosa di bello?” chiese Rick cogliendo sprovveduto il figlio, ma ancora sorridente.
“No, niente. Sono felice e basta. Sarà la splendida giornata, il sole, la vitalità del mercato. Non lo so, ma sono felice di essere qui con voi” Joel sorrise ancora di più ai genitori, che si guardarono prima perplessi, ma poi ricambiarono il sorriso con una risatina affettuosa. Quando il mercato incominciò a svuotarsi e la pescheria aveva da pensare a soli pochi clienti, Lisa chiese al figlio di andare a consegnare un ordinazione ad una signora anziana che non poteva uscire di casa. Joel naturalmente accettò e dopo essersi fatto spiegare la strada ci andò di corsa. Arrivato alla casa della vecchia Beth, bussò due volte alla porta, ma nessuna risposta. Joel si ricordò che la madre lo aveva raccomandato di bussare più volte, poiché la vecchia non ci sentiva molto bene. Bussò ancora e con più forza, e stavolta la porta si aprì. Beth portava dei grossi occhiali ed era appoggiata ricurva su un bastone. Era così bassa che non riuscì a vedere in viso Joel, ma parlava praticamente guardandogli il petto.
“Sei il figlio di Lisa? Hai portato la mia ordinazione?” chiese con voce rauca Beth.
“Si, la porto dentro la roba?” chiese Joel indicando la busta.
“Grazie, sei davvero gentile” la vecchia fece accomodare Joel nella sua casa, arredata con vecchi quadri, orologi a cucù dappertutto, vasi di ceramica e tutti quegli oggetti con i quali le signore anziane amano arredare le proprie case. Un quadro attirò l’attenzione di Joel: un uomo che accarezzava con una mano il viso di una fanciulla, la quale rimaneva impassibile, come se nulla la stesse toccando.
“Ecco a te, e tieni pure il resto” lo richiamò dai suoi pensieri la vecchia.
“Grazie mille, buona giornata” Joel fece per andarsene, quando il quadro che poco fa stava osservando cadde per terra. La vecchia sobbalzò spaventata, ma Joel la rassicurò che si trattava solo di un quadro caduto. Nel rialzarlo si accorse che il vetro che custodiva il dipinto si era frantumato e così raccolse i cocci di vetro e sistemò il dipinto su un tavolo. Beth lo ringraziò e gli chiese anche che se avesse voluto, avrebbe potuto prendersi quel dipinto, dal momento che lei se ne voleva sbarazzare già da un po’. Joel accettò, gli piaceva quel quadro, e così ringraziò la vecchia e se ne andò.
Tornato alla pescheria, Lisa e Rick gli chiesero dove avesse preso quel dipinto e Joel spiegò loro come era andata, dopodiché ascoltata la storia, Rick invitò il figlio a poter andare, dato che potevano farcela anche da soli. Joel guardò l’orario e si ricordò che a quell’ora i suoi amici ed Avril si trovavano in spiaggia. Così salutò i genitori e andò a casa, posò il dipinto sulla scrivania della sua stanza e messo il costume si diresse verso la spiaggia.
La sabbia era bollente, soprattutto a quell’ora del giorno, tanto che sembrava fuoco. Joel corse il più veloce possibile per non ustionarsi i piedi e arrivò a riva dove trovò i suoi amici che già stavano giocando a pallavolo in acqua. La palla arrivò ai piedi di Joel che si stava spogliando e tutti, accorti del suo arrivo, lo salutarono da lontano e lo esortavano a gettarsi in acqua subito. Joel non se lo fece ripetere due volte e presa la passa la lanciò versò Ed, che la prese al volo. Fece un tuffo in acqua e quando riemerse si trovò vicino agli altri. C’era Ed, un ragazzo dai capelli rosso carota e abbastanza gracilino, Louis, il tipico ragazzo occhi azzurri e capelli biondi che attirava parecchie ragazze, Julia, una ragazza timida e riservata, e infine Ralf, il suoi migliore amico, un ragazzo spericolato e iperattivo. Joel dopo aver salutato tutti si accorse che Avril non era lì.
“Ha detto che sarebbe arrivata più tardi. Doveva aiutare il padre alla bottega” spiegò Julia.
I ragazzi passarono la giornata giocando a palla, poi rinfrescandosi in acqua e prendendo il sole, ma Ed e Ralf si burlavano in continuazione di Louis e Julia infastidendoli mentre si rilassavano al sole. Dopo non molto arrivò anche Avril e Joel non potette fare a meno di contemplarla come fosse una dea. Amava tutto di lei: i suoi lunghi capelli ricci e biondi, i suoi occhi verdi come smeraldi, le lentiggini che aumentavano la sua graziosità e le labbra sottili che facevano da cornice ad un volto angelico.
“Quando le dirai che ti piace?” gli sussurrò all’orecchio Ralf che fece trasalire l’amico.
“Si vede così tanto?” chiese preoccupato Joel
“Più chiaro del sole” sorrise l’altro “perché non glielo dici dopo?” propose Ralf
“Sei impazzito? Direbbe sicuramente che non prova i miei stessi sentimenti e rovinerei un’amicizia” disse tutto d’un fiato Joel, come se il solo pensiero lo spaventasse a morte.
“Sai che dovrai dirglielo prima o poi, vero?” adesso Ralf lo fissava serio
“Perché? Mi passerà un giorno, basta solo aspettare…” bisbigliò Joel abbassando lo sguardo
“Per l’amor di Dio, Joel! Sono più di 5 anni che le stai dietro!” alzò la voce esasperato l’amico, attirando l’attenzione degli altri che per fortuna si trovavano più distanti e non stavano seguendo il discorso.
“Abbassa la voce, o vuoi forse che ci senta?” fece Joel arrabbiato
“No, certo che no. Lo farai tu, oggi. Voi due vedete sempre il tramonto assieme da quando eravate piccoli, giusto? E’ il momento ideale per una dichiarazione d’amore” Ralf si alzò e andò verso gli altri a giocare e scherzare. Joel restò ancora qualche secondo seduto, pensando alle parole dell’amico. Non aveva mai avuto il coraggio di dichiarare il suo amore ad Avril, ma quel giorno sentiva qualcosa di insolito. In effetti tutta quella giornata gli sembrava diversa, sentiva dentro di lui sensazioni confuse. Forse era un segno? Era quella la giornata ideale per dichiararsi? Agitò la testa come per scacciare quei pensieri e andò anche lui a divertirsi con gli altri.
Quando il sole cominciò a calare e i suoi raggi si fecero meno intensi, la spiaggia restò deserta e anche i ragazzi si rivestirono per tornare ognuno alla propria casa. Solamente Avril e Joel restarono ancora sulla spiaggia una volta salutati gli amici.
“Ti va di fare un ultimo bagno?” propose Avril a Joel. Il ragazzo accettò e così i due si tuffarono in acqua. Ormai il sole si trovava all’altezza dell’acqua, come se ci stesse camminando sopra. Avril schizzò un po’ d’acqua in faccia a Joel che ricambiò prendendo e gettando in acqua la compagna che una volta uscita riemersa volle vendicarsi affogandolo a mare in modo scherzoso, come facevano quando erano bambini. Quel  gioco suscitò ancora una volta in Joel una certa malinconia, nonché un profondo senso di felicità mischiata a tristezza. Quando uscirono i due si asciugarono e si sedettero su una barca lì vicino e osservarono il panorama. Restarono in silenzio per qualche minuto, poi Avril parlò per prima.
“Sei di poche parole oggi, eh?” gli sorrise la ragazza “a cosa pensi?”
“Niente, solo un po’ di stanchezza. E’ stata una giornata piena. A te come va’?” Joel ripensava alle parole di Ralf, ma decise di non dichiararsi subito.
“Bene, domani sera ho il saggio di canto. Ci sarai?”
“Certo, non potrei mai mancare per nulla al mondo” sorrise Joel guardandola negli occhi
“Lo sai Joel, ci conosciamo da tanti anni” incominciò Avril “e più passa il tempo, più mi rendo conto che senza di te non saprei come andare avanti. Sei il mio punto di riferimento, so di contare sempre su di te. Perciò ti prego, non andartene. Sembrerebbe egoistico come discorso, ma vorrei solo che la nostra amicizia duri per sempre. Ti voglio davvero bene” Avril abbracciò così stretto Joel che gli tolse il respiro. Ma non fu soltanto quell’abbraccio o quelle parole a toglierlo, quanto piuttosto la consapevolezza di non poterle confessare più il suo amore. Non avrebbe mai potuto rischiare di perdere la sua amicizia, soprattutto adesso che sapeva che per lei contava davvero più di qualsiasi altra cosa.
“Lo stesso vale per me, Avril” sussurrò a malincuore Joel.
Quando i due si staccarono da quel lungo abbraccio rimasero nuovamente ad ammirare il tramonto. Il mare era diventato completamente piatto come un tavolo e il gracchiare dei gabbiani faceva da sottofondo alle piccole onde che salivano la riva e velocemente la riscendevano. Questa volta fu Joel a rompere il silenzio
“Da più di dieci anni, ogni giorno, veniamo sempre qui a guardare il tramonto. A prima vista sembrerebbe quasi tutto uguale: le barche a mare, le boe, i gabbiani, i raggi del sole che riflettono sull’acqua. Ma se guardi meglio, ti sembrerà di vederlo per la prima volta, perché ogni giorno ti trasmette qualcosa di diverso rispetto a ieri”
“Oggi cosa ti trasmette?” chiese incuriosita Avril
Joel restò in silenzio ad ascoltare il mare, come se gli stesse parlando.
“Oggi il tramonto” disse Joel “è particolarmente triste.”
“Già, ora che lo vedo meglio, sembra triste anche a me” il sorriso di Avril divenne fermo come una linea, mentre i suoi occhi verdi erano leggermente socchiusi, come se si stessero sforzando nel vedere qualcosa di lontano.
“Aspetta, ho un’idea” disse d’un tratto la ragazza. Aprì la sua borsa e tirò fuori una macchina fotografica istantanea.
“Vuoi fare una foto al tramonto?” le chiese Joel
“Non al tramonto, a noi” precisò Avril “su, sorridi” i due si misero in posa e dopo il click della macchina fotografica Avril prese la foto e la agitò un po’ per metterla a fuoco.
“E’ stupenda” affermò Joel non appena la vide. La foto li raffigurava abbracciati  ed entrambi sorridenti e felici, con il tramonto e il mare alle loro spalle.
“Questa sarà la più bella foto ricordo” sorrise Avril guardandola ancora, come se si fosse incantata “ne vuoi anche una per te?” gli domandò poi
“Si perché no”
“D’accordo. Sorridi…” un nuovo click e una nuova foto quasi uguale alla prima uscì dalla macchina fotografica. Joel vedendola sentì dentro di se un sentimento che non riuscì a spiegare. In quella foto c’era lui con la persona più importante della sua vita. Eppure sentiva un senso di malessere, come se qualcosa mancasse in quella foto.
Quando iniziò a fare buio, i due lasciarono la spiaggia e arrivati fuori casa di Avril, Joel la abbracciò forte ancora una volta e si diedero appuntamento il giorno dopo direttamente al saggio di Avril, poiché lei il pomeriggio sarebbe rimasta a casa per esercitarsi ancora prima dell’esibizione. Tornò a casa distrutto ed ebbe a stento la forza necessaria per una forza, dopodiché mangio qualcosa e subito andò nella sua stanza. Prima di andare al letto, guardò ancora una volta il dipinto che la signora Beth gli aveva regalato. Guardò ancora quella mano che accarezzava il volto della ragazza, impassibile e fredda come il ghiaccio. “Chissà quali emozioni provava il pittore nel momento in cui dipingeva questo quadro” pensò Joel aprendo la finestra per far entrare aria fresca. Osservò dalla sua stanzetta la spiaggia e il porto, completamente deserti e immersi in un silenzio surreale, come tutta Heartown. Il mare blu scuro si confondeva con il cielo della notte, illuminato da infinite stelle e una luna piena alta nel firmamento. Poi cascò sul letto e si addormentò profondamente.
Il risveglio di Joel fu esattamente uguale a quello del giorno precedente. Il solito gracchiare dei gabbiani, il venticello mattutino che entrava dalla finestra gli rinfrescava il viso, accaldato dai raggi solari che ferivano il suo viso. Si alzò dal letto e guardò fuori la finestra, ammirando l’alba di quella giornata che si prospettava splendida. Si vestì velocemente per non arrivare tardi al porto, ma mentre indossava la canotta, notò che il dipinto che aveva appoggiato la sera prima sulla scrivania non c’era più. La cosa lo insospettì, ma pensò che forse era stata la madre che lo aveva preso e messo da qualche altra parte. Gli venne in mente anche la foto scattata ieri con Avril e la cercò nelle tasche dei pantaloni, ma nulla. Cercò in ogni angolo della stanza ma non la trovò. Ipotizzò allora di averla persa mentre rincasava, così senza pensarci ancora scese le scale, fece una colazione veloce e uscì di casa. Nel tragitto incontrò vari clienti della pescheria del padre e i proprietari dei vari negozi della cittadina, che incontrava di consueto ogni mattina e li salutava cordialmente. Stranamente però nessuno lo salutò come al solito, senza nemmeno chiamarlo per nome, ma un semplice ‘buongiorno’ come se fosse una persona incontrata per la prima volta. Pensò che forse erano molto indaffarati quella giornata e per questo non lo avevano riconosciuto.
Arrivato al porto vide Ben che caricava, come ogni mattina, tutto l’occorrente necessario per la pesca. Joel lo aiutò caricando gli ultimi due secchi rimasti a terra e una volta sciolti i nodi partirono. La pesca fu abbondante come quella di ieri, e quando i due marinai ebbero ricoperto tutta la prua di pesci si rilassarono pescando con due canne da pesca. Tutto sembrava normale, quando di botto Ben fece una domanda a Joel, la stessa che gli fece il giorno prima. Joel pensò che forse, data la vecchiaia del marinaio, certe cose tendeva a ripeterle, così glielo fece notare.
“Ben, forse non te ne sarai accorto, ma mi hai fatto la stessa identica domanda anche ieri”
“Cosa? Io? Nah, è impossibile. Non abbiamo mai parlato di ciò che vorresti fare nel futuro. Solo ed esclusivamente di mare e del mio passato da giovane scalmanato” obiettò il vecchio
“No, ti assicuro che ieri mi hai fatto la stessa domanda di oggi” ribatté ancora il ragazzo
“Va bene Joel. Se non ne volevi parlare bastava dirlo, tranquillo” lo rassicurò Ben. Joel avrebbe voluto dire qualcos’altro, ma un  grosso pesce abboccò l’amo di Ben e il vecchio marinaio cercò in tutti i modi di prenderlo, ma il pesce ebbe la meglio. Amareggiato, Ben ordinò a Joel di accendere i motori e fare rotta verso il porto. Mentre Joel eseguiva i comandi, pensò che anche il giorno precedente Ben non era riuscito a pescare un pesce all’amo. E ciò era insolito, poiché Ben era il miglior marinaio di tutta Heartown e raramente si lasciava scappare la sua preda.
Il mercato quella mattina era molto affollato e confusionario, proprio come il giorno precedente. Joel arrivò alla pescheria del padre portando come sempre carichi di pesce, che sistemò nelle varie vasche. La madre quando lo vide gli chiese di andare a portare una consegna alla casa dell’anziana Beth. Joel ripensò allora al quadro e chiese alla madre se l’avesse preso lei, ma Lisa non capiva di quale quadro stesse parlando il figlio.
“Ma come mamma, il dipinto della signora Beth che ieri mi regalò quando andai a portarle la consegna” le spiegò Joel
“Consegna? Ieri la signora Beth non ha ordinato nulla da noi. Magari ti stai confondendo” disse la madre alzando un sopracciglio. Joel non capiva. Lui ieri era andato dalla signora Beth per consegnarle l’ordinazione, ma Lisa negava ciò.
“Adesso vai a portarle la sua ordinazione, e fai presto, abbiamo molto lavoro da fare oggi” Lisa porse la busta a Joel che ancora un po’ perplesso la prese e si incamminò.
Arrivato a destinazione, bussò alla porta più volte e con vigore, sapendo che l’anziana era un po’ sorda. Quando lo venne ad aprire lo fece accomodare nel salotto, arredato esattamente come se lo ricordava, poi vide una cosa in particolare che lo colpì come un pugno allo stomaco. Era il dipinto che il giorno precedente era caduto dalla parete e che Beth gli regalò. Joel non stava capendo più nulla e non riusciva a darsi una spiegazione. La signora lo riscosse agitando davanti ai suoi occhi il denaro per pagare la spesa e quando Joel li prese, allo stesso tempo il quadro cadde dalla parete. Dopo che Joel raccolse il quadro e anche i pezzi di vetro, Beth propose a Joel di prenderlo, dato che lei se ne voleva sbarazzare. Il ragazzo rimase a bocca aperta e tutto gli sembrava quasi uno scherzo messo in atto dalla madre in accordo con l’anziana. Balbettò un si e, preso il dipinto, tornò alla pescheria. I genitori, al suo ritorno, videro Joel che si comportava in modo strano, e stava in continuo silenzio. Rick allora diede il via libera al figlio di staccare un po’ e così Joel, ancora confuso, raggiunse gli amici in spiaggia. Come al solito c’erano Ralf e gli altri che lo salutarono, fatta eccezione di Ed.
“Hey Ed, non mi saluti?” fece Joel vicino all’amico
“Scusami, non ci siamo mai visti prima. Piacere, Ed. Tu come ti chiami?” disse il ragazzo dai capelli rossi.
“Stai scherzando vero?” chiese Joel avvicinando lo sguardo a quello di Ed, per capire se l’amico stesse facendo finta.
“No, perché dovrei?” domandò Ed. Joel vide nei suoi occhi una completa sincerità, che gli fece venire un piccolo brivido dietro la schiena. Ed davvero non conosceva Joel, anche se loro si conoscevano da quando erano bambini. Joel non capiva davvero cosa stesse succedendo in quella giornata, ma la cosa non gli piaceva. Il restante gruppo di compagni richiamarono i due, che li raggiunsero in acqua. Quando arrivò Avril, le domande di Joel aumentarono. Non aveva detto che sarebbe rimasta a casa tutto il pomeriggio per le prove?
“Chiudi la bocca, o ti entreranno i moscerini in bocca” Ralf chiuse la bocca aperta di Joel alzandogli il mento “sei davvero silenzioso oggi. Più del solito” aggiunse sarcastico “cosa hai?”
“Sai, Ed mi sembra strano. Si è presentato davanti a me, facendo finta di non conoscermi. Ma la parte più strana è che continua ancora a non parlarmi, come se fossimo due estranei” confessò Joel
“Starà scherzando, sai come è fatto Ed”
“Si, forse hai ragione” si rassegnò Joel, ma non ancora convinto.
La giornata passò veloce e tutti se ne andarono, lasciando soli Avril e Joel che, come ogni giorno, guardavano il tramonto assieme. Quando Avril iniziò a parlare, Joel ebbe quasi il timore di sentire quelle parole. Se fossero state le stesse del giorno precedente, avrebbe pensato che fosse un indovino e che in realtà, il giorno che pensava di aver trascorso, fosse solamente un sogno premonitore. Avril però non gli disse solo quello che Joel sapeva già, ma anche che era innamorata di Louis. A quelle parole Joel sentì cascare la terra sotto i suoi piedi e cadere in un baratro oscuro e senza fondo.
“Da quanto tempo?” chiese Joel
“Da più di due anni, ma non vorrei rovinare un’amicizia” spiegò lei
“Come ti capisco” sorrise Joel a malincuore
“Anche a te piace una tua amica? Chi è, Julia?” domandò incuriosita Avril, sistemandosi meglio sulla barca.
“No no, non è lei. Un’altra mia amica che non conosci” mentì lui
“Come vuoi. Secondo te cosa dovrei fare? Intendo con Louis” Avril guardava Joel ansiosa di sentire il consiglio dell’amico
“Non so. Secondo me stareste bene insieme…” Joel dopo quelle parole voleva letteralmente suicidarsi. Si pentì amaramente, soprattutto dopo la risposta di Avril.
“Tu dici? D’accordo, allora domani dopo il saggio glielo dirò. Grazie, sei un amico” Avril abbracciò Joel, che si sentiva davvero un imbecille. Perché lo aveva fatto? Aveva lasciato andare la persona che amava senza confessarle niente. Forse perché Joel amava a tal punto Avril che desiderava solamente la sua felicità, e sapeva che solo con Louis l’avrebbe raggiunta. Avril prese la sua macchina fotografica e fece due foto, una per lei e una per Joel, per immortalare quel momento. Tramontato il sole, Joel accompagnò Avril a casa e si diedero appuntamento il giorno dopo al saggio di lei. Joel tornò a casa e una volta entrato in camera trovò il dipinto della signora Beth e non poté fare a meno di pensare a quella giornata. Appoggiò sia la foto che il dipinto sulla scrivania e andò a dormire senza nemmeno mangiare. Ripensò ancora ad Avril, e non potette non stare male al pensiero di lei con Louis, che dopo la sera successiva sarebbero stati insieme. E stava ancora più male se pensava che era stato lui a permettere che ciò sarebbe accaduto. Si augurò che l’indomani si sarebbe svolto diversamente, e riuscì a prendere sonno solo grazie alla stanchezza dovuta alla faticosa giornata.
Joel si svegliò al gracchiare dei gabbiani, e la luce dei primi raggi solari illuminavano debolmente la stanza di un rosso pallido. Il primo pensiero di Joel furono la foto e il dipinto e si augurò con tutto il cuore di trovarli sulla scrivania dove li aveva lasciati. Amareggiato non li trovò, come se fossero scomparsi. A quel punto ebbe quasi paura di iniziare la giornata e avrebbe voluto starsene rinchiuso in camera, senza uscire mai più. Non poteva però, quindi controvoglia si vestì, fece colazione e andò al porto, senza salutare nessuno, cosa che fu eguagliata dagli abitanti del posto.
Quando arrivò al posto, Ben era appena arrivato e stava fermo con le braccia incrociate a guardare il mare, in attesa di qualcosa o di qualcuno.
“Buongiorno Ben, inizio a caricare la roba?” disse Joel indicando le reti e i vari scatoli.
“Ah, finalmente sei arrivato. Tu dovresti essere Joel, giusto?” Ben guardò il ragazzo e gli sorrise .
“Conosci già il mio nome. Non sapevo di essere così famoso” il vecchio fece una lunga risata, mentre Joel non capiva di cosa stesse parlando.
“Si sono Joel, è normale che conosco il tuo nome. Andiamo a pesca insieme ogni mattina da anni”
“Anni? Senti, stai cercando di farmi uno scherzo?” disse serio Ben
“No, non capisco. Cosa ti prende?” Joel era davvero confuso, e aveva il presentimento che quella giornata sarebbe stata ancora peggiore di quella precedente.
“Mi prende che mi stai stufando, ragazzo. Carica la roba su quella barca e non farmi più domande, intesi?” Ben agitava l’indice mentre parlava, come per rimproverare il ragazzo del suo atteggiamento irriverente.
Joel preferì allora tacere e così dopo aver caricato il necessario, i due salparono. L’atteggiamento di Ben sembrò a Joel uguale a quello di Ed, che il giorno dopo si era dimostrato perfettamente indifferente nei suoi confronti. Ben quella giornata non fece la domanda che Joel si aspettava, ma parlò delle sue esperienze giovanili, che Joel conosceva già, poiché le aveva ascoltate migliaia di volte quando ancora Ben gli insegnava a pescare. Dopo una grossa pesca, tornarono al porto e come sempre divisero la quantità di pesce pescato, ma stavolta Ben diede una minor quantità a Joel.
“So che i tuoi hanno una pescheria al mercato. Puoi portare loro questi pesci. Accettali come regalo di benvenuto” Ben porse il secchio di pesci a Joel che lo accettò, ma cercando di capire perché lo trattava come se non si ricordasse minimamente di lui. Non gli dava una quantità così minima dai primi giorni in cui Joel faceva ancora il mozzo a bordo, poi col passare degli anni e la nascita di un legame più confidenziale, Ben gli aveva concesso di prendere un maggior assortimento.
“Ben” disse Joel prima di andarsene “davvero non mi conosci?”
Il vecchio lo fissò, inclinò un po’ la testa, poi la raddrizzò.
“No, non ti ho mai visto. Mi dispiace ragazzo. A domani” fece un cenno con la mano e se ne andò, lasciando Joel da solo, immobile, ancora incredulo.
Il mercato in quei giorni era sempre affollato, cosa che accadeva raramente. Anche i genitori di Joel quella mattina, come le altre, erano molto impegnati e vedendo arrivare il figlio che li avrebbe dato una mano, ebbero un sospiro di sollievo.
“A quanto vedo, è stata una pesca scarsa oggi” disse Rick controllando il secchio mezzo vuoto che Joel aveva portato.
“In verità” disse Joel “non è andata poi così male. Ma Ben si è comportato in modo strano, e mi ha dato solo una minima parte”
“Per strano cosa intendi?” si intromise Lisa nel discorso
“Era come se non mi conoscesse. Ha detto di non avermi mai visto, e che come prima volta andava bene questa porzione” spiegò Joel
“Prima volta? Ma se ormai ti conosce da quando avevi ancora i denti da latte!” esclamò Rick quasi divertito
“Forse sarà la vecchiaia” disse invece più seria la madre “domani cerca di parlargli meglio, e se non ci riuscissi, magari potremmo fare un salto al porto io e tuo padre per fare due chiacchiere con lui”
Joel annuì, e sembrò tranquillizzarsi. Forse si stava impressionando, forse Ben si era davvero rincitrullito a causa della vecchiaia. Quando però Lisa diede una consegna a Joel per la vecchia signora Beth, i pensieri del ragazzo agitarono la sua mente come una tempesta scuote una barca in alto mare. Tutto quello che Joel si aspettava si avverò. Il quadro cadde della parete e dopo averlo raccolto, Beth lo regalò a Joel, che lo portò alla pescheria, dove i genitori gli diedero il via libera per andare in spiaggia a raggiungere gli amici. Questa volta però accadde qualcosa che Joel non si aspettava. Nessuno, al di fuori di Ralf, si degnò di salutarlo. Tutti affermavano di non averlo mai visto e si presentarono uno ad uno, come se fosse davvero la prima volta che lo conoscevano. Ralf, che pensava stessero scherzando, li invitò a terminare lo scherzo, ma loro non sapevano di cosa stesse parlando e che non stavano complottando alcunché.
“Non so davvero perché si comportino così” sbuffò Ralf, infastidito anche lui da quell’atteggiamento. Joel sentiva come una presa allo stomaco che piano piano lo stava contorcendo. Rimase tutto il pomeriggio seduto sulla sabbia con Ralf, che era ancora arrabbiato con gli altri per quello scherzo di cattivo gusto che stavano facendo.
“Non ci pensare troppo. Scommetto che prima della fine della giornata la smetteranno” lo rassicurò Ralf dandogli una pacca sulla spalla. Joel però non ne era sicuro, e aveva il presentimento che le cose sarebbero andate ancora peggio.
“Cosa fate qui soli soletti, piccioncini?” disse Avril ai due amici non appena arrivò.
“Niente, tenevo compagnia Joel. Gli altri si comportano in modo strano nei suoi confronti” chiarì Ralf
“Del tipo?”
“Del tipo che non mi conoscono” intervenne Joel
Avril fece una piccola risata. “Staranno scherzando, non prendertela” aggiunse
“Anche io glielo detto” disse l’altro “ma vuole per forza rimanere qui”
“Gli tengo  compagnia io. Tu raggiungi pure gli altri” Avril si sedette vicino Joel, mentre Ralf si alzò e corse in acqua.
La giornata arrivò al termine e quando i ragazzi se ne andarono, solo Ralf salutò Joel, mentre gli altri non lo degnarono nemmeno di uno sguardo. Joel dopo quel gesto capì che i suoi amici davvero non si ricordavano di lui, proprio come Ben. Erano giorni davvero strani quelli, e non riusciva a dare una spiegazione sensata a tutti quegli strani eventi.
“Hey, su col morale. Scommetto che domani appena ti vedranno ti salteranno addosso e tutto si risolverà” Avril abbracciò Joel per confortarlo.
“Ormai sto imparando a non sperare più in niente” disse Joel con lo sguardo rivolto al tramonto.
“Sbagli” replicò Avril “mai rassegnarsi. Ti immagini un mondo in cui nessuno spera più in niente? Sarebbe l’annullazione stessa di un sogno. E non credi che sognare sia la cosa più giusta in assoluto?” Avril guardava dritto verso Joel, che ricambiò lo sguardo. Joel non riusciva mai a reggere il peso di quegli occhi verdi e finiva sempre per spostare lo sguardo da un’altra parte.
“Oggi non avevi il saggio?” cambiò discorso il ragazzo
“No, è domani” dichiarò Avril. Joel pensava allora di essere impazzito, poiché erano giorni che Avril diceva che il saggio si sarebbe svolto il giorno seguente. “Ma non lo farò” aggiunse poi la ragazza
“Come no?” esclamò Joel sorpreso “ti sei preparata dall’inizio dell’estate, non puoi mollare adesso”
“Non dipende da me, Joel. Domani mattina parto” disse con volto scuro la ragazza. Joel rimase fulminato da quella notizia inaspettata.
“Come sarebbe che parti? Dove vai? Per quanto tempo? Non mi hai detto niente”
“Non ho detto niente a nessuno. Non ho il coraggio di salutare tutti, ma ho voluto dirlo a te perché sei la persona più cara che lascerò. Mi trasferisco a Brighton, mio padre ha trovato un buon lavoro lì. Tornerò per l’estate prossima” Avril guardava triste Joel, che non sapeva cosa dire. La abbracciò solamente, e sentì il collo bagnarsi delle lacrime dell’amica.
“Mi mancherai così tanto, Joel” singhiozzò Avril
“Anche tu” sibilò con un filo di voce Joel
Avril, asciugate le lacrime, prese la macchina fotografica e fece due foto abbracciata a  Joel, una la tenne lei e una la diede all’amico. Joel accompagnò a casa Avril e le promise che l’avrebbe salutata il giorno dopo, prima che partisse. Tornò  a casa e si rinchiuse in camera senza mangiare niente, senza nemmeno prestare attenzione al quadro e alla foto sulla scrivania, sapendo che il giorno dopo non le avrebbe trovate, quindi piombò in un sonno profondo.
Il mattino seguente il risveglio di Joel fu ben diverso dagli altri. Si svegliò spalancando gli occhi come un robot che viene acceso e di fretta e in furia si vestì e uscì di casa senza nemmeno fare colazione. Non notò nemmeno che sulla scrivania il dipinto e la foto erano scomparse. Corse verso casa di Avril e bussò agitato, augurandosi di non essere arrivato in ritardo. Venne ad aprire la madre di Avril, che ancora assonnata chiese a Joel cosa volesse a quell’ora della giornata.
“Pensavo partiste all’alba, per questo sono venuto qui, per salutare Avril” disse Joel ancora affannato per la corsa
“Di cosa stai parlando?” chiese ancora assonnata la signora “Chi ha parlato di partenza?”
“Avril ieri mi ha detto che vi trasferite a Brighton e che sareste partiti stamattina” chiarì Joel
“Cosa? Che assurdità. Credo ti abbia fatto uno scherzo, Joel. Non ci trasferiamo da nessuna parte” Joel era confuso, molto più di quanto non lo fosse già in quei giorni. Avril non avrebbe mai fatto uno scherzo del genere, dato che aveva anche pianto sulla spalla di Joel. Quello che Avril aveva detto era vero, ma per qualche misteriosa ragione era come se non ci fosse mai stata una partenza programmata. Joel si scusò e andò via, questa volta verso il porto.
Ben stava quasi per salpare, quando Joel lo chiamò da lontano agitando un braccio. Il vecchio lupo di mare allora spense i motori e strizzò gli occhi per vedere meglio chi lo stesse chiamando. Quando Joel lo raggiunse gli chiese come mai stesse per partire senza di lui.
“Perché avrei dovuto aspettarti? Non ti conosco nemmeno” fu la risposta di Ben
“Ancora con questa storia, Ben?” esasperò Joel “mi conosci da quando ero un bambino e vengo ogni mattina a pesca con te. Possibile che la vecchiaia ti abbia fuso il cervello?”
“Attento alle parole che usi, ragazzo. Io non ti ho mai visto, e salpo da solo ogni giorno, da sempre. Adesso sparisci e non farti più rivedere” Ben fulminò con uno sguardo il ragazzo, poi accese i motori e partì.
“Vecchio rimbambito” disse tra sé e sé Joel, che lasciò il porto e si diresse alla pescheria. Quello che successe però fu l’apice dell’incredibile. Arrivato alla pescheria infatti Joel salutò la madre e il padre, che però non gli prestarono la minima attenzione. Joel li chiamò ancora e Lisa si rivolse a lui credendo che fosse un cliente e volesse comprare del pesce.
“Mamma, ma cosa ti prende? Sono Joel” disse con espressione perplessa il giovane
“Perché continui a chiamarmi mamma?” domandò Lisa, come se non riconoscesse il figlio.
“Perché sei mia madre. Ma cosa vi sta succedendo a tutti?” urlò allora Joel, ormai esausto da quella situazione. Intervenne allora Rick che rimproverò il ragazzo con volto serio e arrabbiato.
“Senti giovanotto, nostro figlio naufragò due anni fa e morì affogato in mare. Se sei venuto a divertirti, hai scelto il posto sbagliato. Ora vattene” lo scacciò Rick con una spinta, mentre Joel vide la madre piangente dietro. Adesso anche i genitori si comportavano come se non lo conoscessero, e la cosa divenne non più strana, ma seriamente preoccupante. Per non parlare del naufragio che aveva accennato il padre, che Joel non capì di cosa stesse parlando. Non poteva più trattarsi di uno scherzo o di un sogno, poiché era tutto così reale. Stava succedendo qualcosa, ma non sapeva esattamente cosa. Joel decise di andare alla spiaggia, dove avrebbe trovato Ralf con cui si sarebbe potuto sfogare.
Arrivato sul luogo, Joel chiamò Ralf da lontano, ma l’amico non si girò affatto. Lo chiamò a voce più alta e stavolta si girò, ma subito dopo aver guardato Joel si rigirò, come se non gli riguardasse la cosa. Allora Joel si tuffò in acqua e prese per le spalle Ralf e lo scosse per attirare la sua attenzione, mentre gli altri lo fissavano straniti.
“Ralf, adesso fai finta anche tu di non conoscermi?” disse a voce alta Joel fulminando con lo sguardo l’amico
“Mi dispiace” disse Ralf “ma hai sbagliato persona. Non ti conosco, ma se per caso…” Ralf non finì la frase che Joel ormai al limite della pazienza iniziò a dimenarsi in acqua.
“Ma cosa diavolo vi succede a tutti?! Sono io, Joel! Ralf, siamo migliori amici da sempre, ci conosciamo da quando eravamo bambini, e anche tu Ed, ti ricordi di quando facemmo quello scherzo al vecchio Carl? Per poco non finivamo in guai seri. Louis, io e te invece facemmo una corsa al mercato quando avevamo dieci anni, e chi avrebbe vinto sarebbe diventato il capo del nostro gruppo, e tu vincesti. Julia, ti ricordi quando quel cane ti inseguì per tutta la spiaggia e tu scappavi urlando? Io si ragazzi, e so che anche voi ricordate ogni nostra disavventura passata. Sono io ragazzi, Joel” ormai la voce di Joel si era placata e i suoi occhi si spostavano ora su Ed ora su Ralf, nella speranza che i suoi amici lo avrebbero abbracciato e riconosciuto e tutto sarebbe tornato come prima. Ma ciò non accadde e i ragazzi continuarono a negare di conoscerlo. Ormai rassegnato Joel se ne andò guardando un’ultima volta quelli che erano stati i suoi migliori amici, con cui aveva trascorso la sua infanzia e la sua vita fino ad allora.
Stava per lasciare la spiaggia, quando gli venne incontro Avril che lo salutò con un abbraccio. Il contatto con Avril diede a Joel uno strano calore che lo confortò profondamente, perché capì che lei era l’unica che gli stava ancora accanto.
“Te ne vai di già?” domandò Avril
“Si, ormai non ha più senso rimanere qui” rispose Joel
“Cosa vorresti dire? E’ successo qualcosa?”
“Si, vieni con me” Joel la prese per mano e la portò in una parte più appartata dove non potevano essere visti.
“Avanti, sputa il rospo” fece Avril preoccupata per il comportamento nervoso dell’amico.
“So che sembrerà assurdo” fece Joel camminando avanti e indietro “ma tutti si comportano in modo strano. Ralf, Louis, Julia, Ed, i miei genitori, il vecchio Ben e tutti quanti è come se non mi conoscessero”
“Davvero? Forse è uno scherzo organizzato da…”
“No Avril, nessuno scherzo. Ormai la cosa va avanti da giorni e non so cosa fare. Sono un perfetto estraneo per tutti, eccetto che per te” disse tutto d’un fiato Joel, in preda all’agitazione
“Cerca di calmarti. Vedrai che andrà tutto bene”
“No Avril, tu non capisci. Hai idea di come sia brutto vedere le persone che rappresentano la tua stessa vita non rivolgerti la parola da un giorno all’altro, come se non ti conoscessero. Essere un perfetto sconosciuto per le persone che ami. E peggio ancora” sibilò questa volta Joel a testa bassa “essere così vicino alla persona più importante della tua vita, senza che lei sappia quanto significa la sua presenza. Vederla andarsene ogni giorno, senza fare nulla. Perché è così che mi sento quando…” Joel fermò la lingua prima che uscissero le ultime parole.
“Mi dispiace Joel… Non so cosa dirti” Avril abbracciò di nuovo Joel che però non ricambiò
“Adesso so cosa fare” disse Joel staccandosi da Avril
“Ovvero?” chiese l’amica
“Sei stata davvero unica Avril. Grazie per tutto” Joel le diede un bacio sulla guancia e subito scappò via, senza aggiungere altro. Avril chiamò il suo nome più volte e sempre più forte, ma Joel non si fermò e tantomeno si girò per guardarla. Aveva preso la sua decisione e, per quanto fosse così dolorosa, era anche la cosa più giusta da fare.
Il sole era quasi  tramontato, ma Joel quella volta non si trovava sulla spiaggia insieme ad Avril. Era al porto e stava prendendo la barca di Ben a sua insaputa. Sapeva che il vecchio possedeva una chiave di riserva sulla barca, così la prese e, una volta accesi i motori, salpò. Joel non sapeva ancora dove sarebbe andato, ma lontano da quella città, lontano da tutti. Non aveva motivo di restare e ogni legame che lo teneva ancora ancorato a quel luogo era stato reciso, tranne quello che lo legava ad Avril. Era stata l’unica che non si era dimenticata della sua esistenza e lasciarla adesso senza dirle nulla provocava a Joel un dolore immenso. Puntò la barca dritta verso il mare aperto, dove stava tramontando il sole. Era come se volesse raggiungerlo, come se rappresentasse la soluzione per quella assurda storia che si era venuta a creare. Joel pensò se in quel momento Avril stesse guardando lo stesso il tramonto, anche senza di lui, e magari lo stesse pensando, come Joel pensava ad Avril in quel momento. Girò lo sguardo per vedere un’ultima volta Heartown e poteva distinguere alcune sagome vicino al porto, al mercato, sul lungomare e anche sulla spiaggia. Vide la sua casa, ormai non più sua, la scuola dove aveva conosciuto per la prima volta i suoi amici, la chiesa e anche la casa di Avril. Voltò per sempre le spalle a quella città, al suo passato e guardò fisso il sole, ormai quasi del tutto tramontato. Gli venne in mente anche quella volta in cui Ben si fece scappare il pesce e che, liberatosi dell’amo del marinaio, nuotò ibero verso l’orizzonte. Joel si sentiva proprio come quel pesce ora, distaccato da ogni amo che lo legava al passato. I pensieri di Joel però furono spostati in secondo piano quando il ragazzo si accorse che il mare si stava agitando. Prima erano solo piccole onde, ma pian piano stavano diventando dei veri cavalloni. Tentò qualche mossa disperata per tenere la barca ancora in equilibrio, ma non era un esperto marinaio come Ben. L’imbarcazione fu allagata dalle onde del mare in burrasca, e Joel veniva sbattuto da una parte all’altra come una pallina di ping  pong. Un’onda gigantesca e molto più potente delle altre urtò contrò la barca che la fece capovolgere completamente e Joel finì in acqua. Cercò di restare a galla, ma le onde lo spingevano verso il basso, come se volessero affogarlo di loro spontanea volontà. La corrente lo trascinò sempre più giù e Joel stava quasi per esaurire l’aria nei polmoni. Vedeva la superficie del mare, che si allontanava sempre di più, fino a sembrargli lontana e irraggiungibile come una stella in cielo. Vide anche la barca, che stava affondando sul fondale, e Joel sapeva che da lì a poco l’avrebbe raggiunta. L’acqua era fredda e oscura e Joel non vedeva più nulla e ormai allo stremo aprì la bocca involontariamente, comandato dai suoi polmoni che chiedevano ossigeno. Ma ottennero solo litri e litri di acqua che fecero affogare Joel e il suo corpo si posò morto sul fondale, come un relitto marino.
Joel si svegliò di soprassalto e col respiro affannato nel cuore della notte. Si trovava in una grande stanza da letto, in un letto matrimoniale e al suo fianco dormiva sua moglie, che fu svegliata da Joel in preda all’ansia.
“Cosa c’è, amore?” fece lei mezza addormentata
“Nulla, tesoro. Solo un brutto sogno” disse Joel. Ora ricordava tutto: si trovava nel suo appartamento a York, con la moglie Annie, che aveva conosciuto al lavoro. Joel era un impiegato in una multinazionale ed erano ormai cinque anni che vivevano lì e avevano formato una famiglia. La porta si aprì di colpo e un bambino tutto tremante e impaurito si avvicinò al letto piangendo.
“Mamma, papà! Ho paura a dormire da solo, c’è un mostro nell’armadio che vuole prendermi! Posso dormire con voi?”
“Certo, a mamma” rispose Annie “vieni qui, in mezzo a papà e mamma e vedrai che il mostro non si avvicinerà affatto. Papà ti proteggerà, non è vero?” disse guardando Joel, che era rimasto impressionato dalla somiglianza con suo figlio. Gli ricordava esattamente lui quando era ancora un bambino e viveva a Heartown, e mille ricordi gli balenarono in mente. La moglie lo chiamò e Joel tornò alla realtà.
“Si, certo. Vi proteggerò entrambi da qualunque mostro” disse Joel con un sorriso rassicurante. Il figlio tranquillizzato si mise sotto le coperte e chiuse gli occhi e allo stesso modo fece la madre, abbracciandolo. Joel prima di tornare a dormire guardò la sua famiglia. Era tutto ciò che amava, la sua vita, eppure gli mancava qualcosa. Pensò ad Avril e un vuoto allo stomaco gli impedì di chiudere occhio. Si alzò dal letto e si avvicinò alla finestra, appannata e gocciolante per la forte pioggia di quella sera. Nel riflesso del vetro, tra quelle gocce, vide un volto che non riconobbe, il suo. Tutto quanto, la sua famiglia, la sua vita e persino se stesso gli sembravano allo stesso tempo tanto familiari quanto estranei. Poi ancora il ricordo di Avril, che forse si trovava chissà dove, sposata e felice, con la propria famiglia. Entrambi avevano preso strade differenti, ma se Joel quel giorno le avesse detto che la amava, come sarebbe andata? Forse in quella notte, in quel letto, ci avrebbe trovato Avril, insieme al figlio avuto da lei. Le cose però erano andate diversamente, ed Avril era solo un lontano ricordo. Joel chiuse gli occhi e stavolta scivolò lentamente in un sonno profondo. L’ultima immagine che vide fu lo sguardo di Avril, che Joel non aveva mai scordato in vita sua.
Il risveglio di Joel fu molto lento e confusionario, tanto che la sua vista si abituò lentamente a focalizzare il luogo dove si trovava. Vedeva in principio sagome che si muovevano nervosamente avanti e indietro, in una stanza piena di macchinari e scrivanie. Il tatto di Joel fu sensibile al freddo dell’acqua in cui immerso fino al collo, in una specie di vasca. In varie parti del corpo erano stati attaccati dei fili che trasportavano uno strano liquido, e Joel ricordò allora il sogno che fece giorni addietro e che ora stava sognando nuovamente. Nel frattempo le sagome presero le sembianze di persone vestite con dei camici bianchi e Joel sentì alcune voci ovattate discutere lì vicino.
“No David, ne abbiamo già parlato. Abbiamo fatto il possibile, ma tutto è stato inutile. Non ha senso continuare ad andare avanti” la voce proveniva da una donna bionda, con i capelli legati e un paio di occhiali, che nascondevano due occhi marroni. Portava un camice diverso dagli altri, di un colore che andava sul celeste. La donna era affiancata da un ragazzo silenzioso che reggeva alcuni documenti, mentre un uomo era impegnato vicino a un grosso macchinario. Joel riconobbe quell’uomo, era il dottor Locke. Questa volta però non era rilassato come nell’altro sogno, ma era agitato e dalla sua fronte scivolavano gocce di sudore.
“Dammi ancora un po’ di tempo, Mary. So di poterci riuscire, dammi qualche altro giorno” pregò David rivolto alla donna, che sembrava non trapelasse alcuna emozione dal suo volto.
“Ti ho dato fin troppo tempo, non possiamo sprecare ancora denaro per qualcosa di già perso. La sua fine è segnata” insistette Mary
Joel a quel punto attirò la loro attenzione battendo un pugno contro il vetro. David e Mary si bloccarono e quando David vide Joel ebbe un sorriso.
“Heilà” urlò Joel “dove mi trovo? Posso uscire di qui?”
“Hai visto?” esclamò euforico David “è ancora vivo, e in più si muove, cosa che non aveva mai fatto. Questo significa che sta migliorando, ce la può fare!”
Ma l’euforia di David fu spezzata dalla donna che si avvicinò al monitor del computer e, dopo averlo visto attentamente, lo fece vedere anche a David.
“Si sarà anche svegliato e si starà muovendo, ma questa sarà la sua ultima volta. I suoi valori diminuiscono sempre di più ogni minuto che passa. La sua è una reazione pre-morte” disse la donna. David vedendo il monitor non potette non dare ragione alla sua collega, ma era ancora deciso a voler fare qualcosa.
“Mi spiegate cosa sta succedendo? E’ un sogno? Ho avuto un incidente e ora mi state curando?” fece Joel, ignorante della situazione.
“Ciao Joel” fece Mary avvicinandosi alla vasca di Joel “ti trovi nella Maisha Corporation, un’associazione che ha come obbiettivo riportare indietro le persone morte, o meglio, un loro clone”
“Cosa? Ma è assurdo!”
“Già, molti la pensavano come te. Ma la scienza fa passi da gigante. Devi sapere che tu” continuò Mary “non ti trovi qui per un incidente, e tantomeno non stai sognando. Anzi, tu stai vivendo per la prima volta in vita tua solamente ora”
“Ma di cosa stai parlando? Come potrei vivere solamente ora se ho diciassette anni?” chiese Joel irritato per le stupidaggini che quella donna gli stava raccontando
“Perché in realtà tu…”
“Mary, finiscila. Non devi per forza dirglielo” intervenne David
“Tu credi? Facciamolo decidere a Joel” lo sfidò la dottoressa
“Qualcuno mi spiega una volta per tutte cosa diavolo ci faccio qui?” disse Joel scandendo ad alta voce ogni singola parola. Il dottor Locke cercò di trovare le parole giuste da dire, ma Mary fu più veloce di lui e così parlò a Joel.
“Tu non sei il vero Joel, ma solo il suo clone” fu la risposta fredda di Mary “ti trovi in questo laboratorio da più di cento anni, e molti scienziati e dottori hanno lavorato qui prima di noi. Come ti ho detto, l’obbiettivo di questa corporazione, è quella di creare dei cloni di persone morte, su richiesta di determinate famiglie. Il progetto fu avviato il secolo precedente, dallo scienziato Sebastian Collins, il fondatore di tutto ciò che vedi qui. Egli perse suo figlio di dieci anni in un incidente stradale, e da allora volle trovare un modo per sanare quella profonda ferita che colpisce ogni famiglia quando perde un parente molto caro. Sebastian prese le cellule e il DNA del figlio, e lo unì con una sostanza chiamata VITLY. L’esperimento si proponeva la nascita di un clone perfettamente uguale al figlio, con gli stessi ricordi e la stessa personalità. Sarebbe come se il figlio non fosse mai morto, ma avrebbe solo fatto un lungo sonno. Qualcosa però andò storto e Sebastian non riuscì a realizzare il suo sogno. La corporazione andò avanti, continuando con vari esperimenti, che si avvicinavano sempre al risultato desiderato, ma non ci siamo mai riusciti completamente. Anche adesso con te. Eravamo così sicuri che ce l’avremmo fatta” finì la dottoressa.
Joel, che era rimasto completamente in silenzio e con la bocca spalancata per lo stupore, sentì una vibrazione scorrergli per tutto il corpo, che sfociò in una rabbia immane.
“Cazzate! Tutte cazzate! Un clone, io? Sono Joel, so perfettamente chi sono. I miei genitori sono Rick e Lisa Cole, vivo ad Heartown, i miei amici sono Avril, Ed, Ralf, Julia e Louis, ogni mattina vado a pescare con Ben. Volete dirmi che tutto questo non è vero?”
“Non è che non sia vero” precisò David con voce debole “questa che tu dici essere la tua vita, non è la tua. Tu sei la copia del vero Joel, che è morto più di cento anni fa. Le persone che dici di conoscere sono tutte morte. Il tuo è stato solo un sogno dovuto alle cellule del vero Joel, hai dormito fino ad ora. In più certe cose sono anche state inventate dal tuo cervello. Come ad esempio la città di Heartown… Non esiste alcuna Heartown. Rick e Lisa morirono quando Joel aveva solo otto anni, in un naufragio”
“Nono… voi mi state mentendo. Io esisto. IO ESISTO! Non sono affatto un clone o roba del genere, io sono il vero Joel!” gridò Joel a voce sempre più alta dimenandosi nella vasca
“Joel!” lo richiamò Mary “tu non sei una persona, non sei mai esistito! Se vuoi saperlo, non hai nemmeno un cuore! Nemmeno sangue, solo citoplasma e sostanze chimiche che nutrono il tuo cervello e gli altri organi. Sei una specie di pianta insomma, sei sullo stesso piano”
“Una pianta?! Mi stai paragonando ad una pianta!?” gridò Joel sbattendo un pugno contro il vetro  “una pianta non è in grado di ridere, piangere, ricordare. Una pianta non è in grado di amare una persona!” questa volta la sua voce fu così alta che tutti nella sala si fermarono, attirati da quel ragazzo immerso nell’acqua verdastra.
 “Tu ami, piangi, ridi e ricordi solo grazie alle cellule del vero Joel. Se Joel avesse odiato una persona, adesso anche tu la odieresti. Non hai una tua identità, sei solo un ammasso di sostanze chimiche, senza alcun sentimento vero. E’ la realtà accettalo, e anche se non lo farai, non cambierà nulla. A breve scomparirai, anche tu come gli altri cloni sei un esperimento fallito” Mary girò i tacchi e se ne andò via. Tutti i presenti allora continuarono i propri lavori, come se nulla fosse successo. Joel si sentiva ormai come morto, anche se non avesse mai vissuto. Era incredibile per lui scoprire che tutto ciò che pensava fosse la sua vita, i suoi amici, la sua famiglia, Avril, fosse tutto una grande bugia. Niente era vero, era stato tutto un sogno, e lui si sentiva ormai vuoto e solo come un vaso senza fiori al centro di un tavolo. Vide il dottor Locke che stava ricevendo alcuni ordini da un uomo baffuto e col volto dispiaciuto si avvicinò al grosso macchinario che controllava la vasca in cui si trovava Joel.
“Dottor Locke” fece Joel. David non si girò “dottor Locke!” urlò questa volta, ma ancora niente “DAVID!” Joel diede una serie di pugni al vetro come per frantumarlo, ma ricevette solo l’attenzione del dottore.
“Cosa ne sarà di me?” chiese più calmo il ragazzo. David tacque per un paio di secondi, poi ebbe il coraggio di parlare.
“Mi dispiace Joel, ma tu scomparirai. Il tuo corpo si dissolverà pian piano, fino all’ultima cellula”
“Lei ha detto che ci sarebbe ancora qualcosa da fare, giusto?”
“Giusto, ma Mary è decisa ad interrompere qui definitivamente. Dice che è una perdita di tempo, che non c’è più alcuna speranza. In fondo, a chi importa della vita di uno che non è mai esistito?” David scosse la testa come segno di ribrezzo per quella frase appena pronunciata.
“E a lei, David? Gliene importa di una pianta inutile?” chiese Joel guardandolo negli occhi.
“Anche se mi importerebbe, non potrei fare nulla. E’ lei che decide non io. Non c’è nulla che possa fare” rinunciò Locke. Joel pensò a cosa avrebbe potuto fare per cambiare almeno in piccola parte quella sua breve vita, poi gli venne un lampo di genio.
“Sai far funzionare queste macchine?” chiese Joel
“Si certo, sono il più bravo forse” disse con un po’ di spavalderia
“Allora saprai anche farmi riaddormentare vero?”
“Ovvio, ma a cosa ti servirebbe ora? Il sonno era per velocizzare la produzione di cellule e far agire le varie sostanze nel tuo organismo. Ora che l’esperimento è stato archiviato non servirà a niente” spiegò David
“Non mi importa più di vivere oramai” confessò Joel “voglio solo salutare un’ultima volta una persona cara, che non ho salutato come avrei voluto”
“Sai che non cambierà niente, vero? Non si ricorderà di quello che farai. Sei sicuro?”
“Sicurissimo”
“D’accordo, lo prendo come un tuo ultimo desiderio” David azionò alcune leve del macchinario e l’acqua nella vasca di Joel iniziò a bollire e i fili collegati al suo corpo trasportavano con maggiore velocità vari liquidi di colore blu.
“Perché lo stai facendo, se posso chiedertelo?” fece David guardando Joel che stva chiudendo lentamente le palpebre e il corpo si rilassava.
“Se avessi la possibilità di rivedere un’ultima volta la persona più cara, non lo faresti?”
“Naturalmente” rispose David
“Hey, un’altra cosa dottore, per curiosità. Che fine ha fatto l’altro Joel?”
“Morì di vecchiaia, nella sua casa, assistito dalla moglie e dal figlio. Ha avuto una vita felice” commentò il dottore
“No, non è così” ribatté Joel “la sua è stata una falsa felicità. Non era ciò che voleva veramente”
“Chi può saperlo meglio di te, Joel” sorrise David “ah, mi sono dimenticato di dirti che ora il tuo corpo si è indebolito, così come il tuo cervello. Alcune persone nel sogno potranno anche non esserci oppure rimanere fermi immobili. Insomma, aspettati qualsiasi cosa” lo avvertì poi.
“Non preoccuparti” disse Joel prima di sprofondare nel sonno “ho imparato a sperare”
“Addio, Joel” sussurrò Davis alla fine.
Joel si svegliò sulla barca di Ben in mare aperto, al gracchiare di un gabbiano che era atterrato sulla prua. Era il tramonto e raggi del sole gli accecavano la vista e lo disorientavano. David aveva ragione, si sentiva molto stanco e stordito, ma doveva andare avanti a qualunque costo. Tornò al porto e, una volta sceso dalla barca, corse dritto verso la spiaggia. Sul tragitto ogni persona che incontrava era ferma e immobile come una statua. Un uomo salutava una donna, dei bambini giocavano a pallone, alcune signore passeggiavano tranquillamente sorridenti. Tutto però era fermo, come se il tempo si fosse cristallizzato solo per Joel. Passò anche per il mercato e vide la pescheria dei genitori. Rick e Lisa avevano un espressione raggiante e Joel volle quasi andare a salutarli, ma non aveva tempo. Li guardò solo da lontano, fermandosi per qualche istante e una profonda malinconia lo pervase.
“Vi voglio bene” disse come se potessero ascoltarlo, poi ricominciò a correre verso la spiaggia. Giunto sul posto non trovò nessuno, nemmeno i suoi amici. Camminò sulla sabbia girando lo sguardo ora a destra ora a sinistra nella speranza di trovare quella persona. Improvvisamente vide se stesso bambino insieme a Ralf e gli altri suoi amici, che correva e giocavano ingenuamente. Tentò di toccare il se stesso bambino, ma come un fantasma svanì in fumo celeste, per poi riformarsi. Quei piccoli fantasmi allora corsero verso il mare e scomparvero tra le onde, come per magia. Joel rimase a guardare i suoi fantasmi passati come un anziano riguarda vecchie foto di un album. L’attenzione di Joel passò infine sulla barca, dove ogni pomeriggio guardava il tramonto con Avril. E proprio come ogni pomeriggio Avril era lì, quasi ad aspettarlo. Joel si avvicinò tremante in preda all’ansia del momento. Aveva deciso di confessare il suo amore ad Avril, anche se tutto il mondo si era fermato e lei era impassibile, mentre guardava il tramonto. Ormai si trovò finalmente faccia a faccia e Joel non sapeva cosa dire. Non aveva pensato ad alcun discorso, non aveva mai confessato una cosa del genere a nessuno e non aveva la più pallida idea di come fare. Ma ci sarebbe riuscito, doveva riuscirci, anche se era troppo tardi. Sono quel genere di cose che bisogna fare, che non puoi evitare, perché tu possa sentirti bene con te stesso.
“Ciao Avril” balbettò Joel “spero tu possa sentirmi…” cercò di mettere insieme alcune parole per continuare il discorso, ma l’agitazione lo bloccava. Pensava di non potercela fare, ma poi la guardò dritta negli occhi. Quegli occhi verdi, come due foglie di primavera, lo avevano sempre intimidito per la loro intensità e per tutto ciò che gli trasmettevano, dalla paura all’amore. Quella volta però non si domandò il perché, ma riuscì a sostenere il suo sguardo, e non solo. Riusciva completamente a entrarci dentro e a parlare con la sua anima.
“Okkey, forse è vero, non sono mai stato qui, qui sono stato solo di passaggio. Non sono quel Joel che credevi io fossi e adesso scomparirò come nulla, e quindi tutto questo sembrerà inutile, ma non è così. Sono qui per dirti che” fece una breve pausa poi continuò “ti amo, Avril. Amo tutto di te: i tuoi capelli splendenti come un velo di centinaia di soli, i tuoi occhi verdi che mi hanno rubato il cuore, anche se non ce l’ho”aggiunse sarcastico” le tue labbra simili a due petali di rose, il tuo sorriso rassicurante e stupendo come il raggio di un sole in mezzo all’oscurità. E potrei continuare così per giorni, ma ho poco tempo” Joel si accorse che le sue gambe stavano svanendo e quindi dopo un sospiro riprese “sono venuto qui solo per salutarti un’ultima volta, come si deve. Sei stata davvero la persona più cara che potessi avere al fianco fino alla fine, e dopotutto sai una cosa? Che sono felice di andarmene così, di averti detto tutto. Sono felice di aver vissuto questi giorni con te, non avrei potuto desiderare di meglio per tutta la mia breve vita” Joel abbracciò di scatto Avril, e dai suoi occhi cominciarono a scendere lacrime calde che cadevano sulla spalla di Avril. Ora che ci pensava, era la prima volta che piangeva Joel, e la cosa lo fece sentire in un certo senso… vivo.
“Scusami” fece il ragazzo asciugandosi le lacrime “ti ho versato un po’ di sostanze chimiche sulla spalla” rise forte questa volta, forse per nascondere la sua enorme tristezza che cresceva sempre di più. Si sedette sulla barca e prese la mano di Avril. In quel momento capitò qualcosa che Joel mai si sarebbe aspettato. Sentì un colpo al centro del petto non appena le strinse la mano. Dopo quel colpo ne seguirono molti altri, sempre più numerosi e sempre più veloci.
“Ti ringrazio” sussurrò Joel all’orecchio di Avril “finalmente anche io ho un cuore. E tutto grazie a te. Spero che lo sentirai, perché a me sembra vada così forte che anche nel profondo degli abissi possano sentirlo” ormai Joel era quasi del tutto scomparso, ma continuò a parlare “anche se non siamo stati niente, anche se non sono stato niente, ricordami per favore… ricordaci adesso in questo momento, perché io lo farò, ovunque sto per andare” guardò per un attimo il tramonto. I raggi del sole coloravano il mare e i volti dei due ragazzi di rosso e arancione, che sembravano lame di fuoco che incendiavano ogni cosa.
“Devi sapere che ogni volta che venivamo qui a guardare il tramonto, io non lo guardavo mai per più di tre secondi. Tutto il tempo guardavo solamente te. Togli il fiato più di qualsiasi altra cosa, come se fossi alba e tramonto insieme. Qualcosa di stupendo, impossibile” confessò Joel. Sentì che l’ora era arrivata così disse le sue ultime parole “non posso credere che sia tutto finito… è così difficile dire addio, ma non ho altra scelta. E’ stato meraviglioso… addio mia amica, addio mio unico amore” Joel si dissolse nell’aria come brezza marina, non prima di aver guardato un’ultima volta il viso di Avril e di averle dato un dolce bacio sulla fronte. Un bacio di addio, dal sapore confuso di gioia e dolore.
“E’ la fine migliore che potessi desiderare: guardare il tuo volto. E’ una stupenda sofferenza, questa” fu l’ultimo pensiero di Joel che si disperse nell’aria.
Nello stesso momento tutto il mondo riprese a girare. I bambini tornarono a giocare, le signore continuarono a camminare e tutti ricominciarono a muoversi. Avril fece un respiro profondo, respirando quell’aria fresca di mare, come se non lo facesse da una vita. Si alzò dalla barca ed ebbe una strana sensazione di solitudine. Avvertì che la sua mano era stranamente calda, come se un momento prima avesse stretto tra le dita qualcosa che le aveva dato quel piacevole calore e gli sembrava che lì, in quel tramonto, mancasse la presenza di qualcuno, ma non sapeva chi, e la cosa la frustrava ancora di più.
“Oggi” disse guardando l’orizzonte “il tramonto è particolarmente triste”
Dopo un ultimo sguardo al sole, Avril prese la sua borsa e scese dalla barca e se ne andò da quella spiaggia quasi di corsa. Non si accorse però che nel momento in cui scese dalla barca, una foto cadde dalla sua borsa. Quella foto raffigurava Avril e Joel abbracciati, i volti sorridenti e spensierati, dietro ai quali un sole pallido tramontava nel mare. Si alzò un forte vento, che fece volare via la foto, lontana verso il mare, sorvolando ogni onda rossiccia di quell’immenso specchio d’acqua. Dietro la foto, una scritta riportava: “Ad Avril, grazie per essere stata con me fino all’ultimo tramonto. Joel”
Joel: quel nome tramontò come l’ultimo raggio di sole in quel giorno d’estate di fine Agosto.
 
   
 
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